mercoledì, Aprile 2, 2025
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Rotzo, il paese delle patate sull’Altopiano di Asiago, fra attrazioni storiche e naturalistiche

Per chi ha voglia di neve, di natura, di montagna, sull’Altopiano di Asiago ci sono ben 7 Comuni che offrono borghi caratteristici, luoghi di interesse storico e prodotti tipici. In particolare Rotzo è conosciuto come il paese delle patate, un po’ come Valli del Pasubio è conosciuto come il paese della sopressa…

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Nell’Altopiano di Asiago i paesaggi sono incantevoli. Foto: Marta Cardini

Le attrazioni

Rotzo è un piccolo Comune a quasi 1.000 metri s.l.m. con bei paesaggi e piste da sci. Qui le attrazioni sono numerose. Ci sono le incantevoli cascate del Pach, che si trovano in un sentiero ripido immerso nel bosco, il Forte Campolongo, una fortezza della Prima Guerra Mondiale a cui si acceda da una galleria scavata nella roccia e l’Ata Kugela, una naturale tettoia nella roccia che ha dato riparo ai soltadi della Grande Guerra. Poi ci sono sentieri naturalistici, l’archeoprecorso del Bostel, un vilaggio preisorico risalente all’Età del Ferro, la chiesetta di Santa Margherita, la chiesa di Santa Gertrude e l’Altar Knotto o “altare di pietra”, un grosso masso che si sporge su un dirupo. Da qui si gode di un panorama mozzafiato.

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L’Altar Kotto. Foto: pag. Instagram piccoledolomitisport

La storia

È probabile che il nome del paese derivi da rozzo, un termine del dialetto vicentino che significa “gruppo di case”. La presenza umana nella zona di Rotzo è molto antica, favorita dalla posizione geografica che domina la sottostante val d’Astico, lungo la quale si muovevano i traffici tra la pianura veneta e l’area trentina. L’insediamento poté giovarsi anche di un’ampia zona pianeggiante derivata da una morena glaciale e dal clima mitigato dalla pianura sottostante e dalla protezione delle Prealpi.

Proprio nei pressi della frazione Castelletto, in località Bostel, si trova un’importante area archeologica, in cui sono stati portati alla luce i resti di un villaggio della seconda età del ferro (V-II secolo a.C.). I resti furono scoperti verso la metà del Settecento dall’abate Agostino Dal Pozzo, che riportò alla luce più di quaranta casette costituite da mura a secco e fornite di una sola grande stanza con ingresso verso ovest. Al centro dell’ambiente, una buca circolare serviva per cuocere i cibi.

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Il Forte Campolongo innevato. Foto: Instagram di igers_vicenza scatto di @perla.polito

Dopo la fine della Repubblica di Venezia, Rotzo seguì le sorti degli altri comuni dell’Altopiano che videro la dissoluzione della Federazione nel 1807 da parte di Napoleone. Come tutto il Veneto, fu amministrato dall’Impero d’Austria sino al 1866, quando passò al Regno d’Italia. Come tutti gli altri centri dell’Altopiano, Rotzo è stato direttamente interessato dagli eventi della prima guerra mondiale. Le famiglie furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni durante il conflitto e da profughi vennero ospitati soprattutto nei paesi di Barbarano Vicentino e di Stradella (Pavia). Numerose le testimonianze rimaste: tra tutte, spicca il grandioso forte Campolongo.

La Festa della Patata

Ogni anno, intorno ai primi di settembre si tiene la tradizionale festa della patata, prodotto tipico di Rotzo. Nel 2022 la festa è stata anticipata a fine agosto, dopo due edizioni saltate causa emergenza covid. I rimonati tuberi, che hanno già festeggiato per 44 edizioni, vengono celebrati ogni anno con musica, enogastronomia e mercatini cimbri.

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Le patate di Rotzo. Foto: pag. fb Festa della Patata di Rotzo

“Arte culi ‘n aria”, la racconta Umberto Riva: “dentro e fora per a’ cusina”, glossario e prefazione

19Prefazione e glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.

19Le ricette e la buona cucina. Sedersi a tavola, aprire il menù o prestare attenzione al maestro di tavola, al cameriere, alla “parona” o al “paron” che carta e matita in mano suggeriscono i piatti del giorno. Piatti storici di cucina locale, regionale, piatti della cucina internazionale.
Tutto in nome della gola.

Le ricette esistono, si possono scrivere nero sul bianco. Tre etti di…, una presa di…, una cucchiaiata di…, cinquanta grammi di.., aggiustare con…, ecc…. Ma la cipolla in questa stagione sa più da cipolla, lo stoccafisso in ammollo……, il vialone è a fine annata……….

Ed ecco che le ricette vengono aggiustate. Ecco la sensibilità di chi sui fornelli, compie ogni giorno un miracolo, “’n miracolo par la panza”. E’ bellissimo scrivere ricette, è cultura, una insostituibile cultura per chi ci vuole imitare, per chi nel tempo vuole conoscere.

La storia “del magnar ben”.

Per mangiare raffinato, ci vuole un gran cuoco, grandi prodotti, grandi cucine.
“Par magnare ben, basta voja de far ben, tanta fantasia, tanta fame”.

Se escludiamo per i signori, quelli ricchi (magari solo ricchi), la cucina, quella con la “C” maiuscola, non ha mai occupato in un passato anche sufficientemente recente, un posto importante nella quotidianità.
La gente, quella che con un termine antipatico si definisce comune, era  interessata alla cucina soprattutto per fattori di sopravvivenza.
“O te magni, o te mori”.

Se da questa necessità non è nata una cucina da prima pagina, non è detto che in compenso, non ne siano risultati piatti gustosi, remuneranti oltre che per lo stomaco anche per il palato.
C’era poco a disposizione, ma quel poco e povero, usato con fantasia e dedizione, a volte risultava insaporito da quel modo di cucinare che, ben condito da un sano appetito, faceva, delle cose più semplici, piatti “quasi d’alta cucina”.

Ricordi, episodi, personaggi di quel mondo potrebbero essere piccola cosa se non fosse per il piacere di confrontarsi con il presente ove tutto, perché troppo, viene a noia. È rivivere costumi e costumanze di un altro tempo, di un tempo che se non di ieri era solo dell’altro ieri, ma che al presente, nel mondo di Bengodi, sembra annegato nel più remoto e profondo dei passati.

Storie. La memoria dei disagi e del malessere è la più corta. Di racconti ce ne sarebbero a migliaia. Ma, qui, ne sono stati scritti pochi soprattutto per evitare la noia.

In questo narrare, i personaggi si mescolano al cuocere e al gustare con infinito piacere e profonda sensualità, ed è particolarmente dedicato a coloro che ne hanno vissuto, anche se in giovanissima età.

Il paradigma era: quando la pancia è piena, la vita è in discesa. Allora le piccole cose diventavano grandi e quelle che si stimavano grandi diventavano immense.
Si godeva, si godeva di ciò che si poteva avere e si ringraziava Dio ed il prossimo perché ciò che si otteneva, era felicità.

Una cosa era fondamentale. Servire con l’antipasto, col primo, coi secondi e col “companadego”, col dolce e col caffè, sempre, proprio sempre, “un piato de bona siera”.

Ciò che troverete assieme alle vere ricette, non sono ricette. Usando tanta fantasia e una sterminata buona volontà, si potrebbero definire tentativi di ricette. Invitiamo coloro che oseranno leggere (sappiate che chi non lo farà, sarà a lungo fustigato), a credere alla buona volontà non tanto alle ricette, perché si tratta di ricordi più o meno sbiaditi da tempo, spesso anche imprecisi e filtrati dalla arteriosclerosi.

La cucina è arte. Esiste arte povera ed arte ricca. Importante é che trionfi l’arte.

L’arte è vita.

La cultura è libertà. Il più importante elemento della cultura è il rispetto, rispetto delle persone, delle idee, delle religioni, degli usi, dei costumi, delle tradizioni, di tutto ciò che è proprio dell’umanità.

La cultura è la spina dorsale della civiltà, è la spina dorsale di una nazione sicché una nazione senza cultura è una nazione debosciata.

Chi non ha rispetto non ha cultura e chi non ha cultura potrà avere ricchezza ma non ha e mai avrà civiltà.

Sperando di avervi incuriositi e prima di proporvi la prima ricetta di “Dentro e fora per a’ cusina“, cioè quelle Verze.profumo di paradiso, vi lasciamo al glossario, indispensabile come una… dispensa.

GLOSSARIO – PAROLE ED ESPRESSIONI

La lingua veneta, e vicentina, è onomatopeica. Certe espressioni, anche se a volte letteralmente traducibili, non rendono, né foneticamente né immaginativamente, il contenuto.
Il glossario non é in ordine alfabetico, ma vede l’uso di parole ed espressioni, racconto per racconto, anche se in ordine diverso. Cercate e troverete, altrimenti che ci divertiamo a fare! Alcune espressioni dialettali, trovano la traduzione direttamente nel racconto.
Ci saranno delle ripetizione e delle manchevolezze, non chiediamo scusa, ché a noi sta bene cosi’.

– par pan tenero e biscoto per cuocere pane fresco e biscottato

– ‘n miracolo par la panza un miracolo per il piacere della pancia

– un camin pa ‘e brasoe un camino per cuocere alle brace

– aque acque curative

– caenon de oro catena d’orologio d’oro

– voja de far ben voglia di impegnarsi e lavorare

– o te magni o te mori o mangi o muori

– companadego contorno

– un piato de bona siera un sorriso per augurare buon appetito

– ‘e verse in tecia ‘e spusa le verze cotte in tegame puzzano

– ‘e xe tanto bone sono tanto buone

– verse sofega’ co ‘l coesin verze stracotte con cotechino

– ga ciapa’ ‘a brosema coperte di brina

– de far su el mascio insaccare il maiale

– osi ossa

– cren rafano

– poenta polenta di mais

– brustola’ abbrustolita

– vin fato co ‘l mescola vino casareccio

– cafe fato co ‘l bacheto caffe’ fatto nella cuccuma

– graspa grappa

– ‘a sena del mascio cena di solo maiale

– radeseo rete che contiene gli intestini

– sparagagna parte anteriore della cassa toracica

– poceta piccolissima pozzanghera

– peara’ salsa piccante a base di pane grattugiato midollo d’ossa e pepe (tipica veronese)

– tacaiso appiccicoso

– ‘l ocio l’occhio

– no ‘l se rompese non si rompa

– spusare de suore puzzare di sudore

– culo sedere, per il Ruzzante “preterito”

– sae groso sale grosso da cucina

– fete de mascio e figa’ fette di maiale e fegato

– vin roso da tajare co ‘l corteo vino rosso intenso (clinton o baco’)

– graspa de contrabando grappa fatta in casa

– cote in antian cucinate in tegame

– cosa see? cosa sono?

– lumeghe lumache

– suga’ co ‘l canavaso asciugate col canovaccio

– steco stuzzicadenti o stecco di legno

– ‘a so morte il meglio

– tuto ne ‘l steso antian tutto cotto nello stesso tegame

– pipare bollire lentamente (blup, blup)

– supa de tripe zuppa di trippe

– bon goto de vin buon bicchiere di vino (il “goto”, bicchiere povero di forma particolare)

– vache mucche in generale (con 4 zampe)

– mesogiorno e meso ore dodici e trenta

– sentarse co ‘n pie soto la carega e que ‘altro in vanti sedersi con un piede sotto la sedia e l’altro in avanti

– ‘na canavasa par no sporcarse ‘e braghe un canovaccio per non ungere i pantaloni

– ‘na crose de ojo una croce (un po’) d’olio

– ‘na scianta de peare una presa di pepe

– magnare e pociare mangiare ed intingere pane nella bagna

– pa ‘l bacan co ‘a caena de oro da kilo taca’ al gile’ per il mediatore di bestiame che aveva una catena d’oro pesante un chilo attaccata al gilet (segno di ricchezza)

– carta oleata pergamino (carta impermeabile inventata da Edison)

– pignata pentola

– ‘neta ‘a casa, spasa in tera, lava i veri, fa la lisia, vage drio al mario, tendege ai tusi, fa da magnare e lava i piati, taca i botoni, stira e cusisi, e dopo ge xe i feri de ‘a lana e rogne sempre nove

spolvera, pulisci la casa, spazza i pavimenti, va a far la spesa, spolvera, lava i vetri, fa il bucato,  fa va fare la spesa, accudisci al marito, sta attenta ai figli,  fa da mangiare e rigoverna le stoviglie, attacca i bottoni, stira e cuci, e dopo fa la maglia e problemi sempre nuovi

– solo ‘na sciata pochissimo

– ‘na broca de garofano spezia di garofano secca

– ‘na ciopa de pan un pezzo di pane (“ciopa” e’ un pane bitorzoluto e piuttosto secco)

– se podea far de manco de lavarlo era gia’ pulito, non serviva lavarlo

– ‘a cortea de ‘e tajadee e’ un coltello da cucina ideologicamente e morfologicamente particolare

– moscarola pensile con telaio in legno e rete anti mosche ed insetti in generale

– tola pa ‘e tajadee tavola su cui si impastava e si spianava la pasta

– mescoa mattarello

– no ‘e fasea in tempo a secarse masa non facevano a tempo a seccarsi troppo

– curava    puliva e preparava

– inscartosava avvolgeva in carta

– regaje regalie

– ratateuille interiora dei polli

– va da ‘a siora Catina se par piasere ‘a te da’ mezo bicere de vin bianco

va dalla signora Caterina se per piacere ti da’ mezzo bicchiere di vino bianco

– ‘e tajadee co i figadini tagliatelle coi i fegatelli

– un quartin de gaina, un tocheto de manzo e tanti osi da rosegare

un quanto di gallina, un pezzetto di manzo e tante ossa da rosicchiare

– do sculieri de vin togo due cucchiai di vino rosso buono (Togo famoso ammiraglio giapponese della guerra russo nipponica)

– no le xera robe da siori, ma gnanca da pori cani

non erano cose da ricchi, ma neanche da morti di fame

– ‘na sbranca de grani de ua frambua pasia in granaro

una manciata di chicchi d’uva fragola passita nel granaio

– onta e bisonta unta e due volte unta

– cuketa piccolo contenitore in vetro povero che a volte assume forme fantasiose,

ad esempio quella di uno stivale.

– radeci in tecia radicchio cotto in tegame

– bon goto de nero bicchiere di vino rosso

– sconta nascosta

– da puareti fat pai siori roba da poveri apprezzata dai ricchi

– cosi’ i se cusina gualivi così cuociono uniformemente

– peàre pelare (pèare è pepe)

– spiumoti penne piccole non sviluppate

– ‘e ardee fettine di lardo

– poenta onta polenta fredda ricucinata nell’olio bollente, nello spiedo si fa nella leccarda

– el sfritegase sciansando la cusina

il friggere dell’olio quando cadono gocce d’acqua, che provocano strolli che schizzano le pareti della cucina

– sora i serci

sopra la piastra in ghisa della cucina economica fatta a cerchi

– varda ‘a se gonfia come un grostolo guarda si gonfia come un crostolo

– beki e durei ciucia’  becchi e durelli ben succhiati

– ciuciare i osi succhiare le ossa

– no ‘a xe creansa non è educazione

– tacaiso colloso, appiccicaticcio

– megola midollo delle ossa

– dame i osi pa ‘l can dammi le ossa per il cane

– cosi’ disea me pare cosi diceva mio padre

– minestron minestra di verdure in varie versioni

– pesto de lardo pesto fatto con lardo

– spigeto de ajo spicco d’aglio

– rameto de rosmarin un rametto di rosmarino

– fasoi apena scaola fagioli freschi appena estratti dal baccello

– mesi in moja co ‘na punta de bicarbonato messi in ammollo con un po’ di bicarbonato

– poke patate e ‘n poca de seoa poche patate e poca cipolla

– voendo, anca ‘na gamba de sejno volendo anche un po’ di sedano

– beo, bon e fiso bello, buono e denso

– ‘l cuciaro staga in pie da solo il cucchiaio deve rimanere piantato diritto in piedi

– pignaton pentolone

– ‘l panaro il tagliere

– queo ke non strangoa, ingrassa ciò che non ti va di traverso, nutre

– ben lavà pulitissimo

– co ‘na foieta de salvia, ‘n gioso de ojo e ‘na sculiera’ de aseo

con una foglia di salvia, un goccio d’olio e una cucchiaiata di aceto

– coesa cotenna del maiale prelevata dal lardo

– dagene un toco anca a to sorea da un pezzo anche a tua sorella

– el spunciava, ma el xera bon e po’ dixe, magna ke xe tuto bon, te fa ben e te deventi grando

pungeva, ma era buono e poi, come si dice, mangia che è tutto buono, ti fa bene e crescerai

– quando ‘l xe fiso, ‘l xe coto quando diventa consistente, sarà cotto

– ‘l sa da brusin gusto del bruciato quando si attacca al fondo

– ‘na goduria un godimento

– un paro de aciuge, ‘na sculiera’ de conserva, quatro sinque foiete de salvia e desfrito

un paio di acciughe, una cucchiaiata di conserva, quattro cinque foglioline di salvia e un soffritto di cipolla, tanta cipolla

– i fasoi i scomisiava a desfarse i fagioli cominciavano a sfarinare

– garibaldini pasta secca, piccoli sedanini (come Barilla numero 47)

– va ben anca su ‘l armaro in camara ricordandose de meterge soto ‘na strasa se no se vede ‘l stampo de ‘l culo de ‘e scuee su ‘a vernisa

va bene anche sull’armadio della camera ricordandosi di appoggiarle su uno straccio altrimenti si vedrà lo stampo del fondo delle scodelle sulla vernice

– fare ‘a grosta fare la crosta

– ‘na crose de ojo una croce d’olio

– da lecarsi i mostaci e da ciuciare ‘a scoeaa  da leccarsi i baffi ed anche la scodella

– da mastegare, se te voi ke i sia boni buoni solo se si possono masticare

– tola de ‘e tajadee tavola su cui si preparano le tagliatelle

– skisapatate schiacciapatate

– formaio grata formaggio grattugiato

– botega da casolin negozio di generi alimentari

– de magnare i gnochi degustare gli gnocchi

– pociare intingere il pane

– gnochi anco oggi si mangia gli gnocchi

– i ge ciamava el singano lo chiamavano lo zingaro

– el conoseva l’arte de cusinar el gato sapeva come si cucinava il gatto

– mejo se quindese meglio se quindici

– i foresti i non vicentini

– el nono Toni disea il nonno Antonio diceva

– ‘l formaio xe bon se ‘l camina da solo il formaggio e’ buono solo se cammina

– teceta de fero smalta’ tegamino in ferro smaltato

– col covercio con coperchi

– ’l magnare par mesogiorno il pranzo

– xera formaio verde era gorgonzola

– bai vermetti

– quei che se ne intende gli intenditori

– Nani strase deto anca verniseta soprannomi intraducibili

– frutarola fruttivendola

– ‘l vezena vecio, queo co ‘a lgrima formaggio vezzena vecchio, con il grasso

– gnanca ‘ndavo a scola prima delle elementari

– sfritegava il rumore dell’acqua sulla piastra bollente

– giosa goccia

– la se irusinise diventa preda della ruggine

– ‘a fasa faccia

– speremo che i ‘a frisa speriamo la friggano

– farsora pentola per fritti

– goloseti cose golose (termine veneziano)

– movete che deventa tuto fredo e no xe pi’ bon muoviti che si raffredda e non sarà piu’buono

– scaolare i bisi togliere i piselli dal baccello

– no magnarli crui che te vien ‘l mal panza  non mangiarli crudi che ti provocano male alla pancia

– da ‘a tecia de i bisi in antian dal tegame dei piselli cotti in umido

– meterge metterci

– lecare anca ‘l piato leccare anche il piatto

– toco de storia un pezzo di storia

– suda’ bollito

– co ‘a giosa con la goccia

– i sparasi co i ovi asparagi con uova

– i xera cosi’ boni che se magna’ tuto anca el manego

erano talmente buoni che si e’ mangiato tutto, anche il manico

– pociando la feta intiera intingendo la fetta non tagliata a bocconi

– freschin odore tipico d’acqua ferma

Guerra Ucraina – Russia e non solo quella, missili cadenti e desideri: il senso di impotenza di Claudio Mellana, uno degli umor(tr)isti

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Mentre il senso di impotenza mi avvolge come se dovessi diventare una mummia, cari amici mi inondano di citazioni contro la guerra di Trilussa, recitato da Gigi Proietti*, di Rodari, di De André e tanti altri. E peggiorano, non volendolo, il mio senso di inutilità. Mi sento impotente e non vi è nessun viagra che possa risolvermi il problema. Le parole di denuncia, di indignazione, di riprovazione rimbalzano contro le orecchie rese sorde dal fragore delle bombe della guerra. Le vignette sono la prossima carta straccia di noi umor(tr)isti.


*Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe dun impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;

che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Ché quer covo dassassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finché dura sto macello:
fa la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!


Qui le vignette di Claudio Mellana

La pinacoteca di Palazzo Chiericati, un’immersione nell’arte dal Medioevo a oggi

Al Museo Civico di Palazzo Chiericati è presente una immensa pinacoteca, una collezione da ammirare, che è una vera e propria immersione nell’arte, Palazzo Chiericati ospita infatti le raccolte comunali di dipinti, sculture e arti applicate dal XIII al XX. Capolavoro della prima maturità del Palladio (1550), conserva al suo interno, oltre alle decorazioni d’epoca, importanti documenti della storia artistica vicentina.

palazzo chiaericati
Alcuni affreschi presenti al piano terra. Foto: Marta Cardini

Al piano terra

Si parte dal piano terra del palazzo palladiano, dove si possono osservare le decorazioni ad affresco opera di Domenico Brusasorzi (Sala del Firmamento e Sala d’Ercole) e Battista Zelotti (Sala del Concilio degli Dei), impreziosite da stucchi e grottesche. In attesa della loro collocazione definitiva nell’ala ottocentesca, è stata qui allestita la sezione di opere del Settecento, con i capolavori di Tiepolo, Piazzetta, Ricci, Pittoni e molti altri. Apre poi il percorso espositivo permanente la sala con i sette lunettoni civici di BassanoMaffei e Carpioni, dove si racconta il periodo d’oro della città tra ’500 e ’600, sotto il dominio della Serenissima.

pala d'altare
Una pala d’altare presente al primo piano. Foto: Marta Cardini

Al primo piano

Poi si sale al primo piano, che rappresenta la sezione medievale, dove sono accolti i capolavori di Paolo Veneziano, Battista da Vicenza e Hans Memling. Seguono le sale dedicate a Bartolomeo Montagna e alla sua scuola, per arrivare al grandioso ambiente che restituisce la decorazione della distrutta chiesa di S. Bartolomeo, con importanti pale d’altare tra le quali spiccano quelle di Montagna, Cima da Conegliano e Giovanni Bonconsiglio.

secondo piano
Al secondo piano si rimane estasiati da tante meraviglie. Foto: Marta Cardini

Secondo piano

Al secondo piano sono raccolte le opere dei grandi maestri della pittura veneta del ’500: BassanoTintorettoVeronese, oltre alle sculture di SansovinoVittoria e i cristalli di rocca di Valerio Belli. Seguono i capolavori del XVII secolo di Luca GiordanoMaffeiDella Vecchia e Carpioni.

Nell’edificio palladiano si possono inoltre ammirare i due affreschi nelle sale delle Virtù Civili e della Colonna Traiana, oltre ai soffitti con L’Apoteosi della famiglia Chiericati e Apollo sul Parnaso.

mappamondi
I mappamondi antichi presenti nella sala riunioni di Palazzo Chiericati. Foto: Marta Cardini

Sottotetto

Nelle tre stanze del sottotetto dell’ala nord è visitabile il lascito del marchese Giuseppe Roi, costituito dalla sua personale raccolta di dipinti, disegni e incisioni dal XV al XX secolo, ambientata in un suggestivo allestimento di casa-museo.

Nelle corrispondenti sale dell’ala sud si trovano invece i depositi di pittura e delle collezioni grafiche, visitabili su richiesta.

lampada roi
Una lampada presente nella collezione Roi. Foto: Marta Cardini

C’è inoltre un piano interrato, dedicato a esposizioni temporanee.

Non solo Palladio: il parco di Colle Ambellicopoli, da un’idea del conte Guiccioli a metà Ottocento un giardino pubblico con tante attrattive

Ambellicopoli. Nome misterioso di un luogo invece ben noto di Vicenza (qui tutte le puntate di “Non solo Palladio”, ndr). Colle di Ambellicopoli è infatti il toponimo della più popolare Villa Guiccioli, alias Museo del Risorgimento, dietro alla quale c’è uno dei parchi più belli della città.
Siamo a Monte Berico, a poche centinaia di metri dal Santuario della Madonna, sul crinale che si spinge a meridione. Un versante dà sulla meravigliosa Valletta del Silenzio (cara a Antonio Fogazzaro) e sulla Rotonda, l’altro sulla sequenza delle incontaminate valli di Gogna. Un contesto che permette di spaziare dalla pianura verso Padova, agli Euganei e alle propaggini delle Prealpi sopra Montecchio Maggiore e dalle cime di Recoaro agli Altipiani e poi al Grappa. Una visione a 360 gradi.
Il sito, che è uno dei più affascinanti di Vicenza “urbicula suavis” consta di una villa settecentesca e di un parco di quattro ettari, che occupa la parte sommitale del colle a 150 metri sul livello del mare e in cui sono presenti ben 536 piante fra alberi e arbusti.
Perché questo colle si chiama Ambellicopoli? Per scoprire l’origine del nome si deve risalire a due secoli e mezzo fa. La cronologia parte dal 4 marzo 1788, giorno in cui le veronesi contesse Laura e Annamaria Bombarda di Verona cedono i loro possedimenti sul Colle a un vicentino, Antonio Marchiori, di cui non si sa nulla se non che era proprietario di “case e beni arativi, prativi e boschivi sul Monte Berico”. Insomma: un vicino. Marchiori investe sul bene acquistato, che dobbiamo immaginare ancora allo stato naturale e forse dotato solo di qualche edificio rurale, lo qualifica e migliora. Non si può escludere che Marchiori abbia agito su commissione del successivo acquirente o addirittura per fare personalmente una speculazione edilizia. Il sospetto è provocato dal fatto che, solo sei anni dopo l’acquisto e cioè nel 1794, lo rivende a un veneziano di origine greca, Marino Ambellicopoli. Ecco, dunque, chi dà il nome al sito. È, questi, un “mastro di zecca” della Repubblica Serenissima e cioè un artista, un incisore che modella lire e zecchini, oppure – più probabilmente – il direttore del conio veneziano.

Villa Guiccioli, costruita alla fine del Settecento da Marino Ambellicopoli
Villa Guiccioli, costruita alla fine del Settecento da Marino Ambellicopoli

Sul perché Ambellicopoli si trasferisca da Venezia, sede del suo lavoro, proprio a Vicenza, non ci sono notizie. Forse nel presentimento che è prossima la fine della Serenissima? Due anni dopo, infatti, i francesi di Bonaparte invaderanno il Veneto. Fa comunque sul serio: affida il progetto di una villa a un grande architetto veneziano, Giannantonio Selva, che, oltre a numerosi palazzi sulla Laguna, ha firmato il Gran Teatro La Fenice. Non uno qualunque.
Dopo cinque anni, è pronta la dimora. Pur essendo un neo classico e neo palladiano, Selva disegna un edificio molto sobrio e lineare, che non ricorda assolutamente le ville dell’archistar e che sarà molto rimaneggiato nel prosieguo. Il resto del colle però resta destinato ad azienda agricola.
Il 10 giugno 1848 la Grande Storia fa tappa sul Colle Ambellicopoli. La colonna principale dell’esercito austriaco comandato dal maresciallo Josef Radetzky scende dalla dorsale dei Berici per riconquistare Vicenza, insorta e difesa da una forza mista di cittadini, volontari e battaglioni ex-pontifici. È questo, infatti, il lato più vulnerabile delle difese urbane e le tre linee di presidio (quella di Ambellicopoli è l’ultima), predisposte dai colonnelli Enrico Cialdini e Massimo D’Azeglio, cadono una dopo l’altra pur combattendo strenuamente i difensori.
Cinque anni dopo, gli eredi di Ambellicopoli vendono l’intera proprietà a un conte ravennate, già ministro delle finanze della Repubblica Romana e poi deputato e senatore del Regno d’Italia. È sua la grande e benemerita idea di trasformare l’area rurale alle spalle della villa in un parco con funzione ornamentale e ricreativa dotandolo di un vasto corredo botanico.

Una visione degli edifici di Villa Guiccioli in una antica cartolina postale
Una visione degli edifici di Villa Guiccioli in una antica cartolina postale

Nel 1935, infine, il complesso diventa pubblico: l’acquista infatti il Comune di Vicenza. Con Regio Decreto dello stesso anno è dichiarato zona di interesse storico nazionale e, tre anni dopo, diventa sede del Museo Storico del Risorgimento nazionale e della Guerra, con l’apporto di numerose donazioni di cimeli e documenti. Dopo il secondo conflitto mondiale il tema museale è ampliato alla Resistenza.
Basterebbe questo ricco passato a connotare di importanza il sito ma ciò che più conta è la bellezza del parco. L’accesso più suggestivo è quello dalla Valletta del Silenzio, da cui s’inerpica prima una ripida scalinata e poi un più agevole sentiero che, fra arbusti e alberi, ascende il colle e immette improvvisamente nell’ondulato pianoro in cui culmina l’altura. È più gradevole conoscere da qui il parco piuttosto che dal retro della villa, perché ci s’arriva giusto nel mezzo e si evita la mediazione – a dire il vero non proprio splendida – degli edifici.

La scalinata che sale dalla Valletta del Silenzio al Colle di Ambellicopoli
La scalinata che sale dalla Valletta del Silenzio al Colle di Ambellicopoli

La sensazione immediata che trasmette il giardino è una grande serenità. I rumori sono quelli della natura, nulla di artificiale o umano. Il verde è il colore dominante, quello delle piante e dei prati, un cromatismo che notoriamente induce la pace nella mente e nell’animo. D’estate, poi, anche nei giorni più caldi qui la temperatura è più bassa e gradevole sia perché la pur contenuta maggiore altezza rispetto alla campagna è sufficiente a mitigare la calura sia perché l’ombra prodotta dai grandi alberi del bosco filtra e scherma i raggi del sole.
Camminare nei vialetti, riposarsi sulle panchine, guardare e magari imparare a riconoscere le specie botaniche: se si ha voglia o bisogno di una pausa, di uno scenario diverso da quello urbano, sul Colle Ambellicopoli si trova tutto quello che serve. A dieci minuti dalla città.

“Malacarne”, film noir della regista vicentina Lucia Zanettin: trama e finale mozzafiato tra misteri e segreti della montagna

25Un film noir con panorami mozzafiato e ambientato nella natura montana. E’ il nuovo lungometraggio “Malacarne della regista vicentina Lucia Zanettin, appassionata di montagna, che raffigura paesaggi meravigliosi e personaggi misteriosi. Si tratta di una fiction che lascia col fiato sospeso fino alla fine. E’ una leggenda che ricorda quelle vicentine del Buso della Rana e della Montagna Spaccata.

Il film è stato girato fra le montagne del Trentino Orientale e quello Occidentale. Alcune scene sono state girate a Borgo Valbelluna, vicino a Mel (Belluno). La scenografia è spettacolare.
Giovanni, papà di Simone, è alla ricerca disperata del proprio figlio, scomparso l’estate precedente in prossimità di una montagna. Si tratta di una montagna che non ha nome e, per raggiungere la quale, ci vogliono giorni interi di camminata. La proprietaria di un rifugio, Maria, gli sconsiglia vivamente di salire alla montagna dove è scomparso il figlio. Ma Giovanni, determinato a ritrovare il figlio, o perlomeno a comprenderlo, insiste per farsi accompagnare dallo scultore, esperto del luogo, Albert fino alle Buse di Malacarne. Albert accetta di accompagnarlo ma, una volta giunti alle Buse, Giovanni oltrepassa il confine stabilito da Albert e lo scultore lo ferma, facendogli male a una caviglia. Al di là di quel confine, infatti, molti spariscono. Così Albert convince Giovanni a tornare indietro, sostando nell’isolata malga dove abita Mirka finchè non guarisce dal dolore alla caviglia. Mirka è un personaggio che colpisce subito lo spettatore. E’ una ragazza dai lunghi capelli neri a cui piace stare sola e, nello stesso tempo, pare abbia degli amanti. Ammaliante e seducente, si scopre che Mirka è l’amante del gelosissimo Albert e Giovanni riesce a far confessare alla ragazza che l’anno prima aveva conosciuto e amato Simone per tre giorni e tre notti. Mirka racconta anche che Simone era determinato a raggiungere la montagna inviolata e misteriosa. E che una mattina partì per la montagna senza preavviso.
Così Giovanni convince Mirka a far tornare Albert in paese in cerca di aiuto per la sua caviglia, per poi farsi accompagnare da Mirka alla montagna misteriosa. Una volta giunti lassù, Mirka torna indietro, su richiesta di Giovanni, che si ferma a dormire nel suo sacco a pelo. Durante un incubo notturno, Giovanni “vede” il figlio all’interno di una grotta che viene richiamato dal canto di una voce e sviene. Giovanni si sveglia di soprassalto e…
Un colpo di scena finale vi sorprenderà.

Come finisce il film?

Eccovi svelato il finale mozzafiato… “Malacarne” domani sera 17 ottobre al Cinema Verdi di Breganze, il 18 ottobre al Cinema al Corso di Reggio Emilia, il 25 ottobre alla Mediateca Regionale Ligure di La Spezia, il 27 a Roma alla Casa del Cinema, il 3 novembre a Padova al Cinema Lux, l’8 novembre a Venezia Mestre al Cinema Dante, il 12 a Rovigo al Cinema Duomo, il 24 al Cinema Lumiere di Reggio Calabria, il 1° dicembre a Sondrio al Cinema Excelsior, il 15 dicembre a Bergamo al Cinema San Zeno e il 19 gennaio 2023 a Noventa Vicentina al Cinema Famiglia, il 24 novembre a Raggio Calabria…

Senza copyrighter di una volta, Mellana a Tajani: “Pena di morte in Iran solo sproporzionata?”. E al Vaticano: “Verità Orlandi, quando?”

Il 30 aprile 1977, in Argentina, sedici madri e nonne marciarono in Plaza de Mayo di fronte alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale argentino. Un fazzoletto bianco in testa (il pañuelo) per simbolo e un’unica richiesta: conoscere il destino di figlie e figli, mariti e nipoti scomparsi (desaparecidos). Queste donne ogni giovedì, sempre più numerose, scesero in piazza contro la dittatura militare.
Oggi in Iran, sempre le donne, migliaia di donne, marciano e protestano togliendosi il velo, che la sanguinaria dittatura teocratica gli impone, gridando lo slogan: Donne, Vita Libertá.
Si dovettero purtroppo aspettare ancora sei anni per vedere crollare la dittatura in Argentina.
Solo il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dimostrato di non essere un coniglio e ha espresso de visu all’ambasciatore iraniano condanna e personale indignazione per le repressioni e le esecuzioni. Sembra il solo, da quelle parti, che non abbia voglia di aspettare ancora sei anni prima che crolli il regime degli ayatollah.
Mi si dice che anche il Ministro degli esteri Tajani sia andato giù pesante. Pesante perché ha dichiarato sulla pena di morte comminata in Iran:” “È inflitta in modo sproporzionato ed è inaccettabile, soprattutto quando lo si fa in nome di Dio. Soltanto Dio toglie la vita, nessuno può farlo in suo nome”.
A parte il fatto che sia solo Dio a togliere la vita puzza di altra teocrazia ma longius abeamus.
Una pena di morte inflitta in modo sproporzionato (!) presuppone che ne esista una inflitta in modo proporzionato e che sia inaccettabile soprattutto (!) se inflitta in nome di Dio vuol dire che se inflitta in nome del mio barbiere va bene?
Tajani, cambia copywriter.

Il Santuario di Monte Berico e la Madonna che salvò i vicentini dalla peste del Seicento

Il Santuario simbolo della città di Vicenza è la chiesa di Monte Berico, che domina la città dall’omonimo colle e la protegge con la sua Santa patrona: la Madonna di Monte Berico. La Basilica è spesso meta di turisti italiani e stranieri. La basilica è il risultato dell’integrazione di due chiese: la prima quattrocentesca in stile gotico, la seconda, della seconda metà del Seicento, è una basilica in forme barocche. Nel maggio del 1904 papa Pio X l’ha elevata al rango di basilica minore. Qui vivono i frati “I Servi di Maria”. L’intero complesso della basilica è visibile, risalendo il colle, dal giardino di Villa Guiccioli, sede del Museo del Risorgimento e della Resistenza.

interno
L’interno della chiesa. Foto: monteberico.it

La facciata

Quando si arriva in cima al colle, è possibile parcheggiare la macchina nel parcheggio con vista sulla città. La chiesa appare con le sue facciate molto simili su tre lati. Sulla facciata verso i portici (prospetto orientale) nella cornice del lunotto campeggiano le statue della Fede e della Speranza. Il registro superiore presenta statue di santi particolarmente venerati a Vicenza, tra cui il medico Leonzio martirizzato nel 307, Carpoforo e Gaetano Thiene e santi della tradizione, tra cui sant’Antonio da Padova e Maria Maddalena. Nel registro inferiore sono collocate quelle di san Sebastiano, san Vincenzo, san Rocco e san Filippo Benizi. Sopra il portale è rappresentata la Vergine che appare a Vincenza Pasini, opera di Orazio Marinali.

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Il panorama su Vicenza visto dal parcheggio del piazzale del Santuario. Foto: Marta Cardini

L’interno

Appena si entra, si rimane coliti dalla ricchezza delle opere d’arte di alcuni importanti artisti, tra le quali la Vergine con i quattro evangelisti e il Battesimo di Cristo, entrambi di Alessandro Maganza. L’interno è suggestivo. Passando per la navata sulla destra, è possibile raggiungere il retro dell’altare, dove è collocata la Madonna a cui chiedere le “grazie”. Si passa silenziosamente e si tocca l’effigie della madonna con una mano, per poi continuare a pregare silenziosamente. Scendendo poi sotto la chiesa si possono ammirare il chiostro gotico e il refettorio dei frati.

La nicchia della Madonna dietro l’altare è incorniciata dentro un’edicola dipinta sullo sfondo con un manto decorato, sorretto da angeli. Sotto la statua è collocato un grande tondo d’argento, decorato con un bassorilievo che rappresenta ancora l’apparizione della Vergine a Vincenza Pasini. A fianco vi sono due bassorilievi marmorei che raffigurano Vincenza Pasini e i soldati offerenti dopo la prima guerra mondiale.

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La statua della Madonna dietro l’altare. Foto: https://www.monteberico.it/

La Madonna che salvò dalla peste

La Madonna di Monte Berico è nota per aver salvato i cittadini dalla peste del Seicento. Nel giugno del 1630 il Consiglio comunale di Vicenza proponeva infatti una oblatione alla Vergine di Monte Berico per supplicarla con il più vivo e riverente affetto “che sia possibile che interceda alla misericordia divina, che ci preservi dalli imminenti pericoli di peste e di guerra che ci sovrastano”. Incombeva infatti la guerra di Mantova e, a quel tempo, gli eserciti spesso trascinavano con sé l’epidemia. Puntualmente, questa si fece sentire in città nel successivo mese di agosto. Cessata la peste, i maggiorenti del Comune in accordo con i Serviti decisero di ingrandire il tempi. Ottenuti i finanziamenti, si procedette a eliminare l’aggiunta palladiana, in favore di un edificio più ampio i cui lavori si svolsero tra il luglio 1688 e il dicembre 1703. Nel corso del secolo si susseguirono altri lavori, come la decorazione scultorea, la sistemazione degli altari e la gradinata davanti al prospetto settentrionale.

monte berico
Il santuario di Monte Berico visto da Villa Giuccioli. Foto: Marta Cardini

 

Serie C: ValchiampoVicenza beffato sul finale dalla Bassa Bresciana

Nella terza giornata della Fase Promozione, i Cadetti del ValchiampoVicenza non riescono a venire a capo di un match alla portata.

Inizio difficilissimo per il ValchiampoVicenza che pronti-via si ritrova a subire una meta e due cartellini nei primi quattro minuti di gioco. 0-5 e doppia inferiorità numerica dovuta all’avanti volontario di Todescato ed alle successive proteste di Capitan Morselli rivolte al Direttore di gara Catagini.

Questo avvio shock peserà sulla lucidità della squadra vicentina che giocherà tutti gli ottanta minuti compiendo banali errori di possesso e con il freno a mano tirato. Anche la Bassa Bresciana non trova continuità nella manovra. La gara offre quindi solamente un’interminabile serie di cambi di possesso, con numerosi falli sia nei punti di incontro che nelle mischie. I vicentini trovano il guizzo solo alla mezz’ora con la meta di mischia che vale il 5-5. L’impressione è che il ValchiampoVicenza possa prendere in mano la partita in qualsiasi momento, ma le numerose le disattenzioni ed i cali di tensione premiano la Bassa Bresciana che di lucidità e opportunità ruba il tempo ai nostri schiacciando in meta sotto ai pali allo scadere della prima frazione: 5-12.

Secondo tempo sulla falsa riga del primo con il ValchiampoVicenza assoluta cicala, padrone del campo ma sprecone e gli ospiti di Leno nei panni della formica che portano a casa un fondamentale piazzato che li porta oltre il break 5-15. I padroni di casa con cuore ed orgoglio raddrizzano la gara nell’ultimo quarto grazie a due mete che impattano la sfida 15-15. L’ultimo possesso vede i biancorossazzurri provare il tutto per tutto giocando dalla propria metà campo. Purtroppo un fallo ingenuo attorno al centrocampo concede agli ospiti il calcio di punizione che vale l’intera posta. Ovale in mezzo ai pali e Bassa Bresciana che così vince 15-18.

Domenica che lascia l’amaro in bocca per una performance al di sotto delle aspettative: il ValchiampoVicenza non è riuscito ad esprime il proprio gioco in una gara decisamente alla portata.

Domenica prossima la quarta giornata con l’abbordabile sfida esterna al Monselice.

Forza ValchiampoVicenza

Mario Garbuio

Vicenza, “Rugby Arena” 22 gennaio 2023 – 3° giornata Serie C Fase Promozione
ValchiampoVicenza vs Rugby Bassa Bresciana 15-18 (pt 5-12) mete 3-2

ValchiampoVicenza: Frigo, Coltro, Ali’, Pietrangelo, Ceccato, Corte, Ramon, Torregiani, Todescato, Salvo’, Gottardi, Speggiorin, Morselli, Fantin, Nicolis, Centomo, Giovanniello, Gonzato, Peruffo, Belluomini.
All. Pogietta, Sandon

Risultati
3° giornata 22/01/2023 ore 14:30
Valchiampo Rugby Vicenza v Rugby Bassa Bresciana 15-18 (1-4)
Rugby Bassano v Rugby Monselice 7-13 (1-4)
Rugby Calvisano v Rugby Trento 23-10 (4-0)
Rugby Fiumicello v Rugby Rovato 26-22 (5-2)

Classifica
Rugby Calvisano 14
Rugby Rovato 12
Rugby Fiumicello 10
Rugby Bassa Bresciana 9
Rugby Trento 7
Rugby Bassano 6
Rugby Monselice 4
Valchiampo Rugby Vicenza 2

Prossimo turno
4° giornata 29/01/2023 ore 14:30
Rugby Monselice v Valchiampo Rugby Vicenza
Rugby Trento v Rugby Bassano
Rugby Bassa Bresciana v Rugby Fiumicello
Rugby Rovato v Rugby Calvisano

Ufficiale Lr Vicenza: Federico Proia all’Ascoli Calcio

La società LR Vicenza (qui altre news, n.d.r.) comunica di aver risolto consensualmente con la S.P.A.L. l’accordo di cessione a titolo temporaneo dei diritti alle prestazioni sportive di Federico Proia.

Contestualmente, si comunica di aver ceduto all’Ascoli Calcio 1898 FC, a titolo temporaneo con diritto di opzione e obbligo di riscatto condizionato, il diritto alle prestazioni sportive del giocatore.

Federico Proia, centrocampista classe ’96, nella prima parte della stagione 2021/2022 aveva registrato 19 presenze con la maglia biancorossa e siglato 4 reti.

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Fonte: Lr Vicenza