martedì, Aprile 23, 2024
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Palazzo Caldogno in Corso Fogazzaro a Vicenza. Passeggiare nella storia (puntata 5)

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Mercoledì 28 febbraio 1945: su Vicenza piovono quattro furiosi bombardamenti diurni, che distruggono, fra gli altri, anche palazzo Caldogno, che sorgeva in corso Fogazzaro, all’imbocco di contrà Riale.

Un maestoso e imponente edificio, del quale rimane l’immagine della facciata, grazie alla fedele incisione di Ottavio Bertotti Scamozzi, contenuta ne Il Forestiere istruito, (tav. XXXV), una guida della città edita nel 1761. Vi si legge scolpito, nella fascia del primo marcapiano, il nome di Angelo Caldogno, figlio di Lucio, cui va il merito di aver portato a compimento l’impresa nel 1575, anno parimenti ivi riportato.

Il prospetto, di austera gravità, è scandito, nel settore mediano leggermente aggettante, da sei lesene di ordine corinzio, mentre il massiccio sottostante corpo bugnato è alleggerito da otto pannelli scolpiti, che si dispiegano nei riquadri collocati sopra le finestre, richiamo, ad evidenza, di quelli presenti nel vicino palladiano palazzo Valmarana. Quanto all’architetto, autorevoli studiosi (F. Barbieri-R. Cevese, Vicenza. Ritratto di una città, 2004, p. 321) avanzano l’ipotesi che si tratti di opera riconducibile all’esordiente Vincenzo Scamozzi, che  indubbiamente si rifà a matrice tardocinquecentesca. L’edificio è lodato nel Forestiere «per la

sua comoda distribuzione [interna], da noi … considerata una delle migliori, che vi siano in Vicenza». Fa eco il Baldarini, che, nella Descrizione delle architetture (1779), sottolinea che vi «sono Sale, e Scale, e Stanze magnifiche, oltre gli altri luoghi domestici: dal che si comprende che l’Architetto ha avuto in mira anche il comodo, che è una delle qualità essenziali che si riecheggiano in ogni fabbrica nobile».

Palazzo Caldogno, dunque, sembra celebrato dagli storici del Settecento più per la sua comodità che per le qualità architettoniche e strutturali: d’altronde si è in piena temperie illuministica e neoclassica, che prediligeva forme più semplici e leggere. L’edificio, ceduto nel 1838 dal «conte Pier Angelo Caldogno, ultimo di sua famiglia … ai Bortolan che lo fecero ampiamente restaurare dall’architetto Malacarne» (D. Bortolan-S. Rumor, Guida di Vicenza, 1919), passò, da ultimo, alla famiglia Tecchio.

Inizialmente sede della ditta Tecchio e Festa che vi gestiva un vasto e fornito magazzino all’ingrosso di tessuti e manifatture. Ospitava, all’epoca del bombardamento, gli uffici dell’Associazione industriali. La distruzione del palazzo è stata un grave danno per la città: oltre alla struttura architettonica, sono andati perduti i grandiosi saloni di gusto prettamente seicentesco, ricchi di statue e stucchi, probabilmente dovuti ad artisti provenienti dalla Valsolda, sulla falsariga di quanto si può vedere a palazzo Leoni Montanari, come testimonia una cartolina degli ultimi anni ‘10 del secolo scorso, che riproduce quello centrale.

Perduti anche i grandi lampadari lignei dorati, il mobilio, in prevalenza settecentesco, gli affreschi e gran parte della suntuosa quadreria, ricca di dipinti di Giovanni Battista Minorelli, Francesco Maffei, Giovanni Antonio Fasolo, Giovanni Cozza e di altri ancora. Ci sono, invece, fortunatamente pervenute alcune grandi tele di Giulio Carpioni, tutte di soggetto mitologico, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, oggi in collezione privata, ad eccezione di quella raffigurante Le ninfe [che] raccolgono il corpo di Leandro, ora collocata nel salone d’onore del Museo Civico di palazzo Chiericati.

Il distrutto palazzo Caldogno fu ricostruito nel 1955 (attuali civ. 33-43 di corso Fogazzaro), per essere sede, fino a una decina di anni fa, degli uffici della Camera di Commercio. L’attuale prospetto presenta, però, variazioni significative rispetto alla situazione originaria, quale ci è pervenuta dalla ricordata incisione di Bertotti Scamozzi, come le vetrine di esercizi commerciali che si aprono nella facciata.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 6 gennaio-febbraio 2022


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