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La Fiera Orafa di Vicenza dal 1945 al 1987

La Fiera orafa di Vicenza è una tra le prime in Italia per livello di visibilità e fatturato complessivo. La Fiera nacque quando intorno a Vicenza fioriva un mercato economico e finanziario significativo e la città berica era la prima provincia delle Tre Venezie per industria e artigianato.

Questa manifestazione fu soprattutto espressione di una possibile rinascita dopo il disastro della guerra. Il grande successo della prima edizione portò alla realizzazione, nel settembre del 1946, della “Fiera Campionaria Nazionale di Vicenza” dove si tornò a parlare della “Fiera di merci”, basata soprattutto sulla grande tradizione laniera e sulla struttura industriale della meccanica.

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G.Vajenti, Fiera della nostra storia. La fiera di Vicenza al Giardino Salvi- 1946-1971, Ente

Il 15 settembre del 1946 il noto quotidiano locale “Il Giornale di Vicenza” definiva la fiera come la più grande esposizione del lavoro vicentino, visitata da molte migliaia di persone. Nel giro di poco tempo le vere proporzioni della Fiera di Vicenza e la sua più indicata caratterizzazione si delinearono quasi spontaneamente.

Nel 1947 ebbe luogo la “Fiera Campionaria Nazionale di Vicenza”, per favorire la diffusione dei prodotti industriali, artigiani e agricoli vicentini, per trovare nuovi sbocchi e per riallacciare i rapporti di scambio nazionali e internazionali, contribuendo così alla ricostruzione del Paese. Il successo della manifestazione e l’interesse per lo sviluppo dell’economia cittadina portarono il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio a costituire l’Ente Autonomo per la Fiera Campionaria (20 febbraio 1948).

Presidente fu nominato Gaetano Marzotto e Giacomo Rumor fu il vicepresidente. La Fiera si tenne in un apposito edificio del Giardino Salvi; tale sede fu mantenuta fino al 1971. Il progetto espositivo era stato disegnato dall’architetto Sergio Ortolani che creò una struttura studiata appositamente perché ripetesse in successione il motivo dei colonnati della vicina loggia Valmarana e della seicentesca adiacente loggia Longhena, riflessi nell’acqua.

In questa importante rassegna sia i produttori che i consumatori avevano modo di apprezzare i prodotti delle industrie e dell’artigianato locali in nobile gara con quelli delle altre province d’Italia. La Fiera campionaria rispondeva a delle necessità unicamente commerciali e propagandistiche. Nell’immediato dopoguerra viva era infatti, da parte di imprese e commercianti, l’esigenza di rilanciare la propria attività dopo gli anni di stasi economica. Questa realtà fieristica diede notevole impulso ai settori dell’industria vicentina, come la lana, la ceramica e l’oro.

La Fiera mantenne queste caratteristiche fino al 1957, quando il numero degli espositori passò dai 146 iniziali ai 547. Nel corso di quegli anni si poté assistere alla progressiva specializzazione delle manifestazioni, tanto da giungere alla creazioni di saloni specializzati per ogni settore. Questo era dovuto alla particolare espansione in provincia (grazie anche alla stessa Fiera) di due settori, la ceramica e l’oreficeria, il che determinò una più ampia adesione di aziende extra-provinciali appartenenti ai settori specifici.

Il 1958 fu l’anno del rilancio della fiera di specializzazione. Infatti, alla “XII Fiera di Vicenza” il nuovo settore del marmo fu affianco a quello dell’oro e della ceramica e la Fiera era composta da tre settori dalla denominazione diversa e precisamente: “Salone Internazionale della Ceramica”; “Mostra internazionale dell’Oreficeria e Argenteria”; “Mostra Nazionale del Marmo (l’unica del settore in Italia e nel mondo, con cadenza biennale a partire dal 1958)”. Si nota, dunque, una diretta correlazione tra sviluppo della struttura fieristica e specializzazione la quale portò l’Ente fieristico a dimostrare la sua forte vitalità. Alla Fiera di Vicenza del 1960 giunsero commercianti provenienti persino dal Canada, dall’Australia e da Hong Kong. Quindi, già in questo primo periodo si registrò un grande interesse nei confronti delle mostre dove 440 ditte dei vari settori dell’artigianato vicentino trovarono uno spazio privilegiato per poter esporre la propria manifattura.

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Il Presidente Gaetano Marzotto con Alcide De Gasperi

In questo primo periodo della Fiera ci furono alcune difficoltà di carattere logistico e organizzativo, che aprirono, negli anni successivi, il dibattito riguardante lo spazio a disposizione, che risultava molto limitato, e sulle date di svolgimento che non corrispondevano al momento di mercato più favorevole per i tre settori. Erano lacune che vennero colmate con il passare degli anni e con l’esperienza: a partire dal 1966, infatti, le mostre vennero realizzate in epoche diverse per rendere più rispondenti alle rispettive esigenze di mercato.

Il Comitato dell’Ente Fiera decise di distinguere la manifestazione orafa da quella del marmo, che vennero pianificate in date consecutive, entrambe nel mese di settembre. Lo scopo era di dare maggiore visibilità in Italia e all’estero a entrambi i settori produttivi vicentini. Entrambe le mostre vennero realizzate al Giardino Salvi. Negli anni Sessanta la specializzazione dei settori diventò la meta principale della Fiera di Vicenza; ogni manifestazione doveva essere costantemente aggiornata, con una struttura elastica, agile, dinamica. Aderire alle esigenze dei settori era l’imperativo categorico, facendo i conti con i consumatori e con l’opinione pubblica. Era necessario conoscere le preferenze e i gusti dei compratori.

Fu questo il periodo più felice della Fiera di Vicenza dovuto principalmente al clima favorevole dato dallo sviluppo economico generale, dove vennero introdotti anche i concorsi a premi che valorizzarono maggiormente i vari settori. In quegli anni iniziò la politica della differenziazione fra mostre economiche e mostre per il pubblico. Succedeva quindi che in concomitanza con la “grande” Fiera campionaria organizzata al Giardino Salvi veniva inaugurata una piccola mostra. Le prime mostre, come quella del mobile vicentino e dei fiori e delle piante ornamentali, trovarono spazio all’interno della basilica palladiana. Successivamente le mostre vennero organizzate anche all’interno delle famose ville del territorio.

Questa seconda fase – fino al giugno 1971 – vide da un lato l’abbandono del marmo e del tessile, dall’altro una ulteriore affermazione della ceramica e dell’oreficeria e la nascita della “Mostra del Mobile e del Campeggio”. A Lonigo, invece, su incarico del Comune, si organizzò la “Mostra delle Sementi Certificate”. È in quegli anni, inoltre, che venne messa allo studio la realizzazione di una nuova sede, più ampia e adeguata alle esigenze sempre maggiori di infrastrutture e servizi, espresse dagli espositori. Il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio crearono allora l’Immobiliare Fiera Spa, che aveva lo scopo di costruire la sede, in un’area della zona industriale, a ovest della città, nelle immediate vicinanze dell’uscita dell’autostrada, per facilitare operatori e visitatori.

Il nuovo stabile venne dato in uso all’Ente Fiera mediante un contratto di comodato. L’edizione della Fiera di Vicenza del 1971 fu l’ultimo anno del Giardino Salvi. In questa occasione si registrò un grande interesse per la rassegna della ceramica. Al Salvi vennero esposti mediamente centomila pezzi per circa trecento espositori. Si trattò di modelli d’uso e ornamentali, artistici. Inoltre erano presenti le ultime novità del settore curate dai maggiori designer stranieri, ad esempio la produzione finlandese di Sarpaneva e Wikkala. Si giunse così al terzo periodo della fiera di Vicenza, che iniziò il 3 settembre 1972 con la cerimonia inaugurale della nuova sede fieristica, in occasione della “XXI Mostra nazionale dell’oreficeria, gioielleria e argenteria”, dove furono presenti oltre otto tonnellate di oro lavorato. In quell’anno alla mostra furono esposti anche ventiquattro pezzi di alta gioielleria firmati da Giò Pomodoro e una collana di lavorazione artigianale in platino con brillanti per 80 carati. L’esposizione fu visitata da circa 50.000 visitatori.

fiera orafaIn questa nuova fase della Fiera di Vicenza si potenziarono le mostre già acquisite e si aprì a nuovi settori. Gli appuntamenti con la fiera dell’oro si sdoppiarono: le mostre diventarono due, quella invernale di gennaio e l’edizione tradizionale a settembre. Vennero potenziati il Salone Internazionale della Ceramica, quelli del Mobile, del Campeggio e delle Sementi (trasferito da Lonigo a Vicenza); contemporaneamente furono avviate la manifestazione della Concia, dei Vini DOC, dei Formaggi del Veneto.

A Bassano, ad Asiago e a Recoaro, venne fornito un supporto a manifestazioni locali nell’ambito dell’artigianato. Il calendario cominciava a farsi nutrito. E mentre cominciava a registrarsi una certa instabilità e incertezza nel settore orafo, nel 1975 la Fiera inaugura e promuove la “Mostra della gemmologia, mineralogia e paleontologia”, una rassegna specializzata che contribuì a dare continuità a quella orafa. Gli allestimenti delle fiere delle gemme risultarono essere molto spettacolari ed interessanti. Con l’introduzione di questa rassegna e l’esposizione di macchinari e delle attrezzature per i preziosi, si registrò una certa stabilità nelle vendite, malgrado l’elevato costo dell’oro. All’inizio degli anni Ottanta l’assetto espositivo della Fiera era esteso su una superficie di circa 10.000 metri quadri, sviluppati su tre piani, con impianti e servizi raccordati. Malgrado il clima di crisi con cui la mostra dell’oro si aprì, in quegli anni la Fiera si avviò ad essere, oltre che una vetrina, anche e soprattutto un “laboratorio” in grado di offrire agli operatori una vasta gamma di servizi economici e commerciali.

Nel gennaio 1987 l’Immobiliare, accogliendo le richieste dalla Fiera, provvide all’acquisto di un capannone situato ai margini dei terreni dell’Immobiliare stessa. Da quella data in poi, il quartiere fieristico vicentino andò sempre più sviluppandosi, avviando pian piano un ampliamento che lo portò ad essere uno dei più significativi poli fieristici italiani.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


In uscita il numero di Giugno 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
Prezzo di copertina euro 5
Abbonamento 5 numeri euro 20
Over 65 euro 20 (due abbonamenti)

“Limbus. Uno sguardo sull’Alzheimer”, mostra fotografica alle Gallerie di Palazzo Thiene

Si apre venerdì 9 giugno alle Gallerie di Palazzo Thiene la mostra fotografica Limbus. Uno sguardo sull’Alzheimer, progetto realizzato dai fotografi Sabina Zordan e Mauro Pozzer in collaborazione con i Musei civici e con il patrocinio del Comune di Vicenza e dell’Ipab di Vicenza. L’iniziativa che ha previsto realizzazione di un libro e di un reportage fotografico all’interno del reparto protetto Tulipani 2 Alzheimer di Monte Crocetta,è nata per richiamare l’attenzione sui problemi e i bisogni delle persone affette da demenza e dei loro familiari con l’obiettivo di ridurre l’emarginazione e il pregiudizio sociale.

Sabina Zordan, fotografa amatoriale, familiare di persona affetta da demenza, e Mauro Pozzer, fotografo professionista sono gli autori dei 30 scatti effettuati nel reparto protetto con cui hanno cercato di rappresentare la demenza sottolineando sia gli aspetti positivi che quelli negativi.
L’iniziativa ha lo scopo di stimolare la costruzione di una coscienza di attenzione, supporto e condivisione verso malati e familiari attraverso la fotografia che aiuta a comprendere i vissuti e le emozioni. Un modo, questo, per ridurre l’emarginazione e il pregiudizio sociale.
La mostra sarà aperta, ad ingresso gratuito, fino al 25 giugno, dal giovedì al venerdì, dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso 16.30).

In Italia, il numero totale delle persone con demenza è stimato in oltre 1.200.000 (di cui circa 600.000 con malattia di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari (dati 2021). Nonostante questo la demenza, di cui la malattia di Alzheimer è la causa più frequente, è ancora oggi una malattia limitatamente conosciuta nella sua complessità, e numerosi sono i pregiudizi, come per esempio ritenere che la demenza sia inevitabilmente associata all’invecchiamento o che si presenti solo con problemi di memoria. Benché negli ultimi anni siano stati fatti molti passi in avanti per contrastare lo stigma nei confronti di questa malattia, il pregiudizio nei confronti del declino cognitivo incide ancora molto e si può presentare in vari modi e in tutte le fasi della malattia, colpendo le persone malate ma anche i loro famigliari.

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Fonte: Comune di Vicenza

“La vita accanto”, iniziate al Giardino Salvi e a Monte Berico le riprese del film

La città è tornata ad essere il set di un prestigioso progetto cinematografico: sono iniziate infatti lunedì 5 maggio le riprese del film “La vita accanto”, per la regia di Marco Tullio Giordana, scritto con Marco Bellocchio e Gloria Malatesta.

Come prima location che ha visto cimentarsi sul set alcuni degli attori del lungometraggio ispirato all’omonimo romanzo della scrittrice vicentina Maria Pia Veladiano è stata scelta Villa Valmarana ai Nani, dove le riprese si sono svolte in notturna.

Ieri, nel pomeriggio e in serata, la troupe si è spostata in pieno centro storico, al Giardino Salvi, e poi in piazzale della Vittoria e nei prossimi giorni sarà in contra’ Proti, in piazza dei Signori, a Parco Querini, e a Santa Lucia. In caso di maltempo le riprese si svolgeranno in un luogo coperto.

Gli interpreti della vicenda ambientata tra gli anni Ottanta e il Duemila sono Valentina Bellè (Maria, moglie) e Paolo Pierobon (Osvaldo, marito), Sonia Bergamasco (Erminia, affermata pianista e gemella di Osvaldo). Beatrice Barison è Rebecca, figlia di Maria e Osvaldo. Nel cast c’è anche Michela Cescon.

Il film, prodotto da Simone Gattoni e Beppe Caschetto, è prodotto da Kavac Film e IBC Movie con Rai Cinema con il sostegno di Veneto Film Commission, di cui il Comune di Vicenza è socio sostenitore.

L’opera è stata considerata di interesse culturale da parte del Ministero della cultura.

Durante le riprese i mezzi della produzione occuperanno alcuni stalli di sosta in via Rattazzi, contra’ San Marco, piazza Araceli, viale Rumor, lungo corso Santi Felice e Fortunato, in viale Verona e contra’ Santa Lucia, oltre che in altre zone della città. Inoltre saranno possibili alcune brevi interruzioni della circolazione.

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Fonte: Comune di Vicenza

Concorso lirico Tullio Serafin, gran finale al Teatro Olimpico di Vicenza

Si terrà mercoledì 7 giugno alle ore 20.30 presso il Teatro Olimpico di Vicenza  il concerto finale del Concorso lirico Tullio Serafin. Si tratta del primo evento di richiamo internazionale del festival “Vicenza in Lirica” organizzato con il sostegno del Ministero della Cultura, Comune di Vicenza, Gallerie d’Italia – Vicenza, Agsm Aim, con il fondamentale supporto di diversi sponsor privati, con il patrocinio della Regione del Veneto e Teatro la Fenice.

Una serata di grande importanza culturale per la Città di Vicenza che vedrà presenti, in qualità di giurati, nel teatro palladiano esponenti di spicco dei teatri più famosi a livello internazionale.

Tullio Serafin
Tullio Serafin

Presidente di giuria sarà il maestro Alessandro Galoppini, casting manager del Teatro alla Scala con Claudio Orazi sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova, Nicoletta Finzi casting manager del Teatro dell’Opera di Roma, Franco Moretti direttore generale del Festival Puccini di Torre del Lago, Vincenzo De Vivo Direttore Artistico del Teatro delle Muse di Ancona e dell’Accademia d’Arte Lirica di Osimo, Consulente Artistico della FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana, Barbara Frittoli soprano, Renata Lamanda mezzosoprano, Giovanna Canetti docente di canto e Andrea Castello, direttore artistico del Festival Vicenza in Lirica e presidente dell’Archivio storico Tullio Serafin. Protagonisti sul palco del Teatro Olimpico saranno i giovani cantanti lirici under 34 che sono passati alla fase finale del Concorso, scelti tra oltre 200 candidati provenienti da tutto il mondo. In programma le musiche dell’opera “Così fan tutte” di Mozart che verrà allestita in forma scenica il 7, 9 e 10 settembre al Teatro Olimpico con protagonisti i vincitori del Concorso.

“Una scelta difficile ed alquanto delicata” afferma Andrea Castello che continua “i candidati al Concorso sono stati moltissimi e con voci straordinarie, e non è stato facile scegliere. Il numero di iscritti premia la qualità e serietà del Concorso”.

Il concerto sarà accompagnato al pianoforte dal Maestro Fausto Di Benedetto. Alla giuria del Concorso se ne aggiunge un’altra di gran pregio, ossia la “Giuria della critica” formata da giornalisti e critici musicali di chiara fama i quali avranno il compito di attribuire il “Premio della critica” dedicato a Lukas Franceschini: Mario Merigo “Il Gazzettino”, Eva Purelli ”Il Giornale di Vicenza”, Roberto Mori “Connessi all’Opera”, Maurizio Gilberto Mion “Teatro.it”, Alessandro Cammarano “Le Salon Musical”, Silvia Campana critico musicale, Teresa Giovagnolli “MTG Lirica”, Francesco Bertini “Pro Ópera ”, Federica Fanizza “Artesnews.it”, Alberto Massarotto “Il Giornale della Musica”.

Oltre ai ruoli presenti nell’opera “Così fan tutte” di Mozart, ce ne saranno altri attribuiti da Istituzioni ed associazioni: “Premio del pubblico” dedicato a Francesco Pacchiega offerto dalla signora Valeria Rubini; il “Premio città di Cavarzere” paese natale del Maestro Tullio Serafin e consegnato dall’Assessore alla cultura del Comune di Cavarzere Ilaria Turatti; premio dell’Università Popolare di Cavarzere; un concerto per due solisti al Festival Puccini di Torre del Lago offerto dalla Fondazione Puccini; un concerto per due solisti presso “Aria di Musica” di Roma offerto dall’associazione stessa; una borsa di studio intitolata a Marinella Meli, offerta dal mezzosoprano Renata Lamanda ad uno dei finalisti; premi offerti da “Opera Base”. I vincitori del Concorso si esibiranno, inoltre, in un concerto presso l’Istituto Italiano di cultura ad Amsterdam e presso il Teatro all’antica-Teatro Olimpico di Sabbioneta (settembre 2023), presso il “Cavarzere Opera Festival” e presso il Teatro Comunale di Cittadella (ottobre 2023).

Una serata di grande musica e di grande pregio per la Città di Vicenza che ospita, in poche ore, artisti provenienti da tutto il mondo, alcuni dei vertici dei teatri più prestigiosi e giornalisti di chiara fama. La serata sarà aperta per un pubblico ridotto che decreterà il “Premio del Pubblico”. Acquisto dei biglietti presso la biglietteria del Teatro Olimpico (10/12 – 15/17) o chiamando il numero 3496209712.

L’oro di Vicenza. L’Oreficeria Contemporanea, dalla Fiera campionaria alla Fiera dell’Oro

Prosegue il viaggio di L’altravicenza con l’oro grazie alla pubblicazione a puntate della tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate sul numero 10, settembre-ottobre 2022, di Storie Vicentine.

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Fiera Campionaria di Vicenza

In tutta Italia il ‘900 si aprì con un’aura di felicità e benessere che solo i periodi di pace e di stabilità riescono a diffondere. La cultura materiale borghese ebbe la possibilità di emergere e diventare espressione del nuovo tempo. Al lusso esclusivo, appannaggio dell’élite, si affiancò quello moderato della borghesia, che comprava i suoi status symbols a buon mercato. Lo sviluppo industriale (che pure in Italia arrivò tardi), la maggiore articolazione socio – culturale e la dinamizzazione della vita urbana, che caratterizzano il passaggio dall’Ottocento al Novecento, indussero profondi mutamenti anche nel panorama orafo vicentino. A Vicenza il XX secolo si aprì con un grande evento: l’inaugurazione della prima Fiera campionaria vicentina, il 15 agosto 1908.

Alcune pubblicazioni considerano questa fiera, inaugurata dal podestà Piovene Porto Godi e dal senatore del Regno Guadino Colleoni, come la capostipite di tutte le future manifestazioni campionarie di Vicenza. Le iniziative sociali e culturali in questo periodo si moltiplicarono. All’epoca che seguì la grande guerra, nell’agosto – settembre 1922, nelle scuole comunali di San Felice e Fortunato e nel Giardino Salvi si tenne una “Esposizione d’arte decorativa” e una “Esposizione nazionale d’arte orafa”, organizzata dalla Pro Vicenza. In conseguenza sorsero dei movimenti che permisero di rivalutare gli artisti locali e portare a Vicenza personaggi internazionali. Questi eventi sociali e culturali mutarono i comportamenti della gente, il loro stile di vita e l’abbigliamento che, molto influenzato dalla moda francese, continuerà a mutare nel corso del secolo, adeguandosi alla comodità portata dalle innovazioni industriali.

Dalla ex Scuola di disegno e plastica che, come detto, nel 1926 passò dalla gestione dell’Accademia Olimpica a quella dei nuovi enti sovventori mutando il nome in Scuola d’arte e mestieri, uscirono artisti vicentini importanti come Neri Pozza e Maurizio Girotto, testimonianza del fatto che la scuola non preparava solamente semplici “artieri”, bensì forgiava anche “artisti”. Altri ancora tornarono nella scuola come docenti: Luigi Chiovato, vedutista come Guido Andrioli, Antonio Dall’Amico che fu anche direttore dal 1945 al 1948 e Otello De Maria che da studente lavorava come ceramista. Intanto, l’oreficeria vicentina, forte della sua tradizione nella fabbricazione di oggetti di uso comune accelerò le sue trasformazioni, dopo aver intensificato i contatti con gli altri centri europei, che portarono notevoli avanzamenti sia di carattere tecnico sia commerciale che erano già iniziati negli anni prece denti la prima guerra mondiale.

Con l’introduzione del motore elettrico e la meccanizzazione delle lavorazioni, ad esempio, l’arte orafa diventò industria raggiungendo un notevole livello qualitativo e diversificando molto di più la produzione. Nel primo ventennio del Novecento le tipologie orafe si allinearono ai diversi segmenti di mercato secondo la prassi contemporanea: alta gioielleria per un’élite di consumatori, oreficeria per una fascia ampia di mercato di massa, gioielli fantasia per il mercato di massa. A queste tipologie si aggiunse infine quella del gioiello d’artista, trasversale al mercato, che trovò una propria autonoma collocazione negli anni Sessanta. Il gioiello si trasformò, legandosi al nome di grandi creatori o a famiglie dalle forti personalità, come Louis Francois Cartier e René Lalique a Parigi, Sotirio Bulgari a Roma e Charles Lewis Tiffany in America. Grazie a loro si diede vita al concetto di griffe: per la prima volta si cominciò a vendere uno stile identificabile con la genialità del suo creatore o produttore. Il loro messaggio diventa diretto e diffuso dalla stampa su scala mondiale, le esposizioni più importanti li vedranno sempre presenti, i loro gioielli vengono disegnati per soddisfare i desideri di principi e stelle del cinema.

In questo contesto i viaggi erano più frequenti e le mostre internazionali diventarono dei veri e propri momenti di verifica dei livelli di tecnologia e di raffinatezza raggiunti dai produttori orafi e, tra questi, anche gli imprenditori vicentini acquisirono competenze e abilità tali da raggiungere il livello degli stilisti di fama mondiale. Le nuove tendenze artistiche che si diffusero in Italia sin dall’inizio del secolo influenzarono anche i creatori di gioielli che, quindi, si ispirarono all’Art Nouveau, al Déco, e in seguito alle altre correnti del ‘900, come il futurismo oppure il cubismo e il dadaismo che traevano ispirazione da altre esperienze e culture. Presero così vita dei gioielli di fresca fantasia e di consumato rigore tecnico e cromatico, la cui linea compositiva si basava soprattutto su forme geometriche, spesso vivificate da essenziali punti di attrazione cromatica; erano preferite le superfici lisce dei metalli preziosi, fra cui sovente il platino; gli inserti di diamanti o altre pietre preziose tendevano a campire, in pavé, scomparti delimitati; veniva usata la lacca per colorare tratti di superficie. Per l’ottenimento di valori cromatici, vi era assoluta libertà nell’uso di materiali e tecniche: diamanti, onice, smeraldo e corallo venivano abbinati nel medesimo gioiello, ma erano utilizzati anche materiali poveri.

Le nuove tendenze giunsero in tutta Europa e in ogni territorio trovarono la loro interpretazione. Le principali città italiane che da anni lavoravano l’oro quali Arezzo, Valenza e Vicenza, trasformarono gradatamente le loro tradizioni locali allargando la produzione su scala nazionale. I nuovi gioielli entrarono nel mercato e la macchina commerciale si mise in moto. Di conseguenza si affermarono anche le figure del venditore, del rappresentante e quella del grossista. Le intese che Vicenza riuscì a creare con altri paesi dell’Europa e soprattutto con la Germania determinarono quei mutamenti e quelle innovazioni tecnologiche che permisero all’industria orafa vicentina di progredire. Un esempio di gioiello, risultato di questi contatti con gli altri paesi europei viene fornito da Giuseppe Graser che, nel 1910 nella sua gioielleria di Bassano del Grappa, creò una broche in stile déco.

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Spilla di Giuseppe Graser (1910) broche in stile déco

La spilla è in platino, ha forma rettangolare con lati di sei centimetri per tre, contiene una fascia tempestata di brillanti che si stringe al centro e si allarga verso l’esterno. Dagli anni Trenta in poi gli orafi vicentini, che amavano lavorare di lastra, cominciarono a realizzare oggetti dalle linee precise, con superfici spesso lucide o satinate, formate talvolta da piccoli elementi vuoti, chiusi e saldati sul fondo e impernati ad incastro. In questo tipo di lavorazione l’oggetto preferito era il bracciale, ma quelli più importanti erano quelli a catena di filo: realizzati a mano e a macchina, stampati e a canna vuota. L’apparato produttivo di quella che nel vicentino ormai si qualifica come vera e propria industria delle oreficerie consta nel primo Novecento di numerose officine minori che operano accanto ad importanti stabilimenti concentrati specialmente a Vicenza.

Nel 1911 sorse a Vicenza la società anonima “Fabbriche riunite d’oreficeria vicentine” (FROV), che fece scuola a tutti i capi fabbrica, ai titolari e ai meccanici insieme, la cui produzione consisteva in bracciali, collane, cinturini per orologi e tutta l’oreficeria in genere. Personaggio chiave della campionatura fu Alessandro Celadon, ancora oggi conosciuto dagli orafi più anziani, che fu considerato tra i migliori lavoratori della FROV prima della seconda guerra mondiale. La stessa ditta ebbe tra i suoi collaboratori anche un disegnatore, il professor Ernesto Pierin, che abitava a Vicenza e che fu per un periodo insegnante alla Scuola d’arte e mestieri di Vicenza.

L’ultimo erede dell’azienda lasciò nel 1986 un graziosissimo libricino rosso contenente i suoi disegni: spillini in smalto, croci, ciondoli e pendenti graficamente tradotti con abilità e pazienza e che oggi, grazie al suo lavoro, sono ancora fonte di studio per le nuove generazioni. Con il progresso tecnologico si fecero strada nuove metodologie produttive; fra queste, verso il 1940, la lavorazione dello stampato, che prevede l’impressione di un disegno su una lastra attraverso l’utilizzo di una sagoma. Sviluppò in particolare questa tecnica l’azienda vicentina di Luigi Donnagemma, sorta nel 1919. La guerra provocò ingenti danni alla città che fu devastata dai bombardamenti. Ma la voglia e le energie per ripartire non stentarono a dimostrarsi: il 6 settembre del 1945, a soli quattro mesi dall’entrata delle truppe nord americane (avvenuta il 28 aprile 1945), Vicenza, alla presenza del sindaco Luigi Faccio, inaugurava la sua tradizionale Fiera, la prima risorta in Italia dopo la guerra. Questo episodio non rimase a sé stante; il 1 settembre 1946, infatti, venne inaugurata la Fiera campionaria industriale ed artigiana di Vicenza, nella sede del Giardino Salvi. La realizzazione ebbe grande successo e da quel momento in poi il ruolo della Fiera assunse una grande importanza e per meglio gestirla si diede origine ad un Consiglio della Fiera. In queste innovative manifestazioni la centralità espositiva fu affidata a lana e ceramica, due prodotti che tanto avevano reso celebre Vicenza nel mondo.

Per l’oreficeria si dovette attendere il 1954, quando ci fu l’apertura del primo salone specialistico alla Fiera di Vicenza. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la ditta Balestra dovette interrompere la produzione della nuova gamma di catene perché i materiali erano irreperibili. Ciononostante Giovanni Balestra non si perse d’animo: continuò ad interessarsi ai mercati e a viaggiare, cosicché la ditta Balestra rimase tra le aziende che continuarono tenere alto il nome dell’oreficeria italiana. Nelle foto dei vicentini degli anni Quaranta, oggi conservate presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza, le giovani donne fanno sfoggio di preziosi accessori finemente lavorati, come le lunghe catene con appese le perle o i portafoto che spesso riportano delle incisioni a bulino nel retro oppure le medagliette o i ciondoli spesso arricchiti da una semplice decorazione con pasta vitrea. I pendenti vicentini del primissimo Novecento erano principalmente espressione dell’oreficeria popolare e per questo si differenziavano dalla produzione del resto d’Italia:caratterizzati da una decorazione a linee precise, con superfici lucide o satinate, spesso impreziosite con piccole pietre semipreziose. Andavano per la maggiore i ciondoli portafoto in oro, tondi, ovali, quadrati, la cui parte superiore veniva lavorata a bulino.

Bracciali a texture

All’inizio del secolo le lavorazioni erano molto particolareggiate offrendo così grande qualità, ma con l’età del consumo la tecnica dovette semplificarsi per ammortizzare tempi e costi di produzione, lasciando spazio a colpi di effetto velocissimi. La seconda guerra mondiale portò dei cambiamenti nella moda del gioiello; i materiali non preziosi che tanto venivano usati nell’Ottocento, come i nastrini di velluto, dall’ultima guerra fino agli anni Novanta, furono invece declassati, quasi a voler dimenticare il triste periodo bellico. Continuò invece la produzione dei vaghi, ma essi persero l’originario fascino quando iniziò la loro produzione industriale. Si usarono sempre di più bracciali a polsiera senza però la miniatura, ma si inserirono altri centri con decori in oro prodotti dagli incisori o dagli incastonatori o le lustraresse, tutte figure autonome nel settore orafo. Si diffusero i primi bracciali a “carrarmato” creati poco prima della seconda guerra mondiale, che divenirono, negli anni Settanta, elementi distintivi della produzione industriale vicentina e i bracciali ad elementi geometrici come quelli a texture, bracciali a piccoli moduli vuoti con decorazione in rilievo sulla superficie e uniti tra loro con un perno nascosto.

Grazie al processo di industrializzazione le pedaline per le lavorazioni del metallo, che dapprima venivano mosse a mano e poi a pedale, vennero infine azionate con un motore e così anche i bilancieri e i torni. Quest’ultimi nella campionatura furono sostituiti con le macchine a controllo numerico che, lavorando giorno e notte, iniziarono a produrre quantità sempre più elevate. Questa lavorazione oggi computerizzata e di serie ha il merito di rendere competitivo il gioiello sul piano commerciale, ma rischia di privarlo della qualità estetica che solo la lavorazione artigianale sa dare: l’originalità del disegno, la lavorazione mai uguale a se stessa e le sfumature del colore dell’oro.

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G.Vajenti, Fiera della nostra storia. La fiera di Vicenza al Giardino Salvi- 1946-1971, Ente

Il processo di industrializzazione non fece morire la bottega artigianale, anzi a Vicenza negli anni Settanta nuove botteghe nacquero nelle periferie, mentre in centro restarono quelle di più vecchia creazione. L’antica cultura artigianale di quegli anni era ancora molto legata al modello corporativo che, lentamente, fu assorbito dalla mentalità industriale di un certo livello, attenta alla qualità dei materiali e dei prodotti prima ancora che al mercato sul quale venderli. A tutela degli artigiani, infatti, nel 1945 fu fondata l’Associazione artigiani della provincia di Vicenza, un ente che riuniva tutti gli artigiani vicentini in una corporazione non soltanto rappresentativa e in possesso degli strumenti democratici per le rivendicazioni della categoria, ma organizzata in modo da assicurare una costante e competente assistenza capace di aiutare gli imprenditori a penetrare nell’aspra selva selvaggia delle innumerevoli disposizioni che li riguardano.

Contro la concorrenza tedesca le oreficerie vicentine introdussero materiali moderni in grado di corrispondere alle più svariate esigenze e di poter conferire agli oggetti quella leggerezza che tutti i rivenditori reclamavano. La ricerca della novità a qualunque costo venne soddisfatta dal processo industriale: tutto diventò moda, si perse di vista la necessità del bene mentre si innescò la logica del consumo. L’artigianato cercò di resistere a questo insieme di fattori che lo penalizzava, ma più volte si trovò incompreso ed emarginato. La mano d’opera impiegata nell’industria aveva determinato il formarsi di una gerarchia differenziata per ruolo e per retribuzione; sorse anche un sindacato in difesa della categoria degli orafi dagli “attacchi” della massa dei “nuovi arrivati” del settore, gelosa del loro prestigio economico e dallo sfruttamento dei datori di lavoro, ma le leggi sindacali si rivelarono inadeguate per il settore e gli orafi furono portati a chiudersi in una sorta di casta protetta ma che rischiava di isterilirsi. I dati statistici a livello mondiale, registrati dall’inizio del ‘900 alla fine, mostrano che le tonnellate d’oro estratto e la sua lavorazione erano in continuo aumento.

La clientela locale e nazionale poteva coprire l’offerta delle piccole produzioni artigianali del vicentino, ma non poteva assorbire da sola l’intera produzione industriale. Dal 1950, infatti, la quantità d’oro lavorato immesso sul mercato superava di molto la domanda locale, pertanto era necessario ricercare nuovi clienti e soprattutto nuovi mercati potenziando i contatti con l’estero. Per questo motivo l’orafo dovette diventare anche un abile commerciante, imparando a muoversi secondo le linee del marketing. Negli anni Cinquanta il boom economico esplose in tutta Europa. Il settore orafo riuscì ad avviare un processo di ristrutturazione meccanica in grado di rispondere in modo sufficiente al mercato: in quegli anni l’industria vicentina aveva contatti diretti con Germania Federale, Francia e Svizzera. In questi anni nacque il mito del made in Italy, uno dei brand più importanti al mondo, che alla qualità dei prodotti aggiungeva il sapore della “dolce vita”. Lo sviluppo fu inarrestabile anche negli anni Sessanta, quando l’oro greggio aumentò il suo prezzo.

Foto pubblicitarie realizzate dallo Studio Vaaenti per F.I.B.O. e Oreficeria Chiampesan di Sandrigo nel 1981

Per un ventennio il mercato europeo continuò a rispondere positivamente, spesso dei clienti stranieri giungevano a Vicenza per scegliere personalmente la produzione, erano momenti di florida economia. Nuovi laboratori di oreficeria si espansero sui territori delle cinture urbane e complessivamente il numero di aziende raddoppiò, da 220 nel 1961 a 443 nel 1971. Nella seconda metà del ‘900 Vicenza si aprì al mercato internazionale. Nel 1970 l’industria orafa vicentina intraprese nuovi contatti con il mercato americano che dal dopoguerra cominciò a comperare in gran quantità prodotti italiani a seguito del Piano Marshall. Vicenza, inoltre, manteneva i contatti anche con i paesi arabi e l’Oriente. Oggi i rapporti con questi paesi vengono considerati diversamente: l’industria vicentina è costretta a subire l’arrivo sul mercato di prodotti d’oreficeria provenienti da paesi come la Thailandia e Corea che hanno costi di produzione molto bassi e possono essere maggiormente competitivi sui prezzi e anche sulla qualità, non eccelsa ma accettata da clienti senza grandi pretese. Anche la Scuola d’arte e mestieri cercò di aggiornarsi per rispondere ai bisogni del territorio, pur non abbandonando i valori morali e civili voluti nel XIX secolo dai fondatori della scuola. Nel corso della sua storia, l’istituto cambiò diverse volte sede e fisionomia, e nel 1980 subì una nuova trasformazione: accanto ai corsi serali vennero attivati i corsi diurni, prediligendo la formazione orafa che richiese preparazione costante e continua in modo da raggiungere uno stretto contatto con le realtà produttive bisognose di nuove idee, di spiriti creativi e al passo con i tempi, in modo da poter resistere ai mercati nazionali ed esteri. La scuola cominciò a realizzare degli scambi con le aziende, per favorire l’inserimento lavorativo degli allievi e al tempo stesso rendere un servizio all’azienda. Nel gennaio del 1980 il prezzo dell’oro, per la prima volta, subì un brusco aumento toccando gli 875 dollari all’oncia, per crollare poi a 680 dollari l’oncia. Questa oscillazione record fu il preludio di un periodo critico per la produzione orafa italiana, infatti si registrò in quegli anni un calo drammatico delle richieste di gioielli e oro lavorato; in quel periodo molti furono gli imprenditori costretti a licenziare parte degli operai. Le categorie, i sindacati, il settore stesso si trovarono impreparati e incapaci di trovare soluzioni di fronte a una congiuntura che svelava anche la debolezza della legislazione in materia. Infatti, nonostante l’Italia fosse il più grande produttore mondiale di oreficeria, gioielleria e argenteria, il suo mercato era ancora sottoposto ad una legislazione non ben definita in materia, che si basava su una legge del 14 novembre 1935 (legge del periodo fascista) con la quale, peraltro, si istituiva il monopolio per gli acquisti all’estero dell’oro greggio in lingotti, in verghe, in pani, in polvere e rottami. Fortunatamente dal 1993 la situazione cominciò a cambiare in base alle nuove direttive comunitarie alle quali l’Italia adeguò la propria normativa. Tra il 1980 e il 1990 si superò l’età della meccanizzazione per entrare in quella dell’informatica dove erano richiesti rinnovamenti strutturali a tutti i livelli, l’artigianato si specializzò in nuove tendenze stilistiche e qualitative anche attraverso il recupero di tecniche passate. Infatti le tecniche oggi usate per l’incisione eseguita sulla superficie dell’oro, o la glittica, hanno mantenuto alcune lavorazioni manuali del Rinascimento. Il filo lavorato a mano che diventa catena elabora, tuttora, gli stessi principi tecnici di un tempo, ma non mancano, ovviamente, certi nuovi macchinari che producono a ritmo continuo modelli stampati e catene dagli spessori e pesi minimi. Questo non significa che l’estro si sia esaurito, ma che si è solo diversificato verso nuovi soggetti di attenzione per trovare nuovi metodi che concilino le rinnovate richieste di mercato ai ritmi produttivi, alle esigenze lavorative e alle nuove tendenze di ricerca artistica.

G.Vajenti,Fieradellanostrastoria.LafieradiVicenzaalGiardinoSalvi-1946-1971,EnteFieradiVicenza-1999.

Le tendenze della progettazione e della produzione raggruppano molteplicità di forme e di invenzioni anche se la metamorfosi che l’ornamento subisce è troppo vasta per definire uno stile unico. Fino agli anni Ottanta era stata diffusa soprattutto la conoscenza della produzione della catena, ma Vicenza oltre a questa tradizionale lavorazione realizzava: monili di alta gioielleria in stile moderno e antico, dalla raffinata esecuzione con pietre preziose; semigioielleria, cioè oggetti in oro con pietre preziose e semipreziose, a disegni generalmente geometrici; oreficeria fine senza pietre, di accurata esecuzione, a disegni chiari e lineari o a più libere linee fluenti, di stile moderno e tradizionale; oreficeria e argenteria a maglia catena e stampata, a uno, due e tre colori; gioielli d’argento che “fanno moda”, piuttosto vistosi; minigioielleria in oro e in argento, giovane, sportiva, semplice da indossare; bigiotteria di fantasia; semilavorati, montature per gioielleria, chiusure, porta orologi; vasellame d’argento, servizi da tavola, complementi d’arredo; incisioni, sculture, quadri.

Pertanto si può sostenere che il settore orafo vicentino produceva una gamma merceologica piuttosto vasta. Negli anni Novanta, e ancora oggi, la produzione orafa vicentina non denota un vero e proprio orientamento. Per certe opere più artigianali essa subisce persino il fascino delle decorazioni delle sue architetture storiche rivisitate in nuove forme da artigiani locali che interpretano concetti e temi antichi con spirito inedito e personale. I gioielli contemporanei diventano la viva testimonianza di tecniche, modelli culturali, fisionomie estetiche che seguono le mode principali, che talvolta riescono anche a dettare, in campo orafo, o nelle quali si coglie un esplicito interesse a “conservare” ciò che è stato nella lunga tradizione orafa vicentina.

Per seguire l’evoluzione della tradizione orafa vicentina dell’ultimo ventennio è però necessario considerare la produzione delle imprese orafe, le esposizioni delle mostre e le manifestazioni dell’Ente Fiera; solo tale percorso potrà fornirci le informazioni necessarie sull’evoluzione dell’oreficeria e della gioielleria non ancora divenute letteratura.

Sarà altresì utile coniugare a questo percorso una descrizione della complessa congiuntura economica e culturale che in questi anni di profondo cambia- mento la città sta vivendo, pur rimanendo, Vicenza, una delle capitali mondiali del settore.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


In uscita il numero di Giugno 2023
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Musica con Vista, prima tappa vicentina al Castello di Thiene

Musica con Vista, il primo Festival Nazionale di musica classica nei luoghi più suggestivi d’Italia, ha inaugurato da pochi giorni la sua quarta edizione che anche quest’anno approderà in territorio vicentino con tre concerti organizzati dalla Società del Quartetto di Vicenza.

Promosso dal Comitato AMUR – del quale fa parte anche l’Associazione vicentina – con l’impresa culturale Le Dimore del Quartetto, il Festival punta sullo sviluppo di un turismo appassionato e curioso in grado di avvicinare un pubblico eterogeneo alla scoperta dei giovani talenti della musica classica e insieme del patrimonio artistico e paesaggistico di un’Italia nascosta.

La prima tappa vicentina di Musica con Vista è in programma domenica 11 giugno al Castello di Thiene e avrà per protagonista il Quartetto EOS composto da Elia Chiesa e Giacomo Del Papa violini, Alessandro Acqui alla viola e Giorgio Lucchini al violoncello in sostituzione della violoncellista titolare Silvia Ancarani che ha dovuto dare forfait per motivi di salute.

Formatosi nel 2016 all’interno del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, l’ensemble si è subito imposto all’attenzione del mondo musicale per la freschezza e la profondità delle sue interpretazioni. Vincitrice del Premio Farulli assegnato dalla critica musicale italiana e distintasi in importanti competizioni internazionali, la formazione è ospite regolare di importanti istituzioni musicali europee e nel contempo prosegue nell’attività di alto perfezionamento alla Hochschule für Musik di Monaco e frequentando master class con musicisti di caratura internazionale.

Domenica pomeriggio al Castello di Thiene il Quartetto EOS presenta due capolavori di Joseph Haydn e Johannes Brahms. Del primo viene proposto il Quartetto in Sol maggiore Op. 77 n. 1 datato 1799 quando il “principe dei musicisti” si trovava nel pieno del suo ultimo periodo creativo. Dedicato al principe Lobkowitz, il lavoro si distingue per la raffinatezza della scrittura e per un certo senso di danza che emerge con soavità nei due ultimi movimenti.

Di Brahms sarà eseguito il Quartetto in La minore Op. 51 n. 2 che venne alla luce nel 1873, insieme al “gemello” in Do minore, dopo una gestazione molto laboriosa contrassegnata da varie stesure provvisorie. Dedicato all’amico Theodor Billroth, il Quartetto in La minore si sviluppa in quattro movimenti e mette in luce tutta la profondità espressiva di un compositore che viene considerato uno dei massimi musicisti dell’Ottocento.

Il Festival Musica con Vista è realizzato grazie al fondamentale sostegno di Poste Italiane e Aon, gode del patrocinio di ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo, e ha come partner Fondazione Italia Patria della Bellezza, Fondazione Symbola, FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, Touring Club Italiano, Associazione Dimore Storiche Italiane, Associazione Civita, Garden Route Italia, Fondazione Cologni dei Mestieri dell’Arte, Museimpresa e The Branding Letters.

Il concerto inizia alle ore 18 e si terrà anche in caso di maltempo. Gli ingressi (biglietto unico 10 Euro) si possono acquistare online sul circuito www.vivaticket.com, alla Società del Quartetto in Vicolo Cieco Retrone (0444 543729- [email protected]) e il pomeriggio del concerto direttamente al Castello di Thiene.

Feste rock: dall’8 giugno Riviera Folk Festival poi Jamrock, Ferrock e Weekender Platz

A Vicenza è tempo di feste rock. Ad aprire la stagione estiva di musica ed eventi sarà il Riviera Folk Festival, dall’8 all’11 giugno al parco di via Turati nel quartiere di Santa Croce Bigolina. Seguiranno il Jamrock Festival, dall’11 al 16 luglio al parco Fornaci, il Ferrock, dal 26 al 30 luglio a Parco Retrone, e il Weekender Platz, festival di From disco to disco dal 31 agosto al 3 settembre nella corte dei Bissari.

I festival rock estivi sono realizzati dal coordinamento Feste Rock di Vicenza, in rappresentanza delle associazioni Uorra Uorra (Riviera Folk Festival), Jamrock (Jamrock Festival) e Ferrock (Ferrock Festival), che da anni collaborano con l’amministrazione comunale.

Hanno presentato la programmazione dei festival a Palazzo Trissino il sindaco Giacomo Possamai, Nicola Tonello per il Riviera Folk Festival, Marco Furegon e Silvia Crosara per il Jamrock, Mattia Rigodanzo per il Ferrock e Andrea Comparin e Tabata Berton per Weekender Platz.

“La mia prima esperienza amministrativa – ricorda il sindaco Giacomo Possamai – è stata, dieci anni fa, come consigliere comunale delegato alle politiche giovanili. In quella veste mi sono occupato a lungo delle feste rock e ho avuto l’opportunità di conoscerne la ricchezza, varietà e straordinaria capacità aggregativa e di iniziativa. Sono davvero felice di ritrovare oggi, da sindaco, gli organizzatori di queste importanti realtà. Presentare proprio all’inizio del mio mandato il ricco calendario di eventi che per tutta l’estate saranno proposti nei quartieri mi offre l’opportunità di dire, fin da subito, che la nostra amministrazione si caratterizzerà anche per un rinnovato supporto a tutto ciò che può accrescere vitalità, attrattività, qualità della vita e dell’offerta culturale vicentina”.

Riviera Folk Festival

Sarà la ventiduesima edizione del Riviera Folk Festival ad aprire le danze dei festival estivi. L’appuntamento musicale ed enogastronomico, ad ingresso gratuito, si terrà nel quartiere di Santa Croce Bigolina. L’associazione Uorra Uorra, che ha appena spento 25 candeline, è pronta ad offrire un programma artistico variegato.

Si apre giovedì 8 giugno con la celebrazione dei 20 anni dell’Osteria Popolare Berica. A seguire gli ospiti dalla Capitale: i Veeblefetzer o come preferiscono farsi chiamare Veeble. Venerdì 9 giugno vedrà i primi artisti internazionali con gli inglesi Will And The People. La serata verrà aperta prima dalle selezioni del local dj Breeoze per seguire nell’orario aperitivo con la Piccola Orchestra MDM. Seguiranno sul palco principale i Triomanzana. La terza giornata del festival aprirà con una soundtrack selezionata dallo staff che con Canicciato dj farà scuotere i presenti già dal pomeriggio. A seguire il concerto aperitivo de La Voce del Guerriero. Per gli appassionati di calcio verrà proiettata la finale di Champions League tra Inter e Manchester City. Il main stage nel dopocena accenderà i riflettori per un’altra band locale: gli Sweet Poppies. Gli ospiti principali di sabato 10 giugno saranno i Lamuzguele, originari di Grenoble (FR). La domenica inizierà con l’aperitivo affidato a una figura nota delle serate vicentine. I beat di Franky Suleman si uniranno ai virtuosismi sassofonistici di Tony Gallucci. A seguire, in prima serata Dalyrium Bay, un’altra band giovane ma che ha già dimostrato di saper calcare anche palchi importanti. Chiuderà la ventitreesima edizione un nuovo ospite internazionale, Jack Broadbent.
Nella quattro giorni di concerti non mancheranno le bancarelle di artigianato e gli stand eno-gastronomici.
Per maggiori informazioni: https://www.comune.vicenza.it/vicenza/eventi/evento.php/346093

Jamrock Festival

Anche quest’anno non poteva mancare il Jamrock, unico festival a non aver mai saltato un’edizione nemmeno negli anni del Covid. L’undicesima edizione si svolgerà nell’area verde di Parco Fornaci, una scelta riconfermata e accolta positivamente dal pubblico che ha premiato il gruppo organizzativo desideroso di dare al festival un aspetto nuovo e più green. La novità, invece, riguarderà la durata della manifestazione: non più cinque giorni bensì sei con una piccola festa iniziale dedicata ai volontari e agli affezionati che si svolgerà sul palchetto del chiosco di Fornaci Estate.
Inoltre, dal venerdì alla domenica, il festival ospiterà al suo interno anche “Tacate al Mercatin”, un mercatino dedicato all’arte, all’artigianato e al vintage con artisti, hobbisti e rivenditori locali di vestiti di seconda mano. Vasta la scelta per quanto riguarda la ristorazione che vedrà la presenza di quattro cucine mobili.
Ricco anche il programma artistico: si parte martedì 11 luglio con la leggenda dell’hip hop italiano Bassi Maestro. Mercoledì 12 luglio segnerà il ritorno sulle scene de L’Officina Della Camomilla. In apertura, il concerto dei Delicatoni. Si continua giovedì 13 luglio, con una serata dedicata agli amanti del rap: ad esibirsi per primo sarà Mattak, al secolo Mattia Falcone, in chiusura, il live di Johnny Marsiglia. Venerdì 14 luglio sul palco ci saranno Emma Nolde, una delle voci più talentuose e interessanti del panorama musicale italiano, e Dente, che sarà l’artista principale. Sabato 15 luglio saliranno prima i Gazebo Penguins e poi i Bud Spencer Blues Explosion. Gran chiusura domenica 16 luglio quando al Jamrock arriveranno i 99 Posse. In apertura, il concerto dei Diplomatico e il Collettivo Ninco Nanco.
Per maggiori informazioni: https://www.comune.vicenza.it/vicenza/eventi/evento.php/346194

Ferrock

Il Ferrock Festival è arrivato alla 25esima edizione che si svolgerà dal 26 al 30 luglio al Parco Retrone.
Quest’anno la programmazione è varia ed abbraccia generi di tutti i tipi e adatti ad ogni età. Si comincerà mercoledì 26 luglio con una serata indie, saranno presenti i Legno, Antartica e Schiuma. Giovedì 27 si passerà all’hip hop con Egreen, Lodge, e i Wild Banana Choco Cowboys. Venerdì 28 verranno accolti i Rumjacks accompagnati dai vicentini Respiro Nocivo e All Coasted. Sabato 29 sarà dedicata al punk con i Ceto Medio, i Melt e i Bull Brigade. Domenica 30 sarà invece una giornata dedicata ai bambini con l’animazione e la scuola di circo sociale di Kervan, dimostrazioni e prove con la Palestra Indipendente e alla sera si festeggerà con gli Idraulici del suono e l’Osteria popolare berica.
Per maggiori informazioni: https://www.comune.vicenza.it/vicenza/eventi/evento.php/345049

Weekender Platz

Chiuderà l’estate delle feste Rock Weekender Platz, il festival di From Disco To Disco, che dal 31 agosto al 3 settembre animerà la corte dei Bissari con due stage.
La seconda edizione del festival tornerà a valorizzare la zona all’ombra della Basilica Palladiana con numerose proposte. I primi tre giorni saranno dedicati alla musica elettronica con diversi dj set, proposti da artisti locali come Acidgigi, Mustac, Martino, Gaz, Mpla e Diilan e ospiti del panorama nazionale. La domenica, invece, sarà dedicata ai live con un prodotto più indie rock, con vari artisti tra i quali Popa.
Weekender Platz vedrà il coinvolgimento di realtà enogastronomiche locali, come Matteo Grandi, Bep’s Burger, Alle Erbe – Cantina del Tormento e l’associazione saper bere, con i vini naturali del territorio e inoltre ci sarà una selezione di birre artigianali da parte di “Refe” Refettorio Birraio.
Per maggiori informazioni: https://www.comune.vicenza.it/vicenza/eventi/evento.php/346197

 

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Fonte: Feste rock: dall’8 giugno Riviera Folk Festival poi Jamrock, Ferrock e Weekender Platz , Comune di Vicenza

Terrestri d’estate: dal 16 giugno al 10 settembre

Torna Terrestri d’estate, il cartellone estivo ideato e curato da La Piccionaia Centro di produzione teatrale per il Comune di Vicenza, con il contributo di Camera di Commercio di Vicenza, MIC – Ministero della Cultura, Regione del Veneto e la collaborazione di Agsm Aim. L’iniziativa giunta alla sesta edizione, che vede nomi di spicco come Tindaro Granata, Annachiara Marchioro, Lorenzo Maragoni, Patrizia Laquidara e Gli Omini, realizzata anche in collaborazione con la Biblioteca Civica Bertoliana e l’Associazione Illustri, quest’anno si allarga in città grazie ad un nuovo spazio culturale nell’area di Carpaneda, sviluppato nell’ambito del progetto V.A.N.G.A. Vicenza per l’Ambiente. Nuove Generazioni in Azione, e in provincia con una partnership con i Comuni di San Vito di Leguzzano, Colceresa, Valdagno e Asiago.

Un ricco calendario di appuntamenti tra teatro e performance itineranti. Il viaggio per spettatori curiosi attraverserà le vie d’acqua del centro storico della città Unesco, resa unica dal paesaggio naturale che si inserisce nel disegno della mappa cittadina, le aree boschive periurbane, per estendersi in provincia alla scoperta di luoghi insoliti, in compagnia di artisti ed esperti.

Un programma con proposte per tutte le età, caratterizzato da eventi multidisciplinari che porteranno il pubblico alla scoperta di luoghi inaspettati», spiegano Nina Zanotelli e Sergio Meggiolan, curatori della rassegna La Piccionaia. «Un percorso di ri-esplorazione del paesaggio per promuovere, attraverso la cultura, la sensibilità verso la natura, la sostenibilità ambientale e il patrimonio culturale. Teatro, natura, paesaggio e sostenibilità sono le parole chiave che si intrecceranno con gli sguardi e le prospettive proposti dal pubblico, intorno all’intuizione che nella natura e nel paesaggio si possano trovare elementi di innovazione culturale, forme che vanno oltre la tradizione. Una spinta a cercare nuovi modi di raccontare l’ambiente che ci circonda e riscoprire e valorizzare i paesaggi naturali, antropici e ricchi di storia del territorio. La rassegna -continuano i curatori – coinvolge ospiti impegnati in diversi settori che si occupano di leggere e ridisegnare un eco-sistema artistico e culturale che coinvolga le giovani generazioni attraverso iniziative rivolte a tipologie di pubblico diverse.

Si parte con Carpaneda Ecofestival venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 giugno: tre giorni di incontri, laboratori, teatro, film, musica, passeggiate e cibo, dedicati all’agroecologia. Il festival si svolgerà nell’area rurale periurbana di Carpaneda, al confine tra Vicenza e Creazzo, e avrà un carattere diffuso, snodandosi tra il bosco urbano e una serie di altre realtà significative della zona, legate da una comune visione sull’ambiente e la sostenibilità: l’azienda agricola 100orti, il B&B Nonna Amelia, la birreria Lucky Brews, fino all’azienda agricola “A regola d’orto”, nel limitrofo territorio di Monteviale. Una iniziativa nuova, nata nell’ambito del progetto V.A.N.G.A. Vicenza per l’Ambiente. Nuove Generazioni in Azione, realizzato con il sostegno della Fondazione Cariverona da La Piccionaia con i partner ALDA Associazione Europea per la Democrazia Locale, LIES Laboratorio dell’Inchiesta Economica e Sociale, Laboratorio Spazi Rurali e Boschi Urbani, Comunità Vicentina per l’Agroecologia, RiverLand, EQuiStiamo, Azienda agricola “100 Orti” e Azienda agricola “A regola d’orto”. Un progetto di rete, per l’educazione ambientale delle giovani generazioni (3-20 anni) attraverso strumenti pedagogici innovativi (esperienziali, partecipativi e creativi) differenziati per fascia d’età, e l’uso delle arti e dei linguaggi performativi come modalità privilegiata di coinvolgimento e partecipazione.

Il 23 giugno (ore 18) appuntamento con l’inaugurazione di /e.mò.ti.con/, la mostra internazionale d’illustrazione per l’infanzia, giunta alla quinta edizione, che quest’anno diventa l’Atlante dei Desideri: un invito a riflettere sui temi del sogno, del desiderio e dell’utopia con il fine di esplorare le possibilità che offre l’immaginazione applicata alla forma illustrata. L’esposizione allestita negli spazi esterni della sede della Biblioteca Civica Bertoliana, a Palazzo Cordellina, ospita 30 illustrazioni, scelte fra le centinaia partecipanti al concorso, e sarà visitabile fino al 29 luglio.

In arrivo per le famiglie curiose anche spettacoli, attività creative e campus teatrali per bambini e ragazzi dai 4 ai 14 anni nel giardino del Teatro Astra: oltre alle settimane estive del camp (dal 3 luglio all’8 settembre), venerdì 23 e sabato 24 giugno, rispettivamente alle 18.30 e alle 11, appuntamento con L’atlante dei desideri, il progetto per bambine e bambini della compagnia inQuanto teatro che unisce scrittura, illustrazione e recitazione. California under routine del Collettivo Baladam b-side, invece, andrà in scena in due repliche venerdì 7, alle 18.30, e sabato 8 luglio, alle 11. Sempre nella giornata di sabato 8 luglio la programmazione propone due spettacoli per tutti: alle 19 la commedia circense divertente di Madame Rebiné Giro della piazza e alle 21.30 lo show Cabaret Zuzzurellone di Duo Flosh. Il ciclo di proposte per le famiglie si chiude sabato 29 luglio alle 21.30 con Eccentrici Dadaròla e la storia di due uomini “leggera come i palloncini” dal titolo A pesca di emozioni e venerdì 1 e sabato 2 settembre alle 20 e alle 21.15 con Arcipleago, l’installazione teatrale agita e resa viva dai bambini stessi a cura di Teatro telaio.

La Corte dei Bambini, infine, fa tappa anche quest’estate a San Vito di Leguzzano con laboratori, spettacoli ed eventi da sabato 1° luglio a mercoledì 2 agosto.

La tematica ambientale, legata soprattutto al paesaggio, si declina anche in provincia e ancora in città nelle drammaturgie in cuffia silent play® prodotte da La Piccionaia: mercoledì 19 luglio a Valdagno con A filo d’acqua, l’evento con Carlo Presotto e Paola Rossi realizzato nell’ambito del progetto europeo SMART – Small Museums Alliance Representing Territories; giovedì 20 luglio ad Asiago con Sui passi di Mario, l’omaggio a Mario Rigoni Stern con la voce di Daniele Zovi; sabato 22 luglio e domenica 10 settembre con La porta d’acqua, in packraft sul fiume Retrone a Vicenza in collaborazione con RiverLand asd; domenica 3 settembre con la prima nazionale di Il segreto del sentiero. Il percorso dell’istrice a Colceresa, in coproduzione con Operaestate Festival, la terza tappa di un percorso di teatro partecipato che ha messo in scena finora due racconti creati a partire dalle narrazioni degli abitanti delle comunità delle frazioni di Colceresa, Molvena e Mason.

Sei le serate terrestri che portano al Giardino del Teatro Astra i nomi di spicco del panorama culturale e teatrale italiano. Tindaro Granata e le poesie di Franco Arminio saranno protagonisti di Poetica mercoledì 21 giugno in una mappa “umanografica” dei paesi italiani. Un itinerario alla scoperta di luoghi che conservano la memoria della gente che li ha abitati: la scrittura di Tindaro Granata a servizio della poesia del paesologo Franco Arminio sperimenta un modo originale di far dialogare poesia e drammaturgia teatrale, a volte includendo l’una all’altra, a volte rimanendo separate per unirsi solo attraverso lo spazio vuoto.

Sul palco del giardino dell’Astra giovedì 29 giugno arriva #POURPARLER di e con Annagaia Marchioro, spettacolo che si ispira alla stand-up americana. “A me le parole hanno sempre affascinato in modo quasi erotico. Per il loro significato ed a volte, lo ammetto solo per il suono”, spiega l’artista di origine padovana. Uno spettacolo teatrale dedicato al potere delle parole. In scena un microfono, l’attrice e una serie di contributi video, interviste con personaggi esilaranti e folli. Un viaggio alla scoperta delle parole, che possono essere finestre oppure muri.

Trucioli mercoledì 5 luglio vede in scena la compagnia toscana Gli Omini. Scarti, frammenti sparsi, pezzetti leggeri, minuscole scene di minuscoli personaggi, per ricostruire un’Italietta in miniatura, tutta abitata dai più piccoli. Una valanga di voci, storie, caratteri in uno spazio che è una casa, una strada, un’intera città. Luca Zacchini e Francesco Rotelli con la drammaturgia di Giulia Zacchini tornano a Vicenza con lo spettacolo coprodotto dal Teatro Metastasio di Prato.

Dopo dieci anni di lontananza, due artisti di un collettivo di teatro contemporaneo, si incontrano per realizzare un progetto commissionato da uno dei gruppi di scienziati più autorevoli del dibattito mondiale sull’inquinamento da microplastiche nell’ambiente. Monday, in scena giovedì 13 luglio, è lo spettacolo ideato e realizzato da Dynamis con la collaborazione di un team di ricercatori dell’Enea nell’ambito del progetto LIFE Blue Lakes che è cofinanziato dal Programma LIFE della Commissione Europea.

In D’amore, di viaggio, di libertà Lorenzo Maragoni e Patrizia Laquidara giovedì 20 luglio condivideranno l’amore per la poesia, la voce, le parole che si fanno musica e ritmo. Insieme, si racconteranno e daranno vita a un dialogo poetico-cantato tra storie di vita, viaggio, infanzia, sogni, bagagli pieni di memorie e speranze, e dell’infinita ricerca di sé stessi. Parole, canzoni e poesie si mescoleranno ai chilometri macinati durante i percorsi di due artisti che fanno del viaggiare, interiore e attraverso le strade d’Italia, la loro condizione di vita.

Giovedì 27 luglio Italo Calvino. Dialogo ludico sulla liberazione chiude le serate terrestri. Il lavoro del collettivo di produzione artistica Ateliersi narra di un bambino dei nostri giorni che si mette in relazione con le visioni, i pensieri e le azioni di Pin, il ragazzino monello e vagabondo protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno, il primo romanzo del celebre scrittore, ambientato durante la Resistenza tra i partigiani delle montagne liguri. Un’idea nata dall’intuizione anti-retorica di Calvino, il cui romanzo viene elaborato in modo da poter entrare in dialogo con il giovane protagonista, che si trova a mettersi in gioco in prima persona conducendo una vera e propria “partita letteraria” con gli spettatori.

A Valdagno, infine, la rassegna propone il concerto di Dadà, un evento inserito nel programma di Femminile singolare 2023.

L’inizio degli spettacoli al Giardino del Teatro Astra è alle 21.30.

Biglietti in vendita
Per gli spettacoli Poetica, #pourparler, Trucioli, Monday, Italo Calvino. Dialogo ludico sulla liberazione al costo di 12 euro per l’intero, 7 euro per il ridotto (Vicenza UniversityCard, Under 26, 18 app).
Card 3 ingressi al costo di 30 euro per l’intero, 15 euro per il ridotto (Vicenza UniversityCard, Under 26, 18 app).

Per gli spettacoli L’atlante dei desideri, California under routine, Giro della piazza, Cabaret zuzzurellone, A pesca di emozioni e Arcipelago al costo di 5 euro.

Silent play® La porta d’acqua al costo di 25 euro per l’intero, 20 euro per il ridotto (under 14); Sui passi di Mario al costo di 5 euro; Il segreto del sentiero al costo di 10 euro.
Le attività di Carpaneda Ecofestival sono a numero limitato, si consiglia la prenotazione. Eventi a pagamento (unico a 5 euro, Carpaneda card con tre ingressi a 10 euro): Alberi maestri kids, Miti d’acqua, Correre al silenzio, Habitat naturale.

Tutti gli altri eventi sono a ingresso libero e gratuito.

In caso di maltempo il programma potrebbe subire delle variazioni, consultare il sito www.teatroastra.it

Info, prenotazioni e prevendite:

Ufficio Teatro Astra – Contrà Barche 55 (Vicenza) – telefono 0444 323725 – [email protected]

Aperto dal mercoledì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15-17.45; oppure online su www.teatroastra.it.

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Fonte: Terrestri d’estate: dal 16 giugno al 10 settembre , Comune di Vicenza

L’oro di Vicenza. L’Epoca Moderna, l’invenzione delle macchine orafe e la moda del nero

Prosegue il viaggio di L’altravicenza con l’oro grazie alla pubblicazione a puntate della tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate sul numero 10, settembre-ottobre 2022, di Storie Vicentine.

Le trasformazioni politiche avvenute a Vicenza nella prima metà dell’Ottocento influirono su un contesto economico critico, ma nel quale non venne trascurato l’ornamento nemmeno dalla popolazione povera, che si abbelliva con piccoli oggetti in rame, argento, con perle di vetro e smalti miniati dal valore e peso irrisorio ma che inserivano l’accessorio nel corredo popolare.

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Allegoria di Venezia

Il XVIII secolo per Vicenza si chiuse con l’allontanamento del dominio della Serenissima che segnò la fine di un forte legame secolare. Il Veneto diventò un conteso campo di battaglia per le lotte tra i francesi e gli austriaci. Nell’Ottocento, dopo la caduta di Napoleone, Vicenza passò sotto il dominio dell’impero austro-ungarico. Nel 1848, in tutto il nord Italia, iniziarono violenti tumulti per scacciare gli austriaci, ma soltanto nel 1866, finita la terza guerra di indipendenza, le truppe italiane liberarono il Veneto e Vicenza entrò a far parte del Regno d’Italia. Gli avvenimenti rivoluzionari di questi anni sono in vario modo attestati da quadri conservati presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza che ha sede nella villa Guiccioli dal 1935. Tra i numerosi cimeli, stampe, autografi, quadri, ritratti, armi esposte che testimoniano delle vicende fra l’era napoleonica e la guerra di liberazione, un dipinto anonimo dell’Allegoria di Venezia, eseguito nella prima metà del XIX secolo, risulta utile per l’indagine.

La figura è ricca di gioielli e pietre preziose. Interessanti sono l’interpretazione della croce popolare, probabilmente in argento e diamantini, appesa alla collana e il bracciale che si ispira alla polsiera senza miniatura ma con un nodo di pietre incastonate in diversi modi: a cabochon, a losanghe e quadrate. Questa moda dell’impiego di pietre grosse nei gioielli fu la conseguenza dell’entrate in uso nella corte francese del gioiello dalle notevoli dimensioni e appariscente, come simbolo d’autorità.

“Non potendo utilizzare gemme molto preziose, si fece ricorso ad altri materiali gemmologici, di “costo minore o più frequentemente presenti in natura in cristalli grandi, quali avori, acquamarine, conchiglie incise, coralli”. “Le trasformazioni politiche avvenute a Vicenza nella prima metà dell’Ottocento influirono su un contesto economico critico, ma nel quale non venne trascurato l’ornamento nemmeno dalla popolazione povera, che si abbelliva con piccoli oggetti in rame, argento, con perle di vetro e smalti miniati dal valore e peso irrisorio ma che inserivano l’accessorio nel corredo popolare.

Le semplici “vére”, le fedine vicentine o il classico anello a manine, già in auge nel periodo romano e cristiano, erano gli anelli più indossati dalle giovani contadine nel probabile intento di emulare le figlie delle famiglie benestanti dei ceti artigianali. Le ragazzine portavano spesso alle dita anelli d’oro con una sottile lastra centrale decorata con una piccola miniatura.”

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gioielli funerari

Tra le tecniche orafe, quella della lavorazione della filigrana restava sempre una delle più diffuse. In questo periodo, le guerre e la peste accentuarono il senso della morte, provocando una moda di macabri “gioielli funerari”: il materiale più usato a questo scopo era il giaietto (o gagate), una varietà di lignite nera e compatta, che proveniva dallo Yorkshire, un’antica contea dell’Inghilterra. Noto per essere stato usato fin dall’età del bronzo e conosciuto anche dai romani col nome di “ambra nera”, il giaietto venne impiegato su vasta scala in gioielleria perché è un materiale relativamente tenero e può essere inciso abbastanza facilmente.

Il suo utilizzo decadde verso la fine dell’Ottocento, quando vennero introdotti altri materiali meno costosi, come il vetro nero, il guscio” “di tartaruga o lo smalto nero. Anche a Vicenza, sia tra la popolazione ricca sia tra quella povera, la “moda degli ornamenti da lutto si sviluppò tra il 1860 ed il 1880: una “moda del nero” testimoniata dalla produzione di collane da lutto in vetro nero lucido o opaco.”

“Alla collezione privata Zambon – Scarpari a Vicenza appartengono alcuni esempi di questa moda: un pendente appeso al nastrino in velluto che veniva indossato alla base del collo in onice nero e di forma ovale; il ciondolo portafoto, che sulla parte esterna, in superficie, riporta l’immagine di un uccello del paradiso con dei fiori di gusto orientaleggiante in argento eseguito con lastra sottilissima, all’interno delle figure sono incastonate delle piccole perle scaramazze. Sul retro il portafoto contiene la foto di Giuseppe Scarpari. Completano la parure un paio di orecchini in onice,”sostenuti da una base in oro.” La maggior parte delle donne del tempo, poi, avevano i fori alle orecchie per indossare gli orecchini. C’erano orecchini semplici, formati da un anellino dal diametro di un centimetro, ma c’erano anche orecchini dalle forme più complesse, distinti per materiali, difficoltà tecnica di lavorazione e valore economico. Le popolane più povere usavano orecchini in filo pendenti con vaghi (semplici elementi spesso di forma circolare) e leggere lastrine pendule.

I reperti descritti ci consentono di tracciare queste memorie grazie alle donazioni di privati collezionisti vicentini che con cura hanno raccolto non solo gli oggetti preziosi, ma anche una ricca documentazione fotografica che ritrae le famiglie borghesi vicentine, oggi conservata presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza. Una documentazione significativa è stata messa assieme anche dall’antropologa romana Annabella Rossi (1933 – 1984) che sviluppò un’indagine sull’ornamento popolare, visto che gran parte del materiale raccolto appartiene al Veneto ed è oggi conservato nell’archivio del Museo delle arti e delle tra- dizioni popolari di Roma.

Sfogliando un campione della documentazione fotografica in nostro possesso risulta evidente quanto in uso fosse il gioiello nell’ambiente vicentino nel XIX secolo tra donne, uomini e anche bambini. In alcune foto della famiglia Massaria, ad esempio, sono ritratti alcuni uomini che sul panciotto, tra un taschino e un occhiello, fanno pendere la catena dell’orologio con un “moschettone” particolarmente interessante per lo snodo mobile. In genere le catene dell’orologio erano infatti fissate al panciotto con ganci ad anello o a bastoncino.

le tre sorelle Canalini

Le camice avevano l’ultimo bottone in oro oppure in onice nero o con diamante. Gli uomini non portavano quasi mai anelli, ma sfoggiavano gemelli e spille da cravatta. Sempre appartenente alla collezione Massaria è la foto scattata da Antonio Sorgato, ritenuto il maggior fotografo professionista veneto della seconda metà dell’Ottocento. La fotografia mostra le tre sorelle Canalini, di una famiglia di commercianti, che indossano delle sottili catenelle lunghe fino alla vita e agganciate al corpetto della veste larga con la gonna che copre la caviglia. I capelli venivano raccolti in una acconciatura con pettinini e fermagli in oro o similoro, la riga al centro e i boccoli lateralmente; i diademi e le coroncine erano in filigrana, con vaghi, in questo caso disposti a corona, con semplici fiorellini di perle legati alla nuca.

Appesi al collo le donne portavano dei ciondoli, che potevano avere varie forme ed essere anche portaritratti, attaccati a lunghe e leggere catene o fissati su un nastrino di velluto al collo, come le dame del Settecento. Anche le croci venivano appese ad un nastro legato al collo ed erano realizzate in lastra d’oro lavorata in ambo le parti. All’epoca erano molto di moda le miniature, soprattutto di soggetti religiosi, eseguite in pendenti tondi e ovali di piccole dimensioni con fondo in madreperla. Molto indossate erano le pontapètto, una sorta di spille dalla valenza funzionale, che serviva per allacciare il collo delle camicie, il velo oil fazzoletto. Potevano essere in oro, in cammei, in mosaico su pietra nera con fiori al centro. Le giovani donne sfoggiavano orecchini a goccia o a campana oppure pendenti a forma esagonale.

Gli orecchini veneti a forma di cerchio erano completati da vaghi aurei tondi, a navicella a forma piatta traforata o formati da un corpo lunato ottenuto in genere dalla saldatura di due lamine d’oro bombato, oppure a mandorla in un corpo più o meno allungato. È possibile così notare come l’oreficeria popolare ottocentesca di Vicenza, compresa quella più povera, avesse raggiunto una propria identità, dove il rapporto tra nuovi bisogni e ruoli sociali scandiva l’arco della giornata a tal punto che gli accessori venivano per la prima volta scelti a seconda delle occasioni.

Le vicende storiche e sociali del territorio, la disponibilità di alcuni materiali piuttosto che di altri, lo studio da parte delle corporazioni di tecniche di lavorazione particolari, hanno permesso che a Vicenza il gioiello sviluppasse una propria “anima locale”. Un efficace paragone con l’architettura ci porta a notare con una certa evidenza che, per quanto, pur nella loro diversità, le tecniche di lavorazione e i materiali di impiego possano assomigliarsi, tutta l’Italia è caratterizzata da diversi ordini architettonici.

La diversa sensibilità di un periodo storico, alcune necessità culturali o sociali peculiari di una zona, hanno determinato, nell’architettura come nella gioielleria, una significativa variazione di stile, conferendo a quelli vicentini una precisa e riconoscibile connotazione. Mentre tra le popolane continuava l’usanza (che mescolava sacro e profano) di ornarsi con la corona del rosario anche per uso quotidiano, tra le famiglie più agiate di quegli anni si manteneva vivo il gusto per il cammeo, probabilmente nato per imitare il mito di Napoleone che, cosa risaputa, aveva un grande interesse per i gioielli e in particolar modo per questo genere.

Tale moda era molo diffusa nell’Ottocento: dal “Journal des dames” del 1805 apprendiamo che i cammei si indossavano su cinture, collane, bracciali e tiare. Le pietre dure incise erano molto utilizzate, ma in mancanza di esse si usavano le conchiglie, molto più rapide da intagliare e più economiche. Tra le altre alternative più popolari si usavano gli smalti, la ceramica e i vetri policromi. Intanto nuove linee e nuovi atteggiamenti del costume avanzavano in tutta Europa, ispirati da tante correnti stilistiche che si sarebbero presto unite in nuove idee. Si poté così assistere alla rivisitazione dello stile gotico, del rinascimentale, dello stile greco, etrusco, romano, rococò, naturalistico, moresco, indiano.

Queste nuove tendenze giocarono a favore del rinnovamento del gioiello, che andava a soddisfare i diversi gusti nascenti, ispirati dalla letteratura e dall’archeologia. Una massa protesa al consumo e desiderosa di curiosità determinò nuove richieste di metallo prezioso capace di soddisfare il cambiamento produttivo. Nel XIX secolo si registrò un aumento delle disponibilità auree, ma nonostante questo l’oreficeria vicentina visse un periodo di crisi causato dagli avvenimenti rivoluzionari e sarà solo verso la fine del secolo, con il riaffermarsi delle arti applicate, che si assisterà a una inversione di tendenza con la registrazione di un forte aumento della quantità di oro lavorata. I profondi cambiamenti politici, sociali e economici costrinsero a ridefinire i luoghi e i soggetti dello sviluppo orafo, ognuno secondo la propria specificità ma tutti necessari per una nuova cultura dell’oggetto.

Le fraglie erano state soppresse durante il periodo napoleonico, ma dall’impatto con le trasformazioni della moderna società industriale, l’arte orafa vicentina riuscì a mantenere e consolidare la tradizione antica accostando alle preziose creazioni di bottega sistemi di lavorazione sempre più aderenti all’evoluzione tecnologica e ai nuovi orientamenti del mercato. Le botteghe erano ancora collocate nella piazza dei Signori, come risulta dalla litografia di Marco Moro del 1847 in cui si intravede la scritta “orefice” sopra la vetrina di un negozio nel palazzo di fronte a quello del capitanio. Nelle botteghe si rivisitò la produzione classica del Belli, facendo tesoro anche del contributo di altri “orafi meccanici” come Luigi Merlo.

Si svilupparono così due tecniche che in futuro continueranno ad essere largamente utilizzate: la decorazione delle superfici a bulino, soprattutto nell’arte sacra, e la lastra stampata, che vivrà il suo massimo splendore tra il 1960 e il 1980. Al raccordo tra botteghe di concezione rinascimentale e prospettive di sviluppo industriale commerciale puntò la Scuola di disegno e plastica, fondata nel 1858 per iniziativa dell’Accademia Olimpica, col proprio corredo di premi, mostre e un piccolo museo delle arti applicate. L’obiettivo era di migliorare la preparazione tecnico-professionale degli addetti alle arti minori. Inizialmente ne assunse la direzione il professor Pietro Negrisolo, coadiuvato soltanto dall’opera volontaria di alcuni assistenti. La scuola era sostenuta da ministeri ed enti locali, soprattutto dalla Camera di Commercio delle arti e della manifattura, istituita in epoca napoleonica, che raccoglieva tutti i dati della produzione orafa.

Quando nel 1928 fu chiamato a dirigere la scuola il conte architetto professore Fausto Franco, che sviluppò i laboratori di applicazione, la denominazione Scuola di disegno e plastica mutò in Scuola d’arte e mestieri. Dalla scuola uscirono allievi come Ernesto e Giuseppe Scalco che, dopo aver concluso il periodo scolastico, si specializzarono a Roma nell’arte dei cammei, mentre Luciano De Poli, da cesellatore e semplice armaiolo iniziò una brillante carriera nelle scuole della provincia. Scuola primaria all’esordio, poi mista, infine, precisamente dal 1864, serale e festiva Scuola di disegno e plastica per la formazione degli artigiani e degli operai della prima industria: gli artieri. Il termine ottocentesco “artiere” sintetizza felicemente proprio quell’ambiguità fra la componente creativa dell’ “ancora artigiano”, e la componente rigida e alienante del “non ancora operaio”.

Con l’inizio del Novecento la scuola si staccò dall’Accademia Olimpica per acquisire una sua identità. Ancora prima tuttavia, il mondo orafo sentì il bisogno di una maggiore autonomia e nel 1833, con un sollecito provinciale, si richiese alla Camera di Commercio di poter applicare i bolli sugli oggetti d’oro e d’argento direttamente a Vicenza e non più a Padova, dove si trovava l’ufficio garanzia.

Ora nuove prospettive commerciali e culturali avanzarono, grazie soprattutto alle manifestazioni delle fiere che attiravano il grande pubblico che, con lo sviluppo delle reti viarie e ferroviarie, giungeva a Vicenza con maggior facilità e in maggior numero. Verso la fine dell’Ottocento, infatti, cominciarono a primeggiare alcune piccole ma interessanti iniziative e altre mostre nazionali e internazionali dove idea, prodotto e macchinario convivevano nello stesso spazio espositivo.

Ad esempio, a Vicenza, nel 1871, si tenne “l’Esposizione Regionale Veneta”, (articolata in tre sezioni, agricoltura, industria manifatturiera, belle arti e arti industriali) dove uno spazio fu dedicato all’oreficeria e la ditta Navarotto di Vicenza espose alcuni oggetto d’oro “di un merito singolare”. L’importanza di queste piccole rassegne locali andò via via crescendo, ispirandosi a quelle più imponenti e famose di Parigi e Londra che volevano celebrare le meraviglie della tecnologia applicata alla lavorazione dei metalli preziosi.

Grazie alle innovazioni tecnologiche, verso la fine del XIX secolo la maggioranza della popolazione ormai ricercava accessori decorativi da indossare. Per soddisfare questa elevata richiesta grande impiego trovò il similoro, una lega metallica composta da rame, stagno e zinco utilizzata per determinati articoli nei quali si incastonavano una quantità di pietre semipreziose, come l’acquamarina e il crisolito. Conseguentemente aumentarono le fabbriche di bigiotteria già esistenti a Vicenza.

Per tutto il secolo e oltre continuò la produzione di spille, di anelli, di pendenti e di ornamenti per capelli. Gli elementi decorativi che primeggiavano nel gioiello di fine secolo avevano un gusto romantico: cuori, fiori in pietre dure o smalto. Un esempio è la spilla in oro, argento e diamanti, venduta nel Novecento dalla Gioielleria Marangoni, la cui bottega aveva sede sotto le logge della Basilica palladiana, oggi conservata a Vicenza in una collezione privata.

Spilla in oro, argento e diamanti, venduta nel Novecento dalla Gioielleria Marangoni

Il gioiello ha la forma di ramo fiorito con sette piccole foglie tempestate di rose di diamanti, presenta un grande fiore centrale a cinque petali e uno dalle dimensioni leggermente più piccole, sempre a cinque petali. Un modello largamente diffuso all’epoca in tutta Europa. I braccialetti erano un accessorio di gran moda: quello più comune aveva un pannello ovale o circolare contornato dal bracciale a forma di polsiera. Comparvero i bracciali rigidi da polso di cui un esempio interessante è fornito dalla collezione Zambon – Scarpari: un bracciale d’oro decorato con smalti turchesi che rivela le capacità tecniche necessarie per l’avvolgimento dello smalto attorno al filo che decora il centro. La polsiera è rigida e composta da due lastre, una rotondeggiante posata su fondo costituito dall’altra piastra piatta e saldata; una lancia centrale decorata con gli stessi smalti è fissata all’interno del bracciale con una cerniera e al centro si trova uno zircone contornato da incisioni a bulino rigato e mezzotondo.

Il bracciale si chiude a scatto. Intorno alla metà del secolo si diffuse un tipo di gioielleria commemorativa piuttosto tetra che simboleggiava l’amore eterno, conosciuta come hair work: i capelli del defunto venivano intrecciati in cordoncini provvisti di terminazioni in oro ed erano spesso usati spesso come braccialetti, collane o catene da orologi. Un altro bracciale della famiglia Zambon – Scarpari, con chiusura a scatto e placchetta incisa a bulino, ha proprio il nastro tessuto con capelli castani. L’oreficeria vicentina, alla fine del XIX secolo, raggiunse un alto livello qualitativo; la diversificazione degli oggetti e il loro elevato grado di manifattura erano una prova di come l’industria orafa fosse diventata per la città berica l’attività economica trainante e un punto di riferimento nazionale e internazionale. Non è un caso che negli ultimi decenni dell’800 si intensificarono i contatti con le città europee.

Un’esemplare prova di questi scambi di tecnologia è offerto dalla ditta di Luigi Balestra, produttrice di catene sorta nel 1882 a Bassano del Grappa; egli instaurò stretti legami con gli orefici di Pforzheim, città tedesca oggi gemellata con Vicenza, dai quali apprese nuove tecniche giungendo ad adattare le macchine per cucire Singer alla produzione della catena in serie, passando così dalla lavorazione manuale a quella a macchina. Un altro elemento di potenziamento del commercio internazionale fu il fenomeno delle emigrazioni: nella seconda metà dell’Ottocento molti vicentini espatriarono, soprattutto nelle Americhe, tra questi ci furono anche molti orefici che continuarono il loro lavoro nelle nuove nazioni, contribuendo, così, a far conoscere all’estero la produzione orafa della loro città natale. Nell’ultimo decennio dell’800 l’arte orafa, secondo le fonti della Camera di Commercio, si esercitava a Vicenza in otto laboratori.

Tra questi si ricordano quello di Cesare Navarotto, quello di Bortolo Martinelli, di Angelo Marangoni, dei fratelli Trevisan e di Pilade Zanella. La produzione dell’oreficeria sacra dell’Ottocento lascia come esempi più interessanti tra le sue produzioni due opere: la corona e il pettorale della statua della Madonna di Monte Berico, recentemente restaurati da Stefano Soprana, erede della ditta Marangoni.

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Corona della statua della Madonna di Monte Berico

La corona, voluta nel 1899 dai Padri Servi di Maria in occasione del Giubileo, fu opera magistrale dell’orafo Angelo Marangoni, che teneva bottega sotto le logge della Basilica palladiana, in collaborazione con il cesellatore Attilio Tosetti e i gioiellieri Michelon. La sua foggia inusuale sembra trarre ispirazione, nella forma a calotta chiusa scompartita a spicchi impostata su di un diadema arricchito da elementi pendenti a forma di frangia continua, dal Kamelau- kion, un copricapo regale bizantino utilizzato soprattutto dagli uomini.

Alla singolarità della struttura, che offre campo propizio alla profusione di materiali preziosi – 3 chili d’oro, quasi mille pietre preziose, tutte offerte dalla generosità dei fedeli – l’opera abbina la raffinatezza dei partiti decorativi, fedelmente ripresi, secondo uno scoperto richiamo all’identità culturale oltre che religiosa della città, dai massimi capolavori dell’officina sacra vicentina quattro – cinquecentesca, dal reliquiario della Santa Spina al calice di Santa Corona alla splendida croce processionale della Cattedrale.

Analogamente alla corona il ricchissimo pettorale eseguito dallo stesso Marangoni con raro rispetto filologico dei materiali impiegati, attesta ad un tempo la generosità dei vicentini e la storica maestria degli orafi locali. Un recente studio ha consentito di verificare che entrambi gli oggetti sacri sono stati realizzati utilizzando, o meglio inglobando, anche gioielli più antichi tra i molti donati nel tempo alla venerata immagine della Vergine. Alcuni di questi sono di grande pregio e rilevanza storico-artistica, quali l’anello in oro con ametista e diamanti di papa Leone XIII e la croce pettorale in oro, argento diamanti e ametiste del vescovo di Vicenza Zaguri.

Altri invece sono gioielli più poveri e di uso profano, come spille, bottoni e orecchini, ma ugualmente di notevole interesse in quanto offrono un piccolo, inedito repertorio della produzione orafa veneta sette – ottocentesca. Tra gli orefici conosciuti che si occuparono di lavori di oreficeria liturgica spiccò a Vicenza, verso la metà del secolo, Luigi Merlo (1772 – 1850), un personaggio geniale, primo esempio di orafo meccanico, allievo dell’orafo e incisore Giuseppe Dainese. Entrato nelle corporazioni degli orefici vicentini nel 1802, egli seppe unire abilità manuale e ricerca di nuove tecnologie. Merlo associò argento, oro e pietre preziose in una vasta gamma di fini lavori di oreficeria sacra, ma anche in quelli di uso quotidiano. Nei confronti della sua arte orafa gli intellettuali del tempo non si mostrarono molto benevoli.

Per il Rumor come per il Da Schio la sua bigiotteria era pesante. Parlavano di cattivo gusto e di pezzi troppo carichi: non erano che copie di stili e maniere del passato. Ignoravano probabilmente che l’epoca era propizia al ritorno all’antico e che la vera abilità del Merlo stava proprio nell’essere riuscito a unire il moderno con la tradizione. Egli era di fatto al passo con le nuove tendenze dell’arte a livello internazionale: quella più rappresentativa dell’epoca era la riproduzione esatta degli oggetti dell’oreficeria antica, effettuata secondo processi tecnici desunti dall’archeologia. I suoi pezzi di oreficeria richiamano il neogotico, il neorinascimento e il neoclassico.

Sono tabernacoli, candelabri, tabacchiere, zuccheriere, calici in argento dorato, che facevano bella mostra accanto agli oggetti più “mondani”. Sarà però la sua abilità meccanica ad attirare maggiormente l’attenzione: è il primo in tutte le Venezie a comprare, adattare, costruire e utilizzare macchine per l’oreficeria. Ed è grazie a questo merito che nel giugno del 1825 venne sollecitato dalla Camera di Commercio a partecipare al concorso organizzato a Vicenza al fine di premiare gli inventori: vincerà nel 1831 la medaglia d’argento grazie al suo otturatore per bottiglie. La sua genialità meccanica e le sue applicazioni pratiche nel settore orafo fecero di lui uno dei più importanti orafi meccanici del suo periodo, i cui lavori girarono in tutta Europa. Il passaggio tra Ottocento e Novecento è caratterizzato da uno sviluppo industriale che produsse profondi mutamenti nel panorama orafo vicentino. Iniziò in città un processo che, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, fece segnare notevoli avanzamenti sia di carattere tecnico che commerciale.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


In uscita il numero di Giugno 2023
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Vedere la Strada Regionale 11: presentazione del video realizzato dagli studenti IUAV

I risultati di un laboratorio realizzato per la “lettura” di un tratto della Strada Regionale 11 saranno presentati giovedì 8 giugno 2023, alle 18 presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza a Palazzo Cordellina.

Saranno presenti gli studenti del corso “Innovazione, cultura materiale e società” della sede di Vicenza dell’Università Iuav di Venezia, tenuto dal professore Guido Borelli.

Il tratto della Strada Regionale 11 che andava “letto” è compreso tra la rotonda di San Lazzaro e quella di Montecchio Maggiore. Obiettivo: provare a vedere “con occhi nuovi” un luogo che molti di noi conoscono o credono di conoscere.

Il progetto ha preso avvio con l’inizio del corso, a febbraio scorso. Il 9 maggio gli studenti hanno coinvolto alcuni testimoni di Vicenza (Claudio Bertorelli, Matteo Cibic, Matteo Cremon, Pino Dato, Giovanni Battista Gleria, Cleto Munari, Nicola Negrin, Maria Grazia Pegoraro, Maria Pia Veladiano, Alessia Zorzan, Chiara Visentin e Mattea Gazzola) e con loro hanno lavorato a gruppi per raccontare le impressioni e le emozioni che il paesaggio in movimento evoca.

Ne è nato un video, realizzato dal regista Pietro Carra, che mira a far comprendere alcune delle conseguenze socio-spaziali dello sviluppo economico che, in anni recenti, ha caratterizzato il nostro territorio.

Il progetto – realizzato dal docente di sociologia urbana dell’Università Iuav di Venezia, Guido Borelli, con la collaborazione di Adriano Cancellieri, Pietro Carra, Mersida Ndrevataj, Andrea Pertoldeo e Olga Tzatzadaki – ha incentivato gli studenti a considerare la SR 11 come una sterminata collezione di oggetti – piccoli e grandi, animati e inanimati –, in cui il processo di produzione e di circolazione delle merci ha realizzato pienamente la propria logica esistenziale e formale.

Il 9 maggio i ragazzi hanno lavorato su cinque direzioni: un primo gruppo racconta due camminate (“urban trekking”), che sono state effettuate dagli studenti all’inizio del corso per avvicinarsi allo spazio oggetto di studio; un secondo gruppo presenta i fotolibri che sono stati creati dagli studenti che raccontano gli oggetti e gli spazi della SR 11; un terzo gruppo ha utilizzato la tecnica della foto elicitazione, chiedendo ad alcuni testimoni di spiegare e raccontare – come farebbero con un extraterrestre – il contenuto di alcune fotografie della SR 11 che venivano loro proposte; il quarto gruppo ha lavorato con la tecnica dell’intervista go-along, raccogliendo le impressioni suscitate da quel paesaggio mentre lo percorrevano a piedi o in auto; il quinto gruppo ha registrato i suoni che danno vita all’ambiente e ha prodotto delle cartoline sonore della SR 11.

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Fonte: Comune di Vicenza