lunedì, Aprile 21, 2025
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“Arte culi ‘n aria”, la quarta ricetta vicentina di Umberto riva dal suo libro: pollo in umido e polenta molle, “Ge go brusa? i penoti”

Umberto Riva
Umberto Riva

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (la prima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 30 giugno 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.


Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (la “putana”) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.

“Ge go brusa? i penoti”.
Quel puzzo che aleggiava per la casa ed anche fuori, quel puzzo che mi ricordava il maniscalco quando piazzava il ferro rovente sullo zoccolo dei cavalli, proprio quello stesso puzzo indicava il menu del giorno: “polastro in umido co ‘e patatine novee e poenta servia co ‘l sculiero”. Non poteva essere gallina lessa ché ben pochi erano i “penoti” in una vecchia fattrice d’uova. Solo un pollo giovane ed aitante poteva creare una simile puzza.

Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

“Tanta poentina, tante patatine, tanto poceto, e un toketo de poastreo che ‘l tacava da tute le parte”. Da mangiare anche con le mani, e le dita che si appiccicavano alle succose ossa ed i polpastrelli che restavano impregnati tant’e? che a fine pasto se li sfregavi tra loro ne ricavavi palline di unto e per lavarti le mani dovevi usare tanto sapone e fregare energicamente, “anca co ‘l spasolin da ongie, se no te onsi da par tuto”.

Non si chiamavano polli ruspanti, ché erano tutti cosi? “boni”. La pelle era addirittura dolce e si scioglieva in bocca, la carne era talmente appiccicata all’osso che la dovevi strappare coi denti, gli ossetti, anche i piu? piccoli, erano consistenti e e si rosicchiavano e succhiavano a lungo.

Le patatine. Erano novelle e rotonde, impregnate di quella preziosita? creata da cipolla, sedano, carota, un po’ di salvia e concentrato di pomodoro, la conserva che ti vendevano accartocciata nella “carta oleata”. Il tutto sciolto nel grasso naturale rilasciato dal pollo.

Estasi.
La polentina che nuotava nel sugo tra pollo e patatine.

Il religioso silenzio della degustazione, regnava in tutta la casa. Anche il papa? che in fatto di gusto era zero (potevi servirli baccala? con le prugne e dirgli che era buono e lui annuiva) anche il papa? mangiava ad occhi religiosamente semichiusi (che lo facesse per emulazione?). La mamma doppiamente soddisfatta e per orgoglio di cuoca e perche? il buono era buono, in silenzio “ciuciava”. Noi lustravamo gli ossi fino renderli piu? che puliti, luccicanti. Erano degni di una sala d’anatomia. Alla fine anche i piatti erano splendenti ed il gusto di mangiare aveva raggiunto il sublime tant’e? che i bicchieri con l’acqua erano intatti.

“Polastro in umido co ‘e patatine novee”, piatto primaverile. I pollastrelli avevano, una volta, la loro stagione, “coto in tecia de teracota, roba da siori”. Fornitore Tripoli.

Davide Xodo, l’artigiano del vino: Nina, Sessantaquattro e Campetti

Dopo più di 15 anni di esperienze e collaborazioni nel mondo del vino Davide Xodo ha realizzato il sogno di aprire una piccola azienda agricola per produrre vino “come piace a me” nelle colline vicino casa. Il progetto è iniziato nel 2018 con l’affitto, la sistemazione dei vigneti e della cantina di uno storico produttore della zona.

Davide Xodo, non sei figlio d’arte. Cosa ti lega al mondo del vino?

Ho sempre avuto una grande passione per il vino che mi ha spinto a studiare fino alla laurea in scienze vinicole ed enologiche

Poi ho cominciato a lavorare nel settore: dapprima in Toscana, nella zona del Chianti Classico, presso la tenuta Tolaini. Una grande sfida che ha portato a convertire una tenuta da convenzionale a biologica in 3 anni.

Dalla Toscana sei tornato a casa…

Ho cercato ci mantenere salde le mie radici nel Vicentino e enl 2018 ho finalmente aperto la mia piccola azienda agricola per produrre vino “come piace a me”: ho ristrutturato la cantina di uno storico produttore della zona, Ermido Piva, e con una adeguata selezione ho espiantatato viti compromesse per ripiantarne di nuove. In totale sono quasi 3 ettari suddivisi in cinque piccoli appezzamenti, 1 ettaro di bosco, olivi e alberi da frutto. I vitigni coltivati sono Tai Rosso, Merlot, Cabernet Franc e Sauvignon, Carmenére, Garganega, Pinot bianco, Tai Bianco e Malvasia Istriana

Come definisci il tuo modo di coltivare le vigne?

Io penso che la bontà del vino sia proporzionale a quanto bene si coltiva la propria terra. Ogni giorno sono presente nei miei vigneti, sono vicino alle viti. Coltivo il vigneti intervenendo il meno possibile, rispettando la vitalità del suolo, delle piante e delle persone che ci lavorano. Ho la fortuna di avere la cantina accanto ai vigneti pertanto riesco quotidianamente a procedere con le buone pratiche di un vignaiolo di terra e non di computer. Sono e rimango un artigiano del vino.

Non utilizziamo prodotti chimici, limitiamo i trattamenti e i passaggi con il trattore, la vendemmia avviene manualmente. In cantina operiamo un’accurata selezione delle uve, le fermentazioni avvengono con lieviti indigeni, senza controllo della temperatura. I solfiti sono utilizzati solo se necessario e in quantità minime. Mi definisco quindi un artigiano del vino

Che vini produci?

Per ora realizzo tre vini: Nina, dedicata a mia figlia, realizzato con uve 50% Garganega e 50% Pinot bianco in 2600 bottiglie; Sessantaquattro è una Doc Tai Rosso di 12.5% realizzato da vecchie vigne piantate nel 1964, con le bucce a contatto 21 giorni; Campetti, Colli Berici DOC Rosso di 13% è un Taglio bordolese realizzato con uve 60% Cabernet Sauvignon e Franc in uvaggio, 30% Merlot, 10% Tai rosso. E’ solo l’inizio di un progetto che spero acquisisca sempre più corpo, proprio come un buon vino identitario del nostro territorio.

Il punto di vista di Dario Loison

Conosco Davide Xodo da diversi anni e ultimamente ci siamo rivisti in occasione di una manifestazione enologica dove ci siamo confrontati con un mio panettone e i suoi vini. Davide è un ragazzo combattivo che sin da giovane ha fortemente creduto in un obiettivo. Ricordo che una volta, presso un’enoteca dove entrambi siamo clienti, gli ho lasciato una bottiglia “sospesa” con un messaggio a perseguire nel suo scopo, incoraggiandolo a cercare una cantina dei miei sogni. E la sua perseveranza l’ha premiato realizzando finalmente il suo sogno.

Info

www.davidexodo.it

Tel +39 349 1015132

[email protected]

L’articolo Davide Xodo, l’artigiano del vino: Nina, Sessantaquattro e Campetti proviene da L’altra Vicenza.

“Arte culi ‘n aria”, nel libro biografia di Umberto Riva c’è anche la ricetta n. 3: la “putana”, attenti alle parole!

Lettore di "Arte culi 'n aria", ricette e biografia di Umberto Riva
Lettore di “Arte culi ‘n aria”, ricette e biografia di Umberto Riva

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (la prima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 30 giugno 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)


Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (la “putana”) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.

Onta e bisonta, soto tera sconta, bona da magnare, cativa da indovinare
E’ fatta con “i sosoli”, per cui era “onta e bisonta”, viene cotta, meglio, portata a fine cottura sotto braci e cenere, per cui e’ “soto tera sconta”, “bona da magnare” e su questo alcun dubbio, “cativa da indovinare”, il suo nome è “Putana”.
Dolce autunnale ed invernale. Scoppia di calorie. Una bomba energetica. Catalogabile fra i prodotti dopanti.

Per gli ingredienti esistono più versioni. Sono dolci ottenuti anche con avanzi di cucina, così come la cottura non è da tutti perseguita in ugual modo. A me, piace cosi’: pane raffermo e farina gialla, fichi secchi (o che si sono seccati), noci, eventuale altra frutta secca, ma a tutta quella frutta si potrebbe rinunciare davanti a ” ‘na sbranca’ de grani de ua frambua pasia in granaro”. Irrinunciabile ” ‘na cuketa de graspa”.

Umberto Riva
Umberto Riva28

Come condimento “i sosoli” detti anche “cicioli” od altro, che sono i resti della colata dei grassi del maiale quando si produce lo strutto. Sono eccezionali se croccanti e sono buoni per fare mille altre cose, tipo i “radeci in tecia”. Buoni anche cosi’ al naturale, con un “bon goto de nero”.

Come si faceva? Un paiolo per la polenta. Si fa cuocere la polenta per il tempo necessario a che il pane raffermo messo in ammollo, assorbisse il latte, se disponibile, altrimenti acqua. Quanto la polenta sara’ quasi a cottura, si aggiunge il pane raffermo ammollato, la frutta, “i sosoli”, un po’ di sale, e qualche po’ di zucchero se la frutta secca e la “sultatina domestica” non fossero sufficienti per addolcire la torta, alla fine, solo alla fine, aggiungere la graspa.

A cottura ultimata il tutto verrà versato in un tegame munito di coperchio di ferro più largo del tegame. Sul focolare ci saranno le braci quasi spente dalla cenere, e sotto queste braci e questa cenere sarà sepolta “sconta”, la tortiera con il suo delizioso contenuto. Capito perché il coperchio dovrà essere piu’ largo del tegame?
Quando sarà cotta? Quando le braci saranno spente e cominceranno a raffreddarsi.
La puttana, fredda è buona, tepida è favolosa.
Torta “da puareti fata pai siori”.
La versione “pai siori” prevede: grappa prime uve e una nevicata di zucchero a velo.

N.d.r. In mancanza del focolare, si può usare il forno, è sempre buona anzi buonissima, ma non deliziosa.

Mongolia al centro della serata CAI Vicenza: nei racconti di Alfredo Savino

Sarà dedicata alla Mongolia la serata culturale che il Club Alpino Italiano sezione di Vicenza propone insieme ad ARAI, Associazione Ricreativa Ancora Insieme, martedì 28 febbraio alle 21 nella sala consiliare della circoscrizione 4, in via Turra 69 a Vicenza.

A raccontare gli splendidi e immensi paesaggi mongoli sarà Alfredo Savino, milanese che dal 2007 vive ad Ulaanbaatar, una scelta maturata dopo anni di ricerca, studio e viaggi. Docente di lingua italiana all’Università Nazionale della Mongolia, primo Console onorario in Mongolia, fondatore della cooperativa Sain Sanaa (buona idea), con la quale organizza viaggi, Savino è stato testimone dei cambiamenti che quel Paese dalle immense risorse naturali ha vissuto, dall’abbandono del socialismo fino alla complessa transizione nel mondo moderno.

Proiettando immagini dei differenti territori, dalla taiga ai laghi, dalle foreste di conifere alla catena dei monti Altai, fino alle dune di sabbia del deserto del Gobi e delle gher, le tradizionali tende circolari dei nomadi, Savino racconterà la sua esperienza di vita e le esplorazioni nel Paese dell’eterno cielo azzurro, il nome con cui gli sciamani onorano il senso del divino. Illustrerà quindi i suoi prossimi progetti, sia di viaggio che di sostegno, alla scoperta dell’antica cultura mongola.

L’appuntamento, a ingresso libero, è per martedì 28 febbraio alle 21 nella sala consiliare della circoscrizione 4, in via Turra 69 a Vicenza.

“Arte culi ‘n aria”, la seconda delle ricette di Umberto Riva dal suo libro: “Regaje, no le xera robe da siori, ma gnanca da pori cani”

Umberto Riva
Umberto Riva

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (la prima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 30 giugno 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.


Nella famosa “botega” del signor Francesco, macellaio e pollivendolo, proprio di fronte alla chiesa di San Marco, niente si buttava. In una terrinetta in terra rossa smaltata bianca con fiorellini, finivano le interiora dei polli quando li “curava”.

Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

Erano li’ per i clienti. Chissa’ se le vendeva o se le regalava. I destinatari erano sempre frutto di sue scelte e le scelte erano frutto di ragionamenti tutti suoi. Importante era che c’era sempre qualcuno che ne usufruiva. La misura era una presa fatta con la punta delle dita della mano sinistra, che ne definiva anche la quantita’. Le “inscartosava” in carta oleata e le infilava nel cartoccio della spesa fatto sempre di carta oleata e un foglio di carta paglia, quella ricavata dalla paglia del frumento, gialla.

Allora nei negozi alimentari esistevano varie carte: quella bianca detta fioretto come soprainvolto per i formaggi, quella grigio celeste per lo zucchero e le farine, quella azzurra per la pasta come quella che usava la Garofalo per confezionare gli spaghetti di Napoli. C’erano poi i giornali vecchi, particolarmente per la verdura (quando portavi i giornali vecchi alla fruttivendola, ti dava sempre qualcosa).

Le famose interiora, una volta a casa, venivano lavate una prima volta, poi aperte per il lungo e raschiate col dorso del coltello per eliminare ogni tipo di sporco, alla fine venivano messe a bagno e rilavate. Mischiate a volte con il fegato del pollo, quando ti capitava, tagliuzzate, finivano in un tegamino di ferro smaltato con cipolla trita ed un po’ di condimento, “profumo de bon”.

Si faceva il risotto “riso co ‘e regaje” oppure risotto con le ‘ratatuie’ per il francesismo di quelli dal linguaggio raffinato. Con quella spruzzatina di vino, “va da ‘a siora Catina se par piasere ‘a te da’ mezo bicere de vin bianco“, ne veniva un risotto gustoso e nutriente. Un piatto domenicale.

Le regalie andavano anche con le tagliatelle in brodo dove i fegativi erano d’obbligo, “le taiadee co i figadini“. Quel piatto, “’e tajadee co i figadini”, servito alle dodici e trenta proprio alla domenica al rientro dalla messa in San Lorenzo delle ore 11,30, dopo la predica del frate, novello fra Cristoforo, che dal pulpito tuonava spiegando quale fosse il mondo del buoni e quello dei cattivi, indicava la giusta via per la salvezza dell’anima, chiedeva pace e bonta’. E quando alla fine, l’organo, forte di tutte le sue canne, frantumava il silenzio, iniziava il rito del pasto domenicale.

“Tajadee in brodo co i figadini” o senza se non c’erano, “un quartin de gaina, un tocheto de manzo e tanti osi da rosegare” per quattro persone. Era domenica, il giorno della carne.

Erano quattro persone felici; felici per la messa, per la predica, per la suonata dell’organo e per il ricco pasto.

“No le xera robe da siori, ma gnanca da pori cani”.

Sorsi e Morsi di Vicenza: il gusto del Sud Italia arriva a casa tua!

Emmanuele Stevanato è il patron di Sorsi e Morsi, un ristorante che nasce in uno dei borghi più caratteristici del cuore di Vicenza. La cucina, affidata allo chef Eugenio Burrafato, cattura il meglio del gusto e dei sapori del sud Italia.

Come nasce Sorsi e Morsi?

Avevo questo progetto in mente da un paio di anni. Quando ho visto un locale storico di Vicenza fermo da diverso tempo e lasciato andare (Russian Pub, ndr) in un angolo meraviglioso della città, me lo sono immaginato finito e ristrutturato. Ho presentato il mio progetto di ristrutturazione che è stato accolto con entusiasmo dalla proprietà dello stabile e dopo pochi mesi, a fine dicembre 2019, è nato Sorsi e Morsi.

Come è strutturato il ristorante?

Il locale dispone di 3 piani, una mansarda caratterizzata da un “tavolo dell’amicizia”, nel piano intermedio c’è la cucina e una saletta più intima che è molto apprezzata dai clienti, e poi il piano terra dove si svolge la classica attività di caffetteria e bar. Decori barocchi, tonalità di giallo e blu e ceramiche siciliane fanno da filo conduttore in uno stile rustico e moderno allo stesso tempo. Di prossima apertura il punto forte: una  terrazza esclusiva che dà sul fiume  Bacchiglione. Pochi locali a Vicenza possono vantare questa fortuna

Che tipo di cucina proponete?

sorsi e morsiL’impronta del Sud Italia caratterizza i nostri piatti che rispecchiano le influenze di Sicilia, Calabria, Puglia, Campania e Sardegna. Il nostro chef  Eugenio Burrafato, 31 anni originario di Ragusa con una lunga esperienza in diversi ristoranti, propone piatti classici del sud Italia con una sua interpretazione: dalla parmigiana napoletana alla caponata siciliana, dai finger food come gli arancini alle pizze più rinomate. Non mancano i dessert tipici come i cannoli siciliani o la pastiera napoletana.

Come state affrontando questo momento così difficile per la ristorazione?

Oltre alle procedure interne di massima sicurezza e sanificazione di alimenti, ambienti e personale,  non siamo stati con le mani in mano ma stiamo affrontando questa situazione di emergenza con le consegne a domicilio gratuite in tutta Vicenza. E’ sufficiente inviare la prenotazione con Whatsapp al n.  0444 1800080 e il menu culinario con i piatti del sud Italia arriverà comodamente a casa propria.

Proponete qualcosa di particolare per Pasqua?
Per la Pasqua abbiamo pensato ad uno speciale menu dedicato che sarà ordinabile già da questo weekend, con una dolce sorpresa firmata Loison!

Come scegliete i vostri fornitori?

Siamo creando collaborazioni molto interessanti con aziende artigiane selezionate con molta cura, come ad esempio l’antico birrificio Messina 1923, o per fare un altro esempio più vicino con Loison Pasticceri dal 1938. Entrambe hanno una storia intensa da raccontare e un prodotto realizzato artigianalmente che fa la differenza.

Il punto di vista di Dario Loison

Sorsi e Morsi è stato aperto da pochi mesi con una impronta manageriale rivoluzionaria dal punto di vista organizzativo (il locale in condizioni di ordinaria amministrazione è aperto 7 giorni su 7 dalle 7 del mattino alle 11 di sera, ndr) in relazione ad una complessa gestione del personale, in un locale distribuito su 3 piani.

Grande importanza è stata affidata alla formazione del personale, alla cura dell’immagine del locale, alla velocità di risposta alle richieste del cliente e una scelta di menu davvero interessante e differente a Vicenza

Consegna a domicilio gratuita a Vicenza
Ordini su WhatsApp 0444 1800080 dalle 10.00 e dalle 22.00

Orari consegne: 12.00-15.00 e 18.00-22,00
Consegna a domicilio gratuita a Vicenza Città con Ordine Minimo di € 12.00

Consegna a domicilio fuori città con minimo ordine €  25 e contributo per consegna di € 2.

Info

Sorsi e Morsi

Viale Giuseppe Mazzini – Vicenza

Tel: (+39) 0444 180 0080

WhatsApp 392 2429409

https://www.facebook.com/sorsiemorsivicenza/

https://www.instagram.com/sorsiemorsivicenza/

New Conversations Vicenza Jazz dal 10 al 20 maggio con oltre cento concerti

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Il festival New Conversations–Vicenza Jazz torna come ogni anno dal 1995 e rinnova l’appuntamento della città con il popolare genere musicale americano. Il calendario della nuova edizione, come sempre in maggio, inizia mercoledì 10 per concludersi sabato 20, un arco temporale di undici giorni in cui si sviluppa un vastissimo programma di eventi, non solo concerti, che saranno ospitati da teatri, locali pubblici, antichi palazzi, chiese, musei, cinema, librerie della città, che caratterizza Vicenza Jazz come festival diffuso sul territorio.

L’edizione 2023 è stata presentata in una conferenza stampa che si è tenuta in Sala Stucchi di Palazzo Trissino-Baston, sede del Comune di Vicenza, con la partecipazione del sindaco Francesco Rucco e dell’assessore alla cultura Simona Siotto, del direttore artistico Riccardo Brazzale, della vicesegretaria del Teatro Comunale Marianna Giollo e di Luca Trivellato, fondatore e coproduttore del festival oltre che vicepresidente dell’Orchestra Teatro Olimpico e consigliere della Società del Quartetto.

La squadra che organizza Vicenza Jazz è stata completamente confermata: il Comune è il promotore in collaborazione con la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Trivellato Mercedes Benz è coproduttore oltre che sponsor, al maestro Brazzale (storico fondatore del festival) è affidata la direzione artistica. Sponsor principale è il Gruppo Agsm Aim e Acqua Recoaro quello tecnico.

Quest’anno Vicenza Jazz ha come tema principale la donna e, infatti, l’edizione 2023 ha come titolo “The other side, l’altra metà del jazz”. Sarà, quindi un omaggio al mondo femminile di questo genere, con la presenza di importanti artiste italiane e straniere, soprattutto delle ultime generazioni, come le americane Nicole Mitchell, Myra Melford e Rachel Eckrotht, la pianista greca Tania Giannouli, le francesi Anne Paceo e Joelle Leandre, molte musiciste e interpreti italiane a iniziare da Zoe Pia.

Nel programma che comprende oltre cento concerti non mancheranno anche grandi presenze maschili: Abdullah Ibrahim, Jan Garbarek in quartetto con Trilok Gurtu, Marc Ribot, Donny McCaslin e Hamid Drake, il quartetto di Fabrizio Bosso e Rosario Giuliani, il duo di Danilo Rea e Michel Godard.

Ci sarà un’anteprima di New Conversation, il 30 aprile, in occasione della Giornata internazionale Unesco del jazz: al Teatro Comunale di Thiene andrà in scena un prologo musicale e teatrale dedicato a Pier Paolo Pasolini con la Lydian Sound Orchestra e le voci narranti Anna Zago e Paolo Rozzi.

Il primo appuntamento al femminile è in calendario lunedì 15 maggio alle 21 nel Ridotto del Teatro Comunale, dove si esibiranno prima la pianista Tania Giannouli e, a seguire, la batterista e vocalist Anne Paceo, entrambe accompagnate dalle proprie band.

Martedì 16, sempre alle 21 ma nella sala maggiore del TCVI, ci sarà il concerto del sassofonista norvegese Jan Garbarek e del suo quartetto. Il giorno dopo, al Teatro Olimpico, due concerti: “La finestra di Puccini” del duo Michel Godard & Danilo Rea e lo show del Tiger Trio con Nicole Mitchell, Joelle Leandre e Myra Melford.

Di nuovo al Ridotto del Comunale, giovedì 18 alle 21, l’esibizione del Donny McCaslin Quartet e il concerto “The connection” della band di Fabrizio Bosso e Rosario Giuliani.

Il 19 è ancora il Teatro Olimpico a ospitare il concerto di Zoe Pia, Cettina Donato e del pianista Abdullah Ibrahim.

Gran finale di Vicenza Jazz nel week end 20-21 maggio. Sabato suoneranno nel Ridotto del TCVI prima la tastierista e vocalist Rachel Eckroth con la sua band e poi il gruppo del batterista Hamid Drake con il “Tribute to Alice Coltrane”. Conclusione domenica 21 alle 20,30 al Teatro Olimpico con lo spettacolo “Seasons and mid-seasons” del violinista Sonig Tchakerian e del sassofonista Pietro Tonolo, accompagnati dall’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta.

Luigi Da Porto, il vicentino che diede vita a Romeo e Giulietta

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Abbiamo da poco celebrato la festa dell’amore, San Valentino: quale occasione migliore per scoprire di più sui due innamorati più famosi di tutti i tempi? Stiamo parlando della tragica storia d’amore di Romeo e Giulietta, conosciuta in tutto il mondo grazie alla tragedia del drammaturgo inglese William Shakespeare. Non tutti sanno, però, che la storia dei due sfortunati amanti veronesi nasce dalla mente di un vicentino, Luigi Da Porto.

Luigi Da Porto, il “papà” di Romeo e Giulietta

Da dove viene dunque questa novella, che tanta fortuna ebbe tra i contemporanei e altrettanta ne continua ad avere dopo cinque secoli? Luigi Da Porto la scrisse nella sua splendida villa di Montorso Vicentino, ma non la vide mai pubblicata. Fu solo nel 1531, due anni dopo la sua morte, che la Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, questo il titolo originale, vide la luce nel completo anonimato del suo autore.

Bacio Romeo e Giulietta Luigi da Porto
Francesco Hayez, L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta

Non è chiaro quanto ci sia di autobiografico nella storia e quanto sia materiale mutuato dalla tradizione. In particolare, il modello sarebbe stata la novella Mariotto e Giannozza di Masuccio Salernitano, la storia senza lieto fine di due amanti senesi. Sappiamo di per certo, però, che Da Porto si trovò a vivere un amore impossibile per sua cugina Lucina Sarvognan, appartenente a un ramo rivale della famiglia materna.

La fortuna dell’opera

Come fece la storia di Giulietta a giungere fino a Shakespeare, al di là della Manica? Sembra che il filo che collega il nostro vicentino al bardo inglese sia la novellizzazione di Matteo Bandello. Questa versione dell’opera fu tradotta in inglese e in francese, espandendo la sua fama oltre le Alpi e quindi ancora più a nord.

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Lapide commemorativa di Luigi Da Porto a Vicenza (foto: Wikimedia Commons)

La tragedia dell’amore impossibile dei due giovanissimi amanti ha ispirato secoli e secoli di produzione artistica: letteratura, teatro, musica, ma anche pittura e scultura. E a raccontarla per la prima volta è stato un vicentino.

La chiesa di San Rocco dall’architettura rinascimentale nacque per proteggere gli appestati

Sorge sotto le mura di San Rocco, nel cuore di Vicenza, la chiesa omonima. L’edificio è rinascimentale ed è nato per pregare San Rocco, protettore degli appestati. Già la Madonna di Monte Berico, patrona di Vicenza, concesse le sua grazie durante la peste del Seicento. E anche questa chiesa è legata ai tanti episodi di peste del passato. Mentre la chiesa di San Lorenzo fu la sede dei frati francescani, la chiesa di san Rocco, con l’annesso convento ospitò prima i Canonici regolari di San Giorgio in Alga, poi XVII secolo le Carmelitane “teresine”, quindi dai primi dell’Ottocento un brefotrofio.

La storia

Quasi addossata alle mura scaligere di Contrà San Rocco, la chiesa fu iniziata nel 1485 a seguito di una deliberazione del consiglio comunale, probabilmente per un voto cittadino collegato a uno dei tanti episodi di peste, nel luogo in cui già sorgeva un oratorio o un’edicola sacra dedicata a san Rocco, protettore degli appestati. La costruzione poté contare, oltre che su di un primo finanziamento di 100 ducati erogati dal Comune, anche sulle multe inflitte ai macellai che trasgredivano le norme sanitarie e sulle offerte o i lasciti testamentari di privati cittadini.

San Rocco
San Rocco è il protettore delle malattie infettive. Foto: https://www.vaticano.com/san-rocco/

Quasi contemporaneamente alla chiesa si iniziò a costruire anche l’annesso monastero, dove nel 1486 si costituì una comunità di Canonici regolari di San Giorgio in Alga, per la maggior parte trasferiti dall’abbazia di Sant’Agostino. Qui risiedettero fino al 1668. Ai Canonici subentrarono nel dicembre 1670 le Carmelitane “calzate” di San Zaccaria di Venezia, dette le Teresine, che avevano acquistato all’asta il monastero con le due pertinenze. Nel secondo dopoguerra, l’ormai ex monastero divenne sede di varie attività socio-culturali, tra cui l’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, il Centro studi sull’impresa e sul patrimonio industriale, il Centro Servizi per il Volontariato, la comunità terapeutica “San Gaetano”. Nel 2014 l’ex convento è stato ceduto dal Comune alla Fondazione Cariverona ed è in corso di ristrutturazione per realizzarne servizi, appartamenti e uffici.

La facciata

Vista da fuori la chiesa si presenta sormontata da un frontone triangolare e divisa verticalmente da quattro lesene decorate con patere in marmo rosso. La facciata ha due alte finestre centinate ai lati, ognuna tra due lesene, e un piccolo rosone. Il portale quattrocentesco ospita una porta in legno settecentesca. La facciata attuale risale agli anni 1530. Mentre la torre campanaria, completata dopo il 1525, è in laterizi a vista come il fianco della chiesa.

chiesa san rocco
La facciata della chiesa di San Rocco

L’interno

Nella chiesa c’è una navata unica. L’unica cappella, dedicata alle anime del Purgatorio, si apre sulla parete destra della navata. L’interno della chiesa è caratterizzato da un grande matroneo, un coro sopraelevato utilizzato dai Canonici durante le funzioni. Il matroneo, dal lato dell’ingresso, è riccamente decorato con affreschi e ha al centro un crocifisso ligneo della prima metà del Quattrocento, con un dipinto sullo sfondo raffigurante san Giovanni e la Vergine Maria, di autore ignoto ma collocabile tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento.

Il matroneo
Il matroneo dalla parte dell’ingresso. Foto: fonte wikipedia

“Gilgamesh. L’epopea di colui che tutto vide”, Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Giovanni Calcagno al Teatro Comunale di Vicenza

“Gilgamesh. L’epopea di colui che tutto vide” protagonisti Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Giovanni Calcagno, al teatro comunale di Vicenza.

Ispirata al più antico poema conosciuto, di origine babilonese, un percorso sui misteri della conoscenza, della sapienza e sulla ricerca della felicità, in programma in Sala Maggiore sabato 18 e domenica 19 febbraio alle 20.45, nella prima tappa veneta della tournée.

Prima dello spettacolo, come di consuetudine per la Prosa al Comunale con i titoli in doppia data, si svolgerà l’Incontro a Teatro, condotto da Antonio Stefani, giornalista, scrittore e critico teatrale de Il Giornale di Vicenza: sabato 18 e domenica 19 febbraio alle 20.00 al Ridotto, Antonio Stefani dialogherà con Giovanni Calcagno, autore del testo, regista e interprete dell’affascinante narrazione. Insieme proveranno a raccontare i grandi temi che attraversano Gilgamesh, il più antico poema del mondo, come la vita, la morte, la guerra, a riprova che il palcoscenico può essere il luogo dove la storia, anche la più antica, può dialogare con il presente.

“Gilgamesh. L’epopea di colui che tutto vide” regia di Giovanni Calcagno, composizioni video di Alessandra Pescetta, musiche originali di Andrea Rocca, disegno luci di Vincenzo Bonaffini, realizzato con la consulenza scientifica di Luca Peyronel, una produzione ERT Emilia Romagna Teatro / Teatro Nazionale, propone una narrazione integrale dell’epopea di Gilgamesh. Il testo curato da Calcagno, in libreria in questi giorni per le edizioni Mesogea, è in versi liberi, ispirato dal lavoro di traduzione e di interpretazione di grandi assirologi; ricuce i frammenti dell’opera pervenutici dalla versione classica babilonese e gli altri frammenti di epoche precedenti e successive, con l’obiettivo di dare al racconto e quindi a chi lo ascolta, da una parte un senso di completezza dell’arco narrativo e dall’altra la possibilità di una facile comprensione di eventi radicati dentro una cultura a volte molto distante dalla nostra. In scena la ripartizione del testo del poema in sei parti favorirà l’avvicendarsi dei narratori e verrà scandita dalla proiezione delle composizioni video di Alessandra Pescetta: Calcagno interpreta il narratore saggio, che trasmette sapere, tradizioni, insegnamenti; Pirrotta è invece il narratore popolare, con molti riferimenti al cunto siciliano di cui è uno dei massimi interpreti, riallacciandosi alla tradizione orale del poema e di tutta l’epica delle origini; Lo Cascio è invece l’archeologo che trova i testi, li “scrosta dalla polvere del tempo” e li traduce, ma essendo in versi, tenta di restituirne la poesia.

La storia: circa due secoli fa, negli scavi della biblioteca di Assurbanipal a Ninive, gli archeologi portarono alla luce una serie di tavolette. Quando fu decifrata la scrittura cuneiforme, rivelarono il titolo di un poema, ovvero di colui che vide le profondità e le fondamenta della terra, “Gilgamesh”. La vicenda è quella di un giovane re che, dopo aver sperimentato il dolore per la morte del suo migliore amico, lascia il trono per andare alla ricerca del segreto della vita eterna. Alla fine del suo peregrinare, dopo aver interrogato l’unico uomo sopravvissuto al Diluvio, torna in patria con la certezza che il destino dell’uomo è quello di essere mortale. II viaggio di Gilgamesh ai confini del mondo, da un punto di vista eroico, è un completo fallimento, ma la sua sconfitta diventa un nuovo punto di comprensione delle cose della vita. 

Sul palcoscenico il trio di questi grandi nomi del teatro e amici nella vita fa rivivere “Gilgameshil più antico poema epico della storia, perché, come ci dice Calcagno, “questa sua esperienza di una visione nuova, quanto mai fresca e necessaria per noi oggi, ci chiede di essere trasmessa e raccontata. Convinti dunque che il testo dell’epopea sia uno spartito da suonare ad alta voce, eccoci pronti a ‘togliere la polvere’ da uno dei più grandi tesori della letteratura di tutti i tempi”.