Questo eccezionale evento è organizzato dall’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività della città ed è parte del cartellone della prima edizione del Festival Internazionale di Musica del Veneto, promosso dall’associazione Musica & Cultura con il patrocinio della presidenza del consiglio regionale del Veneto e il sostegno di numerosi enti pubblici che partecipano all’evento.
Il festival mira a mettere in rete le diverse municipalità della Regione del Veneto per valorizzare le peculiarità e le bellezze del patrimonio locale attraverso un circuito di concerti ad alto valore artistico, che vede la partecipazione di musicisti di fama internazionale e giovani talenti emergenti.
Il programma della serata prevede l’esecuzione di brani di compositori quali Rachmaninov, Busoni e Stravinsky.
L’ingresso al concerto all’Odeo di Vicenza è gratuito, ma è necessario prenotare i posti inviando una email a [email protected].
Ettore Pagano, nato a Roma nel 2003, ha iniziato a studiare il violoncello all’età di nove anni. Ha ricevuto la sua formazione presso l’Accademia Chigiana sotto la guida di Antonio Meneses e David Geringas, e ha frequentato la Pavia Cello Academy con Enrico Dindo, oltre all’Accademia W. Stauffer di Cremona. Ha concluso il suo corso di Laurea triennale al Conservatorio S. Cecilia di Roma, ottenendo il massimo dei voti, la lode e una menzione speciale.
Dal 2013, ha vinto il primo premio in oltre 40 concorsi nazionali e internazionali. Il suo più recente riconoscimento internazionale è il primo premio al prestigioso Khachaturian Cello Competition, tenutosi a Yerevan nel giugno 2022. È stato invitato a esibirsi su importanti palcoscenici internazionali, sia in recital che come solista con orchestre in molte parti del mondo, tra cui Parigi, diverse città in Germania, Austria, Ungheria, Croazia, Lituania, Albania, Armenia, Kuwait, Oman e Stati Uniti d’America. Per il periodo 2023/24, ha già ricevuto inviti da rinomate società concertistiche italiane e istituzioni sinfonico-orchestrali, con impegni confermati in città come Torino, Milano, Genova, Verona, Venezia, Trieste, Bologna, Ancona, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari. Inoltre, sarà ospite dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, con esibizioni programmate all’Auditorium Toscanini di Torino con diretta su Radio3 e Rai Cultura, oltre a una tournée presso la Royal Opera House di Muscat, Oman.
All’ingresso di Lonigo, sul colle che domina la città, salta subito all’occhio la maestosa Villa San Fermo, una bellezza architettonica che risale al X secolo quando una comunità di monaci provenienti da Mantova fondò qui un’abbazia e un luogo di culto. Il complesso passò successivamente ad un’altra comunità di religiosi, ovvero i monaci di San Giorgio in Alga, finché, a metà del 1600, il monastero venne acquistato dal procuratore di San Marco, Nicolò Venier.
Villa San Fermo, un maestoso salone
Fu, però, con i successivi proprietari, dapprima i Contarini e poi i Giovannelli, che Villa San Fermo raggiunse l’apice del suo splendore. Andrea Giovannelli, nominato principe dall’Imperatore d’Austria nel 1838, stabilì qui la sua dimora e ben presto il convento divenne una villa-palazzo, come simbolo di potenza della famiglia. Conclusa l’era dei principi, seguì il ritorno nell’ambito religioso con i Gesuiti e infine con i Pavoniani.
La struttura architettonica, che si sviluppa dal basso verso l’alto, incomincia col monumentale ingresso dei Fiumi situato lungo la strada comunale, progettato dallo scenografo Francesco Bagnara. Composto da due enormi propilei collegati dalla cancellata e da una loggia, l’ingresso presenta delle statue dedicate all’Italia e ai suoi fiumi, assumendo così un significato allegorico.
Un ambiente della villa di Lonigo
Varcato il possente cancello ha, quindi, inizio il percorso che conduce alla villa culminante conmaestose scale d’epoca. Attraverso l’entrata principale, attorniata da aiuole perfettamente curate, si giunge al piano terra, dove si trova la limonaia, antico giardino invernale, con le sue ampie e luminose vetrate. Salendo, poi, le eleganti scale di marmo decorate ai lati con magnifici stucchi, si giunge al piano nobile di Villa San Fermo.
Qui la suggestiva biblioteca d’epoca, ricca di arredamenti originali, vantaraffigurazioni di Dante, Beatrice, Petrarca, Laura e, infine, dall’Aldilà Paolo e Francesca, arricchendo così l’ambiente con riferimenti letterari. Spalancate, quindi, le porte a doppio battente si ha accesso alla sala rossa, affrescata ispirandosi al palazzo ducale di Venezia, dove si fondono soggetti moderni e mitologici.
Porte aperte sulla villa di Lonigo
Nel mezzo della stanza, addossato alla parete ed opposto a fastosi tendaggi, si trova un camino d’epoca in pietra nera, che contrasta con la successiva tenue sala della musica, dove si sviluppano le stagioni danzanti. Il cuore pulsante della villa è però l’antico chiostro, al centro del quale si trova un antico pozzo, circondato da maestosi colonnati.
Ad incorniciare l’intero complesso di Villa San Fermo ci pensa, infine, il vasto parco circostante, ricco di sentieri, alberi secolari e punti panoramici, creando così un’atmosfera suggestiva ed indimenticabile.
Villa San Fermo, che attualmente ospita visitatori ed artisti da tutto il mondo ed è anche scenario di numerosi eventi, è la chiara dimostrazione di come il passato e il presente possano convivere in perfetta armonia tra loro: un gioiello antico che sovrasta una moderna piccola città, rendendo l’intera struttura una bellezza senza tempo.
In occasione del cambio dell’ora previsto nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, quando le lancette degli orologi dovranno essere spostate all’indietro di 60 minuti, passando così dall’ora legale all’ora solare, il salone d’onore del Museo civico di Palazzo Chiericati ospiterà la conferenza “Comereligione,politica,trasporti ecomunicazioni hanno cambiato nei secoli la lettura deltempo“. L’appuntamento, ad ingresso libero fino ad esaurimento posti, organizzato da Soprana dal 1910 “da oltre 100 anni segniamo il tempo delle vostre emozioni” e associazione Pigafetta 500, in collaborazione con il Comune di Vicenza, è in programma sabato 28 ottobre alle 16.30 e interverrà in veste di relatore Stefano Soprana.
L’appuntamento si configura come un viaggio nel tempo per comprendere come l’uomo ha misurato nei secoli la lettura del tempo.
La Torre Bissara ne è testimone perché in essa fu collocato nel 1378 uno dei primi orologi meccanici. Il Ferracina nel 1744 realizzò una misurazione del tempo unica nel suo genere testimoniata anche dalla veduta della Torre nel quadro del Ferrari. Un’iscrizione sul lato della Torre ricorda che nel 1884 Vicenza unificò la sua ora a quella di Roma.
La testimonianza dell’uso religioso del tempo si trova a Vicenza nella chiesa di Sant’Agostino, dove un affresco del 1400 indica la misurazione del tempo in 24 ore: la prima ora inizia con il tramonto del sole come il quadrante di San Marco a Venezia.
Il primo uomo che misurò l’influenza del tempo negli spostamenti fu Antonio Pigafetta rendendosi conto che la misurazione si perde navigando sempre ad ovest.
La lettura dell’ora nei diversi paesi non coincide esattamente con i meridiani. Se un meridiano misura 15 gradi, perché l’ora di Londra è diversa da quella di Parigi che dista ad est di Greenwitch di soli 2,5° circa e l’ora di Madrid posta ad ovest di Greenwich usa l’ora Italiana? In Europa oggi si discute di abrogare l’ora legale, perché?
L’obbiettivo dell’incontro sarà dare risposte a tutti questi interrogativi.
Stivalaccio Teatro, affermata compagnia vicentina, è stata insignita del premio dell’Associazione nazionale dei critici del teatro (Anct) per il teatro popolare, la commedia dell’arte, il teatro ragazzi e l’arte di strada.
«La compagnia Stivalaccio Teatro in questi anni ha riportato in luce la commedia dell’arte, attraendo nelle sale il pubblico più esperto e conquistando la passione di tantissimi nuovi spettatori – commenta l’assessore alla cultura, al turismo e all’attrattività della città Ilaria Fantin – . A Vicenza da sette anni durante l’estate organizza il sempre apprezzato e partecipato Be Popular, festival di teatro popolare, che rientra nel cartellone degli eventi estivi del Comune. Ma la compagnia ha un notevole riscontro anche oltre le mura della nostra città, con un lavoro attento e scrupoloso di ricerca che fa risuonare il nome di Vicenza a livello nazionale. In occasione del decimo anniversario della Trilogia dei commedianti, Stivalaccio sarà al Teatro Olimpico – prosegue l’assessore – domenica 5 novembre alle 21, per lo speciale allestimento di Don Chisciotte – tragicommedia dell’arte, uno degli spettacoli di maggior successo della compagnia».
Lo spettacolo fa parte di Laboratorio Olimpico, organizzato dall’Accademia Olimpica in collaborazione con il Comune di Vicenza.
Dal terzo progetto di residenza artistica di Bacàn, svoltasi a Palazzo Cordellina tra luglio e settembre 2023, è nato un quintetto che traendo ispirazione da “Lezioni americane” di Italo Calvino ha realizzato “Six memos”, una performance site-specific che è stata registrata e che si può vedere nel canale YouTube VicenzaCultura al link https://bit.ly/Bacan_PalazzoCordellina
L’iniziativa realizzata con il contributo dell’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività della città, della Biblioteca civica Bertoliana e della Fondazione Monte di Pietà, è una produzione di associazione culturale Bacàn in coproduzione con OperaEstate Festival Veneto.
La residenza si è sviluppata dal 18 al 20 luglio nella sala Udienze al piano terra di Palazzo Cordellina: quattro musicisti under 35 hanno lavorato da mattina a sera a improvvisazioni che hanno restituito al pubblico giovedì 20 luglio nel giardino del palazzo e in un concerto il 30 settembre, in occasione della Notte europea dei ricercatori.
L’associazione vicentina Bacàn ha voluto rendere omaggio al grande scrittore italiano nel centenario dalla nascita, chiedendo infatti ai musicisti in residenza di rielaborare artisticamente, trasponendo in musica, i sei capitoli che formano il saggio.
Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza (solo progettata) sono i valori che per Calvino deve avere la letteratura del ventunesimo secolo e che il linguaggio improvvisativo dell’ensemble ha fatto propri.
Nello storytelling di progetto le voci dei musicisti protagonisti (Beatrice Miniaci – flauto, ottavino; Ludovico Franco – tromba, piatto, live electronics; Dan Kinzelman – sassofono, clarinetto; Nicola Traversa – chitarra, banjo, voce; Nicolò Masetto – contrabbasso) raccontano l’esperienza e il processo creativo che hanno vissuto. Le immagini sono relative alla prima resitituzione pubblica avvenuta il 20 luglio. Il pubblico presente ha potuto cogliere l’interazione tra i musicisti, da cui è scaturito un flusso sonoro sviluppatosi in stretta relazione con il luogo che ha ospitato la performance. Il cortile di Palazzo Cordellina è diventato dunque esso stesso elemento caratterizzante per l’evolversi dell’improvvisazione.
Improvvisazione performativa ispirata a Lezioni Americane di Italo Calvino: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Coerenza.
Beatrice Miniaci – flauto, ottavino
Ludovico Franco – trombe, live electronics
Dan Kinzelman – sassofono, clarinetto, mentor artistico
Nicola Traversa – chitarra, banjo, voce
Nicolo’ Masetto – contrabbasso
produzione BACÀN
coproduzione OperaEstate Festival
con il supporto di Biblioteca Civica Bertoliana, Comune Città di Vicenza, Fondazione Monte di Pietà di Vicenza
Martino Cuman – fonica
Raffaele Schiavone – graphic designer
Valentina Fin, Augusto Dalle Aste – project management
Domenica 22 ottobre, i bambini dai 7 ai 10 anni avranno l’opportunità di immergersi nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) con il coinvolgente laboratorio intitolato “Segnali Elettrici a Palazzo Thiene”. Questo avvincente evento si svolgerà nelle suggestive sale ipogee delle Gallerie di Palazzo Thiene.
Il laboratorio è organizzato con cura dal museo MUST ITIS A. Rossi in collaborazione con l’Associazione Ex Allievi, come parte della mostra “Un grande passato, il resto è futuro”, che è aperta al pubblico gratuitamente dal giovedì alla domenica dalle 9:00 alle 17:00, con l’ultimo ingresso consentito alle 16:30.
L’Assessore alla Cultura, al Turismo e all’Attrattività della città, Ilaria Fantin, esprime gratitudine all’Associazione Ex Allievi dell’Istituto Rossi per aver creato questo spazio dedicato ai più giovani. Sottolinea l’importanza di avvicinare le nuove generazioni alle materie scientifiche e alla tecnologia, poiché queste rappresentano vere opportunità di crescita e, un giorno, di possibile occupazione.
Per partecipare al laboratorio, è necessario prenotare scrivendo a [email protected] entro sabato 21 ottobre. È possibile indicare la fascia oraria preferita: dalle 15:00 alle 15:45 oppure dalle 15:00 alle 16:45.
Domenica 22 ottobre, presso il Teatro Olimpico, si terrà un evento speciale in occasione dell’apertura del Digital Meet 2023. Questa iniziativa è promossa in collaborazione con il Comune di Vicenza e avrà come ospite d’onore Federico Faggin.
Federico Faggin è un protagonista della storia come rinomato fisico, inventore del primo microprocessore al mondo, autore e divulgatore scientifico. La sua presentazione, inedita, si concentrerà sul concetto di “5.0”, il nuovo paradigma produttivo orientato all’umanità, progettato per promuovere la cooperazione tra l’uomo e la tecnologia. Negli ultimi anni, Faggin ha esplorato temi fondamentali che riguardano il rapporto tra l’uomo e la macchina, spaziando dalla teoria quantistica alla coscienza. Questi temi sono stati affrontati nei suoi libri, tra cui “Irriducibile” e “Silicio”, nonché nella sua autobiografia intitolata “Silicon”, in cui racconta delle sue “quattro vite”.
L’evento, dal titolo “Uomo, Intelligenza Artificiale, Società 5.0: Il mondo tra consapevolezza e tecnologia”, inizierà con i saluti introduttivi del sindaco Giacomo Possamai. Seguiranno gli interventi di Gianni Potti, presidente di Fondazione Comunica e fondatore di Digital Meet, e di Gianni Dal Pozzo, presidente di Associazione Alumni.
La presentazione magistrale di Federico Faggin sarà preceduta da una introduzione a cura del professor Luciano Gamberini, docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Padova, che affronterà il tema “L’uomo, le tecnologie e il mondo del lavoro che cambia”. Le conclusioni dell’evento saranno tenute dal professor Andrea Furlan, docente di Management presso l’Università degli Studi di Padova.
La partecipazione a questo evento è gratuita, ma è necessario registrarsi in anticipo. Per prenotare il tuo posto, invia un’e-mail a [email protected] entro sabato 21 ottobre, specificando la fascia oraria di tua preferenza: dalle 15:00 alle 15:45 oppure dalle 15:00 alle 16:45.
Digital Meet giunge alla sua undicesima edizione, con un focus sull’approccio “friendly” alla digitalizzazione e alla diffusione dell’Intelligenza Artificiale. L’evento si svolgerà dal 23 al 28 ottobre in molte città italiane e avrà come tema principale per il 2023: “Dal Commodore 64 all’Intelligenza artificiale fino al Metaverso”. Questo tema esplorerà come abbiamo imparato a utilizzare nuove soluzioni per lo sviluppo umano, partendo dai vecchi computer e arrivando all’Intelligenza Artificiale e al Metaverso. In tutto il paese, sono previsti oltre 130 eventi con 220 relatori, evidenziando un crescente interesse per gli sviluppi e l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulla società. Questo argomento è stato al centro dell’attenzione dei leader mondiali, dai vertici del G20 in India al G7 previsto in Italia l’anno successivo. Anche Papa Francesco ha scelto il tema “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore” per la 58esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2024.
Federico Faggin, originario di Vicenza e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1968, è un fisico, inventore, imprenditore e saggista di grande rilevanza. Nel 2010, è stato insignito della Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione dal presidente Obama in riconoscimento della sua invenzione del microprocessore. Nel 2019, il presidente Mattarella gli ha conferito il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La sua carriera è stata caratterizzata da importanti contributi all’innovazione tecnologica, tra cui il design del primo microprocessore al mondo, l’Intel 4004, e la co-fondazione dell’azienda Synaptics, nota per i Touchpad e i Touchscreen. Nel 2011, ha fondato la Federico and Elvia Faggin Foundation, un’organizzazione no-profit dedicata allo studio scientifico della coscienza, finanziando programmi di ricerca presso università e istituti di ricerca negli Stati Uniti e in Italia.
Giovanni Battista Pittoni realizza nel 1580 una straordinaria veduta di Vicenza, oggi conservata alla Biblioteca Angelica di Roma. Il racconto da Storie Vicentine.
Nella seconda metà del Cinquecento, l’architetto bolognese Ottaviano Nonni, detto Mascherino, eseguì in Vaticano dei lavori al terzo piano dell’ala di ponente dell’attuale Cortile del Belvedere. Venne così a crearsi un corridoio lungo centoventi metri, largo sei e illuminato da diciassette grandi finestre per lato, che conduce verso la Cappella Sistina e le Stanze di Raffaello e che ha, su un lato, i Giardini vaticani e, sull’altro, il Cortile stesso.
Conclusosi l’intervento edilizio tra il 1578 e il 1580, papa Gregorio XIII, forse ispirato dalla
Sala delle Carte geografiche di Palazzo Vecchio a Firenze, dove sono collocate cinquantatré
tavole dipinte con le terre dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia e del nuovo mondo così come
conosciute nella seconda metà del XVI secolo, conferì l’incarico al domenicano matematico, astronomo e cosmografo Egnazio Danti, premiato poi con la nomina a vescovo di Alatri, di
raffigurare l’Italia, le sue regioni e le piante delle sue principali città, oltre ad Avignone, Malta e Corfù.
Nacque così quella che oggi vien detta la Galleria delle Carte Geografiche. Più precisamente, sulle pareti del corridoio sono disposte quaranta monumentali carte delle varie regioni d’Italia, ciascuna con le mappe delle principali città e le vedute dei principali porti italiani del Cinquecento: Civitavecchia, Genova, Ancona e Venezia.
L’Italia, allora divisa politicamente, è rappresentata nella sua unità storica, religiosa, artistica e culturale, «… quasi ad adombrare, se non proprio precise mire egemoniche del papato sull’intera penisola, quanto meno un progetto di governo del territorio italiano ispirato alla supremazia del potere spirituale su quello temporale, secondo una visione provvidenziale che trova conferma nel ciclo pittorico apprestato sul soffitto. Qui, infatti, attraverso una serie di cinquantuno episodi edificanti o miracolosi legati alle località sottostanti, viene tracciato una sorta di Atlante storico-religioso dell’Italia cristiana (nota 1)». Ed è anche un modo, per il Pontefice, di andare a «spasseggio(2)» per tutta l’Italia senza dover uscire dalla sua residenza. Questo grandioso apparato è dovuto ad
una équipe di pittori, fra i quali Gerolamo Muziano, Cesare Nebbia, Nicolò Circignani,
detto il Pomarancio, e i paesaggisti fiamminghi Matthjis e Paul Brill, che riversò, in un imponente ciclo di affreschi terminato nel 1581, i cartoni preparatori disegnati dal medesimo Danti, che fu anche l’orchestratore e regista di tutta l’operazione.
E’ grazie all’intervento del vicentino padre agostiniano Spirito Pelo Anguissola, «theologo, & predicatore eccellentissimo, & d’altre varie scienze & virtù ornatissimo», confessore e «spirituale padre di Sua beatitudine» Gregorio XIII, come attesta Marzari3, che anche la nostra Vicentia è fra le quattordici «città d’Italia delle più honorate4» presenti nella Galleria. L’Anguissola, infatti, venuto a conoscenza, in virtù del suo ufficio, delle intenzioni del papa, si affrettò a sollecitare la comunità vicentina affinché inviasse a Roma un «simulacrum civitatis», una immagine della città, che servisse da modello al freschista incaricato di eseguire l’impresa.
Ecco allora che i Deputati ad utilia affidarono, nella primavera del 1579, ad una squadra di rilevatori e perticatori, molto probabilmente capeggiata da Giandomenico Scamozzi, padre del più celebre Vincenzo, il compito di delineare la pianta della città.
Toccò poi a Giovanni Battista Pittoni assemblare, nel 1580, sulla scorta dei rilievi effettuati, quella che oggi vien detta «Pianta Angelica», perché custodita presso la Biblioteca
Angelica di Roma. Si tratta di un rilievo planimetrico generale della città, colta non da sud, come fino ad allora accaduto, ma da nord-ovest «a volo d’uccello», con proiezione
assonometrica, che riporta le planimetrie, l’alzato e le altezze dei vari edifici. Incerto era, fino al 2015, il punto di vista, vale a dire il luogo di rilevazione.
Anonimo, Veduta di Vicenza, 1581 circa, Città del Vaticano, Galleria delle Carte
Accurato studio di Adolfo Trevisan, già dirigente del Comune di Vicenza e Segretario della Commissione consultiva per la toponomastica, ha dimostrato che la città è ripresa dal santuario di Santa Maria del Cengio a Isola Vicentina, che sorge a 175 mslm. E la scelta del sito di rilevamento potrebbe essere stata una sorta di omaggio all’Anguissola, essendo a quel tempo il convento gestito dall’ordine degli agostiniani.
La pianta – giunta a Roma nel mese di febbraio del 1580 e ricevuta da padre Anguissola – fu quindi trasferita in affresco, a mo’ di trompe-l’oeil, in un apparente foglio (mt. 0,42 di larghezza x mt. 0,47 di altezza), affisso con quattro immaginarie borchie
agli angoli, nella grande carta (mt. 4,27 di larghezza x mt. 3,21 di altezza), denominata
Traspadana Venetiarum Ditio, riferita alla maggior parte dei domini di Venezia ad ovest del Piave. Alla raffigurazione di Vicenza è affiancata quella di Padova.
Tra la pianta Angelica e la pianta eseguita nella Galleria vi sono coincidenze e differenze.
L’orientamento è identico, come pure la «forma civitatis», con al centro il nucleo storico più antico. Le differenze dipendono dal metodo esecutivo. «L’Angelica è una minuta, puntigliosa
ricostruzione in punta di penna su carta della “facies” urbana indagata capillarmente; la Vaticana, la necessaria trasposizione dei risultati di questa indagine sul piano più largo e disinvolto di una panoramica compiaciuta di effetti cromatici e, in buona misura, paesaggistici: con la sprezzatura dell’affrescatore5».
Più precisamente, «la figura di Vicenza …volge anch’essa il levante verso l’alto. Vi si distingue lucidamente la forma ovoidale del suo primo impianto medievale, chiuso dalla lingua di confluenza fra il Bacchiglione e il Retrone, che poi dal secolo XIII – quando vi prese slancio l’arte della lana – fu affiancata in ogni direzione e oltre i due fiumi da vari borghi, circondati infine ad opera degli Scaligeri da una nuova, più vasta cerchia di
mura, portata a termine nel secolo XV dai Veneziani. Cerchia che la pianta descrive con
le porte e torri, facendo notare che entro ad essa restano fra i borghi molti spazi ad orto,
non costruiti, e che ad ovest (in basso nella figura) era sorto con ortogonale sistemazione
urbanistica e isolati di uguale sagoma e misura un quartiere frutto di progettazione in
blocco. E fuori dalle mura (a destra in basso) su di un terrazzo che guarda al Retrone fra i
campi alberati, è schizzata con notevole cura e nelle sue forme originali la basilica romanica
dei Santi Felice e Fortunato (oggi oppressa da insipienti grattacieli di recente data) nota 6».
Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n.13-2023.
Note
1. A. A., La Galleria delle Carte geografiche in
Vaticano, a cura di G. Malafarina, s.l. 2005, p. 6.
2. M. C. CIAPPI, Compendio delle heroiche et
gloriose attioni, et santa vita di papa Greg. XIII
raccolte da Marc’Antonio Ciappi senese, Roma
1591, p. 7.
3. G. MARZARI, La Historia di Vicenza, II, Vicenza
1604, p. 203.
4. Così si legge nella delibera del Consiglio
cittadino di mercoledì 6 aprile 1580, contenuta
nel Libro Parti, 1572-1595, c. 314, già presso
l’Archivio Torre e ora presso la Biblioteca Civica
Bertoliana.
5. F. BARBIERI, La pianta prospettica di Vicenza
del 1580, Vicenza 1973, pp. 15-16.
6. A. A., La Galleria delle carte geografiche in
Vaticano, a cura di L. Gambi e A. Pinelli, Modena
1994, p. 293.
La Iván Fischer Opera Company presenta al Teatro Olimpico (il 26, 27 e 29 ottobre) Pelléas et Mélisande, capolavoro operistico di Debussy, per la VI edizione del Vicenza Opera Festival. Fischer, nel doppio ruolo di direttore musicale e regista, dirige un cast stellare. Il consueto concerto sinfonico con la Budapest Festival Orchestra – sabato 28 ottobre – è dedicato alla musica proibita dal Terzo Reich con brani di Eisler, Hindemith, Schulhoff e Weill.
Dal 26 al 29 ottobre 2023 il Teatro Olimpico di Vicenza apre le porte alla VI edizione del Vicenza Opera Festival. La manifestazione ideata dal maestro Iván Fischer nel “teatro più bello del mondo” quest’anno mette al centro della programmazione Pelléas et Mélisande, dramma lirico che Claude Debussy ultimò nel 1902 musicando l’omonimo testo di Maurice Maeterlinck. Il lavoro debuttò all’Opéra-Comique di Parigi nell’aprile dello stesso anno ed è considerato una pietra miliare del teatro lirico del Novecento per i suoi forti contenuti innovativi e per certi versi rivoluzionari.
Notevole il cast che affiancherà i musicisti della Budapest Festival Orchestra nelle messe in scena di giovedì 26, venerdì 27 e domenica 29 ottobre all’Olimpico. Nei ruoli del titolo ci sono il tenore Bernard Richter e il soprano francese Patricia Petibon. Tassis Christoyannis è Golaud, il basso Nicolas Testé interpreta il ruolo di re Arkël, mentre Yvonne Naef e Peter Harvey sono rispettivamente Geneviève e un medico. Il dodicenne Oliver Michael, studente di musica alla Trinity School di South London, veste i panni del giovane Yniold, figlio di primo letto di Golaud.
Iván Fischer sarà ancora una volta impegnato nella doppia veste di direttore e, con Marco Gandini, di regista
Di marca italiana sono le scenografie di Andrea Tocchio e i costumi di Anna Biagiotti.
L’opera di Debussy è una produzione della Iván Fischer Opera Company con Società del Quartetto di Vicenza, Müpa Budapest, Spoleto Festival dei Due Mondi ed è realizzata con la collaborazione del Comune di Vicenza.
Nel consueto appuntamento sinfonico inserito all’interno del festival vicentino, sabato 28 ottobre al Teatro Olimpico la Budapest Festival Orchestra diretta da Fischer propone quest’anno un originale concerto a tema dal titolo “Musica Degenerata”, ovvero la musica bandita dal Terzo Reich. In programma brani di compositori che subirono l’ostracismo del regime nazista come Hanns Eisler, Paul Hindemith, Erwin Schulhoff e Kurt Weill. La Budapest Festival Orchestra sarà affiancata dal violista Maxim Rysanov (nel Concerto di Hindemith) e dalla voce di Nora Fischer nella parte finale dedicata a Kurt Weill.
Il concerto della Budapest Festival Orchestra ribadisce il forte impegno sociale del maestro Fischer, artista che attraverso il linguaggio universale della musica si pone l’obiettivo di trasmettere al pubblico messaggi profondi che parlano di inclusione, convivenza e solidarietà. Ne sono un esempio i concerti in luoghi di culto abbandonati, gli eventi pensati per le nuove generazioni di ascoltatori e per gli anziani, gli spettacoli musicali dedicati ai bambini affetti da autismo e alle loro famiglie. In linea con questa filosofia, nei giorni del Vicenza Opera Festival gli strumentisti della Budapest Festival Orchestra si esibiranno in alcune case di riposo della città per gli anziani ospiti, i loro familiari e il personale.
La Budapest Festival Orchestra rientra da parecchi anni nell’elenco delle 10 migliori orchestre del mondo stilato dalla prestigiosa rivista britannica Gramophone: nel 2022 si è classificata al primo posto.
Il giudizio del pubblico è stato confermato qualche settimana fa anche da 15 critici musicali di importanti testate – fra cui Le Figaro, The Times, Frankfurter Allgemeine, The New Yorker, Die Presse – ai quali è stato chiesto di redigere una speciale classifica delle migliori orchestre e dei migliori direttori dell’attuale panorama mondiale. Sia la Budapest Festival Orchestra che il maestro Iván Fischer sono stati inseriti nella top ten.
L’edizione 2023 del Vicenza Opera Festival sarà seguita da un pubblico internazionale – sono attesi in città 700 appassionati provenienti da vari Paesi Europei – e da spettatori di diverse regioni italiane richiamati nella città berica dalla bellezza incomparabile del teatro palladiano e dal cast stellare che darà vita a Pelléas et Mélisande.
Ce ne eravamo occupati anche noi, impressionati dalla bellezza di Villa la Rotonda e di Palazzo Thiene. E ora Storie Vicentine ci dà tutti i dettagli storici, artistici e architettonici.
I temi della villa in zona agreste e del palazzo in città costituiscono il punto focale della formazione architettonica e del successo di Palladio. La classicità è il tema preferito dalla sfera culturale veneta e ogni progetto palladiano propone schemi che soddisfano le richieste della committenza. Palladio realizza le due architetture ponendo una estrema attenzione ai luoghi, alle funzioni dell’edificio, alle necessità della committenza nella distribuzione degli ambienti e nella scelta stilistica per rafforzare la posizione sociale della casata.
La cupola di Villa Capra
L’amore per il mondo classico lo porta ad una scelta progettuale basata sulla costruzione filologica dei principali canoni compositivi. Tuttavia il mondo classico non costituisce una regola rigida da seguire, ma è lo strumento che gli permette di realizzare raffinate creazioni e di ripetere alcune esperienze importanti del Rinascimento di Giulio Romano a Roma e Mantova, di Michelangelo a Roma, di Baldassarre Peruzzi a Roma e di Sebastiano Serlio a Venezia. Durante i suoi frequenti viaggi a Roma elabora una serie di appunti e li raccoglie in un volume intitolato “L’antichità di Roma”, raccolta preventiva degli autori antichi e moderni (1555), dove unisce i concetti compositivi e gli ideali geometrici dell’antico.
Analogie archeologiche si leggono nella “Rotonda” del palazzo Thiene, ispirate all’esedra e al peristilio, ai vani ellittici (Colosseo) e circolari con cupola (Pantheon), ai vani di palazzi posizionati in modo simmetrico come il Palazzo di Diocleziano a Spalato (IV- III sec. d.C.), la Piazza d’Oro della Villa Adriana e la Basilica di Massenzio. Altre ville costruite dal Palladio in zone agresti rispecchiano l’organismo progettuale distributivo e i caratteri funzionali delle case latine e greche. La felice posizione sul colle, vicina alla città e distante dagli edifici agricoli, dichiara la villa “residenza suburbana” capace di coniugare la natura e la civiltà in perfetta armonia. L’arte scultorea e gli affreschi del Cinquecento rispecchiano la cultura elitaria delle diverse condizioni sociali, dove i soggetti delle commissioni private esaltano le “Glorie e Virtù” delle nobili casate.
La cupola di Palazzo Thiene
I ritratti vengono sostituiti con raffinati affreschi di figure allegoriche, con personaggi mitologici e condottieri antichi. I temi trattati sono estremamente elitari e solo il ceto colto, educato alla filosofia e alle lettere, può cogliere il significato. Spesso per realizzare queste opere veniva interpellato un consulente che traduceva il programma iconografico al pittore sulla base di valide conoscenze letterarie, mitologiche e filosofiche. I riferimenti a queste immagini e ai grandi condottieri romani sono comuni alle due cupole, per desiderio delle due casate di sottolineare le loro autorevoli posizioni sociali ed economiche in città.
LE DUE CUPOLE
Le due sale circolari con cupola sono spettacolari: la sapiente orchestrazione prospettica degli affreschi dai ritmi classici, accompagnati da timbri coloristici accesi, sono destinate a intrattenere le nobiltà veneziane.
La Cupola della Rotonda
La villa, voluta da mons. Paolo Almerigo Capra nel 1550- 67, destinata a letture e riflessioni religiose, diventa residenza signorile, luogo dilettevole di mondanità e allo stesso tempo azienda agricola. L’impianto planimetrico della villa è strutturato sul modulo del quadrato e l’aspetto esterno richiama la tipica facciata del tempio caratterizzata da quattro pronai sulle facciate.
La tipologia a moduli è il tema della “quaternità”, il cui significato simbolico deriva dalla religione orientale, tanto da concretizzarsi nella forma di Budda o di due divinità accoppiate. La geometria della villa si schematizza in un quadrato iterativo. Il tema della cupola aperta si ricollega al pensiero ierogamo tra terra e cielo espresso molte volte nelle mitologie: pioggia-acquafonte mediatrice tra cielo e terra.
Il Fauno, mascherone centrale posto a terra del vano circolare, indica otto dire- zioni, la Rosa dei Venti, ma il suo significato simbolico suggerisce il tema della doppia divinità congiunta come l’Uomo e l’Animale e l’Istinto e lo Spirito.
La forma della cupola centrale è concepita come spazio celeste, luminoso, quasi a voler richiamare la caratteristica collinare ed esaltare il belvedere del panorama vicentino.
Tutti gli ambienti interni le gravitano attorno con preziosi decori, delicati stucchi, affreschi dai motivi classici, scene mitologiche, stemmi che vogliono comunicare il “Trionfo delle Virtù sui Vizi” dell’autorevole proprietario e il suo legame di amicizia con la sfera religiosa romana dalla quale ha ottenuto privilegi e prebende.
Sala delle Metamorfosi di Palazzo Thiene.
Il vano circolare presenta preziosi interventi pittorici di Alessandro Maganza della fine del Cinquecento e di Michel Dorigny del Tardo Seicento dove le letture delle opere si sovrappongono e visualizzano pareti impaginate da cornici che racchiudono le allegorie delle Virtù: Purezza, Temperanza, Fede, Fama, Clemenza, Fortezza, Eternità e Virtù Poetica.
A terra le otto divinità, dinamiche e scattanti nei movimenti tardo barocco, sono poste in corrispondenza dei percorsi e delle porte. Le interazioni di immagini e nature a livello scenografico è un’abituale tematica degli affreschi delle ville venete che offrono diverse letture degli spazi, a sostegno di un gioco illusionistico tipico della cultura manierista.
La Rotonda vicentina restituisce l’idea del Pantheon romano, anticamente chiamato Rotonda e richiama i meriti di gloria che monsignor Almerigo Capra ha ricevuto a Roma. La centralità della sala circolare, la cupola e i sontuosi repertori figurativi contenuti nella Villa illustrano le otto divinità, ricordando la fisionomia della villa- tempio (Saturno, Apollo, Diana, Marte, Mercurio, Giove, Bacco e Venere) in parallelo al tempio romano che è stato costruito per onorare sette divinità planetarie (Sole, Luna, Venere, Saturno, Giove, Mercurio e Marte).
Il significato della Villa–Tempio è in perfetta analogia con il binomio Padrone- Signore. Tali caratteristiche si identificano nelle vesti di mons. Paolo Almerigo: Uomo- Chiesa, cittadino romano e uomo religioso desideroso di ritiro spirituale in questa dimora circondata da un paesaggio idilliaco.
Il vano centrale, luogo di meditazione e tempio delle divinità antiche, si isola dal mondo, ma la spiritualità entra sotto forma di luce dalla sommità della cupola per dar vita ai grandi affreschi scenografici. Alcuni affreschi di divinità sono legati simbolicamente alla famiglia Capra- Valmarana.
La figura di Saturno ispira la realizzazione dello stemma gentilizio, mentre le immagini di Bacco che sta versando il vino nella coppa, assieme a Ganimede- coppiere celeste, alludono alla conduzione agricola della villa e della loro produzione vinicola sulle colline.
Palazzo Thiene e la cupola detta “La Rotonda”
La famiglia Thiene è privilegiata rispetto alla nobiltà vicentina, imparentata con i Gonzaga a Mantova e in buona relazione amichevole con le signorie di Venezia e Verona. Le loro cariche di ambasciatori presso la corona di Francia vengono poste su un piano prestigioso, di nota rilevanza politica, economica, sociale e culturale rispetto agli altri nobili vicentini.
Il palazzo preesistente su contrà Porti, risale alla fine del Quattrocento, costruito da Lorenzo da Bologna (1489) e dal maestro lapicida Tommaso da Lugano. La successiva
ristrutturazione del 1524-25, su progetto di Palladio, prosegue nel 1542-58 e fa vari riferimenti architettonici a Giulio Romano, ospite a Vicenza della famiglia Thiene e rinomato architetto nell’ambito romano e mantovano, ritenuto migliore allievo di Raffaello.
Il Palladio, come da testimonianza di Inigo Jones e dalla documentazione inserita dallo stesso architetto nei “Quatto Libri diArchitettura” (1570), dichiara di aver realizzato
la costruzione, peraltro in periodo giovanile, trasformandola in un ”palazzo sontuoso, dall’aspetto regale e degno di ricevere illustri ospiti”.
Le influenze architettoniche di Giulio Romano sono espresse nella monumentalità,
nell’impiego della bugnatura al piano terra, nei conci grezzi sporgenti dalle arcate e dalle chiavi di volta. Il rigore geometrico degli spazi interni ed esterni dei prospetti, nella nuova interpretazione della Domus Romana, appartengono alla moda manierista, visibile nell’armonia delle facciate al piano nobile, scandite da paraste corinzie che racchiudono le alte finestre e i moduli iterativi serliani.
I motivi architettonici esterni al piano terra, lisci con paraste corinzie al piano nobile, e la scelta di alternare gli stessi elementi in più riprese, in prossimità delle finestre e dei portici in forma aggettante, servono a creare effetti plastici e chiaroscurali. L’idea sembra ispirata da una forzatura manierista proposta da Giulio Romano a Roma, da Jacopo Sansovino a Venezia e da Michele Sanmicheli a Verona.
Il palazzo diventa il modello di uno Status Symbol architettonico più ammirato e replicato nell’ambito vicentino. L’angolo, detto il Torrione, a Nord-Est del palazzo, racchiude gli ambienti maggiormente caratterizzanti: il Vano Ottagonale del Sotterraneo, la Sala dei Principi al piano terra e la Sala delle Metamorfosi , detta “la Rotonda” al
piano nobile con chiusura a cupola.
All’internodellaSaladeiPrincipiilsoffitto, a spicchi ottagonali, sfoggia elegantementeledecorazionidistucchirealizzatida Alessandro Vittoria (1551-53) e alla base di ogni lato c’è una mensola che sorregge un condottiero romano, a sostegno del significato eroico che riveste la famiglia, affiancato da due allegorie dei Fiumi dalla barba e capelli lunghi sopra i quali proseguono scene simboliche racchiuse in cornici ellittiche.
L’atrio di Palazzo Thiene
Il soffitto è scandito da spicchi elaborati finemente da elementi figurativi: satiri, maschere, nastri e festoni. La sala espone tre sculture di condottieri romani per commemorare il legame della famiglia Thiene con il re francese Enrico II e la sua corte: il busto di Enrico II e le figure di Ottaviano Augusto, simbolo della gloria e dell’eroismo, e di Giulio Cesare, simbolo della sovranità romana.
Altro ritorno al passato glorioso dell’antica Roma Repubblicana sono le immagini di Vespasiano e Bruto, per ricordare agli ospiti e ai posteri gli incarichi di gran pregio dei committenti ricevuti nell’ambito cittadino e veneziano a rinforzo dei loro principi virtuosi ed eroici. La sala conclude il repertorio dell’antica Roma con Antonino Pio, Pompeo Magno e Marco Antonio.
La Sala della Metamorfosi chiamata “La Rotonda” si trova al primo piano sopra la Sala dei Principi. La sua particolare forma circolare ricorda l’analoga sala della Villa Capra. Le decorazioni a stucchi della volta sono cinquecenteschi e vengono attribuiti ad Alessandro Vittoria (1551-53).
Le statue poste a terra portano la firma di Orazio Marinali (1715-20) e raffigurano Paride mentre offre il pomo della vittoria a Venere. Venere simboleggia la dea della bellezza e dei sensi, Minerva rappresenta la dea dell’intelligenza e Giunone viene posta in atteggiamento austero e sprezzante nei confronti di Venere. Il periodo Tardo Barocco è accompagnato
anche da un ciclo di affreschi raffiguranti candelabri monocromi e cartigli inseriti in finte cornici architettoniche.
Gli affreschi del soffitto a cupola, in forma trapezoidale si ispirano al mito di Perseo, al ratto di Europa, Atlanta e Ippomene, Apollo e Dafne, mentre le cornici sono arricchite da immagini di uccelli, vasi, gabbie, congegni meccanici e da figure femminili illustrati da maestranze di Bernardino d’India.
Il Manierismo delle due cupole è l’esempio, in forma ridotta, della corrente artistica divulgata nelle corti europee, fondata su eclettiche combinazioni di stili e arti finalizzate al trionfo dell’estremo virtuosismo intellettuale ed estetico. La diffusione del Manierismo avviene dopo il Sacco di Roma del 1527 e il nome indica una definizione di estetica legata
ai valori antitetici dove, pur confermando il perfezionismo classico, gli artisti si sono concessi le licenze di modificare tali esempi del passato con notevole autonomia, in virtù di una nuova perfezione. La situazione cambia nel corso del Seicento e del Settecento dove la
maniera perde il contatto con il virtuosismo rinascimentale a favore di una pratica artistica già consolidata precedentemente divenendo così un’inerzia creativa.
L’inquietudine, l’armonia, le espressioni emotive delle scene vengono rivalutate nel corso dei secoli per essere integrate in altre componenti poetiche, alla luce di un nuovo contesto storico e culturale che le vuole materializzate con ampio respiro e genialità nelle diverse varianti locali e nazionali.