“Lasciatemi perdere”, libro di Riccardo Pittis, sarà presentato mercoledì 1° febbraio 2023 a Vicenza, presso le Gallerie d’Italia.
La presentazione del volume rientra nella rassegna di letteratura sportiva dal titolo “Lo sport si racconta”, a cura di Baldi Libri e realizzata in collaborazione con Anthea Spa.
A Palazzo Leoni Montanari (Contrà Santa Corona 25), Silvia Guerriero dialoga con l’autore.
“Lasciatemi perdere è la storia di un ragazzo cresciuto in una famiglia come tante nell’Italia degli Anni Settanta e destinato a diventare un’icona degli anni d’oro della pallacanestro italiana. Dopo un’infanzia spensierata, la vita di Riccardo è rivoluzionata dalla scoperta del basket. Da quel momento ha una sola priorità: vincere.
A questa missione sacrifica tutto e le grandi imprese con la maglia dell’Olimpia Milano, dove viene soprannominato “Acciughino” (per la sua magrezza), della Pallacanestro Treviso (dal 1993) e della nazionale gli danno, come a ogni campione, l’illusione di poter evitare la sconfitta.
Ma anche i sogni più grandi sono destinati a tramontare, così, chiusa la carriera da giocatore, Pittis scopre che oltre il campo da gioco c’è un mondo dove la meritocrazia non sempre ha la meglio e la sua devozione alla dea vittoria non basta, perché sconfitta e fallimento sono componenti inevitabili dell’esistenza.
Prima di trovare la sua vocazione, ha infatti provato a reinventarsi come imprenditore, ma non con successo: oggi è un apprezzato speaker motivazionale, coach e consulente che collabora con alcune delle più grandi aziende, mettendo al servizio degli altri la sua esperienza di uomo e sportivo.
Con umorismo e grande lucidità, Pittis condivide il suo percorso di crescita interiore e professionale, che lo ha portato a trovare una nuova vocazione e gli ha insegnato che la sconfitta può essere una maestra preziosissima”.
la Prenotazione all’evento è obbligatoria con mail ad [email protected] oppure sms o whatsapp al 3383946998.
Corso Palladio ospitava, poco dopo la Chiesa dei Filippini la meravigliosa boutique “Spagnolo Olga” fondata con tutta probabilità quando sul Corso, all’epoca ancora Corso Umberto I°, transitavano matrone in portantina e patrizi a cavallo. In vetrina abiti rigorosamente accollatissimi, di tessuti rassicuranti che facevano contrasto a fantasie veramente fantasiose, ricche di richiami preraffaelliti e corredate da accessori di chiara derivazione longobarda.
All’interno solo un banco, tanto da far pensare che l’unica merce fosse quella dell’ombrosa vetrina, e invece no! I vestiti erano furbescamente custoditi in armadi di radica che coprivano la parete di fondo e le due laterali e pronti a schiudersi per rivelare un paradiso di sete e lane finissime pronte a fasciare le dame nobili e le signore dell’alta borghesia berica.
Corso Palladio – Servizio fotografico di GianPaolo Vajenti – Archivio Fondazione Vajenti www. fondazionevajenti.com
Poco più avanti, e risalente ad un’era geologica successiva, si trovava, subito prima di Standa – che per decenni fu l’unico supermercato del centro storico – il piccolo ma fornitissimo “Mapa Sport”, che rivaleggiava con il più grande emporio di Piazzale De Gasperi; di fronte il paradiso della “Perugina”, tutto blu di parati e moquette e con le alzatine di Tre Re e Baci sempre freschissimi a fare da corona ai piccoli Grifone.
Anche le mercerie andavano forte parecchio: su Corso Fogazzaro “Andrea Levis” vendeva tutto il necessario per confezionare, modificare e rattoppare qualsiasi indumento mentre in Santa Barbara la spettacolare merceria “Simionato” esponeva le spagnolette di filo come se fossero capolavori di una collezione d’arte; accanto a Simionato le “Sorelle Beltramello” si occupavano di distintivi militari, bottoni e alamari da divisa e da uniformi da lavoro, baschi di tutti i corpi dell’Esercito e altre meraviglie. Li ho davanti agli occhi le Beltramello e il signor Simionato.
Anche le botteghe alimentari non erano da meno: la “Drogheria del Corso” dove il veleno per i topi si accompagnava maliziosamente alle caramelle e le scope di saggina facevano da scorta al caffè in grani, il tutto in una miscela di odori e aromi strepitosa. Araldo Geremia era il re assoluto della “Casa del baccalà” oltre a prestare il suo volto irregolare ed espressivo ad alcune comparsate di lusso nei film che si giravano in città ai tempi d’oro della commedia all’italiana. L’aroma di stoccafisso era preponderante, tanto da profumare anche la mostarda vicentina e la sopressa, ma faceva parte del gioco: quando si entrava da Araldo si usciva comunque un po’ baccalà.
Di Alessandro Cammarano da Storie Vicentine n. 2 Aprile maggio 2021
Fa tappa al Teatro Comunale di Vicenza, nella programmazione degli spettacoli fuori abbonamento, un musical attesissimo, una fiaba contemporanea tratta da un film, vero e proprio cult del genere romantico è in programma giovedì 2 febbraio alle 20.45: “Pretty Woman. Il musical”, uno show di grande livello con le musiche dell’indimenticabile colonna sonora e un vivacissimo corpo di ballo, con i ruoli che furono di Julia Roberts e Richard Gere affidati a Beatrice Baldaccini e Lorenzo Tognocchi, mentre gli altri interpreti sono Giulia Fabbri, Andrea Verzicco, Massimiliano Carulli, Ilario Castagnola, Alessio Ruaro, Nicola Trazzi, Claudio Ferretti, Giovanni Gala, Pietro Mattarelli, Federica Basso, Camilla Esposito, Veronica Barchielli, Martina Peruzzi, Martina Cenere, Federica Laganà, Giulio Benvenuti e Arianna Bertelli. I biglietti per lo spettacolo sono esauriti.
Pretty Woman arriva al Teatro comunale di Vicenza
A metà strada tra “Cenerentola” e “My Fair Lady”, “Pretty Woman” ha appassionato un pubblico di sognatrici e sognatori in tutto il mondo; la celeberrima pellicola di Garry Marshall e Jonathan Lawton, rispettivamente regista e sceneggiatore, è tornata sulle scene come musical e già alla sua prima apparizione, a Broadway nel 2018 ha riscosso un grandissimo successo.
La versione italiana dello spettacolo, con la regia di Carline Brouwer e Chiara Noschese, è un adattamento che mantiene l’impianto narrativo del film del 1990 che valse il Golden Globe come migliore attrice in un film musicale a Julia Roberts; ripercorre fedelmente i momenti della storia d’amore tra i due protagonisti, gli indimenticabili Vivian ed Edward, e si avvale di una colonna sonora che include un mix di canzoni pop e romantiche scritte da Bryan Adams e Jim Vallance, tra cui il successo mondiale “Oh, Pretty Woman” di Roy Orbison, vera colonna sonora del film.
La trama del musical riprende quella super conosciuta della versione cinematografica, una favola a lieto fine che ha fatto sognare intere generazioni. Ironica e imprevedibile, romantica e sensuale la storia tra Edward e Vivian è un inno all’amore, quello che riesce a superare i pregiudizi e a ribaltare le abitudini e le convenzioni sociali, come solo nelle fiabe può avvenire.
Dopo il successo al botteghino del 2021, con più di 80.000 biglietti venduti, “Pretty Woman. Il musical” torna nei teatri italiani con una tournée che registra ovunque il tutto esaurito; e così nella tappa di Vicenza al Teatro Comunale, le splendide musiche saranno riproposte nella traduzione italiana di Franco Travaglio, mentre le scatenate coreografie di Denise Holland Bethke rappresentano un sorprendente mix di energia e tecnica che contribuisce fortemente alla riuscita dello show. Il musical nella versione italiana è una produzione Stage Entertainment in collaborazione con Italiana Assicurazioni, distribuita da Savà Produzioni Creative per Vivo Concerti; la supervisione musicale è affidata a Simone Manfredini, le scene sono di Carla Janssen Höfelt, i costumi di Ivan Stefanutti, il disegno fonico di Armando Vertullo, il disegno luci di Francesco Vignati.
La forza di questo spettacolo, oltre alla sua accurata e attenta costruzione musicale e scenografica, sono i temi senza tempo che riesce a mettere in luce: oltre alla romantica vicenda sentimentale, il desiderio di affermazione di una giovane donna alla ricerca di sé e della sua dignità; ma anche la possibilità di cambiamento di due persone molto diverse, che riescono a non discriminare l’altro e si avvicinano rivoluzionando se stessi e il loro modo di pensare, grazie alla forza del sentimento che ha la meglio su fama e denaro. Sicuramente un lieto fine cinematografico, che rappresenta però il superamento delle apparenze in un mondo che non riesce ad andare oltre i preconcetti.
Protagonista del musical, come del film, oltre alla splendida storia d’amore, è la musica anni ’80 e il suo blasonato autore Bryan Adams; e così come le musiche, anche le ambientazioni sono “targate” anni ’80 e ’90, un contesto in cui si dipana un mix di sentimenti contrastanti, con le tematiche romantiche accompagnate da temi musicali languidi, e i temi più accesi e coinvolgenti, legati al riscatto e alla realizzazione dei propri sogni, più ritmati e intensi. Nella costruzione dello spettacolo musicale, un altro elemento importante è sicuramente il sogno, rappresentato da Happy Man, il terzo personaggio che incarna il destino e le sue possibilità. “Tutti possiamo cercare dei segni nella vita che ci diano una direzione, che siano da guida. Ogni giorno possiamo fare nuove scelte e ogni scelta avrà delle conseguenze, Happy Man e la sua tribù guidano la storia e sperano di aprire i nostri occhi agli altri, ai sogni e alle opportunità. I sogni possono darci uno scopo, qualcosa per cui lottare” come spiega Carline Brouwer nelle sue note di regia.
I biglietti sono in vendita alla biglietteria del Teatro Comunale di Vicenza (Viale Mazzini, 39) aperta dal martedì al sabato – esclusi i giorni festivi – dalle 15.00 alle 18.15, suggerito l’appuntamento e un’ora prima dell’inizio degli spettacoli; oppure al telefono, chiamando lo 0444 324442 nei giorni di apertura della biglietteria dalle 16.00 alle 18.00; oppure online su www.tcvi.it. I biglietti per il musical costano 39,00 euro l’intero, 34,00 euro il ridotto over 65 e 23,00 euro il ridotto under 30.È possibile comprare i biglietti anche tramite 18App, Carta del docente e voucher.
Quali sono i palazzi-sede della Biblioteca Bertoliana? Ebbene, la biblioteca della città è dislocata in ben 9 sedi: Palazzo San Giacomo, la principale, Palazzo Costantini, Palazzo Cordellina, Villa Tacchi e poi ci sono le sedi di Riviera Berica, Anconetta, Laghetto e Villaggio del Sole. Esiste poi un punto di distribuzione in località Ferrovieri.
I più interessanti sono i Palazzi siti nel centro storico, dalle architetture eleganti. I primi tre palazzi si trovano non lontano dal Palladio Museum e da Palazzo Thiene.
Palazzo San Giacomo
Si trova nel centro di Vicenza, al civico n. 5 di contrà Riale. Era sede del convento seicentesco dei padri Somaschi, progettato da un apprezzato architetto vicentino del tempo, Antonio Pizzocaro.
Il chiostro iniziale fu progettato dal Pizzocaro nel 1627 come annesso alla Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. La chiesa, affidata dal vescovo Michele Priuli nel 1583 ai padri Somaschi che già curavano l’Orfanotrofio di Santa Maria della Misercordia, venne restaurata.
La fontana di fronte alla sede di Palazzo Cordellina. Foto: Marta Cardini
Il convento fu ampliato tra il 1662 e il 1670 su progetto di Domenico Borella. I lavori proseguono fino al 1727 sotto la direzione di Carlo Borella e di Francesco Muttoni.
In seguito al decreto della Repubblica Veneta del 1766 che sopprimeva monasteri e ospizi, i Padri Somaschi dovettero abbandonare nel 1772 la cura del convento e della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. L’intero complesso fu acquistato dalla città nel 1774 e da allora venne adibito a scuole civiche (ospitò anche il Ginnasio fino al 1821) e a sede dell’Archivio e Camera notarile.
Fallito il progetto di trasformazione in palazzo delle Poste e Telegrafi, dal 1909 fu destinato ad ospitare la Biblioteca Bertoliana.
E’ divenuto quindi la sede storica della biblioteca cittadina, fondata nel 1706 presso il palazzo del Monte di Pietà dopo il trasferimento nel 1910.
Nell’estate del 1959 la biblioteca fu interessata da lavori di miglioramento. In questa occasione si sistemò anche il chiostro abbassandolo all’altezza delle sale studio, pavimentandolo e piantando diverse piante: un piccolo acero, ortensie, rose e una vite americana che fa da baldacchino al pozzo.
Palazzo San Giacomo dal cortile. foto: pag Facebook PGVi
Palazzo Costantini
La biblioteca di Palazzo Costantini si trova nel centro storico di Vicenza in Contra’ Riale 13, a pochi passi dalle sedi Palazzo Cordellina e Palazzo San Giacomo.
Il Palazzo, eretto nel 1840 su disegno di Giovanni Maria Negrin Quartesan, fu acquisito nel 1913 dalla Casa del Popolo dei cattolici vicentini che lo tenne come propria sede fino al 1921.In seguito fu sede dell’ INAIL. E’ stata inaugurata nel 1981 come “Sala per la Ricerca Guidata”; nel 1993, dopo un intervento di restauro, venne aperta una sala affrescata intitolata all’ex direttore della Biblioteca Bertoliana Antonio Dalla Pozza, utilizzata per alcuni anni come spazio polivalente.
Palazzo Costantini. Foto: bibliotecabertoliana.it
Dal 2019, con il trasferimento del Centro informatico al piano terra, si sono aggiunte altre due sale per lo studio e la ricerca.
Palazzo Cordellina
Palazzo Cordellina (foto di copertina) si trova in contrà Riale n.12, di fronte alla sede di palazzo San Giacomo. E’ la sede centrale dell’Istituzione: ne ospita gli uffici di presidenza e consiliari, direzionali e amministrativi e gran parte delle iniziative culturali come presentazioni, conferenze, incontri musicali, corsi ed esposizioni…
Un concerto all’interno di Palazzo Cordellina. Foto: pag fb Palazzo Cordellina, scatto di Matteo Rozzi
Nel Salone Centrale e nella Sala corsi al piano nobile, come nella Sala udienze del piano terra, si ospitano attività culturali quali conferenze, convegni, concerti. Nella Sala Sfingi e nella Sala Udienze a piano terra vengono generalmente ospitate le esposizioni. Il committente fu il giureconsulto veneto Carlo Cordellina. Fu costruito in stile palladiano da Ottone Calderari tra il 1786 e il 1790.
Gli interni sono ornati da affreschi e decorazioni opera di Paolo Guidolini e Girolamo Ciesa. Nel corso della seconda guerra mondiale un bombardamento distrusse parte dello stabile. Dal 2007 l’immobile è stato oggetto di numerosi restauri finanziati in gran parte dalla Fondazione Cariverona.
Villa Tacchi
La biblioteca di Villa Tacchi, inaugurata nel 1968 nel quartiere popolare di S. Pio X, è stata la seconda biblioteca di pubblica lettura della città di Vicenza. Situata in origine in una sala dell’Istituto professionale per l’Industria e l’Artigianato in Viale Trissino, nel 1972 venne trasferita nell’attuale sede, presso il Centro Civico della Circoscrizione 3, nell’edificio di Villa London Tacchi.
Villa London Tacchi. Fonte: facebook
La villa e il bel parco circostante, dichiarato di notevole interesse pubblico nel giugno 1969 per la gran varietà di piante ornamentali, appartengono al Comune di Vicenza. La villa, che risale ai primi dell’800, è stata parzialmente restaurata e la sede della biblioteca completamente rinnovata nel 2006. Nel dicembre del 2018 la biblioteca ha festeggiato i 50 anni di attività.
Freak Of Nature esporrà le sue opere alla And Art Gallery di Vicenza, dal 3 al 26 febbraio 2023.
Una delle artiste più controverse del panorama italiano decide di mostrare le proprie opere, progetti di installazioni passate presenti e future, all’interno di un luogo istituzionalmente deputato all’arte.
Arte di denuncia, Street Art o Land Art, l’artista difficilmente collocabile in un’unica definizione, entra nel mondo del mercato dell’arte presentando una serie di tele nate come progetto/prova delle performance realizzate (o ancora da realizzare) poi in esterno.
Per i collezionisti opere di denuncia sociale che questa artista ha raccontato negli ultimi anni scegliendo la natura come punto di riferimento. Non mero esercizio di stile ma un vero richiamo alle regole che la natura pone in essere, una sorta di richiesta al ritorno a ciò che le regole naturali ci insegnano.
La missione di Freak of Nature è segnalare ogni forma di abbandono (di recente anche nel Vicentino) attraverso l’arte, megafono sociale.
Nel 2008 inizia la propria missione di ricoprire, per far scoprire, luoghi abbandonati ed ecomostri diventati ormai arredo urbano e quindi invisibili ai nostri occhi. L’artista ci ricorda cosa avrebbe fatto la natura se fosse stata libera di agire. Progettando e preparando in studio gli interventi, nulla è lasciato al caso.
La natura, attraverso l’arte di Freak, cerca di riprendersi ciò che l’uomo, con la cementificazione dissennata, ha sottratto ad essa e trasformato in luoghi d’abbandono. Una denuncia partita da muri ed arrivata a coprire interi palazzi, il suo agire oltre che contro chi ha perpetrato ciò è anche, se non soprattutto verso la nostra apatica indifferenza.
Una sorta di richiamo alla nostra coscienza, ad aprire gli occhi, ad agire contro il degrado che da fuori, piano e attraverso la nostra accettazione dello status quo, sta entrando dentro di noi.
IN THE BOX si pone l’obiettivo di mostrare tutto il lavoro che sta dietro… tutte le stoffe preparate per le performance. Attraverso dei telai, dove saranno montate, si potrà pensare di avere una parte dell’opera di Freak of Nature a casa propria o nel proprio ufficio.
Far entrare nella nostra vita il richiamo di questa artista è un’occasione per riportare al centro la natura, per noi e per le future generazioni. Richiamare alla responsabilità attraverso l’arte è cultura.
Un modo di educare i giovani attraverso un linguaggio a loro affine, più di tanti discorsi il messaggio di Freak arriva forte e chiaro con le immagini impresse nelle tele, riportandoci ad una consapevolezza gioiosa e giocosa.
And Art Gallery di trova in Contra Frasche del Gambero a Vicenza e la mostra resterà aperta dal martedì al sabato (mattino 9.30-12.30 e pomeriggio 16.00-19.30)
Non ho il dono della fede. Non per questo però non riesco a non trovare ripugnante che si uccida chi ne professa una perché si attiene ai suoi precetti. Così, anche se mi hanno rotto le scatole tante volte suonando di domenica alle 8 del mattino il campanello di casa cercando di darmi una copia della loro rivista La Torre di guardia, voglio ricordare, a ridosso del giorno della memoria, la persecuzione dei Testimoni di Geova, che allora si chiamavano Studenti Biblici.
Oltre 4000 vennero mandati nei campi di concentramento e circa 1600 morirono. E questo perché la loro religione imponeva loro di non giurare fedeltà a qualsiasi governo, di non fare, quindi, il saluto nazista e di non combattere per nessuna nazione. Ma soprattutto perché rifiutarono di abiurare alla loro fede.
Adesso che ci penso, passato ma non dimenticato il giorno della memoria, chiedo scusa per qualche salace imprecazione scappatami alle 8 del mattino.
Tra i personaggi più famosi di Vicenza, con un bel salto indietro nel tempo, c’è Antonio Pigafetta, rampollo di una nobile famiglia vicentina che negli anni 1519-1522 seguì Ferdinando Magellano nella sua avventura attorno al globo e la raccontò con cura e passione, da antesignano, quasi, dei giornalisti alla Piero Angela.
Chi era Antonio Pigafetta?
La casa natale di Antonio Pigafetta a Vicenza (foto FB: Ivano Pianezzola)
Antonio Pigafetta nasce a Vicenza intorno all’anno 1491. Fin dalla tenera età si distingue per il suo interesse verso materie come l’astronomia e la cartografia, che studia con passione fino agli anni universitari. Verso il 1518 si trasferisce in Spagna al seguito del nunzio apostolico Francesco Chiericati, potente monsignore, anche lui vicentino. Uomo profondamente ambizioso e desideroso di gloria, Pigafetta stava per imbarcarsi in un’avventura incredibile per un uomo del tempo.
La circumnavigazione del globo
Corre l’anno 1519 quando l’esploratore portoghese Ferdinando Magellano riceve dal re di Spagna Carlo I il patrocinio per un progetto piuttosto ambizioso: raggiungere le cosiddette Indie Orientali passando da Ovest. Gli europei sanno già da alcuni decenni dell’esistenza del continente americano e gli imperi di Spagna e il Portogallo già si sono “spartiti” le terre al di fuori dell’Europa, dividendo il mondo in est e ovest, come sancito dal Trattato di Tordesillas.
Magellano, tuttavia, è convinto che sia possibile aggirarlo, che ci sia una via d’acqua che unisca l’Oceano Atlantico con le acque al di là delle Americhe. Il viaggio sarà lungo più di due anni, e terminerà con il ritorno in Spagna di sole due delle cinque navi partite per la spedizione. Magellano morirà prima di fare rientro in Spagna.
Il “Racconto del primo viaggio intorno al mondo”
Il racconto del vicentino Pigafetta, uno dei soli 18 superstiti di una spedizione partita con 265 membri, costituisce un’importantissima fonte per la storiografia e l’etnografia di quegli anni. In esso sono narrate nei minimi dettagli non solo le fasi del viaggio, ma anche gli usi e i costumi dei popoli indigeni incontrati.
La statua di Antonio Pigafetta (foto: Wikimedia Commons)
La sua è una relazione appassionata di un uomo curiosissimo, sempre con la penna pronta ad annotare qualsiasi informazione, dalle storie che ascolta dalle parole delle persone che incontra alla descrizione dettagliata della fauna e della flora di quelle terre. La lingua cebuana, parlata nelle Filippine, ha nella descrizione e nella traduzione che ne fece Pigafetta la sua prima attestazione. A ricordo di ciò e, come recita la motivazione, “come simbolo dell’amicizia tra l’Italia e le Filippine”, sull’isola di Cebu è stata eretta una statua in suo onore.
C’è un punto di Corso Palladio, a Vicenza, che è assolutamente dissonante dal resto della “strata major” cittadina (qui tutte le puntate di “Non solo Palladio”, ndr). Ma la sua alienità dal contesto non è, una volta tanto, indice di bruttezza, bensì introduce un inatteso e suggestivo spazio verde nella stretta ed elegante duplice cortina di palazzi, che si sviluppa per 708 metri da est a ovest.
Sono i Giardini di Santa Corona che, in leggero declivio, si stendono dalla facciata meridionale della Chiesa al Corso, che corre qualche metro più in basso del muro di contenimento e della recinzione.
L’improvvisa pausa fra gli edifici costringe il passante ad alzare gli occhi e a restare ammaliato dalla visione di quel prato, di quegli alberi e della lunga parete rossiccia della chiesa. È questo il fascino: i colori così diversi da quelli del Corso, uno spazio vuoto invece di un palazzo, una chiesa che ha centinaia di anni in più di tutti gli edifici della via.
Si chiama Contrà del Collo quella parte del centro cittadino “intra moenia” che si perimetra con le attuali contrà Santa Corona e Canove Vecchie e si sviluppa su due livelli, perché lì comincia a degradare l’altura su cui era sorta la prima città e finisce, più in basso, a ridosso delle mura e del Castello Tealdo, la residenza fortificata di Ezzelino III da Romano.
La facciata della Chiesa di Santa Corona
Il “tiranno” – come è definito dai vicentini (e non solo) di metà del XIII secolo – è uno dei due personaggi storici che incontriamo all’origine della Chiesa di Santa Corona. Ezzelino vi è coinvolto indirettamente, nel senso che la costruzione dell’edificio religioso è collegata alla liberazione della città dal suo dominio nel 1259 (anno della sua morte) e alla rinascita del Comune.
A metà del Duecento Ezzelino è il governatore di mezzo Veneto per conto dell’imperatore Federico II e, a Vicenza, toglie ogni potere alle famiglie nobili, che pure sono ghibelline. Il suo dominio è stato tramandato come una tirannia anche se, all’inizio, rispetta gli statuti comunali e la legalità, ottenendo il favore di parte della popolazione. Morto Federico II, trasforma la delega imperiale in potere personale e cambia il sistema di governo imponendo tasse e gabelle ed espropriando i privati delle loro proprietà. Inevitabile che, quando passa a miglior vita, i vicentini esultino.
La statua del vescovo Bartolomeo alla sinistra del Cristo e del re di Francia Luigi XII (foto da Wikipedia)
Qui s’inserisce nella vicenda l’altro personaggio, lui sì davvero determinante per Santa Corona. È un vescovo, Bartolomeo, il cui nome oggi è noto perché… è quello della cantina sociale di Breganze. Intitolazione piuttosto curiosa e arbitraria, visto che lui non è nato lì e nemmeno è certo che appartenesse alla omonima famiglia.
Un grand’uomo questo frate domenicano, che fa carriera a Roma diventando consigliere di alcuni papi e poi nunzio apostolico e diplomatico. Proprio nella veste di ambasciatore del Vaticano, riceve in dono dal re di Francia Luigi IX una reliquia a dir poco unica e preziosa: una spina della corona della crocifissione del Cristo. Ecco il suo legame con la chiesa vicentina.
Il contesto comune ai due personaggi è questo: il papa Alessandro IV lo nomina vescovo di Vicenza per contrastare il potere di Ezzelino e, quando questi muore, Bartolomeo diventa l’uomo forte di una città in cui la nobiltà non è significativamente rappresentata in Consiglio comunale e gli altri ceti produttivi non sono all’altezza di esprimere dei leader.
Il novello vescovo s’insedia regalando a Vicenza la famosa spina e il Comune decide, nel 1260, di costruire una nuova chiesa per custodire la reliquia.
Santa Corona ha nei secoli un crescendo esponenziale. Strutturalmente, all’edificio originale (modificato tra il 1481 e il 1489 da Lorenzo da Bologna) si aggiungono cappelle, una cripta, il portale che dà sui Giardini e ben due chiostri confinanti arrivando così a occupare tutto il fronte strada dal Corso all’ex Tribunale. Religiosamente, il successo della chiesa non è inferiore perché diventa ben presto la più importante di Vicenza e le famiglie patrizie rivaleggiano per avervi una propria cappella e per dotarla di altari monumentali e abbelliti da opere d’arte. Il peso politico di quello che è diventato un complesso religioso è accresciuto quando diventa la sede della Santa Inquisizione vicentina, una istituzione che è un vero contropotere nella laica Repubblica Serenissima.
La chiesa e i Giardini sono ancor’oggi un gioiello di grande bellezza incastonato nel centro di Vicenza. L’esterno dell’edificio è affascinante nella sobria linearità dello stile cistercense e nel cromatismo giocato su due soli colori, il caldo rosso del mattone e il bianco dei profili in pietra. Una macchia di colore nell’uniformità delle sfumature di grigio degli edifici circostanti.
Il Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini nella Cappella Garzadori (foto da Wikipedia)
L’interno della chiesa è una sequenza di meraviglie, a cominciare dalla tela di Giovanni Bellini “Il battesimo di Cristo” che esalta la Cappella Garzadori e che è il dipinto più bello della città. Anche se in misura marginale la nostra archistar Andrea Palladio ci mette una firma: la cappella che progetta per i Valmarana. Nella chiesa c’era anche la sua tomba di famiglia e lui stesso vi è sepolto per tre secoli, fin quando il Comune, nel 1845, riesuma una salma anonima dal sepolcro e, attribuendole arbitrariamente l’identità dell’architetto, la trasla nel nuovo cimitero monumentale. Naturalmente, a Santa Corona è sepolto anche il vescovo Bartolomeo, che, post mortem, arricchisce con la beatificazione un già straordinario curriculum.
La tomba del vescovo Bartolomeo da Breganze (foto da Wikipedia)
I Giardini fanno da corollario naturale a tante bellezze create dall’uomo. Per goderne appieno la estemporanea malia è meglio accedervi dalla porta laterale della chiesa, sormontata da un alto protiro. Dalla semioscurità dell’interno si passa in un attimo alla luminosità del piccolo parco, al verde intenso del prato, alla penombra prodotta dagli alberi. È un effetto coinvolgente, mancano solo i domenicani…
Oggi parliamo di Gnocchi, ma prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (gli “gnocci”) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.
C’era una tavola, una tavola che si sistemava sul tavolo da cucina. Era la “tola de ‘e tajadee”, la stessa ove si preparavano gli gnocchi o qualche dolce. Era bella quella tavola. Non era perfettamente piana, era di legno dolce e siccome si presentava imbarcata, sotto l’angolo lontano trovava posto il coltello quello grosso con la punta mezza tonda che veniva usato per fare il battuto di lardo. Così stava ferma. Quello stesso coltellaccio, praticamente senza taglio, che si usava, alla fine, per raschiare dalle croste degli impasti, la famosa tavola dopo aver fatto dolci o gnocchi o tagliatelle.
Gnocchi di patate
Patate bollite pelate bollenti, passate bollenti nello schiacciapatate, impastate con un uovo e farina bianca, bollenti. Le patate bollenti contengono più acqua, assorbono più farina bianca, così, con lo stesso numero di patate, venivano più gnocchi.
A proposito di gnocchi. Erano di giovedì, non di tutti i giovedì. Di quel dato o casuale giovedì. La produzione coinvolgeva i bambini quando arrivavano da scuola. Il primo ordine di mamma era “lavarse le man”.
Si trovava la pentola con le patate a termine cottura, la tavola da tagliatelle pronta con farina e l’uovo. Il “skisapatate”, arma primaria, una forchetta e tanto entusiasmo. La gioia era schiacciare le patate, la parte noiosa era allineare lungo la parte superiore della tavola da tagliatelle i gnocchi che una volta creati e passati sul retro della grattugia per renderli rugosi, dovevano essere anche contati. Ad ognuno il suo. Eravamo in quattro, quattro file parallele e paritetiche fin quasi alla fine chè, ad un certo punto una si allungava, era quella del papà. Ogni piatto veniva cotto per conto proprio e la cerimonia iniziava quando arrivava il papà. Il condimento era pomodoro cotto e passato, burro e “formaio gratà”. Quel buon formaggio che allora si stagionava con grande cura nello scantinato della “botega da casolin del sior Scolarin”.
La tecnica “de magnare i gnochi” consisteva nel privare di gnocchi un angolo del piatto e lì “pociare”. Vietato mescolarli, si impasterebbero e perderebbero la loro consistenza. Il profumo di quella leccornia permeava la casa e permaneva a lungo oltre il giorno fortunato.
Era soddisfazione domestica, quando, passando davanti casa, la siora Balbo o la siora Pagiaro esclamavano “gnochi anco, siora Rina”.
La fine era sempre quella. Pane per lucidare il piatto e la soddisfazione di potersi, impunemente, ciucciare le dita.
Andrea Castello, presidente dell’associazione Concetto Armonico (qui su YouTube e Facebook) e dell’Archivio storico Tullio Serafin e radicato da ormai 15 anni a Vicenza, ha incontrato nella giornata del 27 gennaio l’Ambasciatore Italiano ad Oslo Stefano Nicoletti e la direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura Raffaella Giampaola.
Un incontro formale che ha avuto come tema principale la cultura, rivolta in particolare ai giovani cantanti lirici che, proprio grazie a Concetto Armonico, hanno l’occasione di formarsi, di debuttare, ma anche di farsi conoscere in altri paesi.
I progetti discussi da Castello con le Istituzioni italiane ad Oslo sono stati molteplici per la città di Vicenza. Un incontro iniziato con la consegna da parte di Castello di una lettera del Sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’Assessore alla Cultura Simona Siotto, un libro dedicato a Pigafetta e due litografie della Stamperia d’Arte Busato.
Omaggi graditissimi che hanno aperto un ricco colloquio che ha toccato i temi della cucina con il “baccalà” e naturalmente del Teatro Olimpico con il Festival Vicenza in Lirica. Ancora una volta la città di Vicenza diventa protagonista fuori Italia grazie all’impegno di Andrea Castello che non smette di cercare collaborazioni, sinergie, ma anche di mantenersi lontano da lobby nocive alla cultura che mettono in primo piano i propri interessi.
“E’ stato un incontro ricco di cultura. Abbiamo discusso molti temi sia inerenti la musica che la cucina, ma anche le problematiche che devono affrontare i giovani artisti soprattutto dopo il periodo di pandemia” afferma Castello che continua “Sono soddisfatto di aver portato Vicenza ad Oslo, ho trovato una grande apertura per futuri scambi culturali. Sono soddisfatto che dopo 25 anni di impegno con la direzione artistica e dieci anni di festival a Vicenza, porto a casa dei frutti senza l’aiuto di lobby, ma confidando nell’aiuto di pochi stretti collaboratori e del sostegno di Amministratori che capiscono il mio modo di fare ed agire. Arrivo infondo con il mio impegno senza il bisogno di raccomandazioni e, tutto questo, mi rende forte e sereno anche nel poter collaborare con diverse Ambasciate”.
Una determinazione quella di Castello nata nel 1997 proprio dal piccolo paese di Rottanova grazie ad un concerto da lui stesso organizzato. Dopo il ’97 la direzione artistica presso la Città del Vaticano, le collaborazioni con Vienna, la creazione di “Concetto Armonico” con la direzione artistica del festival “Vicenza in Lirica” (2013) ed il “Cavarzere Opera Festival” (2021) e l’Archivio storico Tullio Serafin (2017).
Un grosso impegno di responsabilità che ha messo in luce la capacità di Andrea Castello di presentarsi solo grazie alle proprie conoscenze, esperienze e, non per ultimo, una professionalità senza eccezioni di sorta. Tutti questi ingredienti sono anche la risposta di un successo vicentino con il Festival “Vicenza in Lirica” riconosciuto a livello internazionale prodotto interamente in città e, successivamente, esportato in altri Paesi anche grazie alle collaborazioni con le Ambasciate.