lunedì, Ottobre 20, 2025
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Vicenza, Enrico e la pojana che allontana i colombi per “disinfestare” i nidi e l’ambiente in piazza dei Signori e dintorni

Qualche giorno fa il nostro direttore, passeggiando per stradella S. Giacomo, una laterale di Corso Palladio, si è imbattuto in Enrico, un addestratore di pojane, e nella sua bella pojana. Quest’ultima è stata addestrata appunto per spaventare i piccioni e distruggere i loro nidi. Oltre all’alta concentrazione di guano, che si deposita per le strade e sugli edifici, il problema principale riguardante i piccioni è quello delle malattie di cui questi volatili sono portatori.

Enrico, addestratore di pojane
Enrico, addestratore di pojane

Ed ecco che Enrico spiega: “la mia pojana spaventa i colombi e toglie i piccoli dai nidi. Ci vogliono circa 2 mesi per addestrare una pojana a fare questo tipo di lavoro“. La pojana ha appunto la funzione di “disinfestare” i piccioni. Anche a Napoli era stata presa una simile iniziativa nel 2016 e lo stesso è stato fatto anche in altre città italiane. La pojana, il cui vero nome è buteo buteo, è infatti un rapace “intelligente” che apprende facilmente e che ama cacciare.

Le malattie dei piccioni sono circa 60 e si contraggono principalmente respirando o ingerendo le polveri di guano presenti nell’aria. Inoltre, in alcuni casi, sono trasmissibili anche tramite il contatto con gli escrementi. Le più riscontrate nei pazienti sono la salmonellosi e l’istoplasmosi, che si contrae tramite un fungo presente nel guano di piccione chiamato Histoplasma Capsulatum. Causa dei problemi di tipo polmonare con tosse, dolori al petto e stanchezza che possono diventare dei sintomi cronici nei pazienti con difese immunitarie basse.
C’è poi l’ornitosi. Anche questa malattia provoca dei problemi al livello polmonare e presenta gli stessi sintomi di una polmonite. Colpisce abbastanza frequentemente gli allevatori di uccelli ed è causata dal batterio Chlamydophila Psittaci.

pojana
Una pojana. Foto: https://www.ceaspartemontis.it/la-poiana-rapace-predatore-dei-cieli/

Ed ecco che Enrico spiega: “la mia pojana spaventa i colombi e toglie i piccoli dai nidi. Ci vogliono circa 2 mesi per addestrare una pojana a fare questo tipo di lavoro“. La pojana ha appunto la funzione di “disinfestare” i piccioni. Anche a Napoli era stata presa una simile iniziativa nel 2016 e lo stesso è stato fatto anche in altre città italiane. La pojana, il cui vero nome è buteo buteo, è infatti un rapace “intelligente” che apprende facilmente e che ama cacciare.

 

 

 

La storia della Seriola raccontata da Luciano Parolin

Nel 1867, a seguito delle diatribe secolari tra proprietari di terreni lungo la Seriola, il Regio Ufficio Tecnico Provinciale elaborò sotto la Direzione del Ing. capo Girotto, un progetto del Regio Ingegnere Signor Polettini, per una documentazione storica da utilizzare per la costituzione di un Consorzio per gli Usi d07le acque convogliate per la Roggia Seriola. Alcune sorgenti d’acqua che incontransi nell’abitato suburbano di Maddalene ingrossate dalle colaticce e irrigazioni prative di Costabissara danno origine alla Roggia detta Seriola.

Seriola
Percorso Seriola – 1580 – Pianta Angelica

Il percorso di questo fiumicello con risorgive a Maddalene scorre sino a Cà Brusà (casa Bruciata) poi costeggiando la Regia Strada di Vallarsa ora S.S. Pasubio e Viale Trento arrivava in Piazzale Tiro a Segno ove si divideva in tre rami (mappa 1821). Il ramo di sinistra, passa sotto la porta di Santa Croce che aveva il ponte levatoio e va scaricarsi nel Bacchiglione, il ramo centrale entra in città attraverso le mura, percorre Contrà Corpus Domini, parte di Soccorso Soccorsetto, girando a destra per le Cantarane e Villa Romanelli, per entrare nel Giardino Valmarana (ora Salvi).

Il terzo Ramo seguiva le mura cittadine (ora Viale Mazzini), passava davanti alla Rocchetta, Contrà Carlo Cattaneo per entrare nel Giardino Valmarana attraverso la Loggia del Longhena formando la peschiera, sempre all’aperto davanti a Porta Castello, costeggiando il Campo Marzio sino al Ponte sul Retrone (questo tratto è ancora visibile) il ponte Furo era scavalcato prima con un manufatto poi un grosso tubo in ghisa, percorreva Contrà della Fossetta, Porton del Luzzo, Contrà del Guanto (Bar Ponticello) si prolungava sotto contra’ Mura San Michele e attraverso la Piarda sbucava alle Barche nel Retrone.

Negli anni ‘80 il corso d’acqua fu intubato e coperto, in località Ca’ Brusa deviato nel Bacchiglione. La Seriola durante il suo percorso dava energia idraulica a molti mulini, tintorie, serviva come acqua potabile per i vari conventi. La storia comincia il 16 luglio 1444 con una investitura rilasciata a favore di Padre Bartolomeo dei Provinciali (forse Gerolimini?) per l’utilizzo dell’acqua. Il 20 Luglio 1785, alcuni “opificanti” proprietari di mulini cioè: Trento, Checozzi, Valmarana, Cagnotto, “erigendosi arbitri assoluti dell’acqua per la Seriola fluente si obbligavano di espurgare la tratta a comuni spese sino al Ponte del Retrone; agli ultimi due utenti la residuante tratta dal Ponte Furo allo sbocco in Bacchiglione”.

Nel tempo, per diritti eredità, subentrarono le ditte: Bertolini (proprietario Missioni Estere) conte Salvi, Lampertico, De Tacchi, De Santi, Fortunato, i quali non avevano nessuna intenzione di rispettare gli accordi dimenticando il pre esistito Consorzio Acque Seriola. L’alveo così era caduto in abbandono, con problemi sanitari anche per la città, si era fatto limaccioso, fonte di morbose esalazioni invece che di acque vive e salutari, i cittadini facevano continue lagnanze, così il Municipio il 29 settembre 1809, per disposizione del Prefetto, attivò un Consorzio acque per provvedere agli emergenti bisogni, addebitando agli interessati le spese, l’intervento del Municipio suscitò opposizioni e contrarietà. Il Comune tentò di ricostituire il regolare Consorzio, ma non se ne fece nulla.

Un rapporto Municipale del 2 luglio 1852 a riguardo della situazione igienica della Seriola fece intervenire la Delegazione Provinciale per l’espurgo di una tratta d’alveo. Ma completato l’espurgo le opposizioni continuarono sul tema delle ”competenze passive”. Il Municipio dovette intervenire con ulteriori rapporti all’autorità Provinciale nel 1853 e 1854. 20 Maggio 1854. Vengono convocate alcune ditte per eleggere un Consorzio di Rappresentanza che l’ingegnere civile del Comune Angelo Durlo auspicava, ma il suo elaborato (piano attuativo e Statuto) era avversato dai proprietari dei fabbricati frontisti che si erano rivolti all’avvocato Pasini per la disputa di chi utilizzava l’acqua come forza motrice e chi per irrigazione. Il problema della pulizia della Seriola si ripeteva nel 1855 con il bisogno urgente di espurgo nel tratto dovuto ai molini Lampertico in Campo Marzio.

Il 23 Agosto 1855, una mozione Municipale: propone un piano generale di sistemazione del letto della Seriola sino allo sbocco nel Bacchiglione, deliberando che tutte le domeniche il letto della Seriola resti a secco. Per questa delibera il Municipio incaricò il nobile ing. Muttoni il quale muore poco dopo l’inizio dei lavori. Una Consulta Tecnica del 6 luglio 1864, chiede d’urgenza l’istituzione di un Consorzio di Bonifica con elezione tra gli utenti di una Rappresentanza incaricata a tutelare i singoli interessi.

15 dicembre 1864, per disposizione della Congregazione Provinciale, costituiva una Provvisoria Presidenza che l’8 marzo 1865 dava l’incarico al Dr. Gerolamo Morsoletto di condurre a fine i rilievi e altro. Ma anche Morsoletto mancò ai vivi.

Con Ordinanza 21 aprile 1866, si affidava all’Ufficio Tecnico Municipale l’incarico di completare i lavori. I proprietari degli opifici con mulino volevano estendere la spesa a tutti i frontisti che usavano l’acqua per abbeverare, per innaffiare giardini e orti,o per uso tintoria, ma tutti questi insorsero contestando e capitanati dal defunto avv. Pasini, protestarono rifiutandosi di votare il Presidente. Per questo motivo il Consiglio Comunale del 1864, respinse il progetto di Consorzio e d’ imperio l’Autorità Provinciale nominò una Presidenza provvisoria in rappresentanza degli utenti per irrigazione nella persona del nobile conte Ghislanzoni e per gli opificanti nella persona del conte Giuseppe Bertolini.

Da Archivi Comunali di Palazzo Trissino

Di Luciano Parolin da Storie Vicentine n. 1 2020


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
Prezzo di copertina euro 5
Abbonamento 5 numeri euro 20
Over 65 euro 20 (due abbonamenti)

Vicentini sparsi nel mondo, li trovi anche in Portogallo: Chiara Missaggia  

La ricerca di vicentini sparsi per il mondo giunge a Lisbona, in Portogallo, dove incontriamo Chiara Missaggia, che ci racconta le sue esperienze e le sue sensazioni. Lisbona, capitale e principale città del Portogallo, è situata sull’estuario del fiume Tago, nella zona più occidentale della penisola iberica e dell’Europa continentale. È caratterizzata da un clima Atlantico, con inverni miti ed estati non troppo calde.  

chiara missaggia
Chiara Missaggia

– Da quanto tempo vivi a Lisbona?  

Sono arrivata quasi per caso, con un programma Erasmus di 6 mesi, dall’Accademia di Belle Arti  di Venezia, che ho poi esteso anche al secondo semestre. Oggi sono più di 6 anni che abito qui”.

– Perché hai scelto proprio la capitale portoghese? 

In realtà è stato abbastanza casuale, anche se il Portogallo mi ha sempre ispirato. Oltre a Lisbona avevo messo altre due opzioni, Varsavia e Bucarest (non so se vi sarei rimasta), ma fino alla consegna della domanda non ero assolutamente certa di quale città inserire per prima nella candidatura. All’epoca studiavo Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Belle Arti a Venezia e a Lisbona c’è Arte Multimédia, un corso di studi piuttosto simile a quello che avevo intrapreso in Italia. Inoltre io sono molto amante della fotografia, e all’Accademia di Lisbona hanno una camera oscura molto grande, bellissima, ed è stato davvero stimolante poterne usufruire. L’Erasmus è un’esperienza e un percorso di crescita importante: lo rifarei altre mille volte”.

chiara missaggia
Lisbona

– Cosa hai fatto terminato l’Erasmus?  

Con l’Erasmus ho concluso anche il mio secondo e ultimo anno di biennio. Avevo già il biglietto di ritorno prenotato, per rientrare a Vicenza, ma una settimana prima del volo ho ricevuto una mail in cui mi si offriva un’altra borsa di studio per fare uno stage della durata di due mesi, in una località  europea a mia scelta. Non ci ho pensato due volte, posticipando il rientro. Finito quello stage ne ho iniziato un altro, in una casa di produzione dove tutt’ora lavoro. Parallelamente ho sempre lavorato nell’area del video anche come freelance, collaborando con realtà sia portoghesi che italiane”.  

– Quali motivi ti hanno convinto a restare a Lisbona?  

“Perché è una città bellissima, luminosa, con una bella energia e culturalmente non è così lontana dall’Italia. La dimensione della città per me è perfetta e anche la lingua mi piace molto. Lisbona inoltre è vicina al mare, anzi il fiume Tago a volte sembra proprio il mare”. 

– Quali difficoltà hai incontrato? 

Fortunatamente nessuna in particolare, se non che recentemente Lisbona sta diventando davvero molto cara“.  

Chiara Missaggia, sei stata menzionata da Videoclip Italia, che si occupa proprio di cultura  videomusicale internazionale e italiana, per il tuo lavoro “solista”. Ci puoi spiegare meglio?

Videoclip Italia è una pubblicazione che stimo tantissimo e vedere dei miei lavori apprezzati da loro è stato emozionante. Come libera professionista realizzo documentari e video musicali per artisti indipendenti. In entrambi i videoclip che sono stati recensiti da Videoclip Italia, “3  Ore” di Luca Cescotti e “Till the End of Summer Time” del brasiliano MOMO, mi sono occupata della regia, delle riprese e del montaggio. Da lì la definizione solista”.

– Cosa rappresenta per te oggi Vicenza? 

Per me è un luogo mentale, più che fisico. È il luogo della spensieratezza, della famiglia, degli amici, perché l’amicizia trascende il tempo. Anche a Lisbona ho degli amici a cui sono molto legata, ma ne ho visti anche tanti lasciare la città”. 

– Progetti futuri?  

In questo momento sto frequentando un master in fotografia e cinema, presso l’università Nova qui a Lisbona. Finirà a giugno. Il mio documentario Primeiro Cais (Primo Molo) è appena stato proiettato alla prima edizione del festival di Arte e Cinema Indizível a Silves, in Algarve. È già stato in altri due festival, a Leiria e Funchal (Madeira). Un progetto futuro a cui tengo molto è sicuramente una proiezione a Lisbona“.

Palazzo Franceschini Folco a Vicenza

Palazzo Franceschini Folco sorge all’inizio dell’allora Contrada Pusterla, un’area che tradizionalmente era sede di attività “industriali”, grazie anche alla vicinanza con il torrente “Astego”.

Nella seconda metà del Settecento, i fratelli Giovanni e Girolamo Franceschini -famosi setaioli dell’epoca- incaricarono l’architetto Ottavio Bertotti Scamozzi della realizzazione di un edificio che doveva essere più imponente e importante delle costruzioni già presenti, ma che doveva comunque comprendere la filanda e i locali per le attività mercantili preesistenti.

È nato così il primo esempio di casa-fabbrica in città, un’abitazione grandiosa che era anche fondaco e sede di attività commerciali nonché collegata con il retrostante opificio che sfruttava, per il funzionamento delle sue macchine, le acque dell’Astichello.

Nell’Ottocento il Palazzo viene venduto alla famiglia Folco di Schio, che completa l’edificio nelle parti incompiute. Ottocentesche sono anche le decorazioni che abbelliscono l’edificio: di Sebastiano Santi gli affreschi nel soffitto e nelle pareti del salone, e di Giovanni Demin le allegorie nel soffitto dello scalone e nelle tre stanze del primo piano.

Tali decorazioni evocano le virtù sociali dei committenti, negli spazi che rappresentano le caratteristiche “pubbliche” del palazzo. Nel 1927 il Palazzo viene alienato dalla “Società Anonima di macinazione Vercellese”, all’Amministrazione Provinciale di Vicenza.

È dapprima sede del Direttorio Federale del Partito Nazionale Fascista, che lascia il posto, dopo la guerra, alla Questura cittadina. Tra il 1995 e il 2002 la Provincia di Vicenza è intervenuta per restaurarlo; i lavori effettuati hanno permesso di riportare alla luce le decorazioni presenti nel corpo laterale fino a quel momento non conosciute: sono tempere miste ad affresco della seconda metà del Settecento attribuite al decoratore Paolo Guidolini. Nel 2002, inoltre, viene riportato al suo splendore il prospetto principale che possiede riferimenti storici e architettonici degni dei monumenti più importanti del nord Italia.

I restauri hanno permesso – infine – di restituire alla città un edificio che, per le sue caratteristiche architettoniche, storiche e figurative, racconta una parte della storia di Vicenza, che si è voluta conservare attraverso un intervento che ne preserva l’autenticità.

Da Storie Vicentine n. 1 2020


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Giovanni Angiolello alla corte Ottomana: Pigafetta non fu l’unico vicentino a spingersi oltre i confini dell’Europa

La storia di Antonio Pigafetta, cronachista vicentino del viaggio di Ferdinando Magellano e uno dei pochi a sopravvivere all’impresa, ha dell’incredibile. Pigafetta però non è stato l’unico vicentino a spingersi ben oltre i confini dell’Europa. Un altro viaggiatore dalla vita avventurosa, Giovanni Maria Angiolello, è il nostro nuovo protagonista.

La vita

Maometto II medaglia
Medaglia raffigurante Maometto II (foto: Wikimedia Commons)

Giovanni Maria Angiolello nacque nel 1451 da una famiglia nobile vicentina. Combatté come volontario per l’allora Repubblica di Venezia, prendendo parte a importanti battaglie come l’assedio di Negroponte da parte delle truppe del Sultano Maometto II.

Data la giovane età, quando Negroponte capitolò, non fu ucciso, ma catturato e ridotto in schiavitù. Passò alcuni anni al servizio di Mustafà, secondogenito del Sultano, seguendolo nelle sue campagne contro il sovrano Uzun Hasan.

Alla morte di Mustafà fu trasferito a Costantinopoli, presso la corte. L’incarico che ricevette dimostra la fiducia che era riuscito a guadagnarsi presso il Sultano, che lo nominò suo tesoriere.  Non si sa molto sul resto della sua vita: dopo la morte del Sultano tornò a Vicenza, e forse si recò nuovamente in Oriente come mercante, ma quasi sicuramente morì in patria attorno al 1525.

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Negroponte (foto: Wikimedia Commons)

Giovanni Maria Angiolello e la Historia turchesca

Angiolello è conosciuto per le relazioni, scritte durante la sua permanenza nell’Impero e per l’opera Historia turchesca, di cui però non si è certi sia l’autore. L’opera racconta la storia dell’Impero dal 1300 ai suoi giorni.

La sua narrazione degli eventi costituisce un documento di fondamentale importanza per gli studiosi occidentali, poiché descrive dettagliatamente le campagne di Maometto II e del suo esercito contro Uzun Hasan, allora alleato di Venezia. Non va dimenticato, inoltre, che in qualità di tesoriere Angiolello ebbe l’occasione di osservare da vicinissimo quel mondo, grazie anche alla conoscenza della lingua turca (che apprese perfettamente), che aggiunge valore all’opera in quanto l’autore ne è fonte di prima mano.

Fu un’avventura, quella di Giovanni Angiolello, che iniziò nella sconfitta e nel dolore per la perdita del fratello in battaglia. Una disgrazia che il nostro vicentino trasformò in opportunità grazie alle sue capacità, vivendo così una vita straordinaria e impensabile per i suoi contemporanei.

Luigi da Porto, scrittore, storiografo e “guerriero” vicentino: il dramma di “Giulietta e Romeo” suo e di William Shakespeare

In bilico tra storia e letteratura Luigi da Porto, scrittore e storiografo vicentino, è un esempio di fusione tra realtà diametralmente opposte. Analizzandola sin dal principio viene spontaneo notare che la vita non gli fu sorridente sin da subito ma, ciononostante, riuscì a lasciare un segno indelebile.

Sebbene discendesse di una nobile famiglia vicentina, infatti non ebbe un’infanzia semplice. Nato a Vicenza nel 1485 rimase presto orfano di entrambi i genitori e venne così affidato al nonno paterno. Nonostante la sua sfortuna in ambito familiare però, trovandosi ad Urbino per studio, poté frequentare letterati del calibro di Pietro Bembo, iniziando così ad introdursi nel mondo letterario.

La vita da letterato però non “si impossessò” subito di lui perché fu messo al comando di operazioni militari e di frontiera, per cui tornò nel nord Italia. Qui, la sorte avversa che l’aveva apparentemente abbandonato, tornò però alla carica, ponendo fine anche a questo percorso. Venne, infatti, gravemente ferito, tanto da finire col ritirarsi dapprima a Venezia e poi a Vicenza, dove concluse la sua vita nel 1529.
Sebbene abbia condotto un’esistenza tra cultura e vita militare, questi due lati della sua esperienza personale continuarono sempre ad influenzarsi l’uno con l’altro anche nei suoi scritti. Infatti tra le sue opere ricordiamo delle “Rime” pubblicate nel 1539, dove si distingue dalla tradizione per la tendenza alla schiettezza e alla malinconia.

Al contrario le “Lettere storiche” pubblicate nel 1857, riflettono l’esperienza bellica con un valore storico. L’opera che, però, lo portò maggiormente all’attenzione delle scene letterarie è “L’Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti”, scritta tra il 1512 e il 1524 nella villa Da Porto a Montorso Vicentino.

Luigi da Porto: L’Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti
Luigi da Porto: L’Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti

La novella venne poi stampata anonima a Venezia e revisionata da Pietro Bembo, che aveva incontrato durante il suo soggiorno ad Urbino. Quest’opera ebbe un’esistenza travagliata e di continuo sviluppo, in quanto fu poi rielaborata da vari autori, tra cui Matteo Bandello, tradotta e resa un dramma teatrale da William Shakespeare.
In questo suo scritto emerge il connubio caratterizzante di Luigi Da Porto: l’incontro/scontro tra guerra, storia e letteratura. Da Porto, infatti, all’inizio della novella racconta che, in una pausa durante le campagne militari in Friuli, gli venne raccontata la vicenda di due giovani amanti, ambientata nella città di Verona, al tempo di Bartolomeo I della Scala.
Una nota molto interessante è che lo stesso Da Porto aveva contatti con la famiglia Montecchi, stabilitasi a Udine dopo essere stata cacciata dal luogo d’origine.
Ecco che ritorna ancora una volta la convergenza tra la guerra, senza la quale l’autore magari non si sarebbe recato in Friuli, e la letteratura, dove ha poi saputo riversare la sua esperienza. Per non parlare dell’influenza sull’opera della villa di Da Porto, sulle colline di Montorso, che gli dava la possibilità di godere una vista mozzafiato: le rocche scaligere di Montecchio che ispirarono ispirarono sicuramente lo scrittore.

Castelli di Montecchio Maggiore
Castelli di Montecchio Maggiore

Ciononostante alcune teorie sostengono che quella raccontata nella novella sia una vicenda autobiografica, a causa di un fitto scambio epistolare ritrovato, dove appare però la città di Udine come contesto e non Verona.
Luigi da Porto può, quindi, essere definito un uomo dalle mille sfaccettature, un autore in cui ambiti contrastanti hanno potuto coesistere e convivere in armonia, sfociando poi nelle sue opere.

La sfera letteraria vicentina è molto ampia ma si potrebbe attribuire a Da Porto il merito di aver dato il via ad una narrazione poi ripresa ed elaborata, come quella dei due amanti “nati sotto maligna stella”, come dirà poi Shakespeare nella sua tragedia.

È estremamente emozionante pensare come un tale capolavoro affondi le sue radici proprio qui tra i nostri colli, che hanno fatto probabilmente da cornice e ambientazione alla vicenda. Ma ancor più straordinario è constatare come poi questa storia tormentata abbia attraversato epoche e confini e ancora oggi sia vicenda senza tempo.

Villa Zileri Motterle a Monteviale, magnifica tra storia, arte e natura

Circondata da un immenso giardino, Villa Zileri Motterle di Monteviale si distingue per i suoi tesori artistici e storici. L’opera è stata progettata dall’architetto Francesco Muttoni. mentre all’interno si trovano alcuni affreschi di Giambattista Tiepolo. La villa è infatti uno dei siti vicentini del Tiepolo, oltre a Palazzo Chiericati, Palladio Museum, Villa Valmarana ai Nani e Villa Cordellina Lombardi.

La storia

Nel 1436 i Loschi, una delle più antiche e potenti famiglie nobili presenti a Vicenza sin dal XII secolo, conti dal 1426 per volontà dell’Imperatore Sigismondo, entrarono in possesso di un’ampia porzione di campagna ad ovest di Vicenza prima di proprietà dei monaci di San Felice. Buona parte del territorio era ancora incolto, paludoso o ricoperto di boschi.

Lunghi anni di pace garantirono ai Loschi tranquillità e stabilità, interrotti solamente dalla guerra della Lega di Cambrai, che interessò direttamente proprio anche le proprietà di Biron dei Loschi. Tra il 6 e 7 ottobre del 1513 infatti, le campagne della tenuta Loschi furono teatro degli avvenimenti che videro gli eserciti dell’imperatore Massimiliano I e della Repubblica Serenissima dapprima accamparsi e schierarsi e poi muoversi a sorpresa, per spostarsi in un inseguimento culminato nel finale con la battaglia della Motta, disastrosa per i veneziani.

villa zileri
Il sentiero da cui si accede alla barchessa e alla villa. Foto: Marta Cardini

La bonifica

Nell’arco di due secoli le terre dei Loschi vennero rese fertili e furono così ben coltivate da diventare fonte di eccezionale ricchezza per la famiglia. Di pari passo con la crescita dell’attività imprenditoriale, crebbe e si ampliò quasi senza sosta anche il complesso residenziale.

Nel 1729 il casato entrò a far parte del patriziato della Serenissima Repubblica, con l’iscrizione nel Libro d’Oro della nobiltà veneziana concessa ai cugini Alfonso e Nicolò. Nel corso dei secoli effettivamente vari membri della famiglia avevano portato lustro al casato, sia per meriti letterari, sia per le imprese militari.

Da uomo colto e impegnato nella vita civile della città di Vicenza qual era, il conte Nicolò Loschi fece riprogettare all’architetto Muttoni l’assetto sia degli edifici sia della corte del complesso.

barchessa
La barchessa di Villa Zileri. Foto: Marta Cardini

Gli affreschi del Tiepolo

Una volta entrati nella villa, si possono ammirare i meravigliosi affreschi di Giambattista Tiepolo, presenti in abbondanza nel Salone d’Onore, la stanza in cui venivano accolti gli ospiti e dove si tenevano feste e importanti ricevimenti. Fu proprio il conte Nicolò dei Loschi a volere i suoi affreschi, quando il Tiepolo era ancora soltanto un pittore emergente.

affresco tipeolo
Uno degli affreschi del Tiepolo presenti nel Salone Nobile. Foto: Marta Cardini

Gli affreschi sono giunti sino a noi in uno stato di conservazione complessivamente buono.  Il salone, come tutta la villa nel suo insieme, ha attraversato indenne e senza traumi le diverse vicende storiche, anche quelle più rischiose come le due guerre mondiali. Per questa particolare concomitanza di circostanze, gli affreschi di villa Zileri sono considerati uno dei testi migliori su cui poter studiare la tecnica pittorica di Tiepolo.

soffitto
Un affresco del Tiepolo presente sul soffitto. Foto: Marta Cardini

Le virtù

Tiepolo elaborò un percorso iconografico incentrato sulle virtù che lui e la sua casata vantavano di possedere e che venivano presentate come esempio da seguire. Così rappresentò le astratte virtù attraverso le loro personificazioni allegoriche in dialogo tra loro. Salita la prima rampa dello scalone, sostando nel pianerottolo, a destra e sinistra due finte statue dipinte a monocromo, Merito e Nobiltà, accolgono il visitatore e indicano già la chiave di lettura dell’intero ciclo. Alle pareti della scala e del salone ogni affresco è dedicato a maestose figure dalle pose solenni ed enfatiche.

Affresco
Un altro affresco del Tiepolo nel Salone Nobile. Foto: m.c.

Ecco allora che possiamo ammirare per esempio nello scalone, l’Innocenza e la Vigilanza, contrapposte rispettivamente all’Inganno e al Sonno, o ancora nel salone la Liberalità dispensatrice di doni e la Fedeltà coniugale, sino ad arrivare nel soffitto della sala nobile, al Trionfo della Gloria annunciato dalla Fama tra le quattro Virtù Cardinali dove Tiepolo mostra di padroneggiare la complessità compositiva di visioni aree dove numerose figure ritratte in posizioni dallo scorcio ardito si muovono in ariosi spazi inondati di luce. Un affresco è dedicato alla Modestia, che con umile atteggiamento si preoccupa di allontanare una altezzosa e provocante Superbia.

interno villa zileri
Uno scorcio dell’interno del Salone Nobile. Foto: m.c.

Il parco e altri tesori

Il parco di villa Zileri ha un alto valore ambientale naturalistico. Diversi sono gli esemplari classificati come piante monumentali nazionali o per età o per circonferenza del fusto o per altezza e dimensione della chioma. Tra questi alcuni sono particolarmente degni di nota: un tassodio con un fusto di più di 7 metri alla base e una chioma che raggiunge i 30 metri, un platano con una base di 5,5 metri e una chioma che supera i 40 metri e un viale di carpini bianchi il cui esemplare più significativo ha un fusto di 5 metri alla base.

albero
Gli alberi del parco di Villa Zileri sono secolari. Foto: Marta Cardini

Fuori dalla villa si trovano altri due tesori nascosti: la Grotta delle Conchiglie e la Cappella di San Francesco. La prima è uno spazio decorato da conchiglie che disegnano fantasiosi motivi geometrici e floreali, impreziositi da gusci di tartaruga, sfere di cristallo colorate e coralli fossili. Mentre la Cappella è nata come completamento della villa ed è collocata alle pendici del Colle San Giorgio.

parco
I sentieri del parco rigenerano l’animo. Foto: m.c.

 

 

 

Giacomo Zanella: poeta, sacerdote, educatore, patriota

Giacomo Zanella, poeta, sacerdote, educatore, patriota fu una delle figure più rappresentative della cultura italiana a Vicenza, che non confuse mai come esibizione intellettualistica, ma con umiltà propose a quanti lo avvicinavano e a coloro che conobbero la sua opera. Nasce a Chiampo il 9 settembre 1820, proprio nella via che oggi porta il suo nome. Dopo le scuole elementari, il padre, intuite le doti del figlio, inscrive Giacomo nel Ginnasio Comunale di Vicenza. Ma successivamente, Giacomo sente il bisogno di coltivare il presentimento di una vocazione e di saggiarne l’autenticità. Entra così nel Seminario vescovile. In questi anni inizia i suoi approcci con la poesia, che ha come tema avvenimenti limitati all’ambiente in cui il poeta vive, soprattutto di natura politica. Viene poi ordinato sacerdote il 6 agosto 1843. Ai dieci anni trascorsi come alunno nel Seminario, se ne aggiungono altri dieci come insegnante di lettere e filosofia. Nel frattempo segue gli studi universitari presso Padova, conseguendo con lode nel 1847 la laurea in filosofia.

D’estate torna a Chiampo, dove incontra don Paolo Mistrorigo, anche lui di Chiampo, professore nel Liceo di Vicenza. I due si dilettano in disquisizioni letterarie, poetiche e politiche. Condividono il comune convincimento che la soluzione al problema dell’occupazione austriaca coincida con quella di una guerra combattuta sotto la monarchia sabauda. Nel 1850 la polizia austriaca inizia la sua azione inquisitrice, e cerca i testi delle prediche tenute da Zanella nella chiesa di S. Caterina, senza riuscire a trovarli. Ma ricorre comunque a qualsiasi mezzo per disturbare la sua attività di insegnante. Alla fine, Giacomo abbandona il Seminario per non coinvolgere nella persecuzione politica altri insegnanti. Nel 1864 compone due delle più famose poesie, mostrando il suo talento artistico: La conchiglia e La veglia. Nel 1866 il Veneto è annesso al Regno d’Italia, e il 1° ottobre anche a Chiampo si celebra l’avvenimento. Non può certo mancare Giacomo,

«il più illustre cittadino, il patriota impavido». Viva è però l’assenza di un personaggio che tanto ha operato per vedere la riunificazione italiana: don Paolo Mistrorigo, mancato quindici anni prima. Zanella diviene poi professore ordinario di lettere italiane alla facoltà di Lettere di Padova, dove viene innalzato più tardi alla dignità di rettore magnifico. Nel 1870 vende la casa natale per comprare un palazzo di fine 1700 a Vicenza. Il 9 gennaio 1878 si spegne Vittorio Emanuele II. A lui vanno i versi In morte del Re d’Italia, pubblicati nella Nuova Antologia. Il 17 febbraio 1878 viene a mancare anche Pio IX, per il quale compone In morte di Pio IX, esprimendo i suoi sentimenti di devoto cristiano e sacerdote, nel momento in cui muore un pontefice esemplare per aver difeso e custodito gli interessi della Chiesa. Oscilla fra l’ammirazione dei nuovi mezzi, visti come dimostrazione dell’ingegno che Dio dà all’uomo, e perciò motivo di elevazione dell’uomo a Dio, e il timore che il progresso non divenga fonte di orgoglio e causa di ateismo. Questi sentimenti contrastanti emergono nella sua prima raccolta di Versi (1868). Nel 1880 incontra a Roma Giosuè Carducci, che in passato lo ha elogiato. Trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita tra la villetta di Cavazzale e la casa in città a Vicenza, componendo nuove poesie e assolvendo ai suoi incarichi pastorali, tra il compiacimento dei fedeli per poter ascoltare un predicatore d’eccezione. All’inizio del 1888, Giacomo è assalito da una congestione cerebrale. Il suo corpo ormai stanco si spegne la sera del 17 maggio 1888. Sulla tomba si leggono i seguento versi tratti dalla poesia La Veglia, nel 1868, certo che la morte non fosse la fine, bensì l’inizio di tutto.

Cadrò; ma con le chiavi

D’un avvenire meraviglioso. Il nulla A più veggenti savi.

Io nella tomba troverò la culla

Nel 1920 è inaugurata a Chiampo una lapide dello scultore Spazzi dedicata a Giacomo Zanella, ora esposta su quella che fu la sua casa a Vicenza, in Contrà Zanella.

Da Storie Vicentine n. 1 2020


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
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I luoghi di incontro a Vicenza al tempo degli austriaci

Nel corso del XIX secolo Vicenza pullulava di luoghi di incontro, bar, pasticcerie dove la gente intellettuale, gli artisti e i patrioti si incontravano e conversavano.

Questi luoghi di incontro di ritrovo a quei tempi a Vicenza erano: “Ai Nobili” per il ceto frequentatore che potevi incontrare; all’ “Azzardo” per i giocatori; alla “Fenice” dove sorgeva il circolo politico dei liberali e che diventerà poi sede del Comitato Segreto contro l’austriaco, qui potevi incontrare il vicentino Francesco Molon (1821-1885) il quale assieme a molti altri ferventi patrioti, come lo stesso Ferdinando Coletti, organizzava la patriottica azione dei Comitati segreti del Veneto; alla “Borsa” o caffè Angelini; al “Genio” in Contrà delle Vetture (attuale contrà Daniele Manin nome datole sin dal 1867) dove si incontravano gli architetti; alle “Tre Velade” a Santa Corona, chiamato così per una vecchia pittura con tre devoti vestiti a tre colori; agli “Scrigni” in piazza Duomo; ai “Commercianti” in piazza Biade; Il “Caffè dei Signori detto anche “ Bolognin”, nella piazza omonima; ritrovo preferito delle giovani coppie di fidanzati e dei reverendi era invece il “Cioccolataro” presso il Duomo gestito da degli svizzeri già a partire dall’anno 1780; ritrovo degli studenti vicentini invece era il Caffè gestito da Anna Fantoni “al Commercio delle Biade” dove gli stessi studenti si comunicavano notizie, aspirazioni, motivi di studio e di musica.

All’antica offelleria “La Meneghina” nell’attuale contrà Cavour si incontravano, nella cantina della stessa, i patrioti che prepararono la rivoluzione di Vicenza della primavera del 1848, qui uno avrebbe potuto incontrare l’imperturbabile colonnello Giacomo Zanellato (1786-1879) intento a “sniffare” il suo tabacco da fiuto e a gustare le specialità della “Meneghina” come le focacce e i giallettini, quest’ultimi “strillati giorno e notte”, oppure in questo luogo si poteva incontrare il giovane patriota vicentino Camillo Franco (1824-1848) e altre personalità di spicco; i dominatori austriaci (dobbiamo rammentare che la città di Vicenza fu sotto dominazione degli austriaci essendo uno dei centri del Lombardo-Veneto dal 1813 al 1866) frequentavano invece la prima “Birraria” che si insediò a Vicenza quella gestita dal tedesco Pietro Brugger, quest’ultimo aprì inizialmente il suo chiosco “Birraria” in Campo Marzio per poi trasferirsi successivamente nel palazzo Pencati a S. Michele dove i barili di birra, le cantine dei vini e le salumerie vennero devastate nel marzo 1848. I vicentini si lamentavano degli austriaci che uscivano di notte da questo locale completamente ubriachi e che disturbavano la quiete notturna “con i rumori ingrati delle spade strascicate e battute sui selciati, insieme all’ aspro stridore delle voci croate e tedesche incontrastate e incomprese”.

Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 1 2020


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“Giselle” del Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest al Teatro Comunale di Vicenza

Ancora una presenza internazionale a “Moving Souls”, la sesta edizione di Danza in Rete Festival | Vicenza – Schio: a rappresentare il classico della tradizione con l’eterea e sempiterna “Giselle” ci sarà il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest, venerdì 31 marzo alle 20.45, nella Sala Maggiore del Teatro Comunale di Vicenza. Il balletto in due atti su musica di Adolphe Adam, libretto di Théophile Gautier e Jules‑Henri Vernoy de Saint-Georges, coreografia di Jean Coralli, Jules Perrot e Marius Petipa, è presentato nell’adattamento di Mihai Babuşka, le scenografie di Adriana Urmuzescu; la direzione del balletto è affidata Laura Blica Toader. Per la data di Vicenza di “Giselle” i biglietti sono esauriti da tempo.

Come di consuetudine per gli spettacoli di danza in Sala Maggiore, prima dello spettacolo, venerdì 31 marzo alle 20.00 al Ridotto, si terrà l’incontro di presentazione al pubblico del balletto “Giselle”. A condurlo sarà la giornalista, critica e storica della danza Valentina Bonelli, esperta di balletto russo, contributor per Vogue Italia, Music Paper e testate specializzate internazionali. Valentina Bonelli ripercorrerà le peripezie artistiche di “Giselle”, balletto epitome del romanticismo francese, che dopo un ventennio di trionfi sparì dalle scene parigine per approdare ai Teatri Imperiali russi e affermarsi nella revisione di Petipa. Tornato in Occidente agli inizi del Novecento con i Ballets Russes, il balletto è oggi tra i classici più rappresentati, declinato nello stile delle diverse scuole e nutrito dell’anima dei suoi grandi interpreti.    

Il libretto di “Giselle” si deve a Théophile Gautier, autorevole scrittore e critico d’arte dell’epoca romantica, che lo scrisse per omaggiare la ballerina Carlotta Grisi, di cui era fervente ammiratore. Leggendo il romanzo di Heinrich Heine “De l’Allemagne”, lo scrittore francese fu affascinato dalla leggenda delle Villi, gli spiriti delle fidanzate morte alla vigilia delle nozze. Il libretto vide la luce e fu poi musicato, in brevissimo tempo (in soli otto giorni) da Adolphe-Charles Adam, celebre compositore di musiche di opere liriche e balletto, mentre la coreografia fu affidata a Jean Coralli; i passi della prima ballerina furono curati da Jules Perrot. “Giselle” fu rappresentato per la prima volta all’Opéra di Parigi il 28 giugno 1841, protagonisti Carlotta Grisi e Lucien Petipa nel ruolo di Albert. Il balletto riscosse subiti un successo strepitoso, tanto che ancora oggi viene considerato come uno dei più grandi balletti classici. “Giselle” rappresenta l’apoteosi del balletto romantico in quanto riassume in sé tutti gli elementi stilistici, tecnici ed espressivi del repertorio classico.

La storia è quella dell’affascinante Giselle, giovane contadina della Renania, che si innamora del principe Albert conosciuto sotto mentite spoglie (lo crede un contadino come lei); quando viene a scoprire che il suo amato è promesso ad un’altra donna non regge al dolore e muore fra le braccia dell’amato. Ma, mentre il principe di Slesia si dispera per la sua scomparsa, ecco che Giselle torna in vita tra le Villi, spiriti vendicativi il cui scopo è far ballare gli uomini infedeli fino alla morte. Giselle supplica inutilmente Myrtha, la regina delle Villi, di risparmiarlo; lo protegge, sorreggendolo e danzando con lui per tutta la notte. Alle prime luci dell’alba le Villi svaniscono mentre Albert è salvo grazie all’amore di Giselle che dopo averlo fatto danzare, può tornare al riposo eterno nella sua tomba. E lì rimane solo il giovane principe, inconsolabile e affranto per il dolore del suo amore perduto per sempre.

A differenza di altri balletti romantici, nel corso del tempo “Giselle” non ha subìto significative modifiche per quanto riguarda la coreografia; a livello interpretativo le grandi ballerine di tutti i tempi hanno danzato in questo ruolo, così come i più grandi ballerini si sono cimentati nel ruolo del principe Albert.

“Giselle” continua a confermare il suo fascino indiscusso, intriso di sogno e romanticismo: scene luminose e terrestri, visioni notturne e spettrali, rendono la danza un linguaggio senza tempo e Giselle, con la sua presenza eterea, un simbolo dell’amore che travalica la morte.

A portare in scena questo capolavoro romantico al Teatro Comunale di Vicenza ci sarà il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest, con la sua lunga storia e tradizione, iniziata nel 1924, tre anni dopo l’istituzionalizzazione dell’Opera Rumena, quando Anton Romanowski si stabilì in Romania, gettando le basi del primo dipartimento di balletto dell’Opera Nazionale Rumena. Con l’attuale direzione artistica di Alin Gheorghiu, già primo ballerino della compagnia e la recente direzione del balletto di Laura Blica Toader, già solista della stessa, l’Opera Nazionale di Bucarest vanta un ensemble di quasi cento artisti di talento tra solisti e corpo di ballo. L’originale versione di Jean Coralli e Jules Perrot viene qui adattata dal danzatore, direttore, maestro e coreografo Mihai Babuşka, diplomato 

alla Scuola Accademica del Gran Teatro di Mosca, famoso per la sua fedeltà  alla formazione tecnica della scuola russa, a cui apporta una visione meno conservatrice e più aperta alle nuove tendenze. Attualmente infatti, il Balletto Nazionale dell’Opera di Bucarest ha in repertorio, oltre ai balletti classici, titoli neoclassici e contemporanei.

Danza in Rete Festival | Vicenza – Schio, giunto alla sesta edizione, si avvale della direzione artistica di Pier Giacomo Cirella in collaborazione con Loredana Bernardi e Alessandro Bevilacqua; è riconosciuto e sostenuto dal Ministero della Cultura ed è realizzato con il supporto della Camera di Commercio di Vicenza, che interviene con uno speciale contributo alle attività culturali realizzate in rete; è sostenuto inoltre da società a capitale pubblico come Viacqua e dalle sponsorizzazioni di aziende private: Webuild, Mecc Alte, D-Air Lab.

www.festivaldanzainrete.it