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Don Bortolo Fochesato, il curato di Ignago

Storie Vicentine ci racconta la straordinaria vicenda di don Bortolo Fochesato, un prete semplice e accogliente vissuto sul monte che sovrasta la pianura veneta.

Tutti ne parlano o per conoscenza diretta o per ricordi dei più grandi. Quello che più sorprende che a distanza di quasi un secolo dalla sua morte anche i più giovani hanno qualcosa da raccontare, quasi l’avessero conosciuto di persona.

Il mitico don Bortolo Fochesato, per tutti il curato, ha lasciato un segno profondo a Ignago dove è vissuto per 33 anni fino alla morte avvenuta il 24 marzo 1933. Vi era arrivato all’inizio del ‘900 dopo una vita avventurosa pur essendo poco più che quarantenne. Da giovane cappellano di Posina era emigrato unendosi ai suoi compaesani in cerca di lavoro in Argentina. Là, nella diocesi del Paranà, sulle sponde del fiume omonimo, vi rimarrà per tredici anni impegnandosi a costruire case e chiese e ad offrire occasioni di lavoro per i suoi conterranei. Nel suo ingegno aveva ottenuto le concessioni governative per l’estrazione di carbone, zinco, piombo. Laggiù i posenati di terza e quarta generazione ricordano ancora quel don Bartolomè, così come raccontato dai loro avi, esponendo nelle loro case la foto come di un “santo”.

don fochesato
Don Bortolo Fochesato

Ne abbiamo testimonianza da don Adriano Tessarolo che da parroco di Posina, qualche decennio fa, rifarà il viaggio in America latina compiuto da don Fochesato un secolo prima.
Arrivato a Ignago, il curato è infaticabile. Ingrandisce la chiesa, costruisce la casa della dottrina cristiana e insieme apre miniere di lignite per offrire lavoro. Intanto la fama di uomo dei “miracoli” si diffonde anche oltre i confini della provincia. Alla domenica le vie che salgono verso Ignago sono piene di gente che ricorre al venerato curato. Per una guarigione, un ritrovamento, una riconciliazione, una difficoltà da risolvere. La “curazia” non ha più confini e i fedeli sono i pellegrini del curato. Per questo Lui provvederà a costruire l’ospedale del malato, una casa così povera di mezzi rimasta in piedi per miracolo e nei pressi una piccola sorgente d’acqua per le guarigioni di quanti vi si bagnavano.
Il curato attribuiva quegli straordinari accadimenti al patrono della sua chiesa, S.Leonardo abate.
Anche il vescovo Rodolfi ne farà esperienza quando la sua vettura si bloccherà avendo oltrepassato il piccolo centro di Ignago senza sostare per salutare il curato. E solo dopo essere ritornato letteralmente sui suoi passi e abbracciato il curato, la vettura riprenderà la sua corsa verso Vicenza. Per parte sua il curato non ha un attimo di riposo. Impegnato com’è nell’ascoltare, benedire, pregare, aiutare. Povero in canna, per sé non tratteneva
nulla di quanto riceveva in riconoscenza per i suoi interventi, lo distribuiva ai più poveri. Tanto che la sorella Teresa, che lo assisteva, ne ebbe spesso a lamentarsi e lui a rimproverarla ironizzando sulla sua condizione di eterna nubile. Da lassù il curato aveva scosso mezzo mondo e per questo più nessuno lo dimenticherà.

chiesa di ignago
La chiesa di Ignago

Ne abbiamo fatto esperienza di persona nel marzo scorso alla presentazione della biografia “Il curato di Ignago”. L’ambiente predisposto dal sindaco di Isola Vicentina, di cui Ignago è frazione, non poteva contenere la gente giunta colà da ogni dove. Si sono aperte allora le porte della chiesa per contenere così tanti pervenuti.
Era la vigilia dei 90 anni dalla morte del curato e tutti volevano sentir raccontare la straordinaria vicenda di un prete semplice e accogliente vissuto sul monte che sovrasta la pianura veneta.

Di Giovanni Bertacche da Storie Vicentine n. 14-2023

Antiche incisioni di Palazzo Zanovello a Montecchio Maggiore

Storie Vicentine ci spiega le antiche incisioni su pilastri di Palazzo Zanovello a Montecchio Maggiore.

Modalità di ritrovamento e descrizione dei pilastri

Il 16 giugno 2019, percorrendo il breve tratto di strada privata che in contra’ Valle di Montecchio Maggiore conduce al cortile del settecentesco palazzo Zanovello, la mia attenzione fu attratta da alcuni segni incisi sui pilastri in pietra posti in corrispondenza dell’accesso carraio. I due elementi lapidei, di probabile estrazione locale, risultano entrambi composti da una base, da un fusto a sezione trapezoidale e da un capitello sommitale.
Sulla faccia laterale di ciascun fusto è presente una risega che in origine alloggiava i cardini e i montanti del portone antico. Il fusto del pilastro destro, strutturalmente solidale con le grosse pietre angolari della casa confinante, è monolitico e le sue superfici si presentano ben conservate, accuratamente rifinite con martellina, salvo la parte inferiore che risulta molto deteriorata per l’umidità di risalita e lacunosa probabilmente a causa del secolare transito veicolare.
Il fusto del pilastro sinistro, trattenuto da una lunga staffa in ferro ancorata all’adiacente muro d’appoggio, risulta spezzato
in corrispondenza della parte mediana e i quattro frammenti sono rinsaldati tra loro mediante due grappe metalliche. Sulla parte mediana e superiore della faccia frontale appaiono tracce di intonaco bianco, probabilmente grassello di calce, in gran parte
scomparso per la prolungata esposizione agli agenti atmosferici. I due capitelli presentano un identico profilo delle modanature che risultano ben conservate in quello destro, molto logorate e lacunose in quello sinistro. Le basi dei due pilastri, molto deteriorate e in massima parte interrate al si sotto dell’attuale piano stradale, presentano una sezione orizzontale che in origine doveva essere poligonale, successivamente adattata a quella dei fusti soprastanti per necessità funzionali mediante una grossolana asportazione del loro volume originario.

palazzo zanovello
Palazzo Zanovello. Fig. 1. Pilastro destro.

Descrizione delle incisioni

La maggior parte delle incisioni attualmente visibili è costituita da almeno un centinaio di numerose piccole coppelle e puntuazioni, con diametro e profondità variabili da qualche millimetro a qualche centimetro. Generalmente tali elementi sono disposti in ordine sparso su entrambi i pilastri, senza un apparente criterio posizionale, con una prevalenza numerica e tipologica su quello di destra. In alcuni casi, tuttavia, tutti riscontrabili sul pilastro destro, le incisioni a coppella appaiono invece organizzate e strutturalmente ben caratterizzate. In particolare, alcune di esse concorrono a formare due distinte figure circolari, con diametro di circa 8 cm, contornate da sottili solchi tracciati in andamento. Da una coppella centrale
si dipartono a raggiera alcuni brevi tratti filiformi orientati, in modo approssimativo, verso le coppelle periferiche. Nel loro insieme, le due composizioni appaiono come due ruote o dischi raggiati internamente (dischi/ruote solari?). Una grossa coppella, del diametro di 5 cm e profonda 1 cm, con bordi molto irregolari e usurati, contiene a sua volta altre piccole coppelle, disposte internamente in ordine sparso, di cui una, più profonda e di diametro maggiore, è posizionata al centro. Quattro coppelle, allineate con andamento verticale per un tratto di circa 9 cm, sono associate ad altre quattordici più piccole che formano un compatto graticolato quadrangolare.
All’interno di una cavità sub-rettangolare, di circa 9×2,5 cm, con bordi irregolari e usurati, sono rilevabili dieci piccole coppelle di diverso diametro disposte orizzontalmente. Due coppelle perfettamente cilindriche, con diametro di circa 2 cm, sono contornate, l’una da quattro puntuazioni disposte in corrispondenza del bordo sinistro, l’altra da alcuni brevi tratti disposti radialmente (figurazioni cosmologiche?). In una coppella, con diametro di circa 2 cm, è inserito un materiale di colore grigio, parzialmente sporgente dal piano lapideo. Su entrambi i pilastri si osservano numerose incisioni lineari filiformi tracciate a graffio semplice o, più spesso, a graffio ripetuto (tecnica à polissoir), con lunghezze da qualche centimetro a circa 10-30 cm, variamente orientate e combinate fra loro. In particolare, alcune di esse formano una figurazione costituita da tre archetti connessi ad un tratto lineare verticale: l’insieme sembra rappresentare un albero stilizzato.
Su entrambi i pilastri appaiono altre due figurazioni sicuramente alberiformi.
Nella parte mediana della faccia frontale del pilastro sinistro è visibile un piccolo albero alto circa 2 cm, costituito dal tronco, realizzato tramite una marcata incisione a V, da una piccola base convessa e da alcuni rami leggermente arcuati che si dipartono simmetricamente dal tronco medesimo: tre verso destra e due verso sinistra; una labile traccia sul supporto lapideo suggerisce la probabile esistenza originaria di un terzo ramo anche sul lato sinistro. Sulla figurazione descritta si osservano alcune graffiature verticali ed orizzontali, verosimilmente tracciate in segno di spregio o con intendimento esorcizzante. Nella parte superiore della faccia frontale del pilastro destro si osserva una seconda figurazione arborea, alta 59 cm, tracciata a graffio semplice: un lungo segno verticale, leggermente obliquo, costituisce il tronco dal quale si dipartono, verso l’alto una chioma formata da numerosi rami e, verso il basso, alcune lunghe radici divergenti tra loro.
Nella parte mediana della risega del pilastro destro è riconoscibile una labile incisione, alta circa 4 cm, costituita da un segno ricurvo aperto superiormente, associato ad un breve tratto verticale, a sua volta rinforzato alla base da una piccola coppella (figura stilizzata di orante?). Su entrambi i pilastri appaiono anche alcune lettere alfabetiche. Sulla faccia frontale del pilastro sinistro, in corrispondenza della zona mediana, sono leggibili: una lettera maiuscola P (h = 9,5 cm), associata ad una probabile X maiuscola, mancante del tratto inferiore destro (abbozzo di monogramma del Cristo Chi-Rho?); un segno arcuato simile alla lettera maiuscola C (h = 7 cm), marcato con preciso solco a V (sigma lunato?); quattro piccole lettere (2,5×1,5 cm), in carattere corsivo: Lazz o Sazz, e altre di lettura incerta, probabilmente tracciate in epoca recente. Sul pilastro destro sono inoltre visibili due lettere maiuscole A, con traversa orizzontale a gomito: una è associata alla figura arborea sopradescritta, all’interno delle radici; l’altra è grossolanamente incisa sullo spigolo smussato del pilastro (Lettera Alfa, simbolo cristologico di dottrina antiariana?).
Sul pilastro destro – e, dettaglio significativo, solo su quello – si osservano una ventina di croci del tipo latina-immissa, con dimensioni da 2 a 25 cm, per lo più incise in modo approssimativo a graffio semplice o a graffio ripetuto. Alcune di esse si caratterizzano per l’accenno della base o per il potenziamento delle estremità mediante coppelle; in un caso le traverse risultano ricrociate.

Figura 2 - Pilastro destro: incisione alberiforme evidenziata incolore (H=59 cm).
Figura 2 – Pilastro destro: incisione alberiforme evidenziata in
colore (H=59 cm).

Sul pilastro destro si osservano inoltre tre croci, rispettivamente di 9-7-6 cm, eseguite da esperta mano di lapicida, con preciso taglio a V, ben delineate e proporzionate. Una di esse presenta gli aspetti formali della cosiddetta Croce del Golgota: base piramidale a tre gradini, monticello stilizzato, croce del tipo latina-immissa, con tre raggi divergenti in ciascuno dei quadranti. Una quarta croce, alta 9 cm, è stata scolpita incidendo profondamente la pietra in corrispondenza dello spigolo smussato del pilastro. Una quinta croce (3×3 cm), a forma di Tau capovolta, grossolanamente incisa, presenta le estremità
potenziate mediante coppelle.

Osservazioni conclusive

Le incoerenze strutturali e funzionali dei pilastri descritti e, soprattutto, il complesso sistema di incisioni rilevate, indicano che l’attuale collocazione di detti pilastri nell’area di un settecentesco edificio civile, per una utilizzazione del tutto marginale, non possa corrispondere alla loro sede originaria. Si tratta pertanto di elementi di spoglio edilizio, recuperati da altro sito, sommariamente ricomposti per realizzare i piedritti dell’accesso carraio di palazzo Zanovello, verosimilmente al momento della sua costruzione (1770) o in altra occasione non meglio precisabile.
A mio modesto parere, l’insieme dei segni tracciati sui pilastri descritti rappresenta una netta contrapposizione ideologica di carattere religioso da parte di un cristianesimo, ormai dominante, nei confronti di espressioni iconografiche connesse a culti non ortodossi, forse paganeggianti, ancora praticati in ambito rurale e periferico.
Se l’interpretazione è corretta, le incisioni di palazzo Zanovello rappresenterebbero una pratica di cristianizzazione, connessa al recupero e riconversione di un antico edificio di culto (esaugurazione), attuata mediante l’apposizione sui pilastri descritti di segni cruciformi e di simbologie cristologiche, al fine di esorcizzare pregresse espressioni
cultuali costituite dal complesso di coppelle, puntuazioni, lineazioni, dischi raggiati/coppellati e figurazioni alberiformi.
La croce su podio a tre gradini, la cosiddetta Croce del Golgota, iconografia di matrice culturale greco-orientale, ovvero bizantina1, incisione eseguita a regola d’arte, probabilmente commissionata ad un lapicida con preciso intento didascalico, permetterebbe di individuare i probabili attori della prassi esaugurale sopradescritta. Nel 698, il re cattolico longobardo Cuniperto convoca a Pavia, in accordo col papa di origine siriaca Sergio I, il sinodo a seguito del quale si ebbe la formale conversione del popolo longobardo, con la ricomposizione dello scisma ariano e l’abbandono delle persistenti credenze e ritualità di matrice pagana, comprese anche quelle della popolazione autoctona romanica, il cui livello culturale e religioso era gravemente decaduto a seguito del lungo periodo di separazione dalla chiesa di Roma (autocefalia tricapitolina aquileiese).

Figura 4 - Pilastro destro: Croce del Golgota (6,5x7,5 cm).
Figura 4 – Pilastro destro: Croce del Golgota (6,5×7,5 cm).

Pertanto, l’insieme dei segni cristologici impressi sui pilastri di palazzo Zanovello potrebbe costituire una traccia dell’opera di quegli “oscuri missionari di origine orientale”, di lingua e cultura greca, inviati dai papi di Roma tra i Longobardi della Langobardia Major, per ricondurli ai canoni del cattolicesimo romano, citati da Giovanni Mantese in Memorie storiche della chiesa vicentina, vol. I, Dalle origini al Mille, 1952 e da Attilio Previtali in Longobardi a Vicenza, 1983. Per quanto riguarda l’edificio di culto originario e la zona da cui i pilastri descritti sarebbero stati recuperati, è verosimile ipotizzare che possa trattarsi della Pieve di Santa Maria, chiesa matrice delle valli dell’Agno-Guà e del Chiampo, il cui nucleo originario risale a prima del X secolo, inserita nell’area archeologica ospedaliera di San Vitale, distante poche centinaia di metri da palazzo Zanovello, nella quale è stata messa in luce nel 1990 una necropoli longobarda di “pieno VII secolo”2, in un contesto di strutture rurali di epoca romana, cronologicamente riferibili al I-IV secolo3.

Di Gianni Peltrin da Storie Vicentine n. 15-2023.

Note:
1. Vedi: Monetazione imperiale bizantina, da Tiberio II (VI sec.) a Basile II (X-XI sec.) e altri, in particolare le emissioni monetali di Eraclio (VII sec.); Mosaico della basilica ‘Hagia Eirene’ in Costantinopoli (Istanbul): Croce su gradini nella volta absidale (IX sec.); Salterio di Ludovico il Tedesco (IX secolo, ora a Berlino); Stauroteca di Limburg
(X sec.); Fiasca di cristallo di rocca (X-XII sec.) e, in generale, iconografia connessa al rito della ‘Esaltazione della Croce’ nelle Icone greco-ortodosse.
2. E. Possenti, in M. Rigoni e A. Bruttomesso, Materiali di età longobarda nel Museo “G. Zannato” di Montecchio Maggiore. La necropoli dell’Ospedale di Montecchio Maggiore, Nuova Grafica Fiorentina, Firenze, 2011, pp. 17-45.
3. M. Rigoni e A. Bruttomesso, opera citata , pp. 13-16. Figura 4 – Pilastro destro: Croce del Golgota (6,5×7,5 cm).

Quell’8 settembre di 80 anni fa, memorie storiche personali di Giovanni Bertacche

Le memorie storiche personali di Giovanni Bertacche dell’8 settembre 1943 raccolte su Storie Vicentine.

Erano giorni di tormentosi interrogativi, non sapevamo di preciso di cosa si trattasse, ma un senso di malessere ci aveva pervasi tutti: dai più grandi ai più piccoli. Una cosa si dava per certa, da quando Mussolini era stato deposto dal re e più non si sapeva dove e come si trovasse, che qualcosa di oscuro stava per accadere. E proprio da un momento all’altro.

Era questo, l’inatteso, che ci disorientava. Anche perché non sapevamo quanti giorni erano trascorsi da quella data del 25 luglio; una data sempre lì, ingombrante e perfino sconcertante. La sentivamo ripetere ad ogni occasione, con le immancabili allusioni sul futuro che ci poteva attendere. I tedeschi si impadroniranno del nostro paese e perfino delle nostre case; o forse (perfino auspicabile?) ritornerà Mussolini a rimettere ordine alla confusione di questi giorni; o vedremo presto, come speravamo, tornare dal fronte gli zii Antonio e Luigi come sospirava la nonna Katina. Chissà! Ascoltavamo la radio di Badoglio, non senza una certa dose di curiosità perché andavamo dietro quel grande apparecchio per scorgervi chi stava dietro a parlare, così ogni mattina dalla maestra Oringa, dopo la Messa alla chiesetta. Ma quelle informazioni alla radio non erano per niente chiare e comprensibili, o probabilmente eravamo noi troppo piccoli, incapaci a elaborarle.
Facevano riferimento vagamente ad invasioni o forse intendevano liberazione da parte degli americani e loro alleati, o ancora riferivano non meglio precisati scontri con i tedeschi in alcune città lontane, laggiù.
Congetture sospiri aspettative. Una mattina, ma venivamo avvertiti solo alla sera che si trattava proprio di quel mercoledì, avevamo notato sulla strada che passava proprio nei pressi delle nostre case, strani movimenti. Soldati tedeschi, così si disse, perché mai visti prima dalle nostre parti, a bordo di automezzi pesanti. Provenivano dalla pianura per risalire la nostra collina da cui si poteva controllare l’uscita dalla città verso i monti.
Certo qualcosa di insolito stava per accadere o forse no era già successo senza che noi lassù ne fossimo avvertiti. I sospetti e più ancora le paure trasmesseci per giorni dai più grandi avevano fatto presa sui nostri pensieri; l’ansia aveva spento anche i nostri giochi.
E non potremo più dimenticare quel mercoledì 8 settembre. Solo alla sera ci veniva riferito che da radio Algeria, ben lontano dunque da noi, il comandante generale degli americani aveva annunciato, secco, il governo italiano si è arreso. Ma quando, ma come, con quali prospettive; nessun chiarimento! E ciò che più premeva, e con l’alleato tedesco, che già era qui e occupava le nostre contrade, come avremmo dovuto comportarci? A proposito, quello che più ci stupiva di riflesso delle osservazioni che seguivamo, era il perdurare del
silenzio da parte dei nostri governanti. Se ancora potevamo meritarcene qualcuno, il commento amaro! Ma quand’ecco circa un’ora dopo, al momento della cena, Badoglio, il nuovo capo di governo, comunicare alla radio, che allora aveva un altro nome, di aver concluso l’armistizio con i comandi americani e che dunque le forze italiane dovevano cessare ogni ostilità nei confronti degli alleati d’oltreoceano, mentre dovevano reagire
ad attacchi di qualsiasi altra provenienza. Proprio così! Reagire ad attacchi di altra provenienza. Insomma non si voleva nominare i tedeschi, quasicchè un tale esorcismo ci potesse evitare la furia degli alleati trasformati, proprio da noi in un battibaleno, senza nemmeno un preavviso, in acerrimi avversari.

messaggio badoglio
Poveri noi e quella indescrivibile agitazione della serata e della notte che ne seguì! Chi correva, complice l’oscurità, a nascondere nel bosco, ben avvolti, oggetti preziosi, perfino del denaro, pane fatto in casa e salumi del proprio allevamento. Temibili le razzie da parte dei nuovi occupanti. L’imprevisto era accaduto e dunque bisognava vivere alla giornata e
senza più futuro. Perché quanto sostenuto da chi doveva chiamarsi capo del governo
era di una assurdità inaudita. Ora con quale governo o su quale Stato potevamo fare affidamento; rimasti soli, noi piccoli con mamme e i nonni. Senza uomini, tutti lontani a fare i militari nei vari fronti, come avremmo potuto affrontare la furia dei tedeschi per di più traditi in quel modo? Ma l’impensabile non era ancora terminato. La mattina successiva la radio della Maestra ci avvertiva che il Re e con lui tutti i governanti si erano allontanati da
Roma ma senza indicare la destinazione; che la Capitale rimaneva sguarnita di sovrapposti. Una tragicomica! Durante la giornata cercavamo notizie inseguendo le cronache della radio anche se alquanto scarne e più spesso interrotte. Dei reali e del loro seguito governativo più nessuna nuova, una vile fuga insomma, mentre i tedeschi attaccavano contingenti italiani, avendone per lo più la meglio. Che ne sarà adesso dei nostri soldati nei vari fronti avendo a fianco da tre anni i tedeschi ora contrariati più che mai e dunque incontrollabili.
Si ribelleranno o fuggiranno? O si consegneranno? Domande angoscianti anche per gli zii in armi. Passavano così nella più totale incertezza alcuni giorni. Quando un pomeriggio verso sera vedevamo muoversi qualcosa di strano tra l’erba del prato a fianco del cortile di casa.
Vi spuntavano due soldati che facevano cenni di volersi riparare velocemente dentro casa. Ciò che noi eseguivamo prontamente accompagnandoli dentro e richiudendo immediatamente le porte. Avevano una cera da far pietà. Affamati stanchi impauriti vestivano una camicia e pantaloni militari, ma tutti sbrindellati.
Avevano un accento lombardo e pare provenissero dalle parti del lago d’Iseo. Per prima cosa ci chiedevano da mangiare, erano giorni che non facevano un pasto. E mentre divoravano un panino annaffiato da un buon bicchiere del vino di casa, in attesa del piatto di spaghetti e della carne, si aprivano alle confidenze. Di essere scappati dal fronte jugoslavo appena il loro comandante, sapute le vergognose cose italiane dell’abbandono del re e dei suoi accoliti, aveva lanciato il grido: si salvi chi può! E prima che i commilitoni
tedeschi se ne rendessero conto di quanto stava accadendo, loro, lasciate armi e bagagli, correvano a nascondersi nella più vicina boscaglia. Più tardi sentivano spari nella loro direzione e ordini perentori in tedesco; ma loro sempre nascosti sotto il fogliame attendevano la notte fonda per allontanarsi. Così si fuggivano dal fronte, muovendosi sempre di notte e avvicinandosi alle case alla sera per racimolare qualche pezzo di pane. Superato il confine italiano non è che le cose si mettessero meglio. Al di qua i tedeschi davano la caccia agli italiani e anzi con più spietatezza, che fossero o meno militari. Per questo la lunga traversata per giungere fin da noi era stata più travagliata e con tanti e
maggiori pericoli di imboscate. Di certo avendo la fortuna di scappare, mentre molti commilitoni erano stati trattenuti come era accaduto agli zii per essere deportati in Germania, dovevano perciò restare nascosti. La reazione dei tedeschi di fronte all’onta del tradimento non era augurabile proprio a nessuno. Quella sera dopo essersi lavati e con un buon cambio di biancheria i due andavano a riposare ma in un locale seminascosto là dietro le case. Nessuno nemmeno tra i parenti doveva sapere che c’erano quei due forestieri ad evitare rischi per loro e anche per noi ospiti. Al mattino presto, erano circa le 5, i due erano in piedi e già rivestiti ma in borghese. Dopo una veloce colazione passando ai ringraziamenti e ai saluti a me più piccolo donavano due matite provenienti dalla zona del fronte. Il loro legno aveva un profumo squisito lasciandomi così un più gradito ricordo.
I due venivano quindi accompagnati nei pressi del più vicino bosco e fornite loro indicazioni per dirigersi solleciti, sempre restando al coperto, verso Verona.
Di quei due soldati più nessuna notizia né allora né dopo. Di certo gli inopinabili avvenimenti di quei giorni e quelli che ne seguirono nei 20 mesi successivi, lasceranno profonde ferite e divisioni che segneranno il futuro fino ad oggi.

Di Giovanni Bertacche da Storie Vicentine n. 15-2023.
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8 SETTEMBRE 1943

Cinquecento anni: l’anniversario della morte di Bartolomeo Montagna

Storie Vicentine ci racconta l’anniversario della morte di Bartolomeo Montagna, avvenuta Cinquecento anni fa.

Bartolomeo Montagna, nato attorno al 1450 e mancato 500 anni fa esatti, nel 1523, è riconosciuto come il più celebre fra i pittori vicentini, ma fino alla fine del XIX secolo non gli erano stati riconosciuti tributi in città. Il 23 ottobre 1878 una deliberazione consiliare approvava l’apposizione di una lapide sul fianco di Palazzo Repeta (opera di Francesco Muttoni) per ricordare che in quell’area sorgeva la casa acquistata da Montagna nel 1484 e che abitò fino alla morte. In seguito, con la riforma della nomenclatura stradale del 1911 1914, si propose inizialmente di intitolargli un tratto di corso Fogazzaro, ma l’occasione propizia si presentò nel 1927, dopo la costruzione della nuova arteria.
Montagna, il cui cognome era Cincani, si trasferì a Vicenza con la famiglia da Orzinuovi (BS), e fu educato all’arte alla scuola di Gentile Bellini, filtrando e interpretando la lezione di Alvise Vivarini. Fu anche ispiratore di Cima da Conegliano. Le opere di Bartolomeo oltre a Vicenza, arricchiscono numerose collezioni private e gallerie pubbliche a Milano (Brera), Venezia (Accademia), Verona (Museo Civico), Bergamo (galleria Lochis), Strasburgo, Berlino, Parigi, Londra, New York. Tra le opere conservate ai Musei Civici di Vicenza:
– Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano e tre angeli musici.
– La Madonna con il Bambino sotto un pergolato tra i santi Giovanni Battista ed Onofrio.

bartolomeo montagna
Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano e tre angeli musici.

Sebastiano Tecchio l’avvocato di Vicenza noto per la sua barba

Storie Vicentine ci racconta un personaggio del Risorgimento: l’avvocato Sebastiano Tecchio, noto per la sua barba.

Il personaggio più importante del Risorgimento vicentino è certamente l’avvocato Sebastiano Tecchio. Era stato membro del Governo Provvisorio di Vicenza proclamato il 25 marzo 1848. Il 5 giugno di quell’anno, alla vigilia della valorosa battaglia di Monte Berico del 10 giugno, il Tecchio si trovava a Valeggio sul Mincio con i rappresentanti delle province venete per consegnare a Carlo Alberto i risultati dei «liberi voti» plebiscitari che a larga maggioranza ne approvavano l’unione al Regno di Sardegna. Tanto era il suo desiderio che il plebiscito trovasse piena e rapida realizzazione che solennemente promise «che non si sarebbe tagliata la barba finché il Veneto non fosse italiano».
Dopo la caduta di Vicenza Tecchio ripara in Piemonte dove sarà deputato e ministro dei lavori pubblici. Con la costituzione del Regno d’Italia diverrà anche presidente della Camera dei deputati. Alla conclusione della Terza guerra d’indipendenza ritorna nella sua città.
Il 3 agosto il giornale «Progresso» rende noto che la Giunta Municipale di Vicenza si era recata a visitare «l’illustre nostro concittadino deputato avv. Sebastiano Tecchio» rientrato dopo 18 anni «di glorioso esilio» e aveva disposto che «per festeggiare il fausto e desiderato ritorno» la Banda Civica si recasse alla sera presso la sua abitazione.
Il 27 ottobre 1866, in qualità di primo Presidente della Corte d’appello di Venezia, proclamò dal “verone” di Palazzo Ducale i risultati del plebiscito che sanciva l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Nel novembre fu nominato senatore (il primo dei veneti); fu ministro di Grazia e Giustizia e poi Presidente del Senato nella XIII legislatura (1876-1880).
Ora il Veneto apparteneva al Regno d’Italia, la bandiera di Vicenza era già stata decorata di medaglia d’oro al valore militare e quella promessa fatta nel 1848?..qualcuno deve avergliela ricordata perché quella fluente barba, ormai bianca, era diventata la principale caratteristica del Presidente del Senato.
I giornali dell’epoca non riferiscono se l’avvocato avesse mantenuto fede al voto, ma sappiamo che lo stesso Tecchio distribuì agli amici una ciocca della sua barba raccolta in una raffinata teca di tartaruga legata in argento e con una sua foto dove si nota la barba bianca vistosamente accorciata. La teca è impreziosita dall’iniziale del suo nome «S» pure in argento. Fu un «grande» anche in questa piccola scommessa fra amici!

Vittorio Bolcato da Vicenza In Centro (Aprile 2023) – periodico dell’Ass. Vicenza in Centro.

S. Tecchio nacque a Vicenza il 3 gennaio 1807 da Francesco e da Francesca Garbinati. Conseguì la laurea in diritto all’Università di Padova il 15 febbraio 1829. Ebbe cinque figli con la prima moglie Giuseppina Verona: Vincenzo, Sebastiano, Francesco, Giovanni e Bortolo. Sposò in secondo nozze Anna Orsini. Fu il biennio rivoluzionario, cui prese parte fin
dalle prime manifestazioni di protesta nella città berica, a legare indissolubilmente la sua
esistenza all’impegno politico, a partire almeno dal 25 marzo 1848, quando venne chiamato
a far parte del governo provvisorio vicentino, che aderì alla Repubblica veneta proclamata da Daniele Manin.
Fu membro di rilievo del Comitato dipartimentale e venne incaricato di trattare colle altre province venete sottrattesi al dominio asburgico per definire una linea politica comune. Il 29 aprile 1848, dinanzi alla minaccia sempre più incombente di un’offensiva austriaca, Tecchio sottoscrisse a Padova un indirizzo ai lombardi, che asseriva un vincolo indissolubile tra i loro destini e quelli del Veneto, e costituì il suo primo atto di adesione al Regno di Sardegna come punto di riferimento della causa nazionale. Dopo aver ripreso Udine e Treviso, il 23 maggio 1848 le truppe imperiali tentarono il primo assalto a Vicenza, ma dopo ore di combattimento vennero respinte da una resistenza in cui Tecchio svolse un ruolo di rilievo: in particolare il 24 maggio, con altri membri del Comitato di difesa, trasse in salvo sotto il fuoco nemico polveri e munizioni fatte segno dell’artiglieria austriaca.
Quest’impresa gli sarebbe valsa, dopo l’Unità, la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza italiana, una delle decorazioni di cui andò più fiero nella sua vita.

Di Vittorio Bolcato da Storie Vicentine n. 15-2023.

Centotrent’anni fa si inaugurava il monumento a Giacomo Zanella

Storie Vicentine ci racconta l’inaugurazione del monumento a Giacomo Zanella avvenuta 130 anni fa di fronte alla chiesa di San Lorenzo.

Il 9 settembre 1893, a cinque anni dalla scomparsa, fu inaugurato il monumento– opera dello scultore veronese Carlo Spazzi – che la città di Vicenza volle dedicare alla memoria di Giacomo Zanella. La ricorrenza dei centotrent’anni è occasione per ricordare, non tanto, come scrisse Il Berico, il «sommo poeta, prosatore felicissimo, educatore valente, erudito profondo nella patria letteratura e nelle straniere1» – aspetti, peraltro, già ampiamente indagati da valenti studiosi – quanto, piuttosto, per mettere in luce la sua forse meno nota figura di patriota e di uomo dalla mente aperta, non sempre allineato alle gerarchie civili e religiose. Vissuto in un periodo storico molto travagliato per l’Italia. Prima impegnata nelle guerre di indipendenza dalla dominazione austriaca e, poi, alle prese con la cosiddetta Questione romana, ovvero lo scontro tra lo Stato italiano e la Chiesa dopo la presa di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870. Creando così in seno alla società uno scontro fra i moderati, desiderosi di comporre, a tutti i costi, il dissidio determinatosi tra lo Stato e la Chiesa e i conservatori, ostili ad ogni forma di compromesso e strenui difensori del potere temporale. Un’Italia, per di più, percorsa dalle istanze dovute ai nuovi
assetti che si stavano delineando in campo filosofico, scientifico, sociale e politico, che vanno sotto il nome di modernismo.
Prendo spunto da due articoli apparsi nella stampa locale.
Il primo, pubblicato nel Corriere Vicentino2 del 9-10 settembre 1893 in occasione della inaugurazione del monumento, reca la firma di Giosuè Carducci. Che inizia il suo intervento
affermando che «i moderati veri, che in fine hanno da essere conservatori se qualche
cosa vogliono moderare, trovano il loro poeta in Giacomo Zanella», che, dunque – realizzata quasi del tutto l’unità territoriale d’Italia – concorse anche al compimento di quella culturale e storica. Ma era pure, prosegue Carducci, l’uomo «per quelli che invocavano e aspettavano l’accordo della libertà con la fede, del progresso col dogma, dell’Italia con la Chiesa». Infatti, «nelle poesie dell’abate Zanella gli accordi e le conciliazioni tra la ricerca scientifica e l’autorità del dogma, tra il pensiero moderno e l’eternità della fede, tra il sentimento nuovo e irrequieto e le regole dell’arte tradizionale, erano ingenuamente, sinceramente, candidamente, perseguiti, voluti, creduti raggiungere». Perché Zanella intendeva il cristianesimo «non come le beghine e i pinzocheri [i bacchettoni, i baciapile], ma come scala della ragione per innalzarsi alla contemplazione delle cose che trascendono i sensi, come il grande purificatore di tutti i sentimenti umani, come visione anticipata della vita immortale3». Egli, conscio della provvisorietà della storia, non dubitava che fosse un disegno divino a governarne il divenire, per ciò stesso destinato a sempre più leopardiane «magnifiche sorti e progressive». Lo testimonia la sua più celebre poesia, Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, composta nel 1864 – su sollecitazione di Fedele Lampertico – in occasione delle nozze a Venezia di Luigi Luzzatti – suo discepolo negli anni 1857-1858 – con Amelia Della Via. Zanella fu dunque un pensatore/poeta capace di trasmettere i suoi messaggi in tutti suoi componimenti e in tutte le occasioni. Sottolinea, infatti, Carducci: «Quando mai la poesia odierna aveva trovato un’ornamentazione di gusto così corretto per le feste di famiglia, per le parate dell’industria e per i trionfi del tecnicismo?». Nell’epoca in cui fioriva il positivismo, il Nostro si preoccupò tuttavia di ammonire che la scienza può sì bastare a se stessa, ma non può bastare all’uomo nato a «contemplar le stelle».

giacomo zanella
El Visentin, Anno XIX n. 14, 18 giugno 1888, che ricorda il trigesimo della morte di Giacomo Zanella. Il ritratto di G. Zanella
è incisione di Gaetano Campanato. Coll. G. Ceraso.

Il secondo articolo è riportato nel Giornale di Vicenza4 del 6 ottobre 1866, che riferisce di una visita effettuata da Zanella il precedente 1° ottobre a Chiampo, suo paese natale, quando l’annessione del Veneto al Piemonte, che sarà sancita ufficialmente col plebiscito dei successivi giorni 21 e 22 ottobre, era oramai scontata. Accolto in Municipio, dopo un discorso di benvenuto da parte del futuro sindaco Marco Righetto, Zanella pronunciò a sua volta una orazione per esprimere le personali speranze in ordine al futuro dell’Italia e dei suoi compaesani. Sottolinea, nell’incipit, come gli ultimi eventi abbiano segnato «il più bel tempo che abbia avuto l’Italia», perché sancivano il riscatto «dal dominio straniero, che stipendiava fino in chiesa i satelliti», ovvero il clero, che, per la maggior parte, era asservito agli Asburgo. Una affermazione pesante, testimonianza della sua libertà di pensiero, che mai temette di urtare la fede austriacante del vescovo Antonio Farina. Ricorda poi l’opprimente controllo asburgico, che, «togliendo ogni iniziativa ai Comuni, tolse anche agl’individui la coscienza dei loro diritti e il coraggio di proporre … miglioramenti o rimedi». Con una esortazione di attuale valenza: «non basta il sentimento dei propri diritti; ma conviene saperli esercitare; ampliarne al bisogno l’azione; disconosciuti o contrastati, proteggerli». Ma per far ciò – anticipando di quasi cent’anni il pensiero di don Lorenzo Milani – Zanella era convinto che solamente la cultura può rendere liberi e aiutare il riscatto del più debole. Parlandone con cognizione di causa, visto il suo ministero di docente presso il Seminario e i Licei di Vicenza e Venezia, nonché quale cattedratico presso l’Università di Padova, di cui divenne anche rettore. E così «l’istruzione deve essere il primo pensiero di un Comune», che deve rigorosamente vigilare sulla frequenza dei fanciulli alla pubblica scuola, sottolineando con rammarico come fino ad allora, invece, «le scuole, abbandonate all’ispezione di parrochi (!) erano la più parte dell’anno deserte», non risparmiando con ciò altra stilettata contro i suoi colleghi sacerdoti.
Il monumento eretto in onore di Giacomo Zanella rende quindi meritato onore ad un concittadino, la cui vita è ancora oggi di esempio e il cui pensiero è ancora di puntuale attualità.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 15-2023.

Note
1. N. N., Inaugurandosi in Vicenza il monumento a Giacomo Zanella nel settantesimo
terzo anniversario della sua nascita, Il Berico, n. 205, 9-10 settembre 1893, p. 2.
2. G. CARDUCCI, Giacomo Zanella, Corriere Vicentino, n. 211, 9 settembre 1893, p. 1.
3. M. TABARRINI, La Commemorazione in Teatro Olimpico, in In memoria di Giacomo
Zanella, numero unico, Vicenza 9 settembre 1893, p. 3.
4. N. N., Senza titolo, Giornale di Vicenza, n. 69, 6 ottobre 1866, pp. 2-3.

Matthew S, uscita la nuova traccia Light dell’artista vicentino Matteo Scapin

ll musicista Matteo Scapin in arte Matthew S ha rilasciato il 17 novembre la sua seconda traccia dell’EP “Solar Cycle”, intitolata “Light”. Questa nuova composizione offre un viaggio sonoro che esplora l’evoluzione delle emozioni umane durante le fasi della mattina e del pomeriggio.

Come scrive il blog statunitense Electronic Groove, “ “Light” cattura l’essenza mutevole del giorno, offrendo all’ascoltatore un’esperienza che si evolve gradualmente. Le vibrazioni elettroniche si combinano con melodie eteree, creando una sensazione di cambiamento e crescita, proprio come la luce solare che si diffonde e si trasforma durante il corso della giornata.”

In questa traccia, Matthew S utilizza il linguaggio universale del suono per trasmettere una connessione tra il passare delle ore del giorno e l’esperienza umana. “Light” inizia con un’atmosfera delicata e sognante, rappresentando l’alba e le prime luci del mattino. Man mano che la traccia prosegue, le armonie si intensificano, riflettendo l’energia che accompagna il pomeriggio inoltrato.

Matthew S
Matthew S

L’EP “Solar Cycle”, in uscita il 15 Dicembre, nel suo insieme è composto da quattro tracce, ciascuna delle quali offre una storia emotiva. Questo progetto musicale combina elementi pianistici con elettronica contemporanea, creando un’esperienza sonora che va al di là del semplice ascolto.

Con “Light,” Matthew S continua a dimostrare il suo talento nel catturare l’anima del giorno attraverso la musica. Questa traccia è un nuovo contributo nell’EP “Solar Cycle”, che esplora le sfumature delle emozioni umane e la loro connessione con il ciclo solare.

“Light” è ora disponibile su tutte le principali piattaforme di streaming musicale, offrendo agli appassionati di musica l’opportunità di scoprire la creatività di Matthew S. Non perdete l’occasione di immergervi in questo viaggio sonoro unico nel suo genere.

Perfect Timing al Teatro Comunale di Vicenza: seconda residenza artistica circo contemporaneo con compagnia WCS

È andata in scena al Ridotto del Teatro Comunale sabato 18 novembre la restituzione della seconda residenza artistica, cioè una bozza di circa 30 minuti, frutto di quello che è stato il lavoro di due settimane della compagnia WCS e anticipazione di quello che potrebbe essere uno spettacolo più ampio. La compresenza nello stesso giorno del laboratorio ha portato in sala molti bambini, che hanno riso dall’inizio alla fine. Ma anche gli adulti, compreso chi scrive, si sono divertiti molto, anche per merito della simpatia dei due giocolieri, che ogni tanto parlavano e infatti hanno anche giocato sul loro rapporto un po’ difficile, ma volenteroso, con la lingua italiana.

Perfect timing-Companie WCS-foto di Alice Mattiolo uno dei momenti dello spettacolo
Perfect timing-Companie WCS-foto di Alice Mattiolo uno dei momenti dello spettacolo

È stata per loro anche l’occasione di rendere omaggio a un giocoliere slavo sconosciuto in Occidente a causa delle divisioni della Guerra Fredda. Lo spettacolo sarà portato in giro in diverse lingue tra cui portoghese, francese, spagnolo e inglese. Alla fine c’è stato spazio per le domande del pubblico. La giocoleria per i due artisti nasce con le palle e arriva ad aggiungere diversi oggetti tenuti sopra la testa: una padella su cui cucinare pop corn, un computer o un frullato, operazione volutamente non riuscita, evoluzione di una gag precedente in cui invece il frullato, realizzato con impeccabile aplomb ed abiti eleganti, riusciva perfettamente.

Perfect timing-Companie WCS-foto di Alice Mattiolo momento frullato
Perfect timing-Companie WCS-foto di Alice Mattiolo momento frullato

La loro passione, hanno spiegato, è nata da bambini e quasi per caso è diventata un lavoro grazie all’incontro tra di loro e alle scuole frequentate, che hanno loro dimostrato come quello che poi appare al pubblico come un gioco, nasconde invece ore e ore di dura preparazione e può diventare appunto un lavoro.

“…aspettando il Natale al museo”, il sabato pomeriggio dal 2 al 23 dicembre a Vicenza

Negozianti ed esercenti della Sezione 1 Centro Storico di Confcommercio Vicenza e l’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza, per le prossime Festività propongono “…aspettando il Natale al museo”, un programma ricco e coinvolgente di storie, laboratori creativi e spettacoli teatrali per tutti i bambini.

L’iniziativa è stata presentata oggi nella sede di Confcommercio da Ilaria Fantin assessore alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza, Cristina Balbi, assessora allo sviluppo economico e al territorio, Claudio Perini vicepresidente della Sez. territoriale n.1 del Centro storico – Confcommercio Vicenza, Valentina Carpanese presidente diScatola Cultura s.c.s. Onlus.

Da sabato 2 dicembre e ogni sabato pomeriggio fino al 23 dicembre, i ragazzi in età da scuola primaria, saranno coinvolti in attività, storie e laboratori a tema, per scoprire l’arte, i personaggi e l’archeologia presenti nei luoghi storici e nei musei civici del centro città.

Ogni evento sarà per i più piccoli l’occasione per trascorrere del tempo di crescita, apprendimento e divertimento, assieme ai loro coetanei, anziché seguire i loro genitori nei giorni clou dello shopping natalizio.

Saranno gli educatori qualificati di Scatola Cultura s.c.s. ONLUS (dal 2019 aggiudicataria del bando per i servizi educativi dei Musei Civici di Vicenza) a curare le attività che porteranno i bambini a contatto con i luoghi e l’arte del grande patrimonio storico-culturale di Vicenza.

Ogni sabato pomeriggio ci sarà un tema diverso, incentrato su uno specifico filone, che andrà a stimolare la creatività e l’esplorazione attiva di ogni bambino, l’apprendimento e il potenziamento delle abilità personali.

I laboratori avranno la durata di due ore, che saranno distribuite tra una prima parte teorico/ludica di esplorazione del sito ospitante e una seconda parte di carattere pratico/esperienziale. Ciascun laboratorio si svolge in due turni durante la giornata: primo turno dalle 15 alle 16.45; secondo turno dalle 17 alle 18.45.

A completare il programma del Natale pensato per i bambini, l’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza dedica ai piccolini dai 2 ai 5 anni e alle loro famiglie, “Wonderme Museo”, coinvolgenti momenti di teatro ideati da Ketti Grunchi con Francesca Bellini e Delfina Pevere, che porteranno in scena la meraviglia dell’infanzia.

Gli spettacoli prenderanno vita al Museo di Palazzo Chiericati, sabato 2 e sabato 23 dicembre, in due turni per ogni giornata: il primo alle ore 10.00; il secondo turno alle ore 11.15.

Ogni spettacolo comporrà la meraviglia, attraverso poche parole, molte azioni, musica dal vivo e giochi di relazione. L’incanto sarà quello di coinvolgere ed emozionare i più piccini e i loro genitori.

Le iscrizioni alle attività del programma “…aspettando il Natale” sono aperte dal 20 novembre sul sito scatolacultura.it. Per partecipare, i bambini devono obbligatoriamente essere iscritti al singolo evento.

Gli APPUNTAMENTI per i ragazzi delle scuole primarie

1° turno: dalle ore 15.00 alle ore 16.45; 2° turno dalle ore 17.00 alle 18.45

Sabato 2 dicembre – Basilica Palladiana

Una basilica… a strati!

Alla scoperta della Basilica Palladiana e dell’Area Archeologica di Corte dei Bissari con una divertente attività tra copia, incolla e … ridisegna!

Sabato 9 dicembre – Gallerie di Palazzo Thiene

Racconti davanti al caminetto

Ci fu un tempo in cui Giulio Romano… ma poi Palladio… e che caspiterina! Tutta colpa (o merito?) di quei fratelli Thiene e del loro sofisticato gusto per l’architettura alla moda.

Sabato 16 dicembre – Museo Naturalistico Archeologico

Romani & street food

Cibi e gusti dell’antica Roma saranno svelati in questo divertente laboratorio, alla scoperta di antichi sapori e dell’arte ante litteram dello street food!

Sabato 23 dicembre – Chiesa di Santa Corona e Museo di Palazzo Chiericati

Storie senza tempo: in viaggio con i Re Magi

Laboratorio e racconto animato di una delle più belle e conosciute storie al mondo: l’arrivo dei Re Magi. Un percorso dalla Chiesa di Santa Corona al Museo di Palazzo Chiericati.

SPETTACOLI DI TEATRO per i bambini della scuola dell’infanzia

Wonderme Museo”

Sabato 2 e sabato 23 dicembre 2023

Ore 10.00 e ore 11.15 – Museo di Palazzo Chiericati

Spettacolo sulle meraviglie per l’infanzia a cura di Wonderme di Ketti Grunchi, con Francesca Bellini e Delfina Pevere.

 

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Fonte: “…aspettando il Natale al museo”, il sabato pomeriggio dal 2 al 23 dicembre , Comune di Vicenza

Teatro Comunale, tornano le residenze artistiche con ‘We Art 3’: sabato 18 novembre circo contemporaneo con compagnia WCS

Riparte la stagione del Teatro Comunale di Vicenza e con essa anche il progetto, arrivato al sesto anno consecutivo, delle residenze artistiche.

Sabato 18 novembre condivisione con il pubblico di circo contemporaneo alle 21 e nel pomeriggio laboratorio per bambini

La seconda residenza We Art 3, dedicata al circo contemporaneo è in corso in questi giorni, protagonista la compagnia WCS, quattro artisti indipendenti provenienti da diversi campi artistici, con un background in performance, circo e musica; con il loro lavoro restituiscono un’immagine poetica del mondo, combinando la complessità del reale con le pratiche e abilità virtuosistiche delle loro discipline. Fondata nel 2014 da Danielle Cohn Levy e Namer Golan, la compagnia si è imposta all’attenzione del pubblico e della critica con il primo spettacolo “23 Thoughts About Conflict”, vincendo 3 premi all’Acco Fringe Festival; dopo una tournée internazionale, è ora a Vicenza per perfezionare il progetto “Perfect Timing”.

Lo spettacolo

Tenendo in equilibrio sulla testa ogni tipo di oggetto, due giocolieri si mettono volontariamente in situazioni difficili, cronometrate con estrema precisione; il tempo diventa l’aspetto pericoloso dei loro giochi di invenzione, trovandosi costantemente di fronte all’improbabilità. Le ossessioni infantili sono trasformate in numeri da circo; grazie alle azioni spettacolari, come il bilanciamento degli oggetti, gli artisti riescono a creare una forte tensione drammatica; l’obiettivo è mettere in discussione gli aspetti filosofici del tempo combattendolo, ingannandolo, allungandolo e persino tentando di fermarlo: l’obiettivo è avvicinare gli spettatori all’incredibile storia della giocoleria, creando un’atmosfera intima, con momenti poetici, surreali, ma anche di divertimento allo stato puro. I tutor degli artisti sono Mario Gumina, musicista, attore, regista e videomaker, direttore artistico di C.L.A.P.Spettacolo dal vivo (Circuito Lombardia Arti Pluridisciplinari) e Alessandro Bevilacqua, curatore dei progetti di residenza e di danza contemporanea per il Tcvi.

Sabato 18 alle 21

Lo sharing, ovvero il momento di condivisione con il pubblico, è in programma sabato 18 novembre alle 21.00 al Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza; al termine è previsto un incontro con gli artisti della compagnia. L’ingresso è libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili; bisogna prenotarsi sul sito del teatro www.tcvi.it  – sezione biglietteria online.

Laboratorio per bambini

Durante la residenza, gli artisti di WCS realizzeranno anche un laboratorio di giocoleria per famiglie e bambini dagli 8 anni, “L’arte dell’equilibrio”, sabato 18 novembre dalle 15.00 alle 17.00 al Tcvi in Sala Prove 2. La partecipazione al laboratorio è gratuita, i bambini dovranno essere accompagnati da un genitore. Per iscrizioni scrivere a [email protected]. “Perfect Timing è un progetto selezionato con il circuito multidisciplinare regionale C.L.A.P.Spettacolo dal vivo, con cui il Teatro Comunale collabora da tempo per il circo contemporaneo.

Cosa sono le residenze artistiche

Alcuni artisti si candidano e vengono selezionati, dopodiché entrano in contatto con lo staff del Teatro e, come spiega un comunicato del Teatro, presentano nel dettaglio il loro progetto; verificato il piano operativo, vengono attentamente pianificate le azioni relative alla logistica e ai tempi della creazione, perché l’artista o la compagnia possano entrare in relazione con la squadra operativa e tecnica del Tcvi; le fasi successive della residenza prevedono un percorso di tutoraggio con operatori qualificati e la partecipazione agli incontri con gli spettatori, nelle classi di audience development e negli incontri post-sharing. L’esperienza creativa di progettazione e messa in scena diventa quindi un processo monitorato e monitorabile, sia all’interno del teatro, che all’esterno, grazie alle reti di cui il Teatro Comunale di Vicenza è parte attiva.

Matilde Vigna al TcVi

A fine 2022 i tre soggetti titolari delle residenze per ‘Artisti nei Territori’ del Veneto, ovvero la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, il Comune di Bassano del Grappa – Opera Estate Festival Veneto/CSC e il Teatro del Lemming di Rovigo hanno siglato una convenzione. La rete Vene.Re creata da questi tre soggetti ha diramato nel corso dell’anno un bando per individuare un artista o una compagnia da ospitare, per complessive 45 giornate di lavoro, nei tre teatri. Ed è stata Matilde Vigna, attrice rodigina diplomata alla Scuola del Teatro Stabile di Torino sotto la direzione di Valter Malosti, Premio Ubu 2019 come miglior attrice under 35 e Premio Eleonora Duse come attrice emergente nella stagione 2020-21, la vincitrice del bando Vene.Re con il progetto “Le parole perdute”, diventando anche la protagonista della residenza di prosa We Art 3 edizione 2023.

Ritorno al TcVi il 20 marzo

La residenza di Matilde Vigna al Teatro Comunale di Vicenza si è conclusa nei giorni scorsi con una masterclass dedicata a “Praticare la perdita” e uno sharing pubblico che ha avuto luogo il 2 novembre; il tutoraggio è stato curato da Sergio Meggiolan, direttore artistico del centro di produzione teatrale La Piccionaia e Vanessa Gibin, operatrice specializzata in programmazione e organizzazione di spettacolo dal vivo, mentre l’audience development, ovvero il percorso di analisi, visione e restituzione è stato realizzato in collaborazione con Theama Teatro, per gli allievi dei corsi di formazione teatrale, condotto da Anna Zago, attrice, regista e insegnante. Matilde Vigna sarà inoltre tra le protagoniste, con Eva Robin’s e Beatrice Vecchione, della commedia “Le Serve” di Jean Genet, in programma nella stagione di prosa al Ridotto mercoledì 20 marzo.

Mercoledì 6 dicembre danza contemporanea

Anche il terzo progetto della trilogia We Art 3, la residenza di danza contemporanea che sarà ospitata tra fine novembre ed inizio dicembre al Teatro Civico di Schio e al Teatro Comunale di Vicenza, protagonista il duo EM+ | Emanuele Rosa & Maria Focaraccio con “AMƏN”, un lavoro selezionato nell’ambito di ResiDance – azione del Network Anticorpi XL, che prevede una restituzione finale mercoledì 6 dicembre alle 21.00 al Ridotto del Tcvi.