“Valorizzazione Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza”. Questo il titolo del progetto del liceo artistico IIS Boscardin che sarà presentato oggi, venerdì 28 aprile 2023, alle 17 nella sala dei Chiostri di Santa Corona. Si trattadi un progetto Percorsi per le competenze trasversali e di orientamento (Pcto) di 13 studenti di 4 ALA indirizzo architettura e ambiente.
Il progetto si inserisce nella collaborazione tra Comune di Vicenza e il liceo artistico “Boscardin” di Vicenza per le esperienze di Pcto e nel programma di avvio di una progettazione del Museo secondo standard museologici attuali.
Il percorso ha accresciuto le competenze specifiche degli studenti in materia di promozione dei beni culturali, valorizzazione del patrimonio artistico e attenzione e cura dell’ambiente e del territorio. La classe ha sviluppato una capacità di ideare e progettare linee di intervento concretamente attuabili, lavorando in gruppo e singolarmente avanzando soluzioni creative a problemi reali. L’orientamento degli alunni è avvenuto anche attraverso una conoscenza del luogo, dei reperti e delle persone che vi lavorano intervistando la curatrice del Museo.
La collaborazione deiMusei civici con l’Istituto Boscardin è estesa anche ad altri settori.
In ambito naturalistico gli studenti dell’indirizzo scenografia stanno partecipando alla realizzazione della mostra temporanea “Una smodata passione per i coleotteri: storie di insetti e di entomologi vicentini” che aprirà a giugno 2023.
Per l’ambito pittorico e figurativo invece i ragazzi di alcune classi quinte e terze hanno lavorato per il progetto “Adotta un’opera” che vedrà la realizzazione di una mostra degli elaboratialle Gallerie diPalazzo Thiene. Gli studenti hanno studiato il palazzo e le opere esposte, rielaborandone una propria versione: le realizzazioni più significative verranno esposte accanto all’opera originaria dal 19 maggio al 4 giugno. Attraverso un apposito qrCode sarà possibile vedere i video dedicati al progetto realizzati dai ragazzi. Le immagini dei lavori verranno pubblicate sui social dei Musei Civici.
Tutte le iniziative rientrano nel progetto di inclusione museale dell’amministrazione, che sempre più cerca di dialogare con il pubblico. Il Pcto nei musei ha consentito ai ragazzi di fare un’esperienza di valorizzazione dei beni artistici.
Angelo Gilberto Perlotto – Gibo opera a Trissino in una casa officina adagiata sui monti Prelessini. Vorrei scrivere di lui con una delle sue penne scultura, magari quella che sta sul tavolo del suo amico Mario Rigoni Stern. Scrivere sulle pagine del diario di bordo dedicato a Horatio Nelson, scultura pure.
Vorrei essere ispirato dalla sua culla betlemita benedetta in Piazza san Pietro da papa Francesco la vigilia di Natale di qualche anno fa. Gibo è un uomo che ama le sue lontane radici di artista del ferro che si riconoscono nel bisnonno Antonio, faber alla corte dello zar di Russia e poi nel forte tronco che è stato il nonno Angelo.
E ancora nei rami rappresentati dal padre Germano e dallo zio Tito. Di quest’albero, Gibo è il ramo ultimo che fruttifica ancora. Dopo tante generazioni, il ferro si è arreso, è diventato amico in una metal-morfosi che lo cela ma non lo mortifica, anzi lo nobilita donandogli una forza nuova.
Diventa verdura e frutta, paglia, tessuto, acqua, vino, vetro. Si tramuta nei più diversi oggetti di uso comune. Il ferro che, e magari lo vedremo in altri momenti, si fa pagina, libro, ragnatela, piccolo animale in un universo di soggetti ormai non numerabili.
Nella collezione “Theatra” vive lo studio di un pittore, di un musico, di luoghi amati. Il colore esalta la forma e la figura, rende l’opera reale senza andare oltre. La falsità è lontana. Se c’è un individuabile ermetismo, quello sta nei titoli delle opere che inducono alla meditazione.
Nelle mani di Gibo, novello biblico Tubalkain, la materia diventa bellezza. Nel suo quotidiano, officina e orto convivono come fossero un unico. I gradoni dell’orto si aprono a balconata sulla valle ed è lì che l’artista si ritira per rilassarsi, respirare aria buona e trovare ispirazione per molte sue opere. I frutti dell’orto si tramutano in muse che lo fanno sentire vivo e pronto ad accettare le sfide dell’arte.
In questa verde solitudine diventa garante di se stesso. Ed è così che si salva e si ricarica. Per dirlo con Hermann Hesse, nell’orto amato, Gibo si “libra in alto, signore della vallata e della lontananza … ”. Gilberto Perlotto con il ferro crea originali opere che corteggiano la realtà senza tradirla ma illustrandola con una sensibilità e una maestria per cui il metallo esce dal duro silenzio e canta la sua canzone per noi.
Gilberto Perlotto e alcune sue opere
Spinoso dal cuore tenero
In arabo è nome al femminile: al-Kharshuf. Già è un buon inizio se la mente si adagia sul significato: spinosa pianta dal cuore tenero. Questo cuore tenero mi riporta alla donna, una benedizione accanto, un sogno che non deve frantumarsi per la durezza del nostro cuore.
Ma chi ama i libri può scegliere anche un altro sentiero interpretativo. Un libro prima di leggerlo serve coccolarlo un poco, guardarlo, sfiorarlo, avvicinarsi in comunione prima ancora di conoscerne il contenuto. Pagina dopo pagina, sfogli, leggi, assorbi. Poi, le pagine restano in intatta attesa di altre letture, di altra luce che le tolga dal buio del libro chiuso.
Chissà perché, in questo momento, penso all’artista quando non agisce, accorgendomi che la sua non è inazione, ma lo svuotamento di ogni desiderio esterno all’arte, di ogni altra idea persecutrice, fino alla liberazione del nuovo gesto costruttore. Ed ecco che nelle sue opere, il mondo esteriore comincia, allora, a corrispondere al suo mondo interiore. I carciofi di Gibo vien voglia di sfogliarli, come un libro, per carpirne l’essenza. Sfogliare, come pagine, le foglie coronate e, in una metamorfosi possibile della fantasia, gustarle, fare alimento della polpa adagiata assorbendone la sostanza segreta. Pagine di un libro spinoso da gustare fino al tenero cuore che dia una soluzione gradita all’intera lettura. Quelle foglie tigliose sono inizialmente come parole murate dentro, sono come noi che spesso non sveliamo i sentimenti profondi della vita. Ma queste incertezze non bloccheranno la nostra storia. Noi siamo pur sempre capaci di sfogliarci e di andare oltre il nostro silenzio. Le pagine-foglia, dopo aver donato il tenero cuore, resteranno confusamente affastellate. Nel disordine consumato aspetteranno che Gibo le ricomponga come solo lui sa fare.
L’assolo di manet
Edouard Manet vende a Charles Ephrussi, al prezzo di ottocento franchi, una tela intitolata Un mazzo di asparagi. Ephrussi, tuttavia, paga l’artista con mille franchi. Manet, che ha classe e spirito da vendere, dipinge un solo asparago e invia il quadro accompagnato da un bigliettino: “Ne mancava uno al vostro mazzo”. Non m’interessa descrivere nei particolari la scultura, ma il sentimento che la anima comparato alla storia.
Asparago in persiano significa germoglio. E da tale significato germoglia la fantasia rivelatrice di valori sottintesi. Allora, quella di Gilberto Perlotto è la sintesi delle due opere di Manet, un racconto concluso, un fatto riordinato, una dualità storica riavvicinata e ricomposta. E tutto non sul marmo freddo di Manet, ma su un caldo tagliere di legno. Così io penso alle tante separate cose della vita costruttrici di dolore, a lontananze non risolvibili, a fredde solitudini.
E penso a questo gesto quasi rituale dell’artista che, nella scultura, tutto riunisce e ricompone con purezza e semplicità. E la mente trova quiete. L’opera si trasfigura in un simbolo di familiarità ritrovata, un raccordo con l’armonia, un colloquio germogliante e vivo. Se si arriva a sentire nell’anima questo ritmico palpito dell’arte è come essere nell’anima del mondo e comprendere di essere partecipi di una festa d’amore per le cose belle. Devo anche dire che le opere di Gibo perseguitano e creano onde nella mente e vortici di seduzioni nel cuore.
Ma su queste onde è importante imparare a navigare. A differenza del quadro, ridotto a unica dimensione, la scultura si lascia circondare, anche assediare dalla nostra curiosità, e si rivela nella sua pienezza che nel quadro è inevitabilmente nascosta.
Di Giorgio Rigotto Da Storie Vicentine n. 6 gennaio-febbraio 2022
Giancarlo Feriotti è un collezionista cornedese di testi, documenti e oggetti storici che riguardano le due Guerre Mondiali, la Resistenza e, in particolar modo l’Olocausto. Ha avuto il padre e 3 zii deportati. Tutti e 4 si sono in seguito salvati. Da 40 anni Feriotti colleziona e archivia documenti. Ormai sono innumerevoli e li ha raccolti in un “museo” privato, che ci ha fatto vedere.
Un quadro che rappresenta una scena nei lager della collezione di Giancarlo Feriotti
Appena entrati, si nota subito la mole enorme dei volumi collezionati, circa 15 mila. Si tratta di una vera e propria biblioteca monotematica.
I parenti deportati
All’interno c’è anche un quadretto con la foto del padre e degli zii di Feriotti, ex deportati. “Mio padre fu deportato perchè negò la collaborazione con la Repubblica Sociale Italiana- racconta Feriotti-, anche conosciuta come Repubblica di Salò. Fu un regime collaborazionista della Germania nazista, esistito tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini, al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l’armistizio di Cassibile. In seguito il padre di Giancarlo e i suoi zii riuscirono a tornare a casa. Il padre tornò a Cornedo quasi completamente denutrito. E all’epoca non c’erano integratori. Il consiglio dei medici di allora fu quello di recarsi al macello di Valdagno a bere il sangue degli animali, appena macellati. Fu così che si riprese. In seguito si sposò e mise su famiglia”.
I familiari di Feriotti che subirono l’Olocausto. Foto: m.c.
I viaggi nei lager
Giancarlo ha fatto numerosi viaggi nei campi di concentramento tedeschi, in particolare ad Auschwitz, a Mauthausen e a Birkenau. Nella collezione si possono vedere un granito ritrovato nella cava situata nel campo di Mauthausen, un mattone del forno crematorio di Auschwitz, un pezzo di tegola delle baracche del campo femminile di Birkenau e ancora lettere, telegrammi, foto che attestano gli orrori più atroci della storia dell’Olocausto.
Una vetrina con i reperti.
I reperti
Oltre ai libri di storia, Feriotti colleziona anche dvd e banconote che circolavano all’interno del lager. C’è poi una grande carta geografica con indicati tutti i campi di concentramento in Italia. Spesso Giancarlo viene chiamato dalle scuole a raccontare le testimonianze che ha raccolto dai suoi familiari e le ricostruzioni che ha fatto grazie ai suoi reperti, acquisiti da alcuni mercatini. “Per me è stato un dovere, oltre che una passione, raccogliere informazioni e documenti che testimoniassero quanto successo e che ne custodissero una memoria storica”.
La cartina del lager in Italia
I libri di Feriotti
Giancarlo ha scritto anche dei libri: “Storie dai lager”, in collaborazione con l’autore Enzo Zatta, edito da Mursia, “La picca di via S. Lucia. Tre eroi sconosciuti della Resistenza”, sempre con Enzo Zatta e “Il partigiano Villy”, una ricerca storica in collaborazione con l’autore Fiorenzo Lavagnoli.
La copertina del libro “Storie dai lager” di Enzo Zatta e Giancarlo Feriotti
Paolo Crepet, psichiatra e scrittore sarà questa sera, giovedì 27 aprile, alle 20 e 30 nel Palazzetto dello Sport di Tezze sul Brenta per un incontro pubblico promosso dall’amministrazione comunale.
Crepet toccherà i temi cui è particolarmente legato: il modello educativo genitori figli, l’influenza delle nuove tecnologie sui ragazzi, il bisogno di ripensare la scuola, l’importanza per i giovani di vivere la propria vita in modo appassionato ed entusiasta assecondando le proprie inclinazioni e desideri ed esprimendo così la propria unicità.
Di questi argomenti si parla diffusamente trattati nell’ultimo suo libro “Lezione di sogni. Un metodo educativo ritrovato” edito da Mondadori, che offre il frutto della sua lunga esperienza, delineando quello che in molti hanno definito “il metodo Crepet”.
L’incontro sarà moderato dal giornalista e scrittore Alessandro Comin.
La serata, realizzata in collaborazione con “Libreria La Bassanese” e col supporto di “Banca di Credito Cooperativo BCC Verona e Vicenza” e “Autofficina Sandri s.r.l.”, è aperta a tutti con ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. Si consiglia di arrivare con anticipo sull’orario di inizio dell’evento. L’apertura dei cancelli sarà alle 19.15. Le persone con disabilità potranno riservare il loro posto con accompagnatore contattando la biblioteca ai numeri 0424.535972 e 0424.535949 o via mail all’indirizzo [email protected]
La sicurezza e la viabilità sono garantite dalla Protezione Civile e dalla Polizia Locale, la logistica dall’Ufficio Cultura/Biblioteche e Lavori Pubblici.
“Per la comunità di Tezze – dichiara il sindaco Luigi Pellanda – è motivo di orgoglio ospitare una personalità di indubbio spessore culturale, professionale e umano come il professor Crepet. Le esigenze educative che percepiamo anche nel nostro territorio ci hanno spinto ad organizzare questo appuntamento, che sarà di forte richiamo non solo per i nostri concittadini, ma anche per tutti coloro che nei dintorni sono coinvolti e toccati dal tema della crescita e accompagnamento delle giovani generazioni”.
“Ho condiviso con il professor Crepet l’entusiasmo della nostra gente per il suo arrivo nel corso delle varie telefonate volte ad organizzare l’evento – dice l’assessore alla Cultura Massimo Tessarollo -. Nel contesto delle varie iniziative culturali che offriamo ai nostri cittadini e nell’ottica di una programmazione culturale sempre di più alto profilo, questa serata sarà sicuramente da ricordare”.
Toccherà anche Valdagno nel vicentino il prossimo 29 aprile 2023, l’atteso tour del noto pianista polacco Waldemar Malicki. Si esibirà al Teatro Super e ad accompagnarlo ci sarà un’orchestra sinfonica di 45 elementi, tutti giovani talenti provenienti da diverse città italiane ed estere, cresciuta nel Conservatorio Bonporti di Trento e diretta dal Maestro Andrea Raffanini.
Nato a Lublino (Polonia) nel 1958 Malicki è cresciuto in un contesto di studi musicali e umanistici: è senza dubbio questo doppio approccio accademico ad averlo stimolato nel cercare un contatto costante con il suo pubblico, coinvolgendolo e divertendolo. Nel 1982 si è diplomato all’Accademia di musica di Danzica.
Ad oggi ha all’attivo ben 38 album e ha ricevuto 3 premium Fryderyk dall’industria discografica polacca. Si è esibito in molti festival, Festival a Lusławice , Holiday Festival of Stars a Międzyzdroje , Chopin Festival a Duszniki-Zdrój , Masuria Cabaret Night a Mrągowo .È il fondatore del quintetto di tango di Astor Piazzolla. E’ stato presidente della Società Ignacy Jan Paderewski . Dall’aprile 2008 è membro del Consiglio del Centro per la Fondazione Nazionale della Creatività .Negli anni ’90 ha co-creato una serie di documentari televisivi intitolata Tutto è musica , di cui è stato conduttore e autore della sceneggiatura. Insieme al regista Jacek Kęcik e al direttore d’orchestra Bernard Chmielarz, gestisce il progetto Philharmonic of Wit , unendo la musica orchestrale (prevalentemente classica) al cabaret. La sua straordinaria capacità di coinvolgere il pubblico in maniera entusiasmante e divertente lo ha reso un personaggio estremamente conosciuto anche al di fuori dei confini della musica classica.
In Italia si esibirà con la giovane Orchestra del Conservatorio Bonporti di Trento proponendo un repertorio prevalentemente contemporaneo: E. Grieg: Holberg suite, D. Zboch: Vivaldiana, F. Delius: Walk to the paradise garden, T. Procaccini: New York Picture, improvvisazioni di W. Malicki: Variazioni umoristiche, G. Gershwin: Rapsodie in blue.
Non solo un concerto di musica classica dunque ma una produzione unica nel suo genere, che propone l’enfasi e l’energia del pianoforte supportato da una grande orchestra sinfonica e la performance di Waldemar Malicki, divenuto celebre per i suoi concerti/spettacolo che uniscono una grande tecnica esecutiva a momenti divertenti di interazione con il pubblico. Un’occasione per chi non si è mai avvicinato alla musica classica e, allo stesso tempo, una forte emozione per chi la classica l’ha sempre amata e la vede, in questo caso, proposta da un grande maestro nell’esecuzione ed un grande divulgatore nel suo racconto. Il Maestro Malicki parla un ottimo italiano e i suoi piccoli e comprensibili errori grammaticali rendono il tutto ancora più vero e divertente. L’autoironia unita alla sua tecnica interpretativa sono di fatto gli strumenti che hanno reso Waldemar Malicki uno dei più amati esecutori d’Europa.
Possiamo ben scrivere di Giuseppe Zanetti che come uomo fu un puro, come artista un sommo, come soldato un eroe, come cittadino un raro esempio di rettitudine e di onestà. Nel 1915 allo scoppio della Prima Guerra mondiale, fu chiamato alle armi e partecipò con valore a vari combattimenti per quattro lunghi anni, dall’Altopiano di Asiago all’Albania.
Ritornò dal conflitto con due Croci al Valore, ma anche con la malaria, dopo aver superato la “spagnola” e schivato il colera che aveva falciato l’esercito serbo in ritirata. E fu proprio la malaria a spingerlo, lui cacciatore di palude e di collina, a salire sui monti in cerca di aria più salubre.
Giuseppe Zanetti percorse prima in lungo e in largo l’Altopiano di Asiago e poi le Piccole e le Grandi Dolomiti, rinforzando l’amore per la montagna, tanto da divenire tra il 1937 e il 1939 presidente della sezione del Club Alpino Italiano (CAI) di Vicenza. Fu sua l’iniziativa di svincolare dalla comproprietà con la sezione di Schio il rifugio di Campogrosso che divenne poi la casa degli alpinisti vicentini.
Nel silenzio della sua dimora sul colle Berico, al cospetto delle sue montagne, anche la sua tecnica ottenne elevazione e si perfezionò via via nelle forme sempre più semplici e umane, trovando grande ispirazione, soprattutto nell’arte sacra in cui egli maggiormente si distinse.
Emerse presto come scultore con accentuata personalità e fu invitato ad esporre giovanissimo in più edizioni della Biennale di Venezia, ottenendo ambiti premi e riconoscimenti.
Giuseppe Zanetti e alcune sue opere
Espose pure alla Quadriennale di Roma, a Ca’ Pesaro a Venezia e in altre città, mentre le sue opere cominciavano ad essere acquistate da musei e gallerie. Tra le realizzazioni del primo periodo, premiate alla Biennale, vanno menzionate: il Cristo flagellato, Il cieco e l’orfano di guerra e la Maternità errante. Un gran numero di sue pregevoli sculture abbelliscono edifici e piazze di varie città. Egli scolpì i monumenti vicentini al Fogazzaro, al Pigafetta, agli Invalidi del Lavoro, ai Battaglioni Alpini, al Battisti, al Ferrarin, ai Caduti della Grande Guerra in Villa Guiccioli e allo Zanella nella chiesa di San Lorenzo. Ma numerosi sono anche i monumenti ai Caduti da lui realizzati nel territorio, tra i quali spicca quello di Noventa Vicentina, giudicato, nel suo soggetto, tra i migliori d’Italia. Si ricordi poi la fontana nella piazza di Asiago e il monumento Finzi ad Arzignano.
Sono pure sue alcune statue che abbelliscono l’Ossario del Pasubio e quelli di Asiago e di Treviso, la chiesetta degli Alpini di Montecchio Maggiore, il santuario di Monte Berico, le chiese di Bertesina e di Cusinati, la Cappella Cardinalizia in Vaticano, il tempio votivo del Lido di Venezia, la Cassa di Risparmio della medesima città e due gallerie di New York.
Infine nel cimitero maggiore di Vicenza scolpì la tomba del tenente Negri de’ Salvi, del notaio Bedin e altre, tra cui quella della sua famiglia. Morì a Vicenza il 28 gennaio 1967. L’amico avv. Giovanni Teso, scomparso pochi mesi dopo di lui, ci lascia questa testimonianza: “Possiamo ben scrivere di lui che come uomo fu un puro, come artista un sommo, come soldato un eroe, come cittadino un raro esempio di rettitudine e di onestà”.
Di Luciano Parolin Da Storie Vicentine n. 6 gennaio-febbraio 2022
Prendono il via questa settimana e dureranno un paio di mesi i lavori di restauro conservativo ed estetico delle superfici in pietra dell’arco delle Scalette di Monte Berico. Il progetto, redatto dalla restauratrice Paola Orsolon, è stato donato al Comune di Vicenza da Round Table 34 Vicenza onlus, un’associazione dedicata ai lavoratori under 40 che svolge attività a carattere filantropico a livello locale e nazionale.
L’amministrazione comunale ha speso parole di ringraziamento verso il privato per il progetto di pulizia e restauro dell’arco delle scalette di Monte Berico. Le opere dovrebbero essere terminate entro la prossima estate.
L’intervento, del valore di circa 60 mila euro, interesserà l’arco di piazzale Fraccon, a ridosso del centro storico di Vicenza verso sud-est, alla base della scalinata che fino alla prima metà del Settecento costituiva l’unico punto di accesso dalla città al Santuario della Madonna di Monte Berico.
Si opererà in modo da conservare nel miglior modo i materiali costitutivi del manufatto, realizzato in blocchi di pietra di Vicenza, eliminando, dove possibile, la causa primaria di degrado e mettendo in atto azioni preventive per garantire una maggiore durata nel tempo degli interventi di protezione.
Saranno rimossi i depositi superficiali, verrà eseguito un consolidamento propedeutico all’intervento di pulitura, staccati e nuovamente fissati i frammenti a rischio caduta, inseriti perni, consolidate le fessurazioni.
A seguire, saranno eseguite operazioni di disinfestazione della vegetazione e di rimozione di patine biologiche e specifici interventi di pulitura. Verranno rimosse le stuccature e le sostanze non idonee e analizzate le copertine di protezione in piombo. Infine, saranno messi in atto interventi di stuccatura e di protezione dei manufatti in pietra.
L’intervento curato dal servizio Manutenzioni, prevenzione e sicurezza del Comune di Vicenza è stato affidato al raggruppamento temporaneo di imprese Athena Restauri di Thiene e VI Building di Camisano Vicentino e sarà coordinato con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza.
Storia dell’arco delle Scalette di Monte Berico
L’arco fu eretto, come riportato nell’epigrafe dedicatoria, nel 1595 su commissione del capitano veneziano Giacomo Bragadin sulla base, secondo quanto ritengono alcuni studiosi, di un disegno di Andrea Palladio elaborato tra il 1574 ed il 1576. Venne realizzato ben 15 anni dopo la morte di Palladio avvenuta nel 1580.
L’opera così come visibile oggi è, in realtà, una ricostruzione della versione giunta fino al 1944, anno in cui, durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, venne pesantemente danneggiata.
La ricostruzione del 1946 fu fatta secondo innovativi criteri di riconoscibilità, successivamente teorizzati da Cesare Brandi nella “Teoria del Restauro” del 1963. Gli elementi originali furono per quanto possibile recuperati, mentre quelli irrimediabilmente danneggiati furono sostituiti con conci sempre in pietra di Vicenza, ma caratterizzati da lavorazione superficiale differente, ciascuno con incisa la data del 1946.
Dal punto di vista architettonico il monumento ha la tipica struttura dell’arco di trionfo: un unico fornice racchiuso tra due coppie di semicolonne con capitello corinzio che poggiano su due plinti.
Al di sopra si trova l’attico con epigrafe dedicatoria sormontato da tre statue: alle due estremità i due santi protettori Leonzio e Capoforo ed al centro il leone alato veneziano, opere degli artisti Giambattista e Francesco Albanese.
Vicenza città metropolitana del Veneto. Per vocazione, per iniziative, non meno per posizione geografica. Senza toglierle nulla, e come potrebbe, Vicenza dovrebbe supportare, meglio se collaborando con Venezia, sollevandola da tutte quelle incombenze profane che la distolgono dalle sue multiformi singolarità.
I titoli a Vicenza non mancano: città d’autore, quel Palladio non solo noto ma imitato in tutto il mondo come nessun altro genio dell’architettura, raccoglie opere monumentali di ineguagliabile valore.
A cominciare dalla Basilica dichiarata di recente monumento nazionale, a quell’unicum del teatro Olimpico, al palazzo Chiericati che con le decine di palazzi nobiliari, costituisce il patrimonio mondiale dell’umanità come riconosciuto dall’Unesco nel 1994. E ancora non bastasse, un secondo riconoscimento da parte dell’Unesco, due anni dopo, per le ville sempre del Palladio sparse nel Veneto ma per la maggior parte (15 su 24) concentrate nella provincia vicentina; per tutte la celeberrima villa Almerico Capra detta “La Rotonda”, alle porte di Vicenza.
Nessun’altra città può vantare così tanti titoli e quel che più conta tante eccellenze architettoniche, dentro e fuori, come Vicenza. Seconda a nessun’altra. Qui le università, specie americane, inviano i propri studenti di architettura per metterli a contatto con i “miracoli” architettonici del genio palladiano.
Tanta è l’ammirazione degli Stati Uniti per il Nostro che il Congresso americano nel 2010 all’unanimità ha dichiarato il Palladio il padre dell’architettura americana: la Casa Bianca, il Campidoglio statunitense, e tutti gli edifici più rappresentativi di quella nazione sono di maniera palladiana. A tenere vivo lo studio del grande architetto vi provvede il Palladio Museum di Vicenza che raccoglie il lavoro e le ricerche degli studiosi provenienti da ogni parte del mondo.
Ma tanta universale ammirazione e tanto omaggio per le opere del Palladio, richiedono uno Studio stabile che riunisca studiosi, insegnanti e studenti da tutto il mondo. È per questo che l’associazione Vicenza in Centro propone la Fondazione per l’Università Studi Internazionali di Architettura, Arte e Design “Andrea Palladio”. Solo Vicenza è titolata per un simile Studio, per approfondire i segreti del genio palladiano e per diffonderli tra i giovani architetti e professionisti del mondo.
È questa la mission di Vicenza per ricordare significativamente i 500 anni della sua trasformazione urbanistico – architettonica da parte dell’architetto per antonomasia. Titoli non solo ma anche iniziative per mantenere vivo ed attuale il passaggio del genio. Accanto agli aspetti culturali, Vicenza con la sua ricca provincia primeggia anche nelle attività economiche e commerciali. Il gioiello, la meccanica, ora anche la meccatronica, il tessile, la concia e le migliaia di attività artigianali.
La prima insomma nel Nordest, sia per industria manifatturiera sia per export. Di certo favorita, Vicenza, anche per la sua invidiabile posizione geografica, nel centro del Veneto rispetto agli assi Venezia-Verona e Belluno-Rovigo, lungo la linea (binario/autostrada) Venezia-Milano. Anche i traffici trovano dunque Vicenza favorita; che di più non può desiderare. Qui la Camera di Commercio dovrebbe essere il punto di incontro degli affari non solo del Veneto, come tutte le altre istituzioni commerciali, penso alla ripresa della Fiera, centro e riferimento per addetti nostrani ed esteri. Ma Vicenza dovrebbe avere qualche ambizione in più.
Gli uffici, statali come quelli regionali, per lo più ammassati nel capoluogo veneto, ben potrebbero essere, quelli a servizio diretto del pubblico, dislocati su Vicenza, potendo qui occupare sedi prestigiose, palazzi pubblici in disuso e soprattutto facilitando l’utenza per il loro raggiungimento e così sollevare la laguna dal carico di viaggiatori per lavoro in danno del turismo. Del resto, di recente proprio il sindaco di Venezia ha chiesto aiuto e collaborazione a Vicenza con cui potrebbe condividere i grandi eventi come la Biennale.
Ancora a Vicenza dovrebbero trovare sede le varie Soprintendenze, archeologica, belle arti e paesaggio; le sezioni di Corte d’appello e del TAR, andando a completare la cittadella giudiziaria in Borgo Berga. Vicenza insomma a servizio di tutto il Veneto, ma occorre migliorare i trasporti specie su rotaia, mediante un collegamento a raggiera tra tutte le città venete con Vicenza. Una metropolitana di superficie veloce e sicura, in ogni caso con risparmio di ambiente e di denaro.
Altro che le (ultracostose) Pedemontane! Con Vicenza, centro della vita, delle istituzioni e degli affari ne trarrà vantaggio non solo il Veneto ma tutto il Nordest e con esso l’intero Paese. Si tratta di un grande progetto di Vicenza, città metropolitana naturale del Veneto: crederci anzitutto e quindi mettere in cantiere le iniziative per raggiungere lo scopo. Ma entro la generazione presente. Chissà se e quando si ripresenterà un’occasione altrettanto propizia.
Di Giovanni Bertacche Da Storie Vicentine n. 1 2020
Il famoso arzignanese Christian Greco, tra i curatori dell’esposizione e direttore del Museo Egizio, illustrerà, infatti, le scoperte archeologiche nella necropoli di Saqqara lunedì 1 maggio alle 17 nella Sala del Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza: un nuovo suggestivo appuntamento darà modo di scoprire aspetti inediti dell’antica civiltà egizia, protagonista della mostra “I creatori dell’Egitto eterno“, in Basilica palladiana fino al 28 maggio.
Christian Greco, tra i curatori della mostra I creatori dell’Egitto eterno
Nella conferenza “La necropoli di Saqqara e i funzionari ritrovati: le nuove scoperte archeologiche restituiscono la memoria perduta“, Greco descriverà, attraverso le immagini, i resti della tomba di Panehsy (alle origini del tempio dedicato al dio Amon), la scoperta che getta nuova luce sullo sviluppo della necropoli di Saqqara e che risale al primo periodo Ramesside (1250 a.C.) e alcune cappelle funerarie.
Saqqara è la necropoli della capitale dell’antico Egitto Menfi, che, stando alla tradizione, fu fondata nel 3000 a.C. dal re Menes, il primo faraone dell’Egitto unito.
La spedizione è stata condotta dagli archeologi del Museo Egizio, del Ministero delle Antichità Egiziane e del Museo Nazionale di Antichità di Leiden in Olanda, sotto la direzione del direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco e della curatrice della Collezione Egiziana e Nubiana del Museo di Leiden, Lara Weiss.
L’ingresso alla conferenza è libero.
Per partecipare è necessario prenotare il posto in sala collegandosi al sito del Teatro Comunale di Vicenza www.tcvi.it al link https://bit.ly/Greco1_05
La mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” è aperta fino al 28 maggio da martedì a giovedì 10-18, da venerdì a domenica 10 -19 (la biglietteria chiude 1 ora prima), chiuso il lunedì.
Il sentiero Brojaculo di Valdagno, in località “Meggiara”, è un percorso in mezzo al bosco considerato “facile” dagli escursionisti esperti. In realtà si tratta di un sentiero scivoloso e molto ripido. Si chiama appunto “Brojaculo” perchè, in dialetto veneto, ci si “sbroja il culo”, ovvero ci si può far male al sedere scivolando. E’ poco indicato se ha appena piovuto o in autunno, se ci sono molte foglie che fanno scivolare. Ciò non toglie la bellezza e la particolarità di questo sentiero boschivo.
Al brojaculo occorre fare attenzione a non scivolare. Foto: Marta Cardini
Il Brojaculo
Si può prendere il sentiero prima della galleria della località “Meggiara” e risalire verso contrada Croce Milani. Ad un certo punto si rimarrà estasiati da una bella e suggestiva cascata. Occorre fare molta attenzione per evitare dei “burroni” stretti e rocciosi nelle vicinanze. E’ possibile poi proseguire verso contrada Lora di Sotto, da dove si può tornare tramite il sentiero delle “rocete” verso il punto di partenza. Nelle contrade si possono fare incontri faunistici interessanti, dagli animali selvatici, che di giorno sono spesso nascosti, ai cavalli allevati al pascolo.
I cavalli che abbiamo incontrato. Foto: Marta Cardini
Ai Massignani Alti
Oppure, invece di fare il giro ad anello, da contrà Lora di Sotto, è possibile raggiungere la località di Massignani Alti, anch’essa suggestiva e dal panorama mozzafiato. Si arriva alla chiesa di Massignani Alti, dedicata a S. Antonio da Padova e da lì si può ammirare tutto il panorama sulla Valle dell’Agno.
La chiesa di Massignani Alti, Foto: pag. facebook Sagra Massignani Alti.
Il ponte “briscola”
Per chi invece vuole camminare sul piano, invece di seguire il sentiero Brojaculo e risalire fino ai Massignani, può seguire la pista ciclabile lungo l’Agno che porta fino al “ponte briscola” in località Maglio di Sopra, anch’esso molto suggestivo. Si tratta di una lunga passeggiata fra le briglie, le piante e pescatori in cerca di trote. Al ponte “briscola” occorre fare attenzione perchè appunto “briscola” cioè oscilla e questo può dare una sensazione di vertigine. Ma la passeggiata è spettacolare.
La vista dal ponte briscola. Foto: Marta CardiniUn panorama visibile da Massignani Alti. Foto: m.c.