domenica, Settembre 7, 2025
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Continua “La bella stagione” al Ridotto del Teatro Politeama di Marostica con Leopold, Zio Vanja e Dogville

Continua “La bella stagione” al Teatro Politeama di Marostica con le opere di produzione firmate da ATS Teatro di Comunità (Associazione Teatris, Argot Produzioni, La Piccionaia Centro di Produzione).

Sono tre infatti i lavori originali che verranno presentati nelle prossime settimane sul palcoscenico del Ridotto, che caratterizzano la direzione artistica di Maurizio Panici, in scena in prima persona anche come attore in uno straordinario “Leopold – La giornata di un uomo qualunque”, liberamente ispirato all’Ulisse di Joyce (venerdì 17 e sabato 18 marzo, ore 21, –  in replica anche a Roma dal 23 al 26 marzo, al Teatro Argo Studio di Trastevere); e poi, con la compagnia Teatris, come regia di “Zio Vanja” di Anton Cechov  (1 aprile, ore 21)  e dell’atteso “Dogville”, di Lars Von Trier (12 e 13 maggio alle ore 21 e 14 maggio alle ore 17).

Leopold Bloom è il protagonista di Ulysses di James Joyce e ha una funzione parallela a quella di Ulisse nell’Odissea omerica. Il personaggio di Bloom è basato per alcuni tratti su Italo Svevo, che fu allievo di Joyce.  Tutti noi siamo Leopold, noi che attraversiamo le nostre vite in modo più o meno consapevole, in preda ai nostri istinti e alle nostre pulsioni primarie, consumandoci in un tempo che è la nostra stessa vita. Il testo è corroborato da alcune riflessioni di Fernando Pessoa, tratte dal suo magnifico “Libro dell’inquietudine” e racconta la semplice giornata di Leopold Bloom che, come un novello eroe novecentesco, affronta la sua giornata e se stesso in un libero flusso di pensieri.

L’allestimento colloca il protagonista in uno spazio mentale e metafisico costruito con l’aiuto di una realtà virtuale, che rende spiazzante e onirico il mondo che lo circonda. Non sapremo mai quanto sia vera questa realtà abitata dall’eroe, o semplicemente una proiezione di questa nostra realtà, dove non si distinguono più i contorni del reale e dove nella libertà di esprimere tutto quello che pensiamo, i confini tra le due dimensioni sono estremamente labili. Leopold è anche l’espressione di una fragilità che non ha più punti di riferimento né maestri e si trova come un guscio di noce a galleggiare nella tempesta. Una amara e ironica rappresentazione, non priva di comicità, di quello che siamo diventati in questo tempo liquido e sfuggente.

Zio Vanja è uno dei testi più importanti e rappresentati del grande autore russo che ha segnato in maniera indelebile la drammaturgia del novecento e la nascita del teatro moderno.  Si tratta di una grande rappresentazione del mondo attraverso l’affresco di una piccola società di persone legate da relazioni parentali dirette o acquisite: costellazioni familiari che muovono i desideri, le mancate realizzazioni e le aspettative di una comunità, confinata all’interno di una proprietà , collocata ai margini della società e dei cambiamenti di un tempo che segnerà la fine delle loro relazioni.

Vanja è l’eroe di un quotidiano sbiadito e privo di ambizioni, che provoca insoddisfazioni e rabbia per una condizione alla quale non sa reagire attivando un processo autodistruttivo che non riesce ad evolvere e a cambiare. Gli echi di questo spettacolo sono purtroppo a noi suoni conosciuti: giovani privati del futuro, uomini incapaci di vivere in un presente sempre più difficile da decodificare, donne che si impegnano nel disegnare un mondo nuovo ma al contempo sono oggetto di pressioni e desideri di maschi che non conoscono l’amore. Tutto troppo reale in un tempo come quello che stiamo attraversando.

Infine, testo attualissimo per la sua crudeltà e durezza del vivere, Dogville, nato dalla penna e dal genio di Lars Von Trier, racconta l’arrivo in una tranquilla cittadina di provincia di una donna misteriosa, ricercata per ragioni oscure dalla polizia.  Il suo arrivo sconvolge i superficiali fragili equilibri di una comunità chiusa, arroccata in un ordine apparentemente felice. L’arrivo del diverso mette in moto dinamiche violente di assoggettamento e sfruttamento di chi, più fragile, si espone al più turpe ricatto pur di essere accettato.  Un testo esemplare che all’interno di una cupezza che non ci lascia respirare sa trovare momenti di grande lirismo e muove alla “pietas”, come solo la grande tradizione dei tragici greci ci ha insegnato. Ed è proprio una grande tragedia contemporanea che Dogville ci racconta, la tragedia di una umanità che per paura e vigliaccheria ci mostra il suo lato peggiore, difendendosi dagli stranieri e dai diversi, da qualsiasi latitudine essi giungano.

Nel programma anche gli ultimi appuntamenti del cartellone con ospiti nazionali: in “Andromaca”, da Euripide, Massimiliano Civica e I Sacchi di Sabbia tornano insieme su un classico dell’antichità, esplorando i confini tra comico e tragico (25 marzo, ore 21); e  “U scrusciu du mari”, un viaggio alla scoperta della Sicilia,  in compagnia dei racconti di Andrea Camilleri, di antichi canti, pupi siciliani, aneddoti e vecchie storie, interpretati da Antonino Varvarà (15 aprile, ore 21).

La rassegna teatrale “La bella stagione” è promossa da ATS Teatro di Comunità (Associazione Teatris, Argot Produzioni, La Piccionaia Centro di Produzione) in collaborazione con la Città di Marostica e il supporto di Fondazione Banca Popolare di Marostica – Volksbank.

Palazzo del Monte di Pietà di Vicenza: gli affreschi cinquecenteschi perduti di Zelotti

Il Palazzo del Monte di Pietà sorge nel cuore di Vicenza e risulta essere il complesso monumentale più antico oggi visibile nella piazza dei Signori; comprende l’isolato tra contrà del Monte e la piazza, fino ad inglobare gli edifici medioevali preesistenti come la Chiesa di San Vincenzo, patrono di Vicenza. Dal XV secolo ad oggi sono state aggiunte, modifiche e restauri.

La facciata della chiesa di San Vincenzo venne progettata da Paolo Bonin con le sculture di G.Battista Al- banese, mentre quelle della facciata trecentesca vennero poste all’interno sulla parete occidentale; Giambattista Zelotti affresca le due ali del palazzo a metà del 1500. Dato che l’entrata dalla piazza divenne insufficiente mentre cresceva l’attività del Monte vennero commissionate all’architetto del Comune Francesco Muttoni, nel 1703, sia la facciata su contrà del Monte, allora del Capitanio, sia la ristrutturazione dell’ala destinata ad ospitare i libri del conte Giovanni Maria Bertoldo, con le necessarie scaffalature. La prestigiosa entrata è rimasta inalterata, nonostante i bombardamenti del 1944, che distrusse l’archivio storico del Monte, e del 1945.

Trionfale è l’arco d’ingresso a lesene doriche e d’effetto ottico il chiaroscuro del bugnato rustico al piano terra; all’interno nell’atrio classiche colonne ioniche sorreggono possenti volte a crociera. Da qui a destra si sale al Monte dei Pegni, a sinistra si accedeva alla Biblioteca Civica, inaugurata nel 1708, per ospitare la prima donazione libraria alla cittadinanza, quella di Giovanni Maria Bertolo (1631-1707), che studiò legge e si dedicò all’avvocatura, figlio di un falegname “tornidor”, che regalava il suo patrimonio”purché fosse pubblico ed accolto in una sede degna”. 

affreschi palazzo del Monte della Pietà Vicenza
Una recente proiezione delle immagini degli affreschi sulla facciata del palazzo

Gli affreschi cinquecenteschi dello Zelotti ammirati da Vasari sulle due facciate gemelle si degradarono rapidamente. Quasi scomparsi tra il Settecento e l’Ottocento, furono sostituiti nel 1909 da quelli del perugino Domenico Bruschi. Nelle fotografie dei primi decenni del Novecento si possono vedere le ricche decorazioni che oggi risultano completamente sbiadite e irriconoscibili.

Di Luciano Parolin da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
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Musicisti vicentini, un viaggio nella Vicenza underground alla ricerca del talento: Luca Cescotti

Sono molti i musicisti vicentini di successo, in questo periodo. Sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo c’erano Madame, Gianmaria e Sangiovanni. Cosa sta succedendo? Vicenza è diventata il nuovo centro della musica? Per capire se c’è veramente un fecondo fermento musicale in città, abbiamo iniziato un viaggio nella Vicenza underground alla ricerca di musicisti talentuosi.

Il primo che incontriamo è Luca Cescotti, con una formazione di tutto rispetto. Luca, infatti, dopo il liceo classico e il conservatorio ha studiato al DAMS di Padova e oggi è un violista da gamba e un cantautore pop.

musicisti vicentini
Luca Cescotti

Luca, quando è nata la tua passione per la musica?

“Quando ero ragazzino, nel salotto di casa, (suo padre Lorenzo Cescotti è cantante  al teatro alla Scala di Milano, ndr): da un lato ascoltavo la Bohème e dall’altro i Police. La chiave di volta è stata comunque quando i miei genitori mi hanno regalato delle casse da studio, con cui ho iniziato a passare le serate in una piccola veranda, che i miei chiamavano il ‘gabbiotto’, fino a scrivere il testo della mia prima canzone. Fin da piccolo volevo diventare un cantante rock ed ero la chitarra e la voce del gruppo musicale Imonana”.

Quale tipo di musica preferisci?

“Anche se provengo dalla musica classica, la mia vera passione è per la musica pop”.

Dove trovi la tua ispirazione?

“Nelle emozioni positive e negative quotidiane, dall’amore all’inquietudine”.

Come nascono le tue canzoni?

“Dipende dal brano. In alcuni casi sono nate da un giro di accordi a cui mi ero affezionato, in altri da un errore mentre suonavo, a cui ho dato un valore. Dagli errori di frequente nascono sonorità che a tavolino non emergono”.

Cosa pensi stia accadendo musicalmente a Vicenza?

“A Vicenza c’è una scena musicale, dove si sperimentano e mescolano ispirazioni e si contaminano sonorità. I musicisti vicentini, infatti, si conoscono, si frequentano e si ascoltano tra di loro. Ciò permette per esempio di domandare quale effetto è stato usato per un certo suono che è piaciuto e quindi di riproporlo. A Milano invece non c’è scena musicale, ma si suonano tante musiche diverse, che alla fine creano distrazione”.

Che progetti hai?

“Sto preparando il secondo disco nello studio Sotto il mare di Verona, con il prezioso apporto al suono di Luca Tacconi, ma si tratta sempre di autoproduzione, gli arrangiamenti, i mixaggi sono fatti da me, perché io, come la maggior parte dei giovani musicisti vicentini, nasco dal basso e grazie a mezzi come Spotify, SoundCluod, You Tube, la mia musica può essere condivisa anche se non viene passata in radio o in tv. Comunque, anche se c’è stata una rivoluzione nella fruizione della musica, la stessa non si è ancora svincolata dalle etichette discografiche. La figura del produttore e del discografico sono ancora determinanti per un percorso duraturo. Sicuramente c’è stata una semplificazione nel fare musica grazie alla tecnologia non poi così costosa. In fondo anche il punk è nato dal basso. Il 1º aprile 2023 uscirà al Pordenone Docs Fest, Reznica (ovvero radici) del vicentino Davor Marinkovic, che parla dell’emozione del ritorno a casa dopo la guerra, di cui ho curato la colonna sonora”.

Cos’altro stai facendo in questo momento?

“Sto approfondendo l’ambito della produzione e della creazione musicale per giovani cantautori e in particolare sto producendo l’EP di una giovane cantautrice vicentina nella quale ho molta fiducia”.

Cosa suggerisci di fare per la musica a Vicenza?

“Di organizzare più eventi musicali, ma ricordiamoci che Vicenza è stata una delle prime città che ha permesso ai musicisti di suonare per strada”.

Il Monte di Pietà: l’origine del sistema bancario

Da un punto di vista storico, il Monte di Pietà può essere inquadrato nella tradizione delle fondazioni religiose cristiane nel Medioevo che, attraverso gli ordini militari (in primo luogo i Templari), non soltanto avevano sperimentato una inedita combinazione di vita religiosa e azioni civili e militari, ma avevano avviato la prima attività bancaria dell’Occidente.

I Templari, i Cavalieri Teutonici, e diversi altri ordini, infatti, non avevano soltanto combattuto tenacemente contro i musulmani, ma anche fornito servizi finanziari efficienti e capillari, inizialmente rivolti ai pellegrini in viaggio verso la Terrasanta e poi estesi a tutta l’Europa, erogando crediti ed impiegando il plusvalore delle loro attività economiche per finanziare gli avamposti combattenti e per il soccorso agli indigenti.

Sotto l’aspetto economico-finanziario, i Templari costituirono una estesa rete finanziaria e, grazie anche ai privilegi concessi dal papa, arrivarono a rivestire un ruolo di tale importanza da prestare agli Stati europei ingenti somme di denaro e gestire perfino le finanze di Stati come la Francia.

Nonostante fossero animati da intenti nobili e facessero un uso oculato delle ingenti ricchezze accumulate, senza perseguire scopi personali, questi ordini monastico-cavallereschi erano comunque divenuti assai potenti ed erano malvisti da alcuni settori della popolazione, anche per il problema morale posto dalla richiesta di pagamento dei servizi. Forse anche per questo quasi nessun operatore cristiano li aveva sostituiti, lasciando campo aperto ai banchieri ebrei e a veri e propri usurai.

A differenza degli ordini monastici e cavallereschi, tra il XII e il XIII secolo nacquero e si diffusero nella cristianità latina gli Ordini mendicanti, il cui voto di povertà non era solo individuale (come per i Templari), ma valeva anche per i conventi e l’Ordine stesso: quanto necessario per la sussistenza doveva essere frutto o del lavoro dei frati, o di elemosine.

Questi nuovi Ordini ben presto si posero il problema dei servizi di credito, sia per ampliare le possibilità di soccorso dei poveri, sia come alternativa ai prestiti ad interesse dei banchieri ebrei. Per rispondere a queste istanze, i Francescani Osservanti, prendendo spunto dagli stessi banchi ebraici e con l’intento di soppiantarli, avviarono attività creditizie operanti con fini solidaristici e soprattutto senza scopo di lucro: i Monti di Pietà. Fino al Medioevo centrale ogni forma di arricchimento basata sul far circolare denaro a interesse era stata bollata come usura; la lezione del grande intellettuale Pietro di Giovanni Olivi aveva però avviato una nuova riflessione sul denaro (testi Sull’usura, Sulle vendite): le riflessioni del francescano occitano sul denaro erano assai spregiudicate, soprattutto se si pensa che l’Olivi era uno strenuo sostenitore della povertà (ma, si noti, soltanto della povertà “volontaria” nella Chiesa).

monte di pietà
Veduta della facciata da Contrà del Monte da una fotografia del 1908.

Agli inizi del Trecento veniva così delineato in un modo nuovo il discrimine tra usura e giusto interesse nel prestare denaro. Fu a questo punto che cominciò a nascere una nuova razionalità economica. Nel Quattrocento si ritrova così, nei predicatori osservanti, una valorizzazione del mercante-banchiere e insieme una feroce condanna dell’usuraio (che nelle prediche si identificava con l’ebreo): un punto di forza degli osservanti fu proprio questa loro alleanza con il nuovo ceto emergente della borghesia.

Esattamente in questo periodo, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, cambiò il rapporto con gli Ebrei e incominciò una nuova ondata, forte e violenta, di antigiudaismo: episodi di violenza scoppiavano in occasione del Natale, della festa di Santo Stefano, della Pasqua, e soprattutto in connessione con campagne di predicazione dei frati minori o dei domenicani. Gli osservanti (per esempio il domenicano Vincenzo Ferrer), all’arrivo in una città o in una regione, insistevano perché negli statuti fossero inserite norme per limitare l’attività degli Ebrei (in Savoia nel 1403, a Cuneo poco dopo, etc.): imposizione del segno distintivo, limitazione della libertà di insediamento e di movimento nella città.

È così che, giunti alla seconda metà del XV secolo, le campagne di predicazione degli osservanti contro la ricchezza degli Ebrei si tradussero in un’azione concreta: l’istituzione dei Monti di pietà. Il principio del Monte di Pietà era l’asta. Fino ad un certo punto, il Monte di Pietà funzionava come un banco ebraico: concedeva piccolo credito su pegno; ma se il debitore non riusciva a saldare il debito, il pegno doveva essere messo all’asta in città, non venire rivenduto altrove. In questo modo il bene restava all’interno della comunità, che così – nel suo complesso – non si impoveriva.

Quando i Monti di Pietà furono istituiti, molto acceso fu il dibattito sulla liceità dell’imposizione di un tasso di interesse. Alcuni (sulla scorta, per esempio, di Tommaso d’Aquino) consideravano infatti inammissibile l’interesse, in quanto vietato dalla morale cristiana (Cfr. Lc 6,34-35); fu proprio per questo motivo che gli Ebrei, ai quali erano state vietate tutte le attività professionali che facevano capo alle corporazioni, avevano sviluppato l’attività finanziaria prima dei cristiani, i quali, pur sfruttando questo loro servizio, continuavano a considerarli avidi e strozzini.

Alla fine, comunque, nei Monti di Pietà furono ammessi tassi oscillanti tra il 6 ed il 10%, considerati una forma di protezione contro le insolvenze, così da consentire la sopravvivenza del Monte stesso ed un autofinanziamento utile per ampliarne le possibilità di soccorso (in sostanza, l’interesse non era un “costo del denaro” prestato, ma un “costo del servizio” operato dal Monte, con una giustificazione etica molto simile a quella che ispira anche la finanza islamica.

Di Davide Lovat da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021


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Risorgive del Bacchiglione, ecco da dove arriva l’acqua che beviamo. E dove vedere la biodiversità

Le Risorgive del Bacchiglione si trovano al confine tra i Comuni di Dueville, Villaverla e Caldogno e sono un territorio umido importante per Vicenza e provincia. A differenza delle risorgive di Maddalene, appena fuori città, in cui l’acqua sembra “ribollire”, le sorgenti del Bacchigione appaiono come laghetti, rivoli e torrentelli. Qui si può passeggiare nel parco, attraversando i numerosi ponticelli presenti. Si tratta di una bella passeggiata naturalistica, in cui si possono osservare anche svariati tipi di uccelli. Esistono infatti alcuni capanni adibiti a birdwatching ovvero l’osservazione e la fotografia degli uccelli.

acquedotto
L’acquedotto all’entrata delle Risorgive del Bacchiglione. Foto: Marta Cardini

Acqua da bere e Risorgive

In questo particolare periodo di siccità, l’acqua è un bene sempre più prezioso, da usare con cura. Si tratta di una risorsa indispensabile che va tutelata e protetta. In questa zona viene estratta una quantità d’acqua tale da non danneggiare l’ambiente che viene poi utilizzata per la potabilizzazione. E’ l’acqua che beviamo ogni giorno. L’acqua che sgorga naturalmente qui, ha percorso un tratto tra rocce, ghiaia e sassolini che l’hanno filtrata e arricchita di sali minerali. Rispetto ai corsi d’acqua superficiali, in questa zona c’è acqua oligominerale carbonatica.

risorgive bacchiglione
Una pompa d’acqua presente alla risorgive. Foto: M. C.

Come nasce una risorgiva?

Le rocce che costituiscono l’Altopiano di Asiago o le Piccole Dolomiti sono in gran parte calcaree, rocce che si alterano e si fessurano facilmente perché costituite da minerali solubili. In queste rocce l’acqua può infiltrarsi, formare imbuti e fessure o anche tunnel e grotte. In alcuni casi, al termine del percorso sotterraneo l’acqua riemerge in una sorgente. In altri casi l’acqua può rimanere sotterranea fino alla pianura, dove continua a scorrere negli strati permeabili del sottosuolo, ovvero gli strati ghiaiosi e sabbiosi. Quando sono saturi d’acqua, questi strati sotterranei sono chiamati “falde acquifere”.

bacchigione
A passeggio fra le risorgive. Foto: M.C.

Anche le falde della media pianura sono alimentate dall’acqua nevicata in montagna o piovuta nell’alta pianura. Nel sottosuolo l’acqua si muove lentamente, perciò il percorso dalla montagna alla pianura può durare anche molti anni.

Nella media pianura, gli strati di argilla più superficiali possono costringere l’acqua di falda a uscire in superficie. È quanto avviene nella zona delle risorgive: è così che si formano le suggestive polle sorgive che puoi osservare alle Risorgive del Bacchiglione: piccoli avvallamenti in cui il perenne scaturire dell’acqua origina un ruscello detto “di risorgiva”.

acquedotto
L’acquedotto presente all’entrata. Foto: M. C.

La biodiversità

L’acqua dolce delle risorgive è un habitat ideale per specie animali e vegetali non comuni nelle zone limitrofe. Qui sono presenti numerosi tipi di uccelli, tanto da essere oggetto di interesse e fotografie da parte di birdwatcher. Sono presenti molte folaghe e germani reali. Inoltre è stato rilevato recentemente un uccello proveniente dalla Finlandia, segno di quanto gli uccelli viaggino tra i vari territori e di quanto le zone umide rappresentino luoghi importantissimi per il sostegno di questo popolo migratore e, più in generale, per la conservazione della biodiversità.

anatre
Gli uccelli vivono indisturbati. Foto: M. C.

Anche per quanto riguarda i pesci sono presenti numerosissime specie: anguille, lucci, spinarelli, alborelle, cavedani, ghiozzi padani, temoli, triotti, trote farie, lamprede padane, sanguinerole, gobioni, lasche, vaironi, carpe ecc…

Le 3 aree e la storia

La zona delle risorgive è suddivisa in 3 aree: una per le passeggiate, a ingresso libero, una con la guida, a pagamento e un’area riservata per solo scopi scientifici. Queste zone erano destinate alla piscicoltura negli anni ’60 e ’70. Ora l’area è di proprietà della Provincia di Vicenza. Essa ha operato una riqualificazione ambientale, ricostruendo il sistema idraulico originario. La Provincia ha affidato la gestione a Viacqua, il gestore del servizio idrico integrato, perchè prosegua nella tutela di questo delicato ecosistema e lo renda fruibile a cittadini, scuole e ricercatori.

pannello
Il pannello di benvenuto. Foto: m.c.

 

 

Le predicazioni contro l’usura: San Bernardino da Feltre e Beato Marco da Montegallo

Le predicazioni contro l’usura: San Bernardino da Feltre e Beato Marco da Montegallo in un approfondimento a quatto mani per Laltravicenza.

SAN BERNARDINO DA FELTRE

Detto comunemente Bernardino da Feltre dalla città dove vide la luce nel 1439, primogenito del nobile e facoltoso Donato Tomitano e di Corona Rambaldoni, cugina del celebre educatore Vittorino, il beato fu battezzato col nome di Martino. Assunse quello di Bernardino in onore dell’apostolo senese, di cui rinnovò la prodigiosa attività di predicatore, entrando il 14 maggio 1456, a Padova, tra i Frati Minori Osservanti della provincia veneta. Fanciullo d’ingegno precoce, avido di letture, fece rapidi progressi negli studi umanistici, tanto che a undici anni leggeva e parlava il latino con facilità.

Gli furono maestri il Guarino Veronese, Damiano da Pola e Giacomo da Milano. Studente di diritto a Padova, era ammirato da tutti per la serietà della condotta e l’intelligenza. Già aveva interpretato come segni ammonitori del cielo la morte repentina e immatura di tre suoi professori universitari, Zaccaria Pozzo, il Romanello e Giacomo de’ Zocchi, dai quali il giovane Martino era singolarmente amato, quando predicò nella città il francescano Giacomo della Marca, discepolo di Bernardino da Siena. La sua parola finì per convincerlo e Bernardino prese l’abito dei Minori, compiendo un rigoroso noviziato nel piccolo convento di S. Orsola, fuori le mura della città. Invano il padre andò a trovarlo per distoglierlo dal proposito: Bernardino, infatti, lo persuase che quella era la sua vocazione. Finito il corso di teologia a Venezia, fu ordinato sacerdote nel 1463. Dopo aver insegnato grammatica per alcuni anni, il capitolo provinciale veneto lo nominò predicatore.

Da quell’anno (1469) fino alla morte non cessò di predicare e percorse l’Italia centro- settentrionale (come limiti geografici si possono segnare approssimativamente Trento-Milano e L’Aquila-Roma) molte volte, a piedi scalzi, trovandosi spesso in frangenti difficili per le avverse condizioni atmosferiche, la fame, i pericoli di guerre, le espulsioni da parte di principi, l’odio degli usurai e degli ebrei, e perfino per l’indiscreto zelo di devoti, che minacciavano di calpestarlo quando non era protetto da armigeri. Bernardino tenne ventitré Quaresime, cioè una ogni anno, a partire dal 1470, eccetto il 1472 (era infermo). Stupiva i contemporanei che un uomo così fragile come Bernardino potesse avere tanta resistenza agli strapazzi: egli era di statura esigua, amava firmarsi nelle lettere piccolino, di salute delicata, spesso ammalato e minato dalla tisi che lo condusse a morte. Le sue prediche attiravano uditori senza numero e se lo contendevano le città più illustri, ricorrendo anche al papa per averlo. Qualcosa di certo sul modo e sui temi della sua predicazione si può ricavare dal quaresimale di Padova del 1493 e dall’Avvento di Brescia dello stesso anno, conservatici dal francescano Bulgarino, che fu suo compagno. Bernardino è parlatore vivo: come Bernardino da Siena, dialoga col popolo, racconta spigliatamente, lancia argute sferzate che vanno al segno. Lotta contro gli sfacciati costumi delle donne, le ingiustizie legali, le usure; esorta ai Sacramenti, alla devozione alla Madonna (della quale difende apertamente l’immacolato concepimento), all’amore per il prossimo, specialmente verso i poveri indifesi. Promotore dei Monti di Pietà (ne aprì a Mantova nel 1484, a Padova nel 1491, a Crema e Pavia nel 1493, a Montagnana e Monselice nel 1494), nonostante la forte opposizione della maggior parte dei suoi confratelli, sostenne, da esperta giurista, che era lecito esigere il pagamento di un modesto interesse sul mutuo, necessario al funzionamento della organizzazione bancaria. Contro l’usura fu inflessibile. Una grave lotta sostenne a Trento nel 1476 quando accusò gli ebrei di strozzinaggio e al fondo della sua drammatica cacciata da Firenze, in una notte della Quaresima del 1488, ci fu il risentimento della Signoria contro quel frate, debole di corpo ma coraggioso d’animo, che aveva denunziato le angherie fatte alla povera gente da prestatori senza coscienza. In nessun caso Bernardino fuggì le responsabilità del suo ministero: fu cacciato da Milano dal duca Ludovico il Moro (1491) perché aveva confutato in pubblico dibattito un astrologo, favorito del principe. A Padova, durante la peste del 1478, continuò a predicare, sebbene ne fosse più volte sconsigliato, perché nell’assembramento della gente poteva più facilmente propagarsi il contagio; egli invece mirava a rincuorare tutti, a spronare i sani affinché si dedicassero alla cura degli ammalati, dando egli stesso l’esempio negli ospedali, nelle case private, fino ad essere contagiato dal male.Vicario provinciale dei Minori osservanti veneti al tempo dell’interdetto lanciato dal papa Sisto IV contro la Repubblica (1483), pur dolendosi dell’infelice sorte spirituale della patria, obbedì al Sommo Pontefice e comandò a tutti i frati dipendenti di lasciare i conventi, provvedendo però a farne rimanere qualcuno per l’indispensabile servizio religioso. Per questo ebbe l’esilio perpetuo dal doge, come ribelle, con un decreto, revocato peraltro nel 1487. Bernardino incontrò sereno la morte a Pavia il 28  settembre  1494,  avendo interrotto pochi giorni prima del trapasso la predicazione, a causa dell’aggravarsi del male. Venerato subito dal popolo, il suo culto fu confermato nel 1654 per l’Ordine francescano e le diocesi di Feltre e Pavia. I Minori ne celebrano la festa il 28 settembre.

Predicazioni
Effige di Beato Marco e L’Urna del Beato Marco a San Giuliano

BEATO MARCO DA MONTEGALLO

Il Beato Marco nasce a Montegallo, (Ascoli Piceno) nel 1425, muore a Vicenza, 19 marzo 1496. Figlio del nobile Chiaro de Marchio, studia all’Università di Perugia e poi a Bologna laureandosi in Legge e Medicina. Sposa, per volere del padre, la nobile Chiara Tibaldeschi, ma convive in castità. Alla morte del padre, i coniugi si separano scegliendo la vita religiosa, lei entra nelle clarisse di Ascoli e lui tra i francescani. Fece il noviziato a Fabriano, poi come superiore a San Severino diventando, col confratello Giacomo da Monteprandone il fautore dell’apostolato sociale. Le principali piaghe del secolo erano le discordie civili e l’usura. La sua intensa attività si svolge ad Ascoli, Camerino, Fabriano.

A Vicenza arriva nel 1486, dopo che una sollevazione di popolo aveva cacciato gli ebrei. Predicava la carità tra l’entusiasmo del popolo, con l’approvazione delle autorità diede vita alla nuova istituzione, compilando lo Statuto per assicurarvi il buon funzionamento. Marco intravvedeva nell’usura la principale afflizione dell’anima e per questo sosteneva l’istituzione necessaria dei Monti di Pietà in ogni centro urbano, con la funzione di prestare senza interessi o “regalie” a chi avesse bisogno per evitare di rimanere vittime di usurai o di speculatori. “Era compito del Monte far sì che ognuno “negli occorrenti bisogni, con benefizio del pegno, potesse ricevere denari in prestito, senza interesse, se la somma non superava le lire sei, con interesse nelle somme maggiori, però mai oltrepassante l’annuo pro del cinque per cento.” Il perno su cui il frate predicatore fece ruotare la sua idea fu la costituzione di un patrimonio proprio, proveniente dalle donazioni liberali, esente da obblighi e i cui frutti avrebbero garantito l’attività del Monte stesso. Marco si mise a perorare la causa dei poveri e raccolse 200 ducati per iniziare l’attività. Le prime operazioni di prestito su pegno, venivano svolte nella Chiesa di San Vincenzo in Piazza, ma crescendo d’importanza, il Monte, dovette cercare una nuova sede per “tenervi i pegni del Monte di Pietà”. La costruzione iniziata nel 1499 consta di due edifici gemelli che guardano sulla Piazza Grande, con al centro la Chiesa di San Vincenzo. Tutto il complesso nel 1614, è abbellito dalla facciata monumentale della chiesa con statue del vicentino G.B. Albanese. La Fondazione Monte di Pietà di Vicenza è ancora attiva e continua, certo con gli aggiornamenti apportati dal tempo e con il trasferimento del credito a specifiche istituzioni, il servizio offerto alla città. Marco da Montegallo fu colto da malore e morì a Vicenza il 19 marzo 1496; venne sepolto nella Chiesa di San Biagio Vecchio, ora distrutta. Il culto del beato ebbe una conferma da Papa Gregorio XVI°, il 20 settembre 1839. La salma nel 1530 venne custodita per qualche tempo dalla nobile famiglia Vajenti, finché trova degna sistemazione nella chiesa di San Giuliano in Corso Padova, sotto apposito altare.

Di Luciano Parolin e Davide Lovat da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021


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Il ritratto pittorico di Vicenza tra Quattro e Cinquecento: racconti visivi di Giovanni Bellini e Marcello Fogolino

Le prime testimonianze iconografiche a colori di Vicenza “città bellissima” compaiono come dettagli in alcune opere di Giovanni Bellini.

Sembra che il grande maestro veneziano si mantenga in contatto con diverse famiglie del territorio, tra cui certamente i Trissino, i Graziani Garzadori e i Fioccardo. Le opere che attestano questa frequentazione sono la Madonna col Bambino “Contarini” e la Pietà “Donà dalle Rose”, custodite ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, alle quali si aggiunge Cristo crocifisso in un cimitero ebraico, attualmente presso la Galleria di Palazzo degli Alberti a Prato. Le loro composizioni racchiudono uno o più riferimenti ai monumenti urbani ritenuti particolarmente significativi per la storia e l’identità del luogo: la facciata della cattedrale, la Torre Bissara, il Palazzo della Ragione.

Attraverso un sottile gioco di libere associazioni, al contempo estetiche e allegoriche, le opere di Bellini coinvolgono gli edifici simbolo di varie città per combinarli assieme a mo’ di capriccio, all’interno di un paesaggio immaginario affine alla geografia dell’Italia settentrionale, senza una caratterizzazione più specifica, ma rimanendo sempre a un livello puramente evocativo.

L’attenzione del maestro veneziano nei confronti della resa atmosferica e dei particolari naturalistici entra concettualmente in profonda sintonia con il sentimento religioso dell’epoca, in cui torna in auge l’idea della sacra solitudine nell’abbraccio del creato, dove ricercare un dialogo profondo e indisturbato con il Creatore dell’universo.

Nel Quattrocento, uno dei principali riferimenti per tale sensibilità “ambientale” rimane la parabola quattrocentesca di san Bernardino da Siena, frate francescano, nella doppia veste di asceta e di predicatore, seguito con grande partecipazione a Vicenza, dove si sofferma in ben due occasioni, lasciando un indelebile segno nella storia della diocesi. 

Giovanni Bellini
Marcello Fogolino, San Francesco d’Assisi riceve le stigmate, con la presenza di santa Chiara, beato Bernardino da Feltre (?), santi Pietro, Paolo e Bernardino da Siena, 1515 ca, Vicenza, Museo civico di Palazzo Chiericati

Il pittore Marcello Fogolino interpreta con grande efficacia questa tensione spirituale nella composizione della tavola raffigurante San Francesco d’Assisi riceve le stigmate (1515 ca), ora presso il Museo civico di Palazzo Chiericati. Il soggetto principale dell’opera diventa pretesto per convocare un convivio ideale di ben cinque santi: oltre a Francesco, troviamo anche Pietro, Paolo, Chiara e Bernardino da Siena, assieme alla sommessa ma simbolicamente incisiva presenza di un asceta francescano immerso in preghiera, identificabile probabilmente come il beato Bernardino da Feltre, resosi celebre come continuatore del messaggio spirituale inaugurato dal confratello Bernardino da Siena, proclamato santo già nel 1450, solo sei anni dopo la morte.

Il quadro di Fogolino, collocato in origine nella chiesa di San Francesco Nuovo in Borgo Pusterla, mette in particolare risalto un emblema devozionale ideato da san Bernardino: il trigramma del nome di Gesù. Questo si configura come un sole raggiante con al centro l’iscrizione IHS, che riprende le tre lettere iniziali del santissimo nome in greco (ΙΗΣΟΥΣ). Osservando la collocazione del trigramma nella composizione pittorica di Fogolino, si comprende con chiarezza il suo messaggio allegorico.

Il simbolo si pone come astro lucente nel cielo sopra la Torre Bissara, intesa come uno dei massimi monumenti della storia civica. L’opera  va  collegata  probabilmente  con l’attività devozionale delle confraternite del Nome di Gesù, legate all’ordine francescano e affermatesi sulla scia della predicazione del santo senese e, soprattutto, grazie all’impegno divulgativo del beato Bernardino da Feltre.

La collocazione di san Francesco all’interno di una grotta evoca un episodio radicato nell’antica storiografia locale, ma di dubbia storicità, il quale rammenta un viaggio del “patriarca serafico” a Vicenza nel 1216, con una sosta prolungata a Longare, nel paesaggio ameno dei Colli Berici, dove avrebbe dato il via alla fondazione della comunità religiosa delle clarisse damianite. Nell’economia globale della composizione, il panorama urbano occupa la metà a destra del dipinto e inquadra l’intero profilo della città, dall’abbazia dei Santi Felice e Fortunato fino a un ultimo campanile che coincide idealmente con l’ubicazione della chiesa di Ognissanti nei pressi di Porta Monte, occultata quest’ultima da uno sperone di roccia alle spalle di san Bernardino. Sul piano paesaggistico, i protagonisti della veduta sono il fiume Retrone e il Monte Summano circondato da altri colli, che precedono la cintura azzurrina delle Prealpi.

A destra della grotta in cui san Francesco riceve le stigmate, si apre invece una visuale meno corretta dal punto di vista topografico. Dopo un edificio romano in rovina, che ricorda probabilmente il perduto Teatro Berga, si intravede in lontananza un tempio in cima a un alto colle, con una serie di cappelle devozionali, non rapportabili al territorio vicentino. Più a destra, domina invece il profilo di Monte Berico, con la chiesa nella sua veste quattrocentesca e con il convento dei frati affacciato verso la Valle del Silenzio.

A Santa Corona, lo stesso Fogolino propone attorno al 1519- 1520 un’altra immagine panoramica di Vicenza, concepita come un’aggiunta iconografica alla pala Madonna delle stelle, la cui composizione originaria risale attorno al 1360 ed è attribuita a Lorenzo Veneziano. L’inquadratura ambientale è affine ma non identica al precedente esempio fogoliano. Il punto di osservazione è stabilito ora più a destra, sulla salita davanti a Porta Lupia, il cui varco conduce lo sguardo verso un tessuto urbano prospetticamente più ampio, che termina a sinistra con l’abbazia dei Santi Felice e Fortunato e mette in risalto simbolico il rilievo del Summano, motivato probabilmente dalla presenza dell’importante santuario mariano, ritenuto il più antico della diocesi. Il committente dell’opera – documentato nell’iscrizione sul dipinto (SODALICIUM DIVÆ MARIÆ MATRIS) – è la confraternita “della Beata Vergine della Misericordia”, legata ai domenicani di Santa Corona. Infatti, la veduta integra alla base un soggetto mariano che intreccia varie tipologie iconografiche: la “Madonna del latte” con il Bambino poppante è assisa sul trono di nubi, mentre viene incoronata dagli angeli come Regina caeli. Il suo manto notturno, con un risvolto dorato, scende per avvolgere idealmente tutta la città berica, ricordando sul piano compositivo le icone “della Protezione” di memoria bizantina. 

Di Agata Keran da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
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TCVI Educational, la passione del Teatro inizia da piccoli

Entra nel vivo in queste settimane la programmazione dei Progetti Formativi del Teatro Comunale di Vicenza (TCVI), la serie di percorsi educativi e di inclusione per favorire l’avvicinamento ai linguaggi teatrali, dedicati ad un pubblico senza limiti di età. Una particolare attenzione è riservata ai più piccoli e alle loro famiglie perché la formazione e l’educazione del pubblico del domani rientrano, da sempre, nella mission della Fondazione.

Si concluderà così sabato 11 marzo alle 10.30, nello showroom di Inglesina, partner di progetto, Opera Meno9 un laboratorio musicale per le famiglie in dolce attesa realizzato in collaborazione con AsLiCo (Associazione Lirica Concertistica Italiana), giunto alla quarta edizione. Dopo i primi due appuntamenti del 26 febbraio e del 4 marzo, si chiude il percorso sui benefici della musica classica e del canto in gravidanza (particolarmente dal quinto all’ottavo mese), con un incontro di vocalizzazione e canto pre e post natale, dedicato ai genitori, realizzato da musicisti professionisti e operatori specializzati. Studi scientifici hanno dimostrato l’importanza di questo approccio all’ascolto musicale fin dai primi momenti di vita, con la musica in grado di influenzare positivamente la crescita fisica, emotiva e intellettuale dei piccoli, rafforzandone lo sviluppo cognitivo e sensoriale. Il progetto Opera Meno9 è stato reso possibile grazie al sostegno di Banca delle Terre Venete, realtà del territorio particolarmente attenta alla crescita della comunità e di Inglesina, azienda leader nel segmento premium degli articoli per la prima infanzia. “La nostra mission è accompagnare i piccoli alla scoperta del mondo, assicurando loro le migliori condizioni di benessere in tutte le occasioni – ci dice Luca Tomasi, Amministratore delegato di Inglesina. – Questo straordinario viaggio inizia ben prima della nascita e grazie alle attenzioni rivolte al bambino come l’ascolto della musica e la voce, i genitori possono sprigionare emozioni positive che sono alla base di quello che noi definiamo il baby wellness. Per questo, siamo molto felici di sostenere questa iniziativa”. Il progetto ha ricevuto inoltre il patrocinio dell’Azienda Ulss 8 Berica per l’impegno nella promozione del benessere dei piccoli e delle loro mamme, finalità condivisa da entrambe le organizzazioni.

TCVI educational

Gli altri percorsi educativi per il mondo della prima infanzia prevedono appuntamenti nei prossimi mesi: Opera Baby, uno spettacolo in doppia recita con musicisti e performer, per bambini da 0 a 36 mesi, è in programma sabato 27 maggio alle 10.00 e alle 11.15: si tratta de “Il flauto di Tam Pam” liberamente ispirato a “Il Flauto Magico” di W.A. Mozart, uno spettacolo partecipativo di canto, movimento e musica dal vivo, preparato a scuola con gli insegnanti, che hanno seguito a loro volta un corso percorso di avviamento alla musicalità, concluso in teatro, con la partecipazione delle famiglie. Lo spettacolo propone le arie più importanti dell’opera di Mozart per invitare il pubblico dei più piccoli ad un ascolto attento e partecipato e per far loro sperimentare, tramite i diversi sensi, una “configurazione scenica” a misura di bimbo, per produrre un’opera teatrale e musicale di forte impatto e di sicura leggibilità. Vale la pena di ricordare che sono oltre 450 i bambini che nel 2022 hanno partecipato agli spettacoli di Opera Baby al Teatro Comunale di Vicenza.

Prosegue inoltre anche nel 2023 l’importante sperimentazione di Opera Baby per la fascia di età della prima infanzia: e così negli 11 asili nido della Città, a gestione o concessione comunale, grazie alla collaborazione con il Comune di Vicenza, Assessorato all’Istruzione, circa 450 bambini da 0 a 36 mesi potranno familiarizzare – durante una serie di appuntamenti programmati nel mese di maggio – con le arie mozartiane grazie a questa “trasferta” del progetto, un’occasione unica per i giovanissimi spettatori, gli educatori e le famiglie dei bambini per avvicinarsi all’opera e all’esperienza musicale con guide d’eccezione.“Opera Baby è stato nuovamente scelto per dare l’opportunità ai bambini molto piccoli di sviluppare sensibilità rispetto all’opera lirica che sappiamo capace di apportare notevoli benefici nello sviluppo. Lo scorso anno, le famiglie sono state molto soddisfatte per quanto proposto ai loro piccoli e grande è stato l’apprezzamento degli educatori che  hanno potuto notare l’interesse negli occhi dei bambini, completamente rapiti dagli attori in grado di attirare la loro attenzione. Anche quest’anno quindi sono lieta di accogliere nei nostri asili nido questo straordinario progetto”, dichiara l’assessore all’istruzione del Comune di Vicenza, Cristina Tolio.

Il progetto Opera Baby è sostenuto da Banca delle Terre Venete, così come il progetto Opera Kids (ideale prosecuzione, in termini anagrafici e come format, del precedente) che vede anche il sostegno di Rotary Club Vicenza. L’esperienza si rivolge alle scuole dell’infanzia e si conclude con un evento in programma al Teatro Comunale di Vicenza martedì 18 aprile in doppia recita alle 9.30 e alle 11.00. In scena “Magico Flauto” tratto da “Die Zauberflöte”, musica di W. A. Mozart, uno spettacolo partecipativo di teatro musicale costruito con un percorso formativo dedicato ai docenti in cui saranno protagonisti i bambini. Realizzato con la collaborazione artistica di Vincenzo Picone, regia di Emanuela Dall’Aglio, drammaturgia musicale di Anna Pedrazzini, lo spettacolo vede in scena cantanti e attori, con burattini e puppet che accompagneranno i bambini a familiarizzare ed essere protagonisti di una delle opere più famose di Mozart.

Per ulteriori informazioni e per sostenere i progetti educativi del tcvi:

“Zorro” di Margaret Mazzantini con Sergio Castellitto, al Teatro Comunale di Vicenza

“Zorro. Un eremita sul marciapiede”, scritto da Margaret Mazzantini e portato in scena da Sergio Castellitto andrà in scena al Teatro comunale di Vicenza, martedì 14 e mercoledì 15 marzo alle 20.45 in Sala Maggiore.

Castellitto della pièce cura anche la regia, per una produzione Angelo Tumminelli/Prima International Company 2022, realizzata con il sostegno di Intesa Sanpaolo.

L’adattamento teatrale si rifà ad un romanzo breve del 2004 di Margaret Mazzantini, scrittrice e moglie di Castellitto e viene riportato in scena dall’attore, amatissimo anche dal grande pubblico televisivo e cinematografico, dopo vent’anni dal suo esordio. È una storia di ordinaria diversità di un uomo, un senzatetto (Zorro, come il suo cane perduto da bambino) che sceglie di vivere ai margini della società ma, proprio per questo, riesce a vedere con maggiore lucidità la vita delle persone normali; il risultato è un monologo tragicomico ed emozionante, interpretato magistralmente dall’attore. Per le due repliche di “Zorro” al Tcvi restano ancora dei biglietti.

Prima dello spettacolo, come di consuetudine nella stagione di prosa per i titoli in doppia data, ci sarà al Ridotto l’Incontro a Teatro condotto da Nicoletta Martelletto, giornalista e caporedattrice de Il Giornale di Vicenza. Nicoletta Martelletto incontrerà il pubblico – martedì 14 e mercoledì 15 marzo e alle 20.00 – per  introdurre i temi dello spettacolo, che sono quelli del romanzo, in primis il sottile confine che separa la cosiddetta normalità dalla vita borderline.

zorro
Sergio Castellitto

“Zorro. Un eremita sul marciapiede” è uno spettacolo di grande forza e intensità, protagonista Sergio Castellitto che torna  a interpretare quel  vagabondo – un antieroe con un nome da eroe, com’è stato scritto –  che ripercorre la sua storia e le scelte che lo hanno portato a vivere sulla strada; nel mentre riflette sul significato della vita,  capace di restituire attraverso una sorta di “filosofare” allegro e indefesso il “sale della vita”, la complessità e l’imprevedibilità dell’esistenza. 

Spiega Margaret Mazzantini nelle note a margine dello spettacolo: Zorro mi ha aiutato a stanare un timore che da qualche parte appartiene a tutti. Perché dentro ognuno di noi, inconfessata, incappucciata, c’è questa estrema possibilità: perdere improvvisamente i fili, le zavorre che ci tengono ancorati al mondo regolare (…) Perché i barboni sono come certi cani, ti guardano e vedi la tua faccia che ti sta guardando, non quella che hai addosso, magari quella che avevi da bambino, quella che hai certe volte che sei scemo e triste. Quella faccia affamata e sparuta che avresti potuto avere se il tuo spicchio di mondo non ti avesse accolto. Perché in ogni vita ce n’è almeno un’altra.

Zorro è la storia di un uomo che come tutti apparteneva alla normalità della nostra società civile, ma che poi, per una serie di circostanze (un incidente in cui toglie la vita ad un altro uomo), perde tutto: la sua quotidianità, gli amici, l’amore, ma non la dignità. Dignità è infatti un’altra parola chiave della pièce: nella parabola di Zorro, da individuo “normale” inserito nella società a “rifiuto”, si palesa una delle grandi paure del nostro tempo, quella di vedere sbriciolare le nostre certezze, non solo economiche, ma anche la perdita di sé; ma la dignità non ce la può togliere nessuno e questa è una certezza. E così, una vita che gli ha sottratto tutto riesce a regalare a Zorro una nuova libertà. Nel monologo si intrecciano i registri senza soluzione di continuità: in scena c’è una storia in cui la tristezza e la malinconia si mescolano alla clownerie, perché così è la vita, che può essere dramma, ma anche commedia, in cui gli elementi si sovrappongono. È necessario avere sempre due visioni, quella dei Cormorani, i cosiddetti normali, e quella degli Zorro, i marginali, i borderline, per ricordare la necessità di questo sguardo obliquo sulle nostre vite abitudinarie e piene di certezze e pretese, nonostante gli sconvolgimenti del nostro tempo.

I biglietti per lo spettacolo sono in vendita alla biglietteria del Teatro Comunale di Vicenza (Viale Mazzini, 39) aperta dal martedì al sabato (esclusi i giorni festivi) dalle 15.00 alle 18.15, è suggerito l’appuntamento; oppure al telefono, chiamando lo 0444 324442 nei giorni di apertura della biglietteria dalle 16.00 alle 18.00 e nei giorni di spettacolo un’ora prima dell’inizio; oppure online su www.tcvi.it.

Cornedo, dalla suggestiva chiesa di San Sebastiano alla croce del Monte Verlaldo

I boschi del Vicentino regalano spesso oasi naturalistiche, in cui immergersi per un po’ di sport o di relax. A Cornedo, in una piccolina collina sorge la suggestiva chiesetta di San Sebastiano, utilizzata per i matrimoni. Dal parcheggio della chiesa si può godere di un bel panorama sul paese. Da qui si dipartono numerosi sentieri che arrivano alla croce del Monte Verlaldo, dal 2021 riposizionata sul monte e illuminata la sera.

La chiesa di San Sebastiano

la chiesa sorge sull’omonimo colle e domina la vallata. In origine era una cappella privata del castello che sorgeva sulla sommità, di proprietà dei nobili Trissino, di cui non rimane traccia. La costruzione del santuario viene fatta risalire alla seconda metà del Quattrocento. Nel Cinquecento la chiesa fu affidata ai Servi di Maria, che vi aggiunsero l’intitolazione alla Madonna e vi costruirono accanto un convento. L’edificio subì numerosi restauri che non intaccarono comunque i tratti originari.

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La bicicletta arcobaleno presente nel cortile della chiesa. Foto: Marta Cardini

All’interno, in una cappella laterale, è custodito un rilievo in legno policromo raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino. Datato 1514, fu eseguito su commissione della famiglia Gonzati. Di notevole pregio artistico sono poi il Martirio di San Sebastiano di Antonio De Pieri del XVIII sec. ed un dipinto di Alessandro Maganza del XVI sec. raffigurante i Santi Carlo, Valentino e Bernardino.

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L’altare della Madonna di S. Sebastiano. Foto: Marta Cardini

All’esterno della chiesa il giardino è ben curato dal custode e vi è anche una bicicletta “arcobaleno”. Mentre sotto la chiesa c’è un piccolo percorso via crucis molto interessante e percorribile anche da famiglie con bambini.

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Una delle scene della via crucis presente sotto la chiesa. Foto: Marta Cardini

La croce del Monte Verlaldo

E’ una meta molto ambita da escursionisti più o meno esperti. A partire dalla chiesa di S. Sebastiano si possono trovare dei sentieri che partono dalle contrade Piccoli e Corbara. Possono essere più o meno ripidi, a saliscendi. Un altro sentiero che permette di raggiungere la vetta parte dalla località “mundi alti”. Mentre da Faedo di Monte di Malo l’escursione sembra essere meno difficile.

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La croce del Monte Verlaldo. Foto gentilmente concessa da Diego Falloppi.

Ci si inoltra nei boschi con i soli rumori della natura. Ci si gode il tragitto boschivo e, se si è fortunati, trovando il sentiero giusto, si può godere anche della bellezza di alcuni campi di lavanda, che in stagione di fioritura, regalano colori e profumi intensi. Con molta pazienza e costanza, è possibile raggiungere la vetta.

Dal Monte Verlaldo scendono anche numerosi appassionati di parapendio. Il luogo è infatti attrezzato con rampa di rincorsa e lancio molto utilizzata dagli amanti del parapendio e deltaplanisti.

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Il panorama visibile dal Monte Verlaldo. Foto gentilmente concessa da Diego Falloppi

La nuova croce sul Monte Verlaldo è stata inaugurata il 29 agosto 2021 perchè la vecchia croce era caduta nell’ottobre 2018, in seguito alla tempesta Vaia. E’ alta 13 metri ed è illuminata la sera. E’ rivolta verso il paese di Cornedo come simbolo di protezione.

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Un campo di lavanda visibile lungo uno dei tragitti. Foto gentilmente concessa da Edi Catia Fongaro
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la rampa di lancio per i paracadutisti. Foto gentilmente concessa da Edi Catia Fongaro