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Villa Chiericati – Ghislanzoni del Barco – Curti a Bertesina

Bertesina, località a qualche chilometro dal capoluogo, vanta nel suo territorio la presenza di villa Chiericati – Ghislanzoni del Barco – Curti, le cui prime notizie risalgono al 1502, riportate da Marco Antonio Sabellico nel suo Crater vicentinus, dove accenna – forse con eccessiva generosità – a «doviziosi ostel» qui posseduti dai Chiericati. Nel 1560 Valerio, figlio di quel Girolamo che una decina d’anni prima aveva commissionato a Palladio l’omonimo palazzo in città, cedette la possessione ai Ghislanzoni, detti anche «Gislanzoni», che poi nel 1864, a loro volta, la trasferirono alla famiglia Curti, attuale proprietaria.

I Ghislanzoni fuggirono da Milano all’epoca della lotta fra i Visconti e i Della Torre e si rifugiarono a Barco, località presso Lecco, che aggiunsero al cognome. Un ramo della famiglia rimase lì radicato. Ne fu esponente di spicco Antonio (1824-1893), poeta e scrittore, noto, soprattutto, per aver composto, nel 1872, il libretto dell’Aida di Giuseppe Verdi, col quale collaborò anche alla revisione della Forza del destino e del Don Carlos.

Un altro ramo, invece, si trasferì a Venezia, da dove iniziò la marcia di avvicinamento a Vicenza. Primo passo fu proprio l’acquisto della possessione di Bertesina. Fu solamente intorno alla metà dell’Ottocento che i Ghislanzoni divennero vicentini a tutti gli effetti, allorché ereditarono dalla famiglia Braschi alcune case in corso Palladio-angolo corso Fogazzaro, che provvidero a riedificare su disegni di Giovanni Miglioranza (1798-1861). Ulteriori prove della loro acquisita vicentinità sono la cappella n. 97, intestata alla famiglia Gislanzoni-Brasco, presso il Cimitero maggiore, e il terzo banco di sinistra nella chiesa di San Lorenzo, che riporta, quale offerente, il nome 

del «Nob. Filippo Gislanzoni Brasco», con la morte del quale, l’11 ottobre 1878, la famiglia si estinse. Per quanto riguarda l’aspetto architettonico, vari interventi hanno interessato la villa, risultato di accorpamenti e trasformazioni di edifici preesistenti. L’ultimo e più radicale ha interessato il prospetto principale, promosso dai fratelli Bernardo, Filippo e Francesco Ghislanzoni, figli di Nicola, conclusosi nel 1764, come attesta l’iscrizione in facciata.

Non documentato il nome dell’architetto-artefice: la critica (Cevese 1971 e 1980) lo ha individuato nel multiforme ingegno del bassanese Antonio Gaidon (1738-1829). Un personaggio che fu sì architetto, ma anche naturalista dilettante, studioso e precursore della moderna geologia, interessato alla meccanica e alle costruzioni in generale. Un tipico rappresentante, insomma, dell’imperante clima illuminista, una figura tutt’altro che di secondo piano, recentemente messa a fuoco e rivalutata (Brotto Pastega 2010).

Villa Chiericati

La facciata si apre su un’ampia corte, delimitata a sud-ovest dal prospetto di un edificio sviluppato a L, scandito da semicolonne tuscaniche, e da un lungo muro di cinta, alleggerito da una ringhiera a stanti verticali. Il settore centrale presenta, al piano terra, un portico dorico a tre intercolumni. Un robusto marcapiano sottolinea il passaggio ai registri superiori, in ciascuno dei quali sono collocate tre finestre, in asse con i sottostanti vuoti, con sovrapposti frontoncini alternativamente triangolari e curvilinei.

Conclude il prospetto uno svettante frontone, coronato da statue, nel cui timpano campeggia lo stemma Ghislanzoni. Nei corpi laterali del piano terra, a fianco di due finestre architravate, si aprono altrettanti ampi e robusti archi a tutto sesto, a cornice bugnata di alterna lunghezza e teste manieriste in chiave di volta, intersecanti il marcapiano.

A riprova che l’intervento settecentesco è stato condizionato da preesistenze, l’architetto, per imprimere alla facciata una simmetria inconciliabile con la irregolarità della pianta, è stato costretto ad accecare l’arco di destra per non sacrificare la stanza nell’angolo sud est. La sommità del fianco occidentale si caratterizza per la singolare loggetta, ritmata da colonnine di ordine tuscanico, fra le quali si inserisce una balaustra a pilastrini cinquecenteschi, probabilmente recupero di prece-ente struttura.

A lati del corpo della villa si sviluppa, ad occidente, una lunga barchessa con portico a colonne tuscaniche, che alla estremità ripiega verso sud e separa il complesso dal paese. Struttura quasi certamente costruita dai Ghislanzoni: lo attestano due loro stemmi, uno scolpito nell’architrave di una porta che si apre nella barchessa con l’anno 1570 (probabile fine lavori), l’altro, collocato all’esterno, nel timpano del frontone che conclude il manufatto a ovest. A est, a far da pendant, si sviluppa una serra, realizzata a fine Ottocento dalla famiglia Curti.

Originali sia i serramenti e sia le porte: ma quello che è straordinario è il ficus repens che avvolge completamente le pareti, formando una sorta di galleria. È ancora quello piantato a fine Ottocento e si sviluppa da un unico ceppo: una vera meraviglia vegetale, conservatasi grazie alla cura e all’amore dei proprietari. Gioiello botanico è anche la ultracentenaria magnolia che sta di fronte, messa a dimora nel 1890, in occasione delle nozze di Domenico Curti, acquirente della villa nel 1864, con Lucia Giaconi Bonaguro.

L’edificio è circondato da un parco di quattro ettari, nel quale si ergono querce, magnolie, cedri del Libano e un viale di carpini già presente in mappe napoleoniche. Sarà anch’esso orchestrazione del ricordato Antonio Gaidon in veste di botanico-naturalista? E nel parco avevano i loro furtivi incontri d’amore Ausonia Curti e Giuseppe Tonini – propiziati dalla fedele governate Pina – la cui vicenda è contenuta in un ricco epistolario, pubblicato alcuni anni orsono. Nettamente staccata, la colombara – anch’essa frutto dell’intervento conclusosi nel 1764 – che si caratterizza per il motivo delle due lesene a fianco dell’arco. 

Ricca la statuaria, attribuita alla mano di Giovanni Battista Bendazzoli (Verona 1739-Thiene 1812), artista ancora ligio ai canoni barocchi e rococò ed eseguita in occasione dell’intervento conclusosi nel 1764. Tratto dalla mitologia il repertorio: le statue di Ercole e Onfale accolgono il visitatore all’attuale ingresso, mentre nell’altro, ora in disuso, si ammirano quelle di Minerva e Mercurio. Di fronte alla facciata si dispongono, invece, le statue della Primavera, dell’Estate, dell’Autunno e dell’Inverno. All’interno è custodito uno straordinario Cristo in pietà, scultura tardo-quattrocentesca, capolavoro che, per la verità, nulla c’entra con la villa.

Proviene, infatti, dalla chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Sovizzo basso, risalente all’ultimo quarto del Trecento, sciaguratamente abbattuta tra il 1938 e il 1940 per essere sostituta dall’attuale, eretta dalle fondamenta in forme neoromaniche su progetto dell’ingegner Fontana. Giovanni Curti, proprietario di villa Sale Mocenigo, posta proprio di fronte alla chiesa, per salvare il manufatto da sicura dispersione, lo trasportò nell’atrio di palazzo Curti sul Corso, da dove poi è stato qui trasferito alcuni anni or sono, dopo accurato restauro, che ha permesso di recuperare parte della policromia originale.

La scultura è riferibile alla bottega dei lapicidi cognati Tommaso da Lugano e Bernardino da Como, impegnati in quegli anni, come altri conterranei lombardi e ticinesi, in cantieri vicentini e comunque a mano di artista «aggiornato indubbiamente sul nuovo clima rinascimentale» (Barbieri 1961) oramai alle porte. Si tratta di un tabernacolo o ciborio, come si evince dall’iscrizione HVMANI GENERIS REDEMPTOR, [Redentore del genere umano] che campeggia sulla porticina metallica della custodia eucaristica, fiancheggiata dalle figure di san Sebastiano e di san Rocco, protettori contro il flagello della peste. Il Cristo affiora dal sepolcro, ove è calato sino ai fianchi, sorretto da due angeli dolenti. Evidente l’assonanza di questa scultura con lo scomparto centrale del cosiddetto Trittico Pojana nella chiesa di San Lorenzo a Vicenza, con la differenza che qui le figure sono colte frontalmente.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


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Eugenio Gramola, il “Genio del dazio” organizzazione di eventi

Eugenio Gramola per tutti era Genio del dazio. Era una persona gentile ed affabile dalle mille risorse. Aveva il compito di riscuotere le imposte (dazio) sulle merci vendute nel territorio comunale come pure sulle macellazioni dei suini delle quali vigeva l’obbligo di avviso.

Non si è mai saputo come facesse ma chi tentava a farla franca se lo trovava in corte con la bicicletta o col mitico motorino, con la borsa d’ordinanza in mano che non prevedeva niente di buono. Non era raro incontrare per strada in orari ben definiti, biciclette col birocio tacà, con na querta sora che lasciava trasparire la sagoma di una damigiana o di un “vesoeto” , un piccolo tino, e come accordi: vien tore el vin alle do o alle sette chel dassiaro le casa.

Genio l’era sempre sorridente ma non si capiva se era cordialità o presa in giro, aiutava all’anagrafe e andava per le case dove c’erano ragazzi a fine obbligo scolastico per offrire posti di lavoro. Ma dove Genio si esprimeva al meglio era nell’organizzazione di eventi: sagra, mostre, eventi sportivi, tombole, cerimonie e ricorrenze.

Famosa e partecipata era la corsa ciclistica del 4 novembre, denominata “il circuito degli assi”. Indimenticabile era pure il suo tono di voce quando presentava o faceva qualche discorso, un tono che ricordava i commentatori dei cinegiornali degli anni 30/40.

Eugenio Gramola nacque il 23 settembre del 1919 e ci ha lasciato a qualche giorno dal compimento dell’85º compleanno. Della sua infanzia non ne parlava, si sa solo che i suoi primi vent’anni li passò in un collegio a Chiampo fino al diploma di ginnasio.

Allo scoppio della guerra 1940/45 fu spedito in Jugoslavia; fu poi deportato nel campo di concentramento ai margini di Berlino. Fu liberato dai russi e ritornò a piedi a settembre. Dal 1947 al 1977 fu impiegato comunale in paese dove aveva anche il compito di riscuotere il dazio seppur non avendone titolo. Nel 1949 si sposò con Milena Perin. Dal 1954 fino alla sua scomparsa fu presidente della locale associazione nazionale combattenti e reduci.

Organizzava le attività del calcio Quinto, l’associazione ciclistica Pejo e la Sagra del 4 novembre. Faceva parte della filodrammatica del paese. Corrispondente del Gazzettino per la cronaca locale da metà anni 50 fino al 1985. Nel 1979 con il locale club bianco rosso di cui era socio fondatore, diede vita ad un comitato per aiutare le persone con disabilità. Nei primi anni 80 fondò e ne fu presidente la cooperativa “La concordia” riuscendo a portare a termine la costruzione di 35 villette a schiera in zona peep.

Ricevette la croce di ferro al merito per i danni avuti ai piedi (congelamento) e la gettò in un fossato. Non richiese mai la pensione per l’invalidità avuta. Fu insignito della carica di Cavaliere con medaglia d’oro al merito della Repubblica anche se non ne ha mai fatto vanto: “le robe le se fa con passion e col core, sensa spetarse gnente in drio” diceva.

Di Serse Rossi da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


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Sant’Agostino e l’immagine sbiadita che ricompare con la pioggia

Molti anni fa il professore di lettere mi assegnò il compito di descrivere una chiesa del territorio vicentino. Da Altavilla percorsi in bicicletta la Strada dei Boschi fino all’abbazia di Sant’Agostino che mi sembrava ideale come scelta. La guardai da lontano, dalle strade della Val d’Orsa e della Breganziola. Poi la raggiunsi, girai l’esterno, entrai e mi sedetti sull’ultimo banco della navata: guardavo e scrivevo.

Avrei bisogno adesso di quelle righe che chissà quali fresche interpretazioni e intuizioni contenevano. Ma già allora avevo capito che all’osservazione serve un grande silenzio. Sono tornato, tempo fa, in un giorno di pioggia battente, in quell’abbazia dal sapore rustico e contadino. Cosa mai mi poteva ancora raccontare questa chiesa che già ad altri non avesse detto.

Eppure c’è sempre qualcosa da ascoltare, altro da vedere. Perché noi siamo ancora storici dell’assenza e delle lacune, ma con grandi sforzi di metodo e sapienti sforzi di fantasia possiamo far parlare queste lacune. Uno dei compiti dei medievisti futuri è, sempre secondo Le Goff, quello di far parlare i silenzi attuali del Medioevo.

Questa chiesa campestre dallo schema a granaio sarebbe piaciuta ad Agostino. Come sarebbero risuonate bene le sue parole quando, commentando i Salmi, parlava di forza e di bellezza e in quale modo si debbano guardare le cose, convinto, anche lui, che il silenzio è l’espressione migliore, poiché le parole sono come le foglie.

Diceva: Non giova tenere gli occhi aperti se uno si trova al buio, così nulla giova stare alla luce se gli occhi sono chiusi. Nella vasta campagna, dove l’abbazia sorgeva isolata e libera fino a cinquanta anni fa, guardare l’alba arrivare sul profilo dei colli e pensare, con Agostino, che “Noi qui abbiamo il giorno che non hanno gli infedeli, ma i fedeli non hanno ancora il giorno che hanno gli angeli.”

L’abbazia è un edificio semplice, costruito dove un tempo, le paludi ricoprivano tutto. Richiamo per la fede e la spiritualità immerso nel verde del paesaggio umano incontaminato, si rivolgeva agli uomini e alle donne inducendoli a fermarsi, di tanto in tanto durante il lavoro nei campi, per rendere grazie a Dio e ai suoi Santi.

Proprio come diceva sant’Agostino commentando i Salmi: “Mietendo, raccogliendo l’uva e in ogni altro lavoro cui si dedicavano, essi iniziano a mostrare la loro letizia con parole, ma ben presto diventano talmente gioiosi da abbandonare le sillabe ed elevare un canto di gioia senza parole.”

Come un astro doveva apparire la badia ai confratelli di fra Giacomo di ser Cado e poi ai canonici di San Giorgio in Alga e ai fratelli mendicanti e a tutti i pellegrini di passaggio nella Vicenza medievale. E tale appare anche ai nostri giorni, pur privata del monastero e dei portici crollati, e con le nuove costruzioni prossime all’incompiuto esterno segnato dal tempo. All’interno invece l’abbazia è un gioiello d’arte trecentesca con affreschi ringiovaniti dai restauri. In quel giorno di pioggia che imperversava spietata sulla facciata, stavo di nuovo seduto sull’ultimo banco della navata, come tanti anni prima, e guardavo gli affreschi alti sulla parete di sinistra.

La figura ieratica con tiara, bastone pastorale, un libro in mano e la casula bordata di nero riconduceva al vescovo Agostino. Sono tante le cose che navigano nella mente e nell’anima in certi momenti quando hai quasi paura che il misticismo t’invada. Prima che m’invadesse, sono uscito. Spioveva già, il sole colpiva di lato l’abbazia.

La pioggia, caduta di traverso, aveva imbevuto l’antico intonaco dentro le nicchie alte sulla facciata, cosicché il profilo disegnato di dimenticati affreschi risaltava sul fondo bagnato. Gli stinti affreschi, dilavati e con quella luce, dovevano averli guardati altri e qualcosa aver visto, ma senza indagare e percepire un messaggio preciso. In particolare, nella nicchia di destra, mi apparve un’immagine graffiata nell’intonaco. Ed era come se l’affresco del santo vescovo appena ammirato sulla parete di sinistra della navata si fosse trasferito lassù. Riconoscevo la tiara e il pastorale, il rettangolo del libro, il profilo e la bordatura della casula.

Sant'Agostino
Marcatura della sbiaditissima sinopia della nicchia di destra e l’abbazia allo stato attuale

Ero andato, in quel momento, di là della superficie delle cose, come altri, molti anni prima che scrissero: «.. nelle tre nicchie della parte superiore dovevano essere affreschi, di cui ora rimangono solo sbiaditissime tracce.» Ancora più precisi: «La chiesa era affrescata anche all’esterno. Sono appena visibili tre Santi nelle nicchie della facciata.» E ancora: «Sopra si apre un rosone con vetri rotondi legati a piombo, tra finestre chiuse, oblunghe e centinate, un tempo dipinte con figure di Santi».

Il Santo autore delle Confessioni era lì da secoli, ma nello sbiadire del tempo non era stato riconosciuto. Qualcuno aveva riportato la notizia della presenza di figure di santi ma nessuno aveva indagato fino alla lettura delle immagini. Magari solo cinquanta anni fa le sinopie, o il rossaccio come le chiama il Vasari, permettevano una lettura migliore, magari duravano ancora schegge di colore sull’arriccio di fondo.

Adesso rimane solo la sospensione delle cose e la speranza di qualche annotazione in un antico documento d’archivio che ridipinga le sbiaditissime nicchie. La fulgente immagine che per secoli aveva accolto i fedeli, oggi è ancora affacciata, pur misteriosa, al suo posto nell’attesa di accompagnarci, con lo sguardo, nella Casa di Dio.

L’ipotesi è che l’affresco che si ammira all’interno sia stato riprodotto all’esterno dell’abbazia. Poi, nel tempo, sole e pioggia, nebbie e incuria hanno lavorato fino alla distruzione. Gli affreschi esterni, in sostanza, seguirono l’abbandono dell’intero complesso che, dopo il crollo del convento nel 1828, entrò in progressiva fatiscenza fino a subire l’ordine di chiusura nel febbraio del 1899.

Nulla emerge, per ora, dal fondo dei secoli, per quanto riguarda la nicchia centrale, dove si potrebbe ipotizzare una presenza forte, di grado superiore ai santi, forse un Cristo, mentre nell’altra nicchia s’intravede il capo di una figura, forse quella della madre di Sant’Agostino, Santa Monica, o di Santa Giulia.

L’immagine di Santa Giulia, il cui significa “donna dai capelli crespi”, ha stimolato curiosità che può condurre all’autore degli affreschi. Nata a Cartagine nel 420 è’ una santa del tutto insolita per Vicenza ma si può trovare una giustificazione della sua presenza. Gli affreschi dell’abbazia sono unanimemente attribuiti a maestranze romagnole che si rifanno a Tommaso (Barisini) da Modena.

Il pittore operò a Treviso negli anni 1348-1358. Probabile che a lui o agli artisti della sua scuola, di passaggio per Vicenza, siano stati commissionati gli affreschi dell’abbazia. Ecco quindi comparire la santa da sempre particolarmente venerata a Modena e nella provincia dove l’iconografia è frequente. Facile supporre che sia stata immortalata qui, proprio in un riquadro a sé stante, segnale di ricordo e venerazione.

Oppure quella figura misteriosa nella nicchia di sinistra è di San Desiderio al quale era dedicata un’antichissima chiesuola vicino al guado del Retrone prima della costruzione dell’abbazia. Ipotesi un po’ fantasiose, forse azzardate, sulle quali si può certamente indagare. Sant’Agostino ha detto: “Il sogno, la poesia, l’ottimismo aiutano la realtà più d’ogni altro mezzo a disposizione”.

Ed è pur vero che non ci si può limitare a “vedere” le cose ma occorre “guardarle”, Per questo è utile la capacità di sognare, di saper cogliere il poetico attorno e avere un atteggiamento ottimista.

(Il testo integrale di G. Rigotto è pubblicato nel IV volume Studi e Fonti del Medioevo Vicentino e Veneto – Accademia Olimpica – Vicenza)

Di Giorgio Rigotto da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


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Giuseppe Roi: protagonista di spicco nella vita pubblica di Vicenza a cavallo dei due secoli

I Roi, come i Rossi e i Marzotto, furono una dinastia di imprenditori vicentini che contribuirono a segnare profondamente la storia del territorio tra Ottocento e Novecento. Giuseppe Roi Junior (1863-1926) fu un protagonista di spicco nella vita pubblica dell’epoca: operoso cittadino, illuminato industriale, benemerito amministratore e munifico benefattore, egli seppe coniugare con successo lo spirito d’impresa con l’impegno sociale.

La storia della famiglia vicentina Roi è legata al commercio e alla lavorazione della canapa. Tale attività viene fatta risalire ad un antenato di nome Pietro che, proveniente da Bassano si trasferì a Vicenza nei primi decenni dell’Ottocento dove installò i suoi telai nell’area degli antichi mulini in Borgo Pusterla. Alla sua morte il figlio Giuseppe (nome che è ricorrente nei primogeniti maschi della famiglia) nato nel 1828, diede impulso all’attività con l’impiego di telai e macchinari sempre più efficaci. In Italia la lavorazione della canapa ebbe uno sviluppo crescente durante tutta la seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento. La coltivazione era localizzata nelle province emiliano-romagnole orientali, soprattutto tra Bologna e Ferrara. Anche il Veneto fu interessato a tale coltura ma in maniera più limitata nelle aree della bassa padovana e del rodigino. Tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento si raggiunse il vertice della produzione: secondo Coldiretti erano ben 100.000 gli ettari coltivati, un dato che portò il nostro Paese al secondo posto al mondo, dopo le sterminate coltivazioni dell’Unione Sovietica. Il prodotto italiano era di ottima qualità e offriva un diversificato impiego sul mercato nazionale e internazionale soprattutto per il settore tessile e per il cordame. L’Italia diventò il primo fornitore della Marina britannica. La crescita esponenziale della produzione di canapa indusse i Roi, nella seconda metà dell’ottocento, a rimodernare gli impianti produttivi di Vicenza e a costruire nuovi opifici: nel 1871 in località Vivaro, un secondo a Cavazzale a partire dal 1875 e nel 1883 un grande impianto di filatura a Debba. Il numero dei dipendenti subì un continuo aumento: dai 270 operai del 1890 si passò ai 1200 del 1940. Dopo la seconda guerra mondiale il processo di industrializzazione elaborò prodotti sempre più innovativi, vennero introdotte sul mercato nuove fibre artificiali, dapprima semisintetiche e in seguito totalmente sintetiche realizzate da materie prime come il petrolio e il carbone tra cui, per citare la più celebre, il nylon. I nuovi materiali si imposero sempre più velocemente e massicciamente nei gusti dei consumatori e nelle filiere produttive; il loro processo di lavorazione, pur richiedendo cospicui investimenti iniziali, risultava più economico e in poco tempo produsse un cambiamento nei consumi e una diffusione sempre più larga nelle masse soppiantando l’utilizzo della canapa che, dopo aver dominato il mercato per lunghi decenni, si ridusse drasticamente fino a divenire pressoché abbandonato. L’attività industriale vicentina entrò in una crisi irreversibile e i Roi cedettero a terzi i loro stabilimenti fino alla chiusura definitiva che avvenne negli anni 50. 

Giuseppe Roi junior nacque a Vicenza, in via San Marco 9, il 16 novembre 1863 da Giuseppe e Francesca Corato. Cominciò presto l’attività lavorativa: a 14 anni sospese gli studi superiori pubblici per affiancare il padre nella direzione dei canapifici fino ad essere nominato a 17 anni procuratore generale. Nel 1885 assumeva da solo la direzione della vasta azienda raggruppante i tre canapifici con l’impiego di circa 1000 operai. Il 1 settembre 1888 Giuseppe sposò Teresa, detta Gina, la figlia primogenita dello scrittore Antonio Fogazzaro e della contessa Margherita Valmarana. Gina aveva diciannove anni, era attaccatissima al padre. Il cugino Giustino Valmarana così descrive il loro rapporto: “Fogazzaro alla Gina voleva un gran bene e lei lo meritava perché più buona creatura io non ho mai conosciuto” e ancora “aveva nel campo dello spirito delle finezze che la avvicinavano a suo padre” (1). I genitori di Gina nutrivano una grande considerazione per lo sposo che oltre a essere all’epoca uno dei migliori partiti di Vicenza per censo, era un grande lavoratore e integerrima persona, “un giovanotto di 24 anni pieno di cuore, d’ intelligenza e d’energia, colto, piacente della persona e dei modi, di condizioni economiche molto superiori alle apparenze e fermi principi religiosi” così lo descrive Antonio Fogazzaro nelle sue lettere e inoltre “educato severamente e religiosamente, egli professa gli stessi principii di mia figlia e questa è una rara, inestimabile fortuna, perché Gina non avrebbe potuto essere felice senza di ciò” (2). Dal loro matrimonio, seppur con gravidanze difficili alcune delle quali non andate a buon fine, nacquero cinque figli: Irene (nata nel 1889 che sposò nel 1919 il nobile Geri de’ Pazzi); Margherita (nata nel 1890 che sposò nel 1911 lo scrittore e drammaturgo ferrarese Domenico Tumiati); Giuseppe Gino (nato nel 1894 che sposò nel 1921 la contessa Antonia Lonigo di San Martino, morì nel 1947, dal loro matrimonio nacquero due figli Maria Teresa detta Mina (1922-2011) e Giuseppe detto Boso (1924-2009) gli ultimi eredi della famiglia; Bianca (nata nel 1897 che sposò nel 1924 il conte Giovanni Marcello Grimani; Antonio (nato nel 1906 e morto nel 1960). Alla morte di Giuseppe senior, avvenuta nel 1889, rimasero quattro figli, tre maschi e una femmina, fra i quali solo Giuseppe junior e Gaetano decisero di seguire le orme del padre nella conduzione degli opifici. Tuttavia dieci anni più tardi, nel 1899, i fratelli Roi decisero di dividere la proprietà degli stabilimenti: a Giuseppe restarono quelli di Cavazzale e Vivaro, al fratello Gaetano quello di Debba che era arrivato a impiegare 500 operai (ceduto nel 1906 alla società Filature e Tessiture Riunite Carugati). Agli inizi del 1900 Giuseppe acquistò importanti possedimenti terrieri nel ferrarese per la produzione diretta delle fibre tessili; terreni in parte improduttivi e malarici che in pochi anni trasformò con bonifica in coltivazioni intensive, portando l’acquedotto in tenuta. Nel maggio 1915 abbandonò la sua industria per mettersi a disposizione dell’autorità militare per la grande guerra, ma a ottobre dello stesso anno fu richiamato a Roma per adempiere ai suoi doveri di deputato del Parlamento. 

Giuseppe Roi
Giuseppe Roi con la moglie e il suocero Antonio Fogazzaro

CARICHE PUBBLICHE

A partire dall’anno del matrimonio Giuseppe Roi assunse numerose e importanti cariche pubbliche sia a livello locale che nazionale: Nel Comune di Isola Vicentina fu eletto nel 1888 Consigliere comunale, carica che ricoprì ininterrottamente fino al 1921 anno in cui rassegnò le proprie dimissioni. Fu Sindaco dal 1901 al 1905, nel 1920 assessore alle finanze. Nel Comune di Monticello Conte Otto fu consigliere dal 1899 fino al 1920 e assessore comunale dal 1905 al 1914. Fu vice presidente della Camera di commercio e industria della provincia di Vicenza nel biennio 1903-1904. Dal 1905 fu consigliere provinciale di Ferrara ininterrottamente per 6 anni. Nel Comune di Vicenza Giuseppe Roi venne eletto consigliere nel luglio 1906 e nello stesso mese fu proclamato sindaco; rieletto sindaco nel 1907 fino al 1908 anno in cui si dimise, rieletto consigliere negli anni 1909 – 1911 e 1914. Nel 1914 venne nominato assessore effettivo nell’amministrazione Muzani e rimase in carica fino al 1919. Ricoprì l’incarico di revisore dei conti comunali negli anni 1912- 1913 e 1918-1919. Nel 1923 venne eletto consigliere comunale della prima amministrazione fascista di Vicenza e assessore alle finanze. Mentre fu sindaco di Vicenza Giuseppe Roi dedicò particolare attenzione alle case popolari, alla costituzione dell’apposita azienda e alla costruzione del primo gruppo di case del Comune nel rione di San Felice. Al marchese Roi si deve pure l’acquisto dei terreni a San Bortolo per le case popolari. Nel marzo del 1909 Roi presentò la propria candidatura nel collegio di Vicenza in occasione delle elezioni politiche nazionali per il Parlamento; tale fatto innescò un’accesa diatriba all’interno delle famiglie Fogazzaro-Roi in quanto il suocero, che godeva di ampia autorità e prestigio, non volle mai appoggiare la vecchia linea politica di clericale conservatore del genero, assumendo lo scrittore un atteggiamento di ferma astensione nel dibattito politico; la candidatura del marchese non passò. Nel Settembre 1913 Roi venne nominato primo presidente effettivo della banca Popolare di Vicenza carica che mantiene fino a febbraio 1915. Sempre nel 1913 venne eletto deputato al Parlamento nazionale per il collegio di Thiene-Asiago. Durante tale incarico sostenne per l’Altipiano il progetto per l’acquedotto fra i comuni di Roana, Asiago e Rotzo di cui fu il primo presidente dal 1914 al 1919. Si interessò ai profughi dell’Altipiano e si prodigò per la legge che riconobbe il risarcimento dei danni di guerra. Nel 1914 Giuseppe Roi divenne consigliere comunale a Montegalda e ne fu rieletto nel 1920 fino alla nomina del podestà. Sempre nel 1914 venne eletto consigliere provinciale di Vicenza. Nel gennaio 1921 il Roi venne nominato consigliere della Colonia agricola Vittorio Emanuele III di Lonigo, importante istituzione benefica di cui ricoprì la carica di presidente istituendo le scuole elementari all’interno della stessa. La Colonia era un istituto che intendeva provvedere all’istruzione professionale degli orfani di contadini morti in guerra che non potevano godere dell’assistenza familiare e non avevano modo di essere avviati nella loro stessa famiglia all’arte paterna. Inaugurato nel 1918 e situato in una grande villa con un podere di ben 125 campi vicentini l’ente morale era sovvenzionato da elargizioni offerte da privati e da società; all’inizio del 1921 ospitava 100 orfani. Il 26 settembre 1924 Giuseppe Roi ricevette alla colonia agricola di Lonigo la visita del capo del Governo Benito Mussolini. Nel 1924 fu nominato presidente della Commissione Reale straordinaria per l’amministrazione della provincia di Vicenza. Nel novembre 1924 venne eletto consigliere comunale del Comune di Tonezza e fu Presidente della Colonia alpina di Tonezza. Nel 1925 venne eletto consigliere di amministrazione della società Bonifiche Pontine, fu nominato presidente del consorzio provinciale antitubercolare e il Consiglio comunale di Vicenza lo nominò presidente onorario del patronato scolastico. Giuseppe Roi militò nel partito fascista fin dal 1923 e nel 1924 ricevette ad honorem la tessera del partito. Nel 1926 fu nominato vice presidente dell’unione industriale Fascista della Provincia di Vicenza (organismo che interveniva nella contrattazione collettiva dei contratti di lavoro di categoria).

ONORIFICENZE E PREMI

Nel 1901 il Papa Leone XIII gli conferì con breve pontificio il titolo nobiliare di marchese, con diritto di trasmissione per linea diretta ai figli primogeniti maschi. La Civiltà Cattolica nel riportare la notizia ritrasse Giuseppe Roi imprenditore come “un padre sollecito e amoroso, anziché padrone, tanto verso i suoi operai vicentini quanto verso i coloni nel ferrarese dove possedeva vastissime tenute”. L’enciclica Rerum Novarum del 1891 aveva cominciato a delineare la dottrina sociale della Chiesa con particolare attenzione alle questioni sociali. In un’epoca di aspri scontri tra padroni e classe operaia, la figura di Roi costituiva un’eccezione tanto che il giornale commentava la notizia dell’onorificenza a Roi con un plauso: “Per lui il programma sociale cristiano nei suoi stabilimenti fiorisce in tutto il suo splendore” (3). Re Vittorio Emanuele III con decreto del 24 dicembre 1925 riconobbe il titolo e glielo confermo’. L’Esposizione Universale di Saint Louis in Luisiana in USA gli assegnò nel 1904 il premio per le Case Operaie e la medaglia d’argento per i suoi prodotti di pura canapa italiana, prodotti che vennero premiati con il Gran Premio all’Esposizione internazionale di Milano del 1906 e successivamente nel 1911 all’Esposizione internazionale dell’Industria e del Lavoro di Torino. Nel 1904 venne promosso al grado di Capitano di Cavalleria nella Riserva. Nel 1914 il Re lo nominò commendatore nell’Ordine della Corona d’Italia. Il Re conferì a Giuseppe Roi ripetuti gradi di onorificenza dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (era un riconoscimento cavalleresco, conosciuto anche come Ordine Mauriziano, che la Real Casa elargiva a carriere civili e militari con particolari meriti); fu nominato Cavaliere e in seguito Ufficiale e nel 1926 Grande Ufficiale dello stesso Ordine. Nel 1917 venne nominato delegato comunale del Consiglio di amministrazione dell’Istituto industriale Alessandro Rossi (nel 1933 con una donazione dei suoi cinque figli venne costituita la Fondazione Giuseppe Roi per erogare tre borse di studio a giovani vicentini bisognosi che frequentassero i corsi superiori dello stesso istituto). Nel 1918 il Re gli conferì l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia e nel 1919 quella di Cavaliere al Merito del Lavoro.

LIBERALITA’

Nel 1881 i Roi costruirono a Cavazzale la prima casa operaia seguendo l’esempio degli industriali Rossi a Schio e dei Marzotto a Valdagno, a cui seguirono negli anni successivi fino a novembre 1925 altre 7 case che potevano ospitare una cinquantina di famiglie. Nel 1899 Giuseppe Roi istituì le prime “grazie dotali” per le sue operaie a Cavazzale. All’epoca avere a disposizione una dote costituiva per le giovani donne in povertà un elemento fondamentale per la scelta del compagno e un sussidio importante per permettere l’avvio di una nuova famiglia con una iniziale disponibilità economica. I figli Giuseppe e Antonio Roi continuarono ad elargire tale liberalità e costituirono nel 1939 la fondazione “Margherita Fogazzaro di Valmarana” (in memoria della nonna materna) che erogava ogni anno due grazie dotali a favore di “due ragazze nubili dai 20 ai 35 anni di illibati costumi e bisognose”. Nell’Ottobre 1901 iscriveva tutti i suoi operai alla Cassa Previdenza versando per ognuno la quota annua. Nel 1911 fondò la Cassa Pensione interna per gli operai di Cavazzale. La previdenza e assistenza sociale, che nacque in Italia negli ultimi anni dell’800 e divenne obbligatoria nel 1919, era inizialmente costituita da una base assicurativa volontaria con i contributi pagati dai dipendenti e integrata con un contributo libero degli imprenditori. Nel 1904 inaugurò l’asilo per i figli dei suoi dipendenti a Cavazzale. Erano organizzati anche soggiorni marittimi e montani per i figli dei dipendenti. Roi istituì inoltre una cassa maternità per le operaie puerpere che potevano usufruire di una stanza di allattamento in azienda. Nel 1908 fondò la “Cucina economica”, la mensa per dipendenti che nei tempi di massima espansione distribuiva fino a 800 razioni giornaliere di pasti. Nel dicembre 1910 inaugurò la Scuola di lavoro per le figlie degli operai dove si insegnava cucito, ricamo e la cucitura a macchina della canapa. Nel 1918 il Marchese Roi e la cognata Maria Fogazzaro acquistarono a Longara la villa dei conti Squarzi che durante la grande guerra era stata adibita ad ospedale militare da campo. L’opera, che fu denominata Casa Materna, aveva la funzione di orfanotrofio e brefotrofio; il marchese finanziò a più riprese la ristrutturazione degli ambienti; dal 1918 l’opera funzionò per circa cinquant’anni e arrivò a gestire fino ad oltre 120 piccoli ospiti. Nel 1922 giugno aprì in Tonezza dopo averla ricostruita e ingrandita la villa Alpina per signore signorine sole. Il 9 maggio 1926 a Cavazzale pose la prima pietra di un grandioso fabbricato destinato a dopolavoro degli operai, a laboratorio femminile e scuola per l’infanzia. Realizzato in stile Liberty a partire dal 1926 e terminato nel 1929, il fabbricato era destinato ad offrire nella versione finale di Teatro ore di svago ai dipendenti dell’omonimo canapificio. Giuseppe Roi morì a Roma il 3 dicembre 1926 dopo breve malattia. Le esequie furono celebrate a Roma nella basilica di Santa Maria in Traspontina alla presenza di numerosissime autorità e personalità della capitale; quindi il feretro partì dalla stazione Termini alla volta di Vicenza. Il giorno seguente, 7 dicembre, l’intera città accolse la salma e gli tributò solenni onori. La cronaca dell’epoca descrive l’imponente funerale riportando l’elenco delle rappresentanze intervenute, il Campo Marzio era popolato di gente di ogni classe e condizione: ricchi e poveri, giovani e vecchi, i bambini particolarmente ai quali egli aveva con tanto amore pensato e provveduto, le Autorità, gli Uffici, le Associazioni, l’Esercito e la Milizia. Il direttorio del Fascio di Vicenza aveva disposto con un proprio comunicato: “Tutti i fascisti liberi da impegni urgenti sono comandati ad intervenire alle esequie”. L’imponente corteo, accompagnato dalle marce funebri, dalla stazione ferroviaria si diresse verso porta Castello e transitò lungo il Corso fino alla Cattedrale. La vedova e i figli per onorare la memoria del congiunto devolsero l’ingente somma di un milione di lire a favore di numerosi istituti, enti ed opere di beneficenza. L’elogio funebre pronunciato dall’assessore anziano del Comune di Vicenza comm. Ettore dott. Nordera così descriveva la sua figura: “Uomo di doti intellettuali veramente superiori ed eccelse, per straordinaria prontezza d’intuito, per rapida e chiara percezione dello stato reale delle cose, per la felice precisa visione della giusta e pratica soluzione dei problemi, per l’illuminato ardimento, per la ferrea volontà che si esplicava in sapiente energia che superando ogni ostacolo riusciva sempre realizzatrice.” Fra i molteplici necrologi il quotidiano cittadino La Provincia di Vicenza scrisse di lui: “Seppe elevarsi da sé e crearsi una fama ed imporsi con una volontà di ferro, ispirata dall’amore del bene e da una fiducia sincera di raggiungere la meta migliore”. Il marchese Giuseppe Roi aveva adottato come motto araldico: “Labore et probitate”, che rispecchia fedelmente tutta la sua vita. Fu un grande ed appassionato lavoratore, dotato di intraprendenza e capacità imprenditoriali, lungimirante nella gestione pubblica, una delle personalità più in vista all’epoca nel vicentino. Per quasi cinquant’anni diresse l’importante attività industriale familiare accompagnandola con una vigile attenzione alle condizioni dei suoi operai ai quali seppe elargire servizi e strutture atti a migliorarne le condizioni di vita. Fu un generoso benefattore per i deboli e i bisognosi, in special modo per gli orfani. Giuseppe Roi rappresenta bene la classe imprenditoriale della seconda rivoluzione industriale basata sull’impiego di nuove forme di energia che dettero impulso a un prodigioso sviluppo che si protrasse fino alla fine dell’800 e ai primi anni del ‘900; seppe avvalersi con profitto delle innovazioni tecnologiche. Come imprenditore egli agì anche fuori dei cancelli della fabbrica; dotato di una visione sociologica fu attento alla salute e ai bisogni dei suoi operai. Giuseppe Roi rientra in quella schiera di imprenditori illuminati che hanno coniugato lo spirito d’impresa con l’impegno sociale, segnando profondamente la storia del nostro territorio. Insieme ad Alessandro Rossi ed a Gaetano Marzotto senior è stato uno dei protagonisti del processo di irreversibile trasformazione del nostro Paese da agricolo a industriale.

NOTE

(1) Ieri, di Giustino Valmarana – Edizioni del Ruzzante 1978
(2) Lettere scelte di Antonio Fogazzaro, a cura di Tommaso Galla- rati Scotti – Mondadori 1940
(3) La Civiltà Cattolica, articolo del 26 marzo 1901- fasc. 1219

Di Luciano Cestonaro da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


In uscita il numero di Maggio 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
Prezzo di copertina euro 5
Abbonamento 5 numeri euro 20
Over 65 euro 20 (due abbonamenti)

“Il penultimo viaggio”, nuovo libro per il vicentino Paolo M. Stella

È in tutte le librerie d’Italia il romanzo “Il penultimo viaggio”, opera seconda di Paolo M. Stella (anno 2023, ed. Del Faro, Trento). L’autore vive e lavora a Vicenza come architetto “giocoso”, il suo primo romanzo si intitola “Incursioni di Enigmistica Botanica”. 

“Il penultimo viaggio” racconta di un viaggio rocambolesco che il signor M. compie alla ricerca della Morte, perché vuol conoscerla meglio, convinto com’è che evitare di confrontarsi con Lei non sia una buona strategia di vita. 

Lo accompagnano nel viaggio la “danzatrice”, una trentenne che trasformerà questa esperienza in un gioco investigativo condito di colpi di scena e l’eccentrica novantenne ex-professoressa Elsa Romano, brillante nei dialoghi e sbrigativa nei modi.  Le due donne lo aiuteranno a sciogliere alcuni intricati nodi del suo passato e a centrare l’obiettivo del suo cercare.

Moi Gea live nel Giardino del Teatro Astra di Vicenza per New Conversations

Il quartetto Moi Gea si esibirà nell’ambito del festival New Conversations – Vicenza Jazz venerdì 12 maggio 2023, alle 22 e 14 nel Giardino del Teatro Astra. Si tratta di una delle sezioni di maggior rilievo del suo stratificato cartellone: il Jazz Café Trivellato.

Rita Brancato e Simone Buttarello alla batteria, Lorenzo Cucco al sax tenore e Fabio Pavan al sax baritono compongono Il quartetto Moi Gea, fautori di un sound metropolitano londinese dagli accenti libertari.

Da qualche parte tra la Sun Ra Arkestra e le band di Carlo Actis Dato si colloca l’originale organico del quartetto Moi Gea: due sax e due batterie lanciati in libere improvvisazioni che maturano da una performance all’altra. Ma sotto una musica dall’aspetto tanto libertario, che surfa tra jazz, etnica e avanguardia, si trovano solide basi compositive e di arrangiamento.

La poesia ispira invece l’Elogio dei sogni, con la recitazione di Michele Silvestrin e Marica Rampazzo, oltre a Carlo Morena al pianoforte: un tributo a Wisława Szymborska che si terrà alle Gallerie d’Italia, Palazzo Leoni Montanari (ore 18).

L’appuntamento di prima serata sarà al Teatro Astra (ore 20:15) con la pièce Jitney di August Wilson (in anteprima): si tratta della prima messa in scena italiana dell’opera del drammaturgo afroamericano, due volte vincitore del Premio Pulitzer. Lo spettacolo è prodotto da La Piccionaia con il sostegno del Consolato Generale USA di Milano nell’ambito di The Wilson Project.

August Wilson è il più importante drammaturgo afroamericano del XX secolo: due volte vincitore del Premio Pulitzer, è una figura gigantesca nel panorama del teatro americano. Scomparso nel 2005, ha lasciato un’eredità straordinaria, soprattutto con il suo American Century Cycle: una serie di dieci opere teatrali che offrono uno sguardo completo, decennio per decennio, sull’eredità e l’esperienza degli afroamericani nel corso del XX secolo, tra cui lo sfruttamento, le relazioni razziali, l’identità, la migrazione, la discriminazione. Nonostante la sua straordinaria rilevanza all’interno della letteratura, del teatro e della cultura afroamericana e statunitense, in Italia August Wilson è ancora poco conosciuto dal grande pubblico.

Nei quartieri a maggioranza afroamericana di molte città degli Stati Uniti, a partire dagli anni Cinquanta si sviluppa un servizio di trasporto alternativo all’autobus e ai taxi regolari, troppo costosi, poco disposti a servire certe zone e soprattutto a far salire i neri. Si tratta dei jitney, o gipsy cab, che operano al di fuori della legge ma danno opportunità di lavoro e rendono un servizio importante alle comunità. Per certi versi sono anche i precursori del moderno Uber.

August Wilson ambienta la sua opera all’interno di una stazione di jitney nell’anno 1977 a ‘The Hills’, il quartiere della sua città natale, Pittsburgh, abitato da neri, ebrei e italiani. I racconti degli autisti si alternano al ritmo sincopato del jazz e del linguaggio di strada: sono storie, fatte di conflitti, sconfitte e piccole vittorie, di chi, nonostante le conquiste del movimento per i diritti civili, continua a essere escluso dal cosiddetto “sogno americano”.

Maggio dei Libri: oltre 300 iniziative nelle biblioteche vicentine. Il “Biliardino letterario” mette in palio libri e amicizia

Il Maggio dei Libri 2023 propone una pioggia di iniziative. Oltre 300, tra presentazioni di libri, laboratori di tutti i tipi, letture animate, corsi, mostre, visite guidate in biblioteca, tornei, premiazioni dei lettori forti. Eventi che interessano tutte le oltre 90 biblioteche della Rete delle Biblioteche Vicentine coordinate dalla Provincia di Vicenza.

“Il tema conduttore di quest’anno è la forza – spiega il consigliere provinciale con delega alla cultura Marco Guzzonato la lettura come strumento di forza e consapevolezza, capace di rendere autenticamente liberi. Al grido di “Se leggi sei forte!” portiamo i libri e la lettura anche in contesti diversi da quelli tradizionali, per intercettare coloro che solitamente non leggono ma che possono essere incuriositi se stimolati nel modo giusto. E uniamo la lettura ad un’altra grande passione dei vicentini e degli italiani: il calcio”.

Il Maggio dei Libri si è infatti aperto con l’iniziativa “Bibliotecario per un giorno” che ha visto protagonisti i presidenti delle società sportive di calcio locali impegnati nelle biblioteche a consegnare e registrare libri, dialogare con gli utenti, dispensare consigli di lettura.

Sempre a proposito di calcio, le biblioteche vicentine stanno organizzando il torneo di calcetto “Biliardino letterario”. Le regole sono semplici: si gioca in due per squadra, ogni giocatore porta con sé un libro nuovo o usato in buone condizioni (questa è la quota di iscrizione!), il titolo di uno dei due libri dà il nome alla squadra. Prima di gareggiare ogni giocatore presenta il libro che ha portato spiegando perché gli è piaciuto e perché lo consiglia agli altri. Il torneo è ad eliminazione diretta e chi vince porta a casa tutti i libri portati dai partecipanti: se il torneo è a 8 squadre, i libri vinti sono 16, se il torneo è a 16 squadre 32 libri e così via.

La sezione junior è aperta a bambini e ragazzi da 8 a 14 anni, la versione senior da 15 anni in su.

“Sono tante le biblioteche che stanno organizzando il Biliardino letterario -afferma la coordinatrice della Rete delle Biblioteche Lidia Zocche – e sono tanti anche gli utenti che si stanno iscrivendo, con molteplici effetti positivi: si gioca, si consiglia una lettura, si conoscono persone nuove, si scambiano libri. A riprova che le biblioteche sono ambienti vivi che promuovono la socialità.”

Oltre al biliardino ci sono molte altre iniziative in corso nelle biblioteche vicentine. Più di 300, come si diceva, oltre a 20 mila segnalibri che richiamano il tema della forza dei lettori e 10.000 metrolibri da regalare ai bambini, con consigli di lettura a seconda dell’età.

Per i bambini e i ragazzi ci sono, in particolare, letture animate, laboratori di musica d’insieme e di graphic novel, letture con Kamishibai. Per gli adulti ci sono incontri con gli autori, gruppi di lettura, serate dedicate alla cittadinanza attiva con dono della Costituzione Italiana e serate sulla parità di genere, lettura espressiva. E poi corsi di scrittura creativa e di costruzione di un libro.

“L’invito è ad informarsi sulle proposte delle biblioteche per scegliere quella che più piace -conclude Guzzonato- ma anche a sperimentare nuove modalità di approccio ai libri, perché è proprio questo lo stimolo che ci offre il Maggio dei Libri. Non c’è un modo giusto o uno sbagliato di leggere, nel silenzio o nel chiasso del confronto, da soli o in compagnia, per capire la realtà o per viaggiare con la fantasia: ci sono semplicemente i libri, elemento chiave della crescita personale, culturale e civile. Libri che ci rendono più forti, perché chi legge è più al sicuro, più difeso e armato di idee contro ingiustizie, sofferenze e ostacoli, sa come prendersi cura di sé stesso e reagire di fronte alle avversità.” E allora viva i libri, tutti i libri.

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Fonte: Provincia di Vicenza

Musei, anche a Vicenza celebrata la Giornata Internazionale

Vicenza festeggia la Giornata Internazionale dei Musei (International Museum Day) che ricorre il 18 maggio. Dal 1977 la manifestazione, patrocinata dal Ministero della Cultura, è promossa e organizzata da Icom (International Council of Museum) a livello mondiale ed è dedicata quest’anno al tema “Musei, Sostenibilità e Benessere”. I musei possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile con diverse modalità, dalla lotta contro il cambiamento climatico alla promozione dell’inclusività, dalla lotta contro l’isolamento sociale al miglioramento della salute mentale.

Come evidenziato nella Risoluzione ICOM “Sulla sostenibilità e l’attuazione dell’Agenda 2030, trasformare il nostro mondo” (Kyoto, 2019), “tutti i musei svolgono un ruolo nel modellare e realizzare futuri sostenibili e possono farlo tramite programmi educativi, mostre, sensibilizzazione della comunità e ricerca”.

I Musei civici di Vicenza giovedì 18 maggio promuovono una serie di iniziative.

Nell’area davanti al Museo civico di Palazzo Chiericati, con eventuale spostamento anche nel vicino giardino del Teatro Olimpico, dalle 15.30 alle 17.30 si potrà partecipare liberamente ad una lezione aperta del gruppo di danza “I dance the way I feel” con il ballerino Thierry Parmentier (abbigliamento comodo e scarpe da ginnastica; in caso di pioggia l’iniziativa si svolgerà all’interno di Palazzo Chiericati). L’iniziativa rientra nel progetto promosso dagli Amici del 5° Piano, nato per donare benessere, gioia, forza e voglia di esprimersi a chi affronta e convive con la malattia oncologica attraverso. Gli incontri di danza contemporanea, rivolti a pazienti ed ex pazienti oncologici e loro familiari, sono programmati all’interno dei Musei civici.

Alle 17.30 al Museo civico di Palazzo Chiericati si potrà partecipare a “Bartolomeo Montagna e i pittori del Rinascimento vicentino. La chiesa di San Bartolomeo”, passeggiata con il conservatore del Museo Civico di Palazzo Chiericati e delle Gallerie di Palazzo Thiene, Alessandro Martoni. Il percorso, che durerà un’ora e 30 circa per un massimo di 30 partecipanti, dopo l’introduzione alle collezioni permanenti e al museo, prevede la passeggiata nell’ala del Novecento e nella sezione del Rinascimento, con focus sui capolavori di Bartolomeo Montagna e degli artisti più importanti che hanno caratterizzato la stagione del Rinascimento. Infine un approfondimento sarà dedicato alle pale d’altare della distrutta chiesa di San Bartolomeo e ora esposte nel museo. La partecipazione e l’ingresso al museo sono gratuiti. E’ necessaria la prenotazione contattando l’Ufficio informazioni e accoglienza turistica in piazza Matteotti rimarrà, 0444320854, [email protected].

Nei sotterranei delle Gallerie di Palazzo Thiene alle 18 si terrà il concerto “Rite” con Zoe Pia (clarinetto, launeddas) e Mats-Olof Gustaffson (flauto, sassofoni, elettronica), che fa parte del festival Vicenza Jazz e della sezione “Proxima: giovani stelle a palazzo” dedicata ai giovani musicisti jazz realizzata in collaborazione con l’associazione culturale Bacàn. Biglietti a 3 euro (https://bit.ly/biglietti_Rite).

In serata, alle 20.30, al Museo Naturalistico Archeologico, nella sala dei Chiostri di Santa Corona, verrà presentato l’ultimo numero di Natura Vicentina – Quaderni del Museo Naturalistico Archeologico. Ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento posti disponibili.Sono previsti gli interventi degli autori della rivista.

Silvano Biondi e Giulio Montanaro apriranno la serata con “Note su alcune specie di Meloidae (Insecta, Coleoptera) trovate nel Vicentino”. Seguiranno Silvia Bollettin con “Avvio della digitalizzazione della collezione entomologica Faustino Cussigh e studio della biodiversità dei coleotteri dei Colli Berici”, Francesco Mezzalira con “L’illustrazione botanica al tempo di Prospero Alpini”.

Gli ultimi due interventi saranno entrambi di Silvio Scortegagna: “Rinvenimento di Buxbaumia viridis (Moug. ex Lam. & Dc.) Brid. ex Moug. & Nestl. (Buxbaumiaceae, Bryophyta) sull’Altopiano di Asiago (Provincia di Vicenza, Veneto, Italia nordorientale)” e “La distribuzione delle specie del genere Leucobryum (Bryophyta, Leucobryaceae) nel Veneto (Italia nord-orientale)”.

Ogni anno, dal 1997, il museo pubblica la rivista scientifica Natura Vicentina-Quaderni del Museo Naturalistico-Archeologico di Vicenza che raccoglie contributi di natura mineralogica, paleontologica, faunistica, floristica riguardanti principalmente il Veneto ed in particolare il Vicentino. La rivista, giunta al n.23, testimonia la vivace attività di ricerca che viene svolta in collaborazione con il museo. Questa importante attività di ricerca, spesso svolta “dietro le quinte”, concorre a migliorare la conoscenza del territorio, della biodiversità locale e contribuisce alla sua valorizzazione.

La rivista si può consultare dal sito dei musei civici al link https://www.museicivicivicenza.it/file/doc1-13452.pdf
Informazioni: 0444222815 [email protected].

Per approfondimenti sulla Giornata Internazionale dei Musei:  https://www.icom-italia.org/international-museum-day-2023-musei-sostenibilita-e-benessere/

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Fonte: Comune di Vicenza

“L’amore dall’altra parte del mondo”, a Vicenza presentazione del libro di Laura Primon e Angelo Baron

“L’amore dall’altra parte del mondo”, libro di Laura Primon e Angelo Baron (Attilio Fraccaro Editore) sarà presentato giovedì 18 maggio 2023, alle 17 e 30 nella sede di Palazzo Cordellina della Biblioteca civica Bertoliana. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.

Proposto dall’associazione Vicentini nel mondo, con la collaborazione della biblioteca civica di Vicenza, l’appuntamento vedrà la partecipazione, oltre che degli autori, anche del presidente dell’associazione Vicentini nel mondo, e di Roberto Luca, studioso del pensiero antico.

Il libro, partendo da una lunga lettera d’amore del 1909, quando Maria Gnoato di Camazzole rientra in Italia dal Brasile, tratta di un viaggio personale e spirituale dall’Italia al Brasile e ritorno, trattando temi come il dolore del distacco, la paura, l’ignoto e il valore della famiglia, che tante famiglie vicentine e venete hanno conosciuto a cavallo tra Otto e Novecento, attraverso strade contorte e sotterranee del destino, su cui spesso l’amore viaggia.

Il disegno in copertina, del maestro Toni Zarpellon, sta ad indicare come in queste migrazioni le donne abbiano pagato spesso il prezzo più alto rimanendo sospese tra due mondi. Quello che avevano lasciato, dove i legami famigliari erano profondi, e quello nuovo, dove si trovavano sole ad affrontare gravidanze, parti, aborti e lavori quasi disumani. Le donne sono quelle che in mezzo a tante difficoltà hanno saputo tessere, attraverso le lettere, un lungo filo, che ha tenuto insieme questi mondi lacerati. La storia narrata è nata proprio grazie alle lettere di una donna.

Roberto Luca studioso del pensiero antico, ha pubblicato per i tipi de La Nuova Italia le edizioni commentate del Simposio (14 ristampe) e del Fedro di Platone. Del 2001 è il libro “Eros e Epos. Il lessico d’amore nei poemi omerici”. Nel 2014 ha pubblicato per Marsilio “Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia” (2014). Ha al suo attivo saggi di filosofia apparsi nelle principali riviste universitarie del settore.

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Fonte: Comune di Vicenza

Teatro e Vicenza: i palchi luoghi di fervori patriottici dei vicentini

l teatro Eretenio era considerato la Fenice di Vicenza ed era stato inaugurato nel 1784. Venne colpito da un’incursione aerea notturna il 2 aprile 1944 durante l’ultimo conflitto mondiale e venne definitivamente abbattuto dopo la fine della guerra.

teatro
Teatro Eretenio di Vicenza

Lo spirito ribelle e battagliero dei patrioti vicentini perdurò vivo e impaziente per tutto il periodo della dominazione austriaca, anche se inizialmente, dall’autunno 1813 e per alcuni anni, gli austriaci erano visti benevolmente. A seguito dei moti a Vicenza del 1848 fino alla fine della dominazione straniera nel 1866, in vari modi veniva espressa una sempre maggiore insofferenza nei confronti della corona d’Austria.

Per esempio, tratto dalla mia Tesi: “L’opposizione al governo austriaco si manifestava pubblicamente durante gli spettacoli teatrali, come avvenne il 5 gennaio del 1857, in occasione della visita in città dell’imperatore Francesco Giuseppe e della consorte Elisabetta di Baviera (Sissi), invitati ad assistere ad uno spettacolo al Teatro Eretenio appositamente organizzato per loro. Nel teatro veniva eseguita l’opera I Lombardi alla prima crociata del patriota Giuseppe Verdi. Nel momento in cui il coro intonava ‘O Signore dal tetto natìo…’, esplose un interminabile applauso con insistenti richieste di bis da parte dei vicentini. Nel palco dell’imperatore e tra le autorità austriache si notò una certa agitazione, placatasi solo quando l’opera riprese il suo tranquillo andamento”.

Per evitare il ripetersi di queste situazioni, le autorità austriache censuravano spesso le proposte di rappresentazioni teatrali che potessero evocare un sentimento nazionale. Le autorità austriache controllavano anche gli stessi attori teatrali. Ad esempio successivamente ad uno spettacolo tenutosi al Teatro Olimpico, in occasione dell’ Edipo re di Sofocle, il celebre artista Gustavo Modena, veniva allontanato in quanto temuto dai dominatori quale pericoloso patriota e agitatore.

Spesso gli austriaci facevano modificare anche il testo delle opere teatrali come nel caso dell’opera-tragedia Parisina di Antonio Somma dove la famosa frase “Addio sole d’Italia” veniva di fatto sostituita con “Addio sole cocente”. Anche l’opera – tragedia di Vittorio Alfieri il Bruto IIC venne scartata dalle autorità in quanto evocatrice di gesta eroiche e di fiero sentimento nazionale.

Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


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