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Lonigo, il Santuario della Madonna dei Miracoli dove la Vergine che fu sfregiata concede le “grazie”

Meno conosciuto del Santuario di Monte Berico di Vicenza, a circa 2 km dal centro di Lonigo, nel Basso Vicentino, si trova il Santuario della Madonna dei Miracoli, una chiesa dal fascino misterioso che, ogni anno, accoglie migliaia di pellegrini. Qui si possono chiedere le “grazie” che teniamo nel cuore. Appena si arriva al Santuario, si rimane sorpresi dalla facciata che si ha di fronte. Ma all’interno l’immagine della Madonna colpisce ancora di più. Appare con una mano sulla fronte, vicino ad un occhio, in uno dei punti dove era stata sfregiata…

L’edificio

Il luogo di culto attuale fu eretto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo su un’antica chiesa benedettina dedicata a San Pietro, per devozione a un’immagine della Vergine, che alla fine del Quattrocento fu al centro di un evento miracoloso.

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la facciata esterna della chiesa. Foto: Marta Cardini

Nel 1444 i monaci Olivetani erano subentrati ai benedettini nell’abbazia di Santa Maria in Organo a Verona e quindi anche nei suoi possessi sul territorio, tra cui Villanova di San Bonifacio e Lonigo, che assegnarono ad un rettore.

L’edificio è una delle più interessanti architetture quattro-cinquecentesche del territorio vicentino per la grandiosità e l’equilibrio rinascimentale delle proporzioni. L’ampliamento dell’edificio sacro iniziò a ridosso del miracolo, tanto che la nuova chiesa fu inaugurata già nel settembre 1488. La grande struttura di impronta rinascimentale, tradizionalmente assegnata a Lorenzo da Bologna e Alvise lamberti da Montagnana, si sviluppò intorno all’immagine miracolosa innestandosi alla primitiva chiesa gotica. Il lato sud è caratterizzato da una elegante facciata lombardesca scolpita in pietra di Vicenza attribuita al Lamberti. L’apparato decorativo interno è generalmente attribuibile all’ambiente degli scultori lombardeschi attivi nelle principali chiese di Vicenza tra Quattro e Cinquecento.

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Il soffitto della cappella-santuario. Foto: Marta Cardini

Appena si entra nella chiesa, sulla destra, appare la cappella-santuario che protegge l’affresco miracoloso, inglobato nella parete destra della piccola abside. La cappella è impreziosita da un accumulo di decorazioni. Si rimane stupiti da una bella decorazione a stucco barocca di ambito veronese di metà ‘500 attribuita a Domenico Brusasorci, oggi solo in parte visibile nella lunetta superiore della parete di fondo.

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La cappella che contiene la Madonna dei Miracoli. Foto: Marta Cardini

Il miracolo

Il primo maggio 1486 la Madonna dipinta fu oltraggiata con bestemmie e sfregiata con un pugnale da due calzolai veronesi che poco prima avevano ucciso un compagno di viaggio per rapinarlo. L’Immagine portò la mano sinistra all’occhio ferito, mentre dall’altra ferita sul petto sgorgavano gocce di sangue. Gianantonio e Guglielmo, gli autori della profanazione, fuggirono. Gianantonio riuscì a far perdere le sue tracce, mentre Guglielmo, che si era rifugiato nell’abbazia di San Zeno, fu catturato, torturato, processato e giustiziato a Verona il 5 maggio. Il fatto ebbe una vastissima risonanza e già il 24 maggio il rettore del neonato santuario rinunciò al beneficio sulla chiesa di San Pietro in favore dell’abate di Santa Maria in Organo per il grande afflusso di fedeli che non poteva più gestire da solo.

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La Madonna dei Miracoli. Foto: Marta Cardini

Le guarigioni

Sette giorni dopo, il 7 maggio 1486, avvenne la prima guarigione. Stefano Cavaccione da Zimella fu risanato in seguito alle preghiere rivolte alla Vergine di Lonigo dopo un grave incidente a cavallo che lo rese invalido. Fin da subito la devozione popolare si manifestò vivace e assidua, con l’arrivo di pellegrini, donazioni testamentarie per la ricostruzione della chiesa, grandi processioni devozionali organizzate dalle comunità del territorio e offerta di ex voto, offerti alla Madonna ormai popolarmente indicata come la Madonna dei Miracoli di Lonigo.

La fama della Madonna miracolosa di Lonigo si consolidò da subito, grazie all’opera degli Olivetani. I monaci ebbero un ruolo chiave nella diffusione della devozione all’immagine sacra che si sviluppò ben oltre i confini del territorio. Essa assunse una dimensione nazionale, sfruttando la rete di monasteri dell’ordine che faceva capo all’abbazia di monte Oliveto Maggiore (Si). Le festività dell’Annunciazione (25 marzo), dell’Assunzione (15 agosto) e della Natività di Maria (8 settembre) assunsero sempre maggiore rilievo, perché in corrispondenza di queste feste si svolgevano importanti fiere presso il santuario.

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L’altare nell’abside della chiesa. Foto: Marta Cardini

Già nei primi decenni del Cinquecento numerosi erano i pellegrini e le testimonianze di devozione da altre regioni italiane, confermate dalla documentazione e dagli storici coevi. Nel 1510 la nobildonna romana Angiola venne a Lonigo da Roma per chiedere la guarigione di un cancro al seno.

Il museo dell’ex voto

All’interno del Santuario si trova anche una stanza con una delle più rilevanti raccolte di tavolette votive dell’Italia settentrionale. La stupefacente collezione copre un arco temporale di cinque secoli, dalla fine del Quattrocento alla fine dell’Ottocento, e comprende 360 ex voto dipinti su tavola e su tela, oltre 250 ex voto anatomici su lamina, gioielli, lampade votive, cuori d’argento, ricami, stendardi, ex voto oggettuali, conservati nel museo annesso al santuario e in chiesa. Sono solo un residuo di quello che era un patrimonio certamente molto più vasto, poiché le fonti seicentesche testimoniano la presenza di doni votivi oggi non più rintracciabili, molti dei quali di tipologie diverse da quelle rimaste al santuario: calici, paramenti, sculture in legno, argento o cera che riproducevano la Madonna o le parti del corpo guarite.

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Le tavolette votive ex voto. Foto: Marta Cardini

 

Lupo protagonista a Vicenza, serata con Club Alpino Italiano nella circoscrizione 4

È il lupo il protagonista della serata Cai di martedì 14 febbraio 2023, proposta dalla Commissione Naturalistica e TAM “B. Peruffo” in circoscrizione 4 a Vicenza.

Ne parleranno la naturalista Jessica Peruzzo e il fotografo Silvano Paiola, autori, rispettivamente, di un saggio sul ritorno del grande carnivoro sulle montagne vicentine e di un libro fotografico sulla sua presenza in Lessinia. 

L’appuntamento, a ingresso libero, è alle 20.45 nella sala consiliare della circoscrizione 4, in via Turra 69 a Vicenza.

lupo
Jessica Peruzzo

Jessica Peruzzo, giovane naturalista di Valdagno, laureata in Gestione del territorio e dell’ambiente, impegnata nel monitoraggio della fauna locale e cofondatrice dell’associazione Naturalisti Vicentini, nel libro “Il ritorno del lupo sulle montagne vicentine” indaga a 360 gradi gli effetti del ritorno del carnivoro. Quali sono le conseguenze sull’ecosistema e sulla vita delle persone? Cosa ne pensano gli allevatori, i turisti e gli operatori economici? A partire dal suo saggio, frutto di studi bibliografici, ricerche sul campo e centinaia di interviste, l’autrice fornirà alcune risposte sull’impatto della presenza del lupo in zone dove mancava da molto tempo, tra Veneto e Trentino. Il fenomeno, controverso e di grande impatto sull’opinione pubblica, sarà analizzato con dati aggiornati al 2022.

Seguirà la presentazione del libro fotografico “10 anni con i lupi dei Monti Lessini” (Edizioni ViviDolomiti – Collana Mountain Geographic) in cui il fotografo naturalista Silvano Paiola descrive l’avventura di due amici alla ricerca dei lupi sugli altipiani, nell’asprezza degli inverni, tra foreste selvagge, dentro albe misteriose e tormente di neve. Un viaggio alla scoperta di creature che si muovono guardinghe nei boschi, cercate con discrezione dal fotografo che entra in punta di piedi a far parte del loro mondo.

Sarà un racconto denso di emozioni quello proposto dal fotografo veronese, grande appassionato di fauna selvatica e di paesaggi montani, le cui immagini sono state pubblicate da riviste  e portali naturalistici, tra cui National Geographic, La Rivista della Natura, Atlas Obscura, Montagne 360, e gli hanno valso riconoscimenti in prestigiosi concorsi tra cui Glanzlichter, GDT Nature Photographer of the Year, Siena Drone Awards, NPOTY Nature Photographer of the Year e Big Picture Natural World Photographer.

Maurizia Cacciatori a Vicenza presenta il suo libro “Senza Rete”

Il libro “Senza Rete” di Maurizia Cacciatori sarà presentato a Vicenza mercoledì 8 febbraio 2023, presso Palazzo Bonin Longare, nell’ambito della rassegna di letteratura sportiva “Lo sport si racconta” di BaldiLibri.

Maurizia Cacciatori ha sempre affrontato la sua vita spinta da un forte desiderio di libertà e da una forza incrollabile. Uscita di casa a sedici anni per inseguire la passione della pallavolo e liberarsi da regole troppo strette, ha collezionato titoli nazionali e internazionali, fino alla nomina come migliore palleggiatrice al mondo, una serie di avventure con le compagne di squadra e ben ventidue traslochi in giro per il mondo.

In carriera ha conquistato 5 scudetti, 5 Coppe nazionali, 3 Supercoppe italiane, 3 Coppe Campioni, 1 Coppa Cev. Inoltre, è stata capitana della Nazionale dove ha totalizzato 228 presenze, vincendo un oro ai Giochi del Mediterraneo (2001), un bronzo e un argento agli Europei del 1999 e del 2001. Con lo stesso spirito ha affrontato i momenti meno felici come l’esclusione dalla Nazionale o una fuga dall’altare a una settimana dal matrimonio.

Oggi Maurizia Cacciatori è madre di due bambini e si è costruita una carriera completamente nuova, opinionista televisiva per Sky Sport per la pallavolo femminile.

Questo libro è il racconto emozionante, coinvolgente e a tratti comico di una donna che ha imparato l’arte più difficile: quella di reinventarsi per ricominciare. Non era banale in campo e non lo è nella scrittura, Maurizia. Non tanto per lo stile, quanto per la rara capacità di coinvolgere, di portare il lettore dentro un mondo che, a dirla tutta, spesso si segue soltanto nelle parentesi delle nazionali.

Un mondo fatto di spogliatoi, di fatica negli allenamenti, di difficoltà per convincere qualcuno a godersi il tuo talento più delle tue gambe o del tuo sedere messo lì in bella mostra da divise che ben poco lasciano all’immaginazione. Ma non soltanto. La Cacciatori ha spiegato due cose, di questo libro: che lo ha scritto in primis per i suoi due figli; e che lo ha scritto di notte, con un bicchiere di Baileys in mano. Sinceramente, stupiva che colei che è stata per anni l’emblema (almeno mediaticamente parlando) della pallavolo italiana per anni e anni, non avesse ancora scritto un libro.

Ma è stata lei stessa ad ammettere di aver sempre rifiutato le richieste che le sono arrivate. In alcuni casi non era il momento, in altri non sapeva che dire. Alla fine ha scelto la via più facile, ma anche più coraggiosa: raccontare tutto. Che ha capito che il suo vero posto nel mondo lo ha trovato solo quando è diventata madre.

Lorenzo Dallari dialoga con l’autrice. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Prenotazione obbligatoria a [email protected] oppure sms o whatsapp al 3383946998.

Lonquich suona lunedì 6 febbraio con OTO Haydn, Beethoven, Mozart

Lunedì 6 febbraio Alexander Lonquich torna a guidare la OTO in un nuovo concerto della stagione sinfonica promossa dall’orchestra vicentina al Teatro Comunale (proprio pochi giorni dopo il Musical Pretty Woman, ndr). In primo piano brillanti capolavori di tre grandi compositori legati fra di loro da un filo rosso: Haydn (Sinfonia da Armida), Beethoven (Ottava Sinfonia) e Mozart (Concerto per pianoforte in Do minore).

È sicuramente un concerto “di cartello” quello in programma lunedì 6 febbraio alle 20:45 per la rassegna sinfonica realizzata dalla OTO al Teatro Comunale di Vicenza.
I motivi di interesse sono il ritorno alla guida dell’orchestra di Alexander Lonquich –  – e l’impaginato della serata, che mette insieme tre giganti del classicismo viennese come Haydn, Mozart e Beethoven.
Particolarmente brillante e spumeggiante, il concerto inizia sulle note della Sinfonia avanti l’opera Armida, dramma eroico in tre atti che debuttò nel 1784 a Eisenstadt. Il lavoro di Haydn riscosse un tale successo presso la corte degli Esterházy che il principe Nicola nei successivi quattro anni volle rappresentarlo altre 54 volte. Successivamente l’opera cadde nell’oblio fino alla ripresa in tempi moderni che riportò in auge quello che viene considerato il più importante contributo di Haydn – maestro insuperato di quartetti per archi e sinfonie – in campo operistico.
Dopo l’ouverture haydniana, Lonquich e la OTO affrontano la Sinfonia in Fa maggiore di Beethoven, l’ottava della serie. Sbozzata nel 1811 insieme alla Settima che poi ebbe la precedenza, la “piccola” – passata alla storia con questo appellativo per le dimensioni più contenute rispetto ai precedenti lavori – fu portata a termine nei mesi estivi del 1812 e debuttò a Vienna nel dicembre dell’anno successivo. L’opera venne accolta tiepidamente dal pubblico del Burgtheater perché evidentemente non corrispondeva alle aspettative. Dopo gli slanci eroici, le tensioni emotive e il vigore messi in luce nei precedenti lavori sinfonici, con l’Ottava Beethoven sembra prendersi una pausa di riflessione volgendo lo sguardo all’indietro e tuffandosi nell’ottimismo e nell’allegria della musica del tardo Settecento. Ne esce un’opera intrisa di leggerezza e sorretta da una linea melodica “semplice” affidata agli archi e al suono del corno inglese. Poco compresa dal pubblico dell’epoca, oggi l’Ottava suscita immancabilmente nell’ascoltatore un sentimento di piacevole sorpresa e di ammirazione.
Anche l’ultimo brano in programma – il Concerto per pianoforte n. 24 in Do minore di Mozart – non venne accolto calorosamente dai contemporanei e il motivo è anche qui da ricercarsi in un desiderio di rottura dell’autore rispetto al passato. Il lavoro chiude la felicissima stagione dei Concerti per pianoforte e orchestra che Wolfgang compose ad un ritmo frenetico per le sue Accademie viennesi: 12 dei 27 Concerti concepiti dal genio salisburghese nacquero a Vienna nel breve arco di tempo che va dal 1784 al 1786. Dopo la leggerezza e il disimpegno dello stile galante tanto amato dai viennesi, con questo Concerto proposto la sera del 3 aprile del 1786 Mozart sembra voler sottolineare la fine di un’epoca. Lo fa con un particolare impegno espressivo offerto dalla tonalità minore e utilizzando per la prima volta un organico più ampio con oboi e clarinetti che conferiscono all’insieme sonorità più soffuse.
Protagonista del Concerto mozartiano sarà Alexander Lonquich, artista sempre più coinvolto, negli ultimi anni, nella duplice veste di direttore e solista. Fra le tappe più significative della sua lunga e fortunata carriera internazionale c’è proprio un meticoloso lavoro di approfondimento sui Concerti per pianoforte di Mozart realizzato con l’Orchestra da Camera di Mantova. L’ultimo successo discografico di Lonquich, che in passato ha inciso per EMI e ECM, risale al 2020 con l’integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte registrate per Alpha Classics insieme a Nicolas Altstaedt.

I biglietti si possono acquistare sul circuito online del Teatro Comunale, presso la sede della OTO in Vicolo Cieco Retrone (0444 326598) e alla biglietteria del Comunale (0444 324442).

Gallio, non solo è meta per gli sport invernali, ma anche un viaggio sui luoghi della Grande Guerra

Nel cuore dell’Altopiano di Asiago, a soli 4 Km da Asiago, si trova Gallio, una meta gettonata per gli sport invernali. Per gli amanti dello sci di fondo e di discesa e per gli escursionisti, Gallio è uno dei Comuni con più attrattive sportive e turistiche. Ma si tratta di un luogo che ha anche itinerari culturali, perchè anche qui, come negli altri Comuni dell’Altopiano è stata vissuta la Grande Guerra.

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A Gallio la natura montana è spettacolare.

Gli sport praticabili

Nella stagione invernale Gallio è una meta ideale per gli amanti dello sci. Nel suo territorio comunale, infatti, si trovano le piste da sci alpino “Ski Area Le Melette” e “Valbella”, entrambe a soli 4,5 Km circa dal centro del paese, ed il Centro Fondo Campomulo in località Campomulo, con i suoi 150 km di piste da sci nordico. E’ possibile inoltre effettuare  lunghe ciaspolate sulla neve. A 1 km dal centro di Gallio, in località Pakstall, si trova la Valle dei Trampolini, così chiamata appunto per la presenza di trampolini per il salto con gli sci, tra i quali svetta, il famoso K95, dove si sono svolte gare internazionali.

In estate, sono numerosi gli itinerari immersi nella natura e percorribili a piedi, a cavallo ed in mountain-bike alla scoperta di veri e propri angoli di paradiso e dei luoghi della Grande Guerra. Molti di questi percorsi seguono le mulattiere costruite dai soldati nel corso della Prima Guerra Mondiale.

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Panorama su Gallio. Foto: Pag facebook Gallio Turismo

Cosa vedere

La prima cosa che spicca è il Santuario della Madonna del Buso, un tempio dedicato alla Madonna del Caravaggio, edificato nella prima metà del ‘800, distrutto dai bombardamenti del Primo Conflitto Mondiale e poi ricostruito. Nelle vicinanze del Santuario si trova uno strettissimo canyon scavato nella roccia dal torrente Frenzela.

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Il Santuario della Madonna del Buso. Foto: Pag. fb Gallio Turismo

E’ possibile inoltre passeggiare nella Valle dei Mulini della Covola, caratterizzata dall’abbondanza d’acqua, cosa rara data la natura carsica dell’Altopiano. Nel suo primo tratto la valle prende il nome dal torrente che la attraversa, la Covola. Passeggiando per i sentieri spiccano mulini e lavatoi nel passato adoperati per macinare i cereali e conciare le pelli.

C’è poi il Sentiero del Silenzio che si snoda nel bosco in località Campomuletto. Questo particolare itinerario, ha l’obiettivo di mantenere viva la memoria degli eventi bellici che hanno interessato l’Altopiano di Asiago negli anni 1915-18. Lungo il percorso sono state collocate 10 installazioni artistiche, ognuna corredata da una poesia o da uno scritto, con lo scopo di far riflettere i visitatori sull’orrore della guerra e sulla tragedia consumatasi proprio in quei luoghi cent’anni orsono.

E infine è molto suggestivo lo Spitzknotto o Spizegonotto, un enorme masso che, come l’Altar knotto di Rotzo, ricorda per la sua forma un altare.

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Le escursioni possono diventare esperienze uniche. Foto: pag fb Gallio Turismo

 

 

La versione teatrale di “Quasi Amici” con Massimo Ghini e Paolo Ruffini arriva al Teatro Comunale di Vicenza

Al Teatro Comunale di Vicenza, una doppia data per il nuovissimo spettacolo “Quasi amici” con Massimo Ghini e Paolo Ruffini, con regia e adattamento di Alberto Ferrari.

“Quasi amici”, tratto dall’omonimo film, è in programma sabato 4 e domenica 5 febbraio 2023 alle 20.45.

La versione teatrale del film francese del 2011 che ha conquistato le platee di tutto il mondo, tratto da una storia vera, è presentato per la prima volta sul palcoscenico, in Italia.

Il nuovissimo spettacolo, una produzione Enfiteatro che ha debuttato solo qualche settimana fa, ha ottenuto ovunque un grande successo; gli interpreti in scena con Ghini e Ruffini sono Claudia Campolongo, Francesca Giovannetti, Leonardo Ghini, Giammarco Trulli, Alessandra Barbonetti, Diego Sebastian Misasi; le scene sono di Roberto Crea, i costumi di Stefano Giovani, il disegno luci di Pietro Sperduti, le musiche di Roberto Binetti, i video di Robin Studio.

Anche per la Prosa, come per la Danza, riprendono al Tcvi le consuetudini e così sabato 4 e domenica 5 febbraio alle 20.00 al Ridotto, lo spettacolo “Quasi Amici” sarà presentato nell’Incontro a Teatro condotto da Antonio Di Lorenzo, giornalista e scrittore, che racconterà al pubblico i temi affrontati e “italianizzati” nello spettacolo, costruito con una particolarissima ambientazione, temi importanti come le differenze sociali, l’inclusione, la disabilità.

Lo spettacolo, così come il film, appassiona per la potenza della vicenda narrata e la complessità dei due protagonisti: l’incontro casuale tra due persone con un senso della vita completamente diverso che giungono però a stringere una vera, solida amicizia, attraverso un reciproco percorso di crescita. Provenienti da due mondi lontani, praticamente agli antipodi, i due capiranno di essere l’uno indispensabile alla vita dell’altro e sapranno costruire un legame fondamentale, necessario per curare le ferite che ciascuno porta dentro di sé. Ma tutto questo potrà avvenire solo quando entrambi ritroveranno la consapevolezza di poter finalmente ridere di sé e dell’altro, in totale libertà.

Lo spettacolo “Quasi amici” appartiene al filone “cinematografico” della stagione di Prosa, in cui dominano la leggerezza e l’ironia, l’aspirazione a sorridere con intelligenza, con titoli che rimandano agli omonimi blockbuster (“Tre uomini e una culla” il prossimo, in programma a marzo) per dire che i linguaggi dello spettacolo possono avere codici comuni che si nutrono reciprocamente, passando da un genere all’altro, trasmettendo nuova linfa e inaspettate suggestioni agli spettatori.

quasi amici ghini e ruffini
Massimo Ghini e Paolo Ruffini

Nella versione teatrale di “Quasi Amici” i due protagonisti, Massimo Ghini e Paolo Ruffini, si calano alla perfezione, con il loro personalissimo modo di interpretare i personaggi che animano la vicenda, nei ruoli che furono di François Cluzet e Omar Sy, due uomini molto diversi per carattere ed estrazione sociale, ma che troveranno insieme il modo di aiutarsi e riuscire a cambiare le proprie vite. Nel 2011 in Francia il film, diretto da Olivier Nakache ed Eric Toledano, sbancò il botteghino con quasi venti milioni di spettatori, vinse un César e fu un successo internazionale, tanto che nel 2017 uscì il remake in lingua inglese “The Upside”. 

Philippe, interpretato da Massimo Ghini, è un uomo molto ricco, intelligente, affascinante, che vive di cultura e che soddisfa il suo narcisismo con le sue attività intellettuali; il destino ha voluto, per contrappasso, relegarlo a solo cervello, dopo averlo fatto precipitare con il parapendio rendendolo tetraplegico, completamente prigioniero del suo corpo. Driss, l’uomo che arriva per assisterlo, è interpretato da Paolo Ruffini ed è l’esatto contrario: un uomo che entra ed esce di galera, sin da ragazzino, svelto, con una intelligenza vivace e una cultura fatta sulla strada, ma che preferisce porre il suo corpo avanti a tutto, per lasciare il cervello quieto nelle retrovie. Questi due uomini si incontrano per caso, ma diventeranno indissolubili l’uno per l’altro, l’uno indispensabile alla vita dell’altro, in grado di lenire le ferite fatali che ognuno porta dentro di sé. Se uno usa il corpo e uno la mente, occorre dunque una ridistribuzione dei talenti. 

Nello spettacolo i due ruoli sono dunque equiparati, mentre nel film erano sbilanciati a favore di Driss, il giovane badante che arriva per aiutare Philippe in sedia a rotelle; questo per poter scavare di più nel loro rapporto e portare alla luce quella leggerezza calviniana in grado di farci emozionare e ridere fino alle lacrime, per arrivare in profondità, grazie alle loro riflessioni, alle loro vite così diverse e alle differenze dei mondi da cui provengono. Ma si ride anche molto, in questo spettacolo, perché la ricerca della leggerezza passa per la comicità. E ridere sarà il veicolo segreto per arrivare a comprendere i meccanismi che regolano la vita e i destini di questa strana coppia: ridere di sé e dell’altro per conoscere meglio chi ci sta davanti. Così accade che “la loro amicizia diventi una centratura, per vivere ed essere uomini un po’ più consapevoli della meraviglia e poter ridere, finalmente, a crepapelle” (Alberto Ferrari, note di regia).

Enego, dalle piste da sci alle testimonianze della Grande Guerra

Un’affascinante località montana è Enego, il più orientale del 7 Comuni dell’Altopiano di Asiago. Si estende dai margini della Valsugana al massiccio dell’Ortigara. Mentre Rotzo è conosciuto per essere il paese dlle patate e per i magnifici paesaggi montani, Enego è conosciuto per le piste da sci e per i boschi ricchi di maestosi pini. Si tratta inoltre di una località montana che presenta numerose testimonianze della Grande Guerra.

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Uno scorcio sulle montagne dell’Altopiano. Foto: Marta Cardini

Cosa vedere

Oltre ai panorami montani e alle piste da sci, a Enego è possibile vedere la Torre Scaligera di Piazza San Marco. La torre, alta circa 22 metri, è l’unica rimasta intatta delle quattro torri originali poste agli angoli del castello a forma quadrangolare eretto dai Veronesi Scaligeri. Unica costruzione medievale presente in tutto l’Altopiano di Asiago Sette Comuni, è sopravvissuta negli anni a bombardamenti ed eventi catastrofici e indiscutibilmente rappresenta, assieme al Duomo di Santa Giustina, il simbolo di Enego.
C’è poi il Forte Lisser, un’imponente opera di architettura militare costruita tra il 1911 ed il 1914 allo scopo di controllare la Valsugana, che fu ribattezzata dai corrispondenti di guerra il “Leone dell’Altipiano”.

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Piazza San Marco e la Torre Scaligera. Foto: Instagram enego_altopiano Pro Loco Enego

I segni delle vicende storiche della Grande Guerra sono visibili anche nel Forte Coldarco e nella Batteria di Coldarco di sotto, complesso di circa 300 metri di galleria scavata nella roccia viva, ristrutturato negli ultimi anni e anch’esso visitabile.

In piazza del Popolo, nel centro del paese, si può ammirare il Duomo di Santa Giustina, dall’aspetto ottocentesco. Mentre la Piana di Marcesina, situata a 1.300 metri d’altezza, è un vasto pianoro con ampi pascoli e maestosi boschi, meta di escursionisti e gitanti sia d’estate che d’inverno.

La storia

Grazie alla sua posizione, ai limiti dell’altopiano di Asiago e affacciata sul Canale di Brenta e la Valsugana, la zona di Enego suscitò l’interesse della civiltà sin dall’epoca romana. Probabilmente fu in questo periodo che sorse un primo insediamento, una stazione di sosta e rifornimento lungo la strada che conduceva in Germania. Attorno al III secolo, quando si verificarono le prime invasioni barbariche, venne eretto un fortilizio di cui restano i ruderi in località Bastia.

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I boschi di maestosi pini sono affascinati sia d’inverno che d’estate. Foto: Instagram enego_altopiano Pro Loco Enego

Nel 1508 Enego venne occupata dall’esercito della Lega di Cambrai, ma tornò presto alla Serenissima. Tra il Cinque e il Seicento insorsero delle controversie con i vicini di Grigno sul possesso della Marcesina e del monte Frizzon. Con la caduta della Repubblica di Venezia e l’arrivo di Napoleone la secolare federazione fu sciolta.

Durante la grande guerra l’altopiano si venne a trovare lungo la linea del fronte e la stessa Enego subì gravi devastazioni. Mentre i soldati combattevano aspramente, specie attorno al monte Ortigara, la popolazione civile fu costretta ad abbandonare il paese per stabilirsi profuga nel sud dell’Italia.

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Una pista da sci ad Enego. Foto: Instagram enego_altopiano Pro Loco Enego

 

Colle di Santa Giuliana di Recoaro Terme: il panorama montano d’eccellenza è a 360 gradi

Spesso sottovalutato, il colle Santa Giuliana o Santagiuliana appena sopra il paese di Recoaro Terme, offre una vista spettacolare grazie a un punto panoramico in cui sono visibili le montagne a tutto tondo. Si raggiunge da Recoaro Terme prendendo la strada per Campogrosso. Si oltrepassa di poco la località Merendaore e si gira a destra per raggiungere la chiesetta di Santa Giuliana. Da qui è visibile tutta la corona delle Piccole Dolomiti.

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Il Monte Pasubio visto dal colle Santa Giuliana. Foto: Marta Cardini

Il panorama

Una volta giunti al parcheggio è possibile ammirare un panorama mozzafiato. Da qui si vedono il Monte Pasubio, il Baffelan, le montagne di Reocaro Mille e dintorni e il costo di Asiago. Quando le montagne sono innevate il paesaggio è incantevole. Nei pressi della chiesetta, è presente un punto ristoro per gli escursionisti. Nel piazzale si trovano anche il maestoso campanile e il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale.

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Il maestoso campanile e la chiesetta di Santa Giuliana. Foto: Marta Cardini

La chiesetta

Santa Giuliana è la compatrona del paese di Recoaro e la chiesetta a lei dedicata è l’edificio sacro più antico della Conca di Smeraldo. Alla Santa, in passato, sono state richieste con preghiere e, appunto, pellegrinaggi, grazie particolari, per esempio la fine della pestilenza o la conclusione della Prima Guerra mondiale. Da questa tradizione, ogni lunedì del mese, nella chiesetta viene celebrata la messa. Giuliana nacque nell’anno 285 circa a Nicomedia (ora Izmit – Turchia) da padre pagano e mamma non religiosa, Giuliana si sentì attratta dalla fede cristiana fin da bambina. Quando ebbe nove anni il padre, secondo la biografia della Santa, la promise sposa al nobile romano Eleusio. All’età di diciotto anni, la giovane Giuliana affermò che avrebbe sposato Eleusio soltanto se si fosse fatto battezzare. Padre e fidanzato la denunciarono come cristiana praticante e, per questo, fu condannata al martirio, che fu ordinato nel 304 dallo stesso Eleusio, divenuto nel frattempo Prefetto della città di Nicomedia.

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Il panorama sulla Conca di Smeraldo è incantevole. Foto: Marta Cardini

Anche nella chiesa arcipretale di Recoaro, per sottolineare l’importanza della Santa nel culto dei recoaresi, viene rappresentato il suo martirio in un mosaico a vetro. La celebrazione della Santa cade il 16 Febbraio. Ogni anno, in questa ricorrenza, si svolge una sagra nell’ampio piazzale antistante la chiesa, con le tipiche spumiglie e le “sagre”, speciali biscotti preparati solo in questa occasione.

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Foto: Marta Cardini

 

 

“Lasciatemi perdere”, Riccardo Pittis si racconta alle Gallerie d’Italia a Vicenza

“Lasciatemi perdere”, libro di Riccardo Pittis, sarà presentato mercoledì 1° febbraio 2023 a Vicenza, presso le Gallerie d’Italia.

La presentazione del volume rientra nella rassegna di letteratura sportiva dal titolo “Lo sport si racconta”, a cura di Baldi Libri e realizzata in collaborazione con Anthea Spa.

A Palazzo Leoni Montanari (Contrà Santa Corona 25), Silvia Guerriero dialoga con l’autore.

“Lasciatemi perdere è la storia di un ragazzo cresciuto in una famiglia come tante nell’Italia degli Anni Settanta e destinato a diventare un’icona degli anni d’oro della pallacanestro italiana. Dopo un’infanzia spensierata, la vita di Riccardo è rivoluzionata dalla scoperta del basket. Da quel momento ha una sola priorità: vincere.

A questa missione sacrifica tutto e le grandi imprese con la maglia dell’Olimpia Milano, dove viene soprannominato “Acciughino” (per la sua magrezza), della Pallacanestro Treviso (dal 1993) e della nazionale gli danno, come a ogni campione, l’illusione di poter evitare la sconfitta.

Ma anche i sogni più grandi sono destinati a tramontare, così, chiusa la carriera da giocatore, Pittis scopre che oltre il campo da gioco c’è un mondo dove la meritocrazia non sempre ha la meglio e la sua devozione alla dea vittoria non basta, perché sconfitta e fallimento sono componenti inevitabili dell’esistenza.

Prima di trovare la sua vocazione, ha infatti provato a reinventarsi come imprenditore, ma non con successo: oggi è un apprezzato speaker motivazionale, coach e consulente che collabora con alcune delle più grandi aziende, mettendo al servizio degli altri la sua esperienza di uomo e sportivo.

Con umorismo e grande lucidità, Pittis condivide il suo percorso di crescita interiore e professionale, che lo ha portato a trovare una nuova vocazione e gli ha insegnato che la sconfitta può essere una maestra preziosissima”.

la Prenotazione all’evento è obbligatoria con mail ad [email protected] oppure sms o whatsapp al 3383946998.

Le più famose botteghe del secolo, quando Corso Palladio era il “Paradiso delle signore”

Corso Palladio ospitava, poco dopo la Chiesa dei Filippini la meravigliosa boutique “Spagnolo Olga” fondata con tutta probabilità quando sul Corso, all’epoca ancora Corso Umberto I°, transitavano matrone in portantina e patrizi a cavallo. In vetrina abiti rigorosamente accollatissimi, di tessuti rassicuranti che facevano contrasto a fantasie veramente fantasiose, ricche di richiami preraffaelliti e corredate da accessori di chiara derivazione longobarda.

All’interno solo un banco, tanto da far pensare che l’unica merce fosse quella dell’ombrosa vetrina, e invece no! I vestiti erano furbescamente custoditi in armadi di radica che coprivano la parete di fondo e le due laterali e pronti a schiudersi per rivelare un paradiso di sete e lane finissime pronte a fasciare le dame nobili e le signore dell’alta borghesia berica.

Corso Palladio - Servizio fotografico di GianPaolo Vajenti - Archivio Fondazione Vajenti www. fondazionevajenti.com
Corso Palladio – Servizio fotografico di GianPaolo Vajenti – Archivio Fondazione Vajenti www. fondazionevajenti.com

Poco più avanti, e risalente ad un’era geologica successiva, si trovava, subito prima di Standa – che per decenni fu l’unico supermercato del centro storico – il piccolo ma fornitissimo “Mapa Sport”, che rivaleggiava con il più grande emporio di Piazzale De Gasperi; di fronte il paradiso della “Perugina”, tutto blu di parati e moquette e con le alzatine di Tre Re e Baci sempre freschissimi a fare da corona ai piccoli Grifone.

Anche le mercerie andavano forte parecchio: su Corso Fogazzaro “Andrea Levis” vendeva tutto il necessario per confezionare, modificare e rattoppare qualsiasi indumento mentre in Santa Barbara la spettacolare merceria “Simionato” esponeva le spagnolette di filo come se fossero capolavori di una collezione d’arte; accanto a Simionato le “Sorelle Beltramello” si occupavano di distintivi militari, bottoni e alamari da divisa e da uniformi da lavoro, baschi di tutti i corpi dell’Esercito e altre meraviglie. Li ho davanti agli occhi le Beltramello e il signor Simionato.

Anche le botteghe alimentari non erano da meno: la “Drogheria del Corso” dove il veleno per i topi si accompagnava maliziosamente alle caramelle e le scope di saggina facevano da scorta al caffè in grani, il tutto in una miscela di odori e aromi strepitosa. Araldo Geremia era il re assoluto della “Casa del baccalà” oltre a prestare il suo volto irregolare ed espressivo ad alcune comparsate di lusso nei film che si giravano in città ai tempi d’oro della commedia all’italiana. L’aroma di stoccafisso era preponderante, tanto da profumare anche la mostarda vicentina e la sopressa, ma faceva parte del gioco: quando si entrava da Araldo si usciva comunque un po’ baccalà.

Di Alessandro Cammarano da Storie Vicentine n. 2 Aprile maggio 2021


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