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Rock a Vicenza: tornano Riviera Folk Festival, Jamrock, Ferrock e Weekender Platz

Sono state presentate oggi, 22 marzo 2023, a Palazzo Trissino di Vicenza le feste rock che nel 2022 hanno attirato dalle 5 alle 10000 persone ciascuna, dopo la loro ripartenza in seguito alle difficoltà legate al Covid.

Erano presenti in Sala Stucchi l’assessore Marco Zocca, Nicola Tonello per il Riviera Folk Festival, Marco Bari per il Jamrock Festival, Mattia Rigodanzo e Matilde Bolla per il Ferrock e Massimiliano Trevisan e Tabata Berton di From disco to disco.

L’assessore Zocca ha riferito che le scorse edizioni delle feste rock di Vicenza sono andate bene e non ci sono state lamentele neppure per gli orari, per cui quest’anno il comune di Vicenza conferma la richiesta di contributo e lo alza a 3.000 euro (nelle scorse edizioni era di 2.500 euro, ndr). Il contributo serve a coprire i costi della corrente, dei rifiuti, dei plateatici.

Feste Rock Vicenza

La programmazione di queste feste estive è realizzata dal coordinamento Feste Rock di Vicenza, in rappresentanza delle associazioni Uorra Uorra, Jamrock e Ferrock, che da svariati anni collaborano con l’amministrazione comunale.

Nicola Tonello conferma l’assenza di lamentele nonostante l’inserimento del festival, quest’anno alla sua ventiduesima edizione, in un’area parrocchiale e residenziale quale il quartiere di Santa Croce Bigolina, nel parco di via Turati.

Il Riviera Folk Festival si terrà dall’8 all’11 giugno 2023, impegnerà un folto gruppo di volontari e si esibiranno gruppi musicali vicentini, ma anche artisti internazionali. Non ci sarà solo musica, ma anche proposte gastronomiche.

Marco Bari del Jamrock, unico festival che non ha mai saltato un’edizione, ha riferito che quando è nata l’associazione c’era l’intenzione di fermarsi una volta arrivati alla decima edizione. Tuttavia, visto il successo, si va avanti anche quest’anno dal 12 al 16 luglio 2023 al parco Fornaci, dove saranno ospitati mercatini di artigianato, si potrà mangiare pasta a chilometro Zero e saranno soddisfatte le esigenze vegetariane e vegane del pubblico.

Matilde Bolla e Mattia Rigodanzo del Ferrock Festival confermano la dodicesima edizione dal 26 al 30 luglio 2023 a parco Retrone e hanno anticipato la presenza sul palco di una band australiana, The Rumjacks.

In concomitanza ci saranno spettacoli di magia e la possibilità di fare sport, a conferma della natura inclusiva di tutte queste manifestazioni, che accolgono giovani e non solo.

Tabata Berton e Massimiliano Trevisan di From disco to disco hanno voluto portare l’attenzione sulla scelta del luogo, la corte dei Bissari.

La rassegna, che prevede concerti e dj set, si terrà dal 31 agosto al 3 settembre e chiuderà l’estate rock vicentina, in un anno di transizione in attesa di nuove generazioni a portare avanti questa tradizione rock in città.

Teatro Comunale di Vicenza: dal Mago di Oz a Pirandello

Sabato 25 marzo 2023 il teatro comunale di Vicenza propone due spettacoli: “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello e Il Mago di OZ.

Si torna ai classici del teatro, per l’ultimo appuntamento della Prosa al Ridotto al Comunale di Vicenza, con un grande testo di Luigi Pirandello, rappresentato per la prima volta poco più di 100 anni fa, ma ancora attualissimo per i suoi temi: è “L’uomo dal fiore in bocca” in programma sabato 25 marzo 2023 alle 20.45, pièce in atto unico, adattamento teatrale e regia di Francesco Zecca con Lucrezia Lante della Rovere nei panni della Donna vestita di nero (la moglie del protagonista della novella). Lo spettacolo, una produzione Argot, realizzata in collaborazione con Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro, musiche di Diego Buongiorno, disegno luci di Alberto Tizzone, è attualmente in tournée nei teatri italiani.

Teatro Comunale di Vicenza,

“L’uomo dal fiore in bocca”, rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano, nella versione originale di Pirandello è un colloquio che avviene in una stazione dei treni tra un uomo che sa di essere condannato a morire, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata, e uno come tanti, che è lì perché ha perso il treno (un pacifico avventore), che vive un’esistenza normale, senza porsi il problema della fine. L’autore, come in altri casi, ricavò il testo teatrale da una novella scritta anni prima e intitolata “La morte addosso”. Diventato un caposaldo della drammaturgia pirandelliana, portato in scena dai più importanti interpreti del teatro nazionale (tra tutti Vittorio Gassman e Gabriele Lavia), “L’uomo dal fiore in bocca” è un tipico esempio di dramma borghese nel quale convergono le grandi tematiche del maestro agrigentino: il relativismo della realtà, per cui il quotidiano, tanto banale per alcuni, acquista una valenza completamente differente per chi si avvicina alla morte, e l’incomunicabilità tra le gli esseri umani.

Nella versione teatrale di Francesco Zecca, invece, quella donna che Pirandello ha fatto solo intravedere nella sua drammaturgia (un’ombra di donna che non entra in scena e non parla), a cui dà voce e corpo Lucrezia Lante della Rovere, prende il sopravvento, una donna il cui unico bene rimasto è “attaccarsi con l’immaginazione all’esistenza”, cercando di non far morire, attraverso il ricordo, il marito colpito da epitelioma (la malattia del “fiore in bocca” nel linguaggio popolare, da cui il titolo). La Donna vestita di nero, moglie del protagonista (in questa versione già morto e sepolto), si proietta alla ribalta, parla, sa osare con decisione e misura, rovesciando la prospettiva narrativa in un racconto che diventa quasi tutto al femminile. Le indicazioni di scena di una figura femminile che appare all’ombra di un cantuccio “vestita di nero, con un vecchio cappellino dalle piume piangenti” sono rispettate, ma solo quelle: qui è lei a dominare la scena. E Lucrezia Lante della Rovere presta voce appassionata e commovente a questa figura dolente, che si piega su stessa, in cui le parole, la gestualità, gli abiti del lutto amplificano la forza della sua interpretazione, creando dei momenti di profonda commozione.

L’altro appuntamento è uno spettacolo musicale nel cartellone dei fuori abbonamento al Teatro Comunale di Vicenza: sabato 25 marzo 2023 alle 18 è in programma “Il mago di Oz”, un family show di grande successo presentato dalla Romanov Arena, la casa di produzione di “Alice in Wonderland”. La geniale fiaba de “Il Mago di Oz”, tratta dal libro di L. Frank Baum, viene proposta in questo spettacolo pieno di effetti speciali dedicato particolarmente ai più piccoli, in una chiave scenica del tutto originale: il linguaggio del musical e del circo contemporaneo si fondono in una nuova e particolarissima dimensione. Per la tappa di Vicenza al Comunale (lo spettacolo è in tour nei teatri del Nord Italia, prima di passare a Firenze e a Roma) di sabato 25 marzo, i biglietti sono tutti esauriti.
Lo spettacolo, diretto da Maxin Romanov, si avvale di un cast di 25 artisti, composto da cantanti, danzatori e alcuni tra i maggiori acrobati di circo contemporaneo a livello mondiale. La mirabolante messa in scena è esaltata dall’originale animazione, dalle grafiche in 3D, dagli effetti speciali e dai costumi fantasmagorici realizzati dal team di creativi della prestigiosa produzione.

Teatro Comunale di Vicenza,

Gli artisti circensi, acrobati sui flyboard (le tavole volanti sull’acqua) che saranno in scena sono i vincitori del Premio del Festival Internazionale del Circo di Montecarlo, mentre sono usciti da celebri talent i cantanti del gruppo Grace; hanno vinto premi prestigiosi le ginnaste aeree su tela e gli acrobati su pattini. La musica originale è scritta e diretta dal giovane compositore Andrei Zubets; nel ruolo di Dorothy ci sarà Anastasiia Diatlova, la più giovane partecipante a Voice Children e The Blue Bird, mentre in quello del Mago di Oz ci sarà l’attore (e acrobata) Andrei Gelver.

Anche il musical presentato dalla Romanov Arena è tratto dal romanzo “il meraviglioso mago di Oz” scritto nel 1900 da L. Frank Baum, il primo dei quattordici libri che lo scrittore ha dedicato al luogo incantato di Oz; nel 1939 venne realizzato un film musicale, diretto da Victor Fleming (il regista di Via col vento) interpretato da Judy Garland, un film diventato un super classico nella storia del cinema. La canzone “Over the Rainbow” interpretata dalla protagonista, è stata reinterpretata da molti celebri artisti (tra cui Eric Clapton, Ray Charles, Keith Jarrett) diventando un vero e proprio cult.

La trama è quella nota: la piccola orfanella Dorothy, che vive con gli zii nel Kansas, si ritroverà risucchiata insieme alla sua casa da un tornado, nel magico paese di Oz. Qui, dopo aver ucciso inavvertitamente la malvagia strega dell’Est schiacciandola con la sua abitazione, vagherà alla ricerca del potente mago di Oz, l’unico in grado di riportarla a casa. Grazie alle indicazioni della buona strega del Nord, che le dona un paio di meravigliose scarpette di cristallo e la guida di tre improbabili compagni di viaggio – uno spaventapasseri, un boscaiolo di latta e un leone – riuscirà a superare gli ostacoli e a giungere al cospetto del potente mago. Questi però, a causa di un incidente non riuscirà nel suo intento. Solo raggiunta la strega del Sud, che le svelerà il magico potere delle sue scarpette, riuscirà finalmente a riabbracciare gli zii.

La storia avvincente e la spettacolarità dello show, con numeri acrobatici, piroette, volteggi in aria o sui pattini, pratiche circensi e splendide canzoni, lasceranno il pubblico, di tutte le età, senza fiato, per due ore di spettacolo davvero godibili. I dialoghi dello spettacolo saranno in lingua inglese con sottotitoli in italiano.

Animali in gigantografia: dove trovarli nel Vicentino? Dall’Ape Vaia allo scoiattolo di Staro…

Animali (finti) in formato gigante sono uno spettacolo da vedere. Ce ne sono anche nel Vicentino. Dall’Ape Vaia di San Pietro Mussolino, allo scoiattolo di Staro (Valli del Pasubio) passando per la lumaca di Marana di Crespadoro, meritano tutti una visita…

L’Ape Vaia

E’ stata costruita con i legni raccolti dalla tempesta vaia dall’artista Marco Martalar e posizionata lungo la pista ciclabile di San Pietro Mussolino, paese delle api. Il sentiero si chiama appunto “sentiero dell’ape regina”.

La sera del 29 ottobre 2018 la devastante tempesta Vaia, accompagnata da forti raffiche di vento, si abbatté su tutto il territorio montano del nord est d’Italia e oltre 20 milioni di alberi furono sradicati in poche ore.

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Il sentiero dell’ape regina a San Pietro Mussolino. Foto: Marta Cardini

Marco Martalar, (nome d’arte per Martello) scultore e artista veneto, montanaro e amante della natura, rimase profondamente colpito dall’evento calamitoso, tanto da sperimentare una nuova tecnica per recuperare gli alberi abbattuti dandogli nuova vita attraverso le sue creazioni. Su una collina di Lavarone, in Trentino, lo scultore ha posizionato un famoso drago, costruito con pezzi di radici divelte. Ha inoltre costruito un gallo che presidia l’ingresso nel Comune di Gallio e un leone che è stato consegnato in Finlandia.

Lo scoiattolo di Staro

A Staro, frazione di Valli del Pasubio, si trova un enorme scoiattolo di pezza. Nato nel 2008 come carro di Carnevale costruito da un gruppo di volontari di Staro, al termine delle sfilate è stato posizionato all’ingresso del paese dove è ammirato e fotografato durante tutto l’anno dalle persone di passaggio. E’ stato ristrutturato pochi anni fa grazie ad una raccolta fondi. Nel 2020 è stato riposizionato, dopo che era stato cucito nuovo di zecca da alcune volontarie. Lo scoiattolo è l’animale simbolo della frazione di Staro.

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Lo scoiattolo di Staro. Foto: Marta Cardini

La lumaca di Marana di Crespadoro

Sembra costruita in plastica o in gomma, l’enorme lumaca situata in piazza a Marana di Crespadoro. I “corgnoi” ovvero le lumache sono il simbolo di questo territorio. A Crespadoro si tiene infatti ogni anno intorno all’8 dicembre la “festa della lumaca” con la mostra mercato e la degustazione dei “corgnoi” provenienti dal boschi dell’Alta Valle del Chiampo.

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La lumaca di Marana di Crespadoro. Foto: Marta Cardini

Se in questo nostro giro tra gli animali giganti ne avessimo dimenticato qualcuno non esitate a comunicarcelo. Grazie

Arte culi ‘n aria, la decima ricetta vicentina di Umberto Riva: piselli, la donna dei cesti a “scaolare i bisi”

Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (l’ultima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è dell’11 dicembre 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon.

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.


Quel grosso cesto appeso al braccio era pieno di verdure. Aveva due fianchi che tenevano larga una gonna ampia, drappeggiata che arrivava ai piedi costretti in scarpe nere con cinturino, sformate dalle nocche dei piedi. Dalla vita in giù sembrava il paramento dietro l’altar maggiore, quello attaccato alla corona, durante le feste grandi. Dalla parte esterna del cesto, appesa col gancio al manico di legno, una stadera, bilancia per le verdure a peso.

Era l’epoca dei piselli.

Il rientro da scuola aveva un titolo, “scaolare i bisi”.

Un lettore che si "gusta" Arte culi 'n aria
Un lettore che si “gusta” Arte culi ‘n aria

I piselli, quelli rotondi, lisci profumati, finivano in una terina, le scorze in una vaschetta con acqua. Anche i baccelli erano importanti. Venivano ben lavati e lessati a lungo, molto cotti. Venivano passati nel passaverdure che l’acqua di cottura slavava affinché niente rimanesse. L’acqua, con quanto rilasciato dai baccelli, era buona per il minestrone di verdura. Era usata anche come acqua di governo per il risotto. Era deliziosa anche da bere, leggermente verdina, leggermente dolciastra, leggermente densa, leggermente lassativa.

I piselli, piccoli, tutti uguali, dolci, erano buonissimi anche crudi. “No magnarli crui che te vien ‘l mal de panza”, non era vero, ma il timore riduceva i danni.

Quel profumo che le finestre aperte diffondeva fino in istrada era dei “bisi in antian”. Scalogno tagliato fino, rosolato con pancetta ridotta a dadini era l’antefatto dell’immane opera. Quando lo scalogno era trasparente e così la pancetta, allora e solo allora venivano versati i piselli che cominciavano a cuocere con piccole correzioni d’acqua, col coperchio fino a che facevano le fossette. Solo allora il coperchio veniva tolto fino a far evaporare il liquido superfluo.

Il profumo era trionfante.

Il risotto veniva governato col brodo di gallina, se n’era avanzato dalla domenica prima, oppure con acqua. A cinque minuti dalla fine cottura “da ‘a tecia de i bisi in antian” venivano tolte alcune cucchiaiate, una ogni due commensali, destinate andavano ad arricchire il risotto. Si cominciava a vedere quella specie di succo denso, amido con liquido di piselli, legare il riso. Se alla fine poi, una noce di burro trovava ospitalità, si matecava. “Mai meterge formaio, se perde la delicatesa dei bisi” e dopo “lecare anca ‘l piato”.

Secondo piatto, “bisi in tecia o in antian, che xe la stesa roba” con un pezzo di formaggio tipo “calcagno de frate” di quello che sa gusto da niente “tanto par dire che go magnà formaio”.

Meraviglia!

Piccoli, teneri, dolci “bisi de Lumignan”.

Ma questa é un’altra storia, una storia nella storia. Un “toco de storia de Lumignan” una parte molto importante che rinasce nella “sagra dei bisi”. Una tradizione. “Lumignan, un toco de mondo”.

Annotazione. Parlando dei “bisi in tecia”, qualcuno dice di mettere ad inizio cottura, anche pomodori freschi “de pianta”. Mai! “I bisi xe bisi, i pomodori xe pomodori”.

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Birra Ofelia, una storia fermentata per 5 anni tra Sovizzo e il Belgio

La Birra Ofelia nasce da un’idea che è lentamente fermentata nelle menti di Lisa Freschi e Andrea Signorini, soci e compagni di vita.

birrificio ofeliaL’idea nasce nel 2007, in Belgio, durante la visita ad un birrificio artigianale, al cui ritorno iniziarono a sperimentare piccole produzioni nel garage sotto casa. Galeotto fu quel viaggio, perché per altri 5 anni continuarono le prove delle cotte, affinando le ricette con perizia e studio, e perfezionandosi con altri viaggi in Belgio e negli Usa, confrontandosi con altre realtà, il tutto tenendo conto che Lisa e Andrea erano già impegnati nelle loro attività professionali.

Nel 2012 finalmente nasce la loro birra perfetta, una birra che potesse essere onesta, franca, pura e soprattutto una birra che non scenda a compromessi. Nasce Ofelia, nomen omen, proprio come il personaggio dell’opera Shakespeariana, perdutamente Innamorata di Amleto.

Il legame con il territorio

Il piccolo impianto da 1.2 ettolitri nel tempo ha cominciato a starci un po’ stretto – raccontano Lisa e Andrea – e così dal 2016 abbiamo realizzato, sempre a Sovizzo e a pochi passi dal precedente, un altro birrificio da 12 ettolitri con un impianto più efficiente”.

Nel nuovo birrificio – continuano – abbiamo predisposto anche la tap room, un’area del birrificio dedicata e aperta a tutti coloro che vogliono bere una buona birra alla spina direttamente nel luogo di produzione. E naturalmente è sempre in funzione il punto vendita per l’asporto”.

Lisa e Andrea selezionano personalmente malti e luppoli più adatti alle loro birra, anche per quelle  caratterizzate da altri elementi come ad esempio Scarlet con le corniole De.C. di Cornedo o Speltina, realizzata con farro spelta di Sovizzo, in corso di certificazione De.Co.”. Facciamo il possibile per utilizzare ingredienti dal territorio vicentino.

I love Loison

Con Dario ci siamo sempre tenuti in contatto – racconta Lisa – dai tempi in cui lavoravo per il consorzio di promozione turistica Vicenza è, incrociandoci spesso in occasione di fiere di settore come Golosaria a Milano, Vinitaly a Verona e ad incontri più svariati sempre in tema gastronomico vicentino“.

Il punto di vista di Dario

Conosco Lisa e Andrea e so quanto si sono dati da fare per realizzare il loro progetto. Hanno rinunciato alle loro professioni, alla sicurezza e tranquillità per inseguire un sogno. Tra le proposte in rassegna apprezzo molto la birra “Piazza delle erbe”, la saison con spezie ed erbe dal grande equilibrio e bouquet aromatico. Stiamo comunque facendo fermentare insieme, una dolce idea che lego la birra artigianale Ofelia con un prodotto di pasticceria”.

Info

Birrificio Ofelia

Viale dell’Artigianato, 22

36050 Sovizzo VI

Tel 340 400 2458

https://birraofelia.it/

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Musica sull’Acqua, Pueri Cantores in concerto presso la Chiesa di San Marco a Vicenza

Domenica 26 marzo alle 16 il coro “Pueri Cantores” del Veneto APS, diretto dal Maestro Roberto Fioretto, si esibirà presso la Chiesa di San Marco a Vicenza nel concerto “Musica sull’Acqua” in collaborazione con il Comune di Vicenza (Assessorato alla partecipazione) e Viacqua.

Lo spettacolo, inserito nella giornata regionale dei Colli Veneti, vuole affrontare insieme alla comunità vicentina il tema dell’importanza dell’acqua. La carenza di risorse idriche, secondo una nuova analisi dell’Università di Twente (Olanda) pubblicata sulla rivista Science, non solo è una delle sfide più pericolose che il mondo si trova ad affrontare, ma probabilmente è di gran lunga peggiore di quanto ci si aspetti. Un fatto che sta rapidamente portando al degrado irreversibile delle falde acquifere, rendendo vulnerabili intere comunità.

Il prof. Massimo Celegato illustrerà alcuni dei problemi legati al cambiamento climatico in atto, all’impatto che la società ha nel territorio, allo spreco e la scarsità d’acqua. Proporrà altresì semplici comportamenti che ognuno di noi può adottare per contribuire al benessere del nostro pianeta, della natura e di noi stessi.

Musica sull'acqua
Pueri Cantores del Veneto

La musica interpretata dal coro “Pueri Cantores” del Veneto creerà un legame con il territorio intorno a noi al quale sono legate la nostra storia e la nostra cultura affinché essa possa contribuire al benessere della nostra salute e della natura che ci circonda.
Nella seconda parte del concerto, in tema con il periodo quaresimale che stiamo vivendo, saranno presentati alcuni brani tratti dal Requiem di Mozart con lo scopo di infondere una purificazione spirituale che solo questa musica è in grado di instillare.

Il coro “Pueri Cantores” del Veneto ha al suo attivo un curriculum prestigioso in 37 anni di attività. Nella sua storia il coro è stato infatti diretto da illustri direttori d’orchestra come John Eliot Gardiner, Claudio Scimone, Giuliano Carella, Ion Marin e ha collaborato con Teatri lirici quali la Fenice di Venezia, L’Arena di Verona e il Teatro Real di Madrid. Inoltre il coro ha tenuto concerti in diverse città europee con rinomate orchestre tra le quali si ricordano la “Croatian Chamber Orchestra”, l’Orchestra sinfonica della “Florida State University”, la “New York Chamber Orchestra”, l’“Orchestra Verdi di Milano, “I Solisti Veneti”, la “Philarmonia Veneta”, “I Musicali Affetti” e l’“Orchestra del Teatro Olimpico” di Vicenza, l’orchestra della Fenice di Venezia, l’orchestra dell’Arena di Verona.

Ulteriore prova di questo riconoscimento da parte della comunità musicale internazionale è data dal fatto che il coro collaborerà con la prestigiosa Varna International, per l’esecuzione del Requiem di Mozart e “Suor Angelica” di Puccini con la New York Chamber Orchestra diretta dal M° Gregory Buchalter, direttore del Metropolitan Opera House di New York.

Alessandro Massaria: un grande innovatore nel campo della prevenzione

Michelangelo Zorzi, nell’opera “Vicenza illustre”, annovera Alessandrio Massaria «fra i più acuti e begli ingegni, anzi tra gli ornamenti più luminosi della nostra Patria (Vicenza)». Massaria fu una tipica figura vicentina rinascimentale: filosofo e naturalista, cultore della medicina e delle lettere, caritatevole e fastoso: insomma, un uomo universale.

Il De peste ritrae Massaria mentre con le mani inguantate, il capo avvolto da veli profumati, masticando la sua pasticca odorosa, gira per le vie vicentine desolate

dalla pestilenza. Alcune note biografiche sono d’obbligo. Alessandro Massaria nasce a Vicenza nel 1524 da un’antica famiglia con illustri antenati. Studia prima a Vicenza “umane lettere, greche e latine” sotto la guida di Jacopo Grifolo, e poi a Padova con Lazzaro Bonamico. Decide quindi di darsi alla professione di medico e si addottora nel Ginnasio Patavino, dove ha per maestri nell’arte medica Falloppio in anatomia, Oddi in Medicina Teorica e il vicentino Fracanzano in Medicina Pratica. Torna a Vicenza e inizia con valore la professione di medico. Con Conte da Monte (“Montano vicentino”) e Fabio Pace, suo nipote e discepolo, promuove e istituisce nel 1563 il “venerabile” Collegio dei Medici di Vicenza, al fine di distinguere i nobili e retti seguaci di Esculapio, che dissertavano in la- tino e citavano gli antichi greci in testo originale, da concorrenti ciarlatani di basso rango, quali gli speziali e quelli che curavano «cum ferro e igne», precursori degli odierni chirurghi, come era successo a Londra nel 1518 con la fondazione del Royal College of Physicians da parte di Thomas Linacre. Nel 1555 figura, insieme ad Andrea Palladio, fra i promotori di quell’Accademia che il 1° marzo 1556 chiamarono Olimpica, firmandone lo statuto. Nel 1557 traduce e presenta in Accademia la commedia di Terenzio Andria, successivamente un’altra commedia di Terenzio, L’Eunuco, e nel 1575 anche una sua commedia, intitolata Alessandro. Sempre in Accademia fonda una scuola Anatomica, dando dimostrazioni di Notomia. Raggiunge la sua massima notorietà nel 1579 con la pubblicazione del De peste libri duo, dove racconta le vicende e gli aspetti sanitari-scientifici della peste bubbonica che nel 1576, dopo aver colpito Trento, Treviso, Padova, Mantova e Milano e decimato Venezia, era arrivata anche a Vicenza, agli inizi negata o non riconosciuta come era avvenuto a Venezia. Risulta che a Vicenza, a confronto con altre città venete, si fosse riusciti a contenere notevolmente il numero dei morti. La storia raccontata da Massaria nel De peste (e letta nei passi più significativi da Roberto Cuppone) è anche quella del suo impegno nel curare gli ammalati, isolare i soggetti sani, vigilare sulle misure igieniche. Fra l’altro eseguì la prima autopsia di un parente morto appestato. Gli abitanti di Vicenza, trentamila prima della peste, si ridussero di 9.816 unità per i decessi e per la fuga in campagna. Dei malati, 538 erano accampati in baracche nel Campo Marzio e 440 nei lazzaretti. L’autorità pubblica provvedeva al sostentamento di ben 5.000 persone. Il De Peste rivela come Massaria non fosse estraneo al movimento di rifondazione della medicina. Prescriveva di spruzzare la stanza d’acqua e aceto, infiorare i letti, masticare lentamente una pastiglia odorosa e puntò il dito sull’igiene. Introdusse il concetto di infezione da contagio, condividendo il pensiero di Girolamo Fracastoro, che alcuni decenni prima aveva parlato, nel suo libro De contagione et contagiosis morbis, di seminaria, corpuscoli minutissimi e animati, responsabili della diffusione e trasmissione della peste bubbonica attraverso contatto, diretto o indiretto, al pari dell’attuale coronavirus. Massaria, riallacciandosi alle innovative teorie di Fracastoro, afferma che tra le cause della peste vi è anche il contagio degli uomini e delle cose e asserisce che è l’aria a veicolare il contagio, permettendo così la trasmissione di particelle patogene, proprio come succede nella diffusione del coronavirus. Ci sarebbero voluti più di tre secoli per identificare, nel 1894, la pasteurella quale agente causale infettivo della peste bubbonica. E in questo Massaria appare un “novatore”. Come considerare altrimenti le sue convinzioni sui sintomi, che è vano curare, perché i sintomi non sono la malattia ma la seguono, a meno che non richiedano un particolare trattamento in quanto causano una complicazione o indeboliscono l’infermo? Ed è da novatore, e non certo da conservatore, la sua pratica di far ricorso a medicamenti semplici e di sostenere le forze dei malati con una buona alimentazione, invece di sottoporli a purghe o salassi: «In primis danda est omnis opera, ut corpus optime nutriatur». Scredita le pratiche superstiziose, il ricorso ad amuleti e a misteriose cure preventive contro la peste. Non è forse innovativa, anzi rivoluzionaria la sua sentenza «Ratione et experientia medicina fiat»? L’abnegazione e lo spirito di carità dimostrato da Massaria durante tutta l’epidemia gli valsero una tale fama da essere chiamato a esercitare con successo la professione medica a Venezia nel 1578, abbandonando “Teatro, Patria e Liceo”. E Venezia volle premiare un così grande uomo, perché tale stima spianò la strada dalla libera professione all’insegnamento universitario.

Resasi vacante la prima Cattedra di Medicina Pratica con il trasferimento di Girolamo Mercuriale all’ateneo di Bologna, il Senato Veneto nel 1587 chiamò a ricoprirla Alessandro Massaria, con lo stipendio di ben 800 fiorini, preferendolo a Girolamo Capodivacca, che teneva la seconda Cattedra di Medicina Pratica. Chissà se su questa decisione abbia pesato l’errore fatto da Mercuriale e Capodivacca in occasione dello scoppio della peste in Venezia nel 1575, quando questi “gran dottori”, chiamati a consulto, mancarono la diagnosi, sottovalutando la gravità del fenomeno morboso e così rendendosi responsabili del ritardo nelle misure preventive, con gli effetti catastrofici che causarono 40.000 morti.

Massaria tenne la cattedra per undici anni, fino alla morte, con tale prestigio da meritare l’aumento dell’onorario fino a mille fiorini (lo stesso stipendio che Galileo avrebbe ottenuto dopo l’invenzione del telescopio e la scoperta dei satelliti medicei di Giove). Nella prolusione inaugurale presso il Ginnasio patavino, Massaria classifica la scuola medica in tre categorie: l’insegnamento classico dei seguaci di Galeno, che dichiara orgogliosamente di seguire; la tradizione araba che si ispira ad Avicenna; le recenti dottrine, che non si identificano con nessuna delle antiche. Continuò l’uso, avviato da Giovanni da Monte nel 1543, di recarsi quotidianamente, con grande seguito di studenti, all’ospedale S. Francesco a visitare gli infermi, discutendo il caso e introducendo il concetto di lezione clinica, che è alla base dell’attuale insegnamento in Medicina. Massaria considerava il malato al centro dell’attenzione del medico, con le sue sofferenze e individualità, e affermava che non i libri ma i malati sono i veri maestri. Molte sono le opere importanti del Massa- ria, oltre al De peste, fra cui il Liber respon- sorum et consultationum medicinalium, e Practica medica. Nelle Duae disputationes, quarum prima mittendi sanguinem, altera de purgatione in principio morborum mette in discussione due cardini delle terapie adottate per secoli, ovvero il salasso e le purghe. Massaria andava arricchendosi e la sua bella casa di Padova, lussuosamente arredata, era aperta a notabili forestieri e a dotti di ogni provenienza. Amava condividere con gli amici la sua cantina ben fornita; non mancava però di essere generoso con i poveri, dispensando cento pani ogni venerdì. Il venerdì santo e alla vigilia di Natale tratteneva dodici poveri ad un lauto pranzo, congedandoli perfino con una generosa elemosina. Nel 1596 accadde un episodio che sottolinea il suo rigore. Incontrato per via uno studente, che lo aveva disturbato durante le lezioni, lo invitò in casa e lo prese a legnate, quale esempio di come si deve correggere la petulanza degli scolari insolenti. Morì improvvisamente il 18 ottobre 1598 e venne sepolto nella basilica di Sant’Antonio, senza lapide per incuria dei suoi discendenti e dei colleghi.

A Vicenza il suo ricordo fu affidato a una statua nel Teatro Olimpico, nel 1585, nel colonnato sopra la gradinata, e a una lapide murata nella chiesa dei Servi di Maria, nel 1677, che purtroppo andò distrutta e fu rifatta nell’antico stile dallo scultore Pietro Morseletto. Alessandro Massaria appartiene alla gloriosa tradizione dei medici vicentini, che erano ad un tempo scienziati e umanisti: Antonio Fracanzano, Domenico Thiene, Lorenzo Pezzotti, Giorgio Pototschnig. Il miglior modo di rendere omaggio a questo illustre concittadino e Accademico Olimpico è leggere le sue opere, fra le quali questa prima traduzione in lingua moderna del De peste.

Bibliografia

  1. Calvi, Biblioteca e storia di quegli scrittori così della città come del territorio di Vicenza che pervennero fin’ad ora a notizia del

P.F. Angiolgabriello di Santa Maria carmelitano scalzo vicentino, Vicenza, G. Battista Vendramini Mosca, 1772-1782, 6 voll., vol. v 1779, pp. lxxxii-xciv.

  1. Fracastoro, De contagione et contagiosis morbis, Venetiis, apud

haeredes Lucaeantonii Iuntae, 1546.

  1. Mantese, Per una storia dell’arte medica in Vicenza alla fine del secolo XVI, Vicenza, Accademia Olimpica, 1969 («I quaderni dell’Accademia Olimpica», 5), pp. 14-15.
  2. Marrone, Alessandro Massaria, in Clariores. Dizionario biogra- fico dei docenti e degli studenti dell’Università di Padova, Padova, Padua University Press, 2015.
  3. Massaria, De peste libri duo, Venetiis, apud Altobellum Salica- tium, 1579.
  4. Massaria, La peste (De peste), Introduzione, traduzione e note a cura di D. Marrone, Presentazione di G. Thiene e E. Pianezzola, Editrice Antilia, 2012.
  5. Morpurgo, Lo Studio di Padova, le epidemie ed i contagi duran- te il Governo della Repubblica Veneta (1405-1797), in Memorie e documenti per la storia della Università di Padova, Padova, La Garangola, 1922, pp. 105-240.
  6. Ongaro, La medicina nello Studio di Padova e nel Veneto, in Storia della cultura veneta, iii/3. Dal primo Quattrocento al Conci- lio di Trento, Vicenza, Neri Pozza, 1981, p. 75-134.
  7. Pesenti, La cultura scientifica: medici, matematici, naturalisti, in Storia di Vicenza, Vicenza, Neri Pozza, 1987-1993, 4 voll., iii/1. L’età della Repubblica Veneta (1404-1797), a cura di F. Barbieri e
  8. Preto, pp. 257-60.
  9. Pezzotti, Alessandro Massaria e il suo tempo, Vicenza, Rumor, s.d. [1953 ca.]. Preto, Peste e società a Venezia, 1576, Vicenza, Neri Pozza, 19842.

Da Storie Vicentine n. 1 2020


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
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Sol si è esibita in duo con Bertrand : Mendelssohn e Brahms a confronto al Teatro Comunale di Vicenza per la Società del Quartetto

Oggi, domenica 19 marzo, la celebre violoncellista Sol Gabetta in duo con il pianista Bertrand Chamayou si è esibita al Teatro Comunale per la Società del Quartetto. In programma c’era un confronto fra Mendelssohn e Brahms, con una finestra aperta sulla musica contemporanea. Prima del concerto, alle ore 20 nel foyer del teatro, la psicoterapeuta Luisa Consolaro parlerà dell’universo femminile per l’iniziativa Questione di Donne.

Sol Gabetta e Bertrand Chamayou sono stati i protagonisti, domenica 19 marzo, dell’ppuntamento inserito nella stagione di concerti organizzata dalla Società del Quartetto al Teatro Comunale di Vicenza.

Nata in Argentina da una famiglia con ascendenze francesi e russe, Sol ha iniziato giovanissima lo studio sia del violino che del violoncello optando per quest’ultimo quando aveva 8 anni. Trasferitasi in Europa, si è formata alla Escuela Superior de Música Reina Sofia di Madrid, poi all’Accademia di Basilea e alla Musikhochschule Hanns Eisler di Berlino. Fra i riconoscimenti che l’hanno lanciata nell’Olimpo dei grandi violoncellisti dei nostri giorni si possono citare l’European Culture Prize, l’Herbert von Karajan Prize al Festival di Salisburgo, l’OPUS Klassik (strumentista dell’anno), l’ECHO Klassik, l’incoronazione a artista dell’anno da parte di Gramophone, il Premio Würth alle Jeunesses Musicales e una nomination ai Grammy. Pur avendo un’intensa attività di solista a fianco di formazioni orchestrali come la Staatskapelle Dresden, la BBC Simphony, i Wiener Philharmoniker e la Concertgebouw Orchestra, Sol Gabetta pone al centro del suo mondo musicale il repertorio cameristico, che frequenta da sempre con artisti del calibro di Isabelle Faust, Alexander Melnikov, Patricia Kopatchinskaja e lo storico “compagno di viaggio”, il coetaneo Bertrand Chamayou con il quale si presenta domenica a Vicenza.

Francese di Tolosa, Chamayou ha studiato al Conservatorio di Parigi e a Londra (con Maria Curcio) ed è oggi considerato uno dei migliori pianisti francesi dell’attuale panorama: è l’unico musicista ad aver vinto per 5 volte – l’ultima quest’anno – il prestigioso premio francese “Victoires de la Musique”. Oltre alle numerose apparizioni con prestigiose orchestre di tutto il mondo – sono recenti i suoi debutti con la New York Philharmonic, la Chicago Symphony e la Budapest Festival Orchestra – il pianista francese si dedica con passione alla musica da camera insieme a colleghi come Renaud e Gautier Capuçon, il Quartetto Ébène, Antoine Tamestit e Sol Gabetta.

Il programma che il collaudato duo ha presentato lunedì al pubblico vicentino ha messo a confronto Mendelssohn e Brahms. Del primo abbiamo ascoltato a inizio concerto le Variations concertantes del 1829, otto sgargianti variazioni che nascono da un tema tanto elementare quanto ricco di melodia. È toccato poi al Brahms maturo della Sonata in Fa maggiore per violoncello e pianoforte datata 1886, lavoro energico e potente che risente della profonda esperienza sinfonica maturata dal compositore amburghese nel decennio precedente. Infine di nuovo Mendelssohn, con l’appassionata Sonata in Re maggiore del 1843 che si articola in quattro movimenti – caso unico nel suo catalogo sonatistico – e si distingue per il grande equilibrio fra i due strumenti protagonisti.

Gabetta e Chamayou sono artisti che amano confrontarsi spesso con il repertorio contemporaneo. Per questo, come fanno di sovente quando suonano assieme, anche a Vicenza hanno scelto di inserire nel programma un breve brano di un autore dei nostri giorni il cui titolo sarà svelato durante il concerto.

Insieme a quello di lunedì scorso con Viktoria Mullova, il concerto di domenica è rientrato nell’iniziativa “Questione di Donne” promossa dalla Società del Quartetto per la Giornata Internazionale della Donna. Prima del concerto, alle ore 20 nel foyer del teatro, la psichiatra e psicoterapeuta Luisa Consolaro del Laboratorio Idee per il Sociale – Casa di Cultura Popolare si è soffermata su uno dei nodi principali con cui le donne di oggi devono confrontarsi: la riedizione – complessa quanto inedita – del rapporto tra il femminile e il materno, tra il pubblico e il privato.

Laura Danzo e Luigi Borgo si raccontano dal passato al futuro della Tipografia Danzo

Ci accolgono con il sorriso e con entusiasmo i coniugi Laura Danzo e Luigi Borgo, titolari della Tipografia Danzo di Cornedo Vicentino, al confine con Valdagno. Ad agosto di quest’anno festeggiano i 70 anni dell’azienda, nata nel 1953 dal papà di Laura, Aldo e dallo zio Leonzio. Da quel momento in poi, l’azienda è andata in crescendo, anche grazie alla stampa in settori di nicchia e di valore culturale, quali i libri.

entrata danzo
Alcuni libri stampati all’entrata della tipografia Danzo. Foto: Marta Cardini

Sig. Borgo, ci racconta la storia della tipografia?

L’idea di aprire una tipografia è nata da mio suocero Aldo e da suo fratello Leonzio, che lavoravano per il Comune di Valdagno. Si resero ben presto conto che a Valdagno mancava un’azienda che producesse stampati. Inizialmente, le prime stampe erano in bianco e nero. L’azienda è poi cresciuta. Negli anni ’60 sono poi sorte altre tipografie a Valdagno. Nel 2011 siamo subentrati io e mia moglie Laura a dirigere l’azienda. Ma già nel 2000 era nata Mediafactory, la nostra casa editrice, che si occupa di stampare libri. Mentre nel 2006 è nata la rivista mensile Sportivissimo, che si occupava di ogni tipo di sport. La rivista è stata stampata per 15 anni, per un totale di 120 numeri.

interno tipografia
L’interno della tipografia Danzo. Foto: m.c.

Dal 2011 in poi, abbiamo rinnovato la tipografia sostituendo tutti macchinari e aggiungendo una sezione cartotecnica. Ora produciamo anche scatole e abbiamo in previsione nuovi packaging. L’azienda ora conta in tutto 20 persone fra dipendenti e titolari.

C’è stata crisi nel mercato e come l’avete affrontata?

Sì, la crisi del mercato è stata causata dalla sfida che ci ha imposto la digitalizzazione. Questo ha ridotto le tirature dei media cartacei. Noi l’abbiamo affrontata investendo nella produzione di scatole e nel packaging. Anche la pandemia e il rincaro dell’energia elettrica ci hanno imposto delle sfide. Noi le abbiamo affrontate con una gestione attenta e parsimoniosa. Siamo anche riusciti a lavorare con brand nazionali e internazionali rimanendo nel territorio valdagnese. Molte tipografie della nostra zona hanno, purtroppo, chiuso i battenti. Credo che, per la prosecuzione della nostra attività, ci abbia premiato il fatto di aver sempre cercato di seguire il cliente in modo personalizzato e che ci sia stata riconosciuta una certa serietà nel rapporto con dipendenti, fornitori e clienti.

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Un macchinario presente nella tipografia. Foto: m.c.

Quali progetti avete per il futuro?

Questo è un mestiere antico e bisogna saperlo “portare” nel futuro. Il progetto “materiale” è quello di trasferirci in un nuovo e più grande capannone a Brogliano, di ben 3.600 mq. I progetti culturali sono quelli che già portiamo avanti da molti anni. Non ci limitiamo solo a stampare libri di storia, di arte, di sport legati o meno al territorio, me seguiamo tutta la storia di ogni libro, attraverso la sua presentazione e la collaborazione costante con gli autori. Abbiamo pubblicato finora circa 300 libri. Ci mettiamo la passione per i contenuti, non solo la stampa.

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Altri macchinari presenti in tipografia. Foto: m.c.

Laura e Luigi

La coppia ha 2 figli, Guidaldo e Lapo. Sia Luigi che i figli amano lo sport e, in particolar modo, lo sci. Luigi è anche maestro di sci ed è laureato in Lettere. Ecco spiegato perché dal connubio tra sport e cultura era nata la rivista Sportivissimo! Laura, intanto, ci ha accompagnato a seguire il capannone, i macchinari presenti e gli operai al lavoro.

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Foto di Laura Danzo
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Foto di Laura Danzo

Paolo Lioy, una vita per il sapere tra scienze naturali, letteratura e archeologia

Artisti, navigatori, scrittori: Vicenza non si fa mancare nulla nel novero delle grandi personalità a cui ha dato i natali. Il vicentino di oggi è Paolo Lioy, naturalista e autore di numerosissimi saggi, ma anche archeologo e patriota.

Paolo Lioy e una vita per il sapere

Lioy nacque nel 1834 a Vicenza, sebbene fosse originario della cittadina pugliese di Terlizzi. Pur avendo mostrato fin dalla tenera età un forte interesse per le scienze naturali, studiò prima al liceo classico, per poi iscriversi alla facoltà di giurisprudenza.

Il suo amore per le scienze naturali, tuttavia, non ne risultò scalfito e anzi, continuò più vivo che mai. Già alla fine degli anni ’50 pubblicò La vita nell’universo, il suo primo grande successo divulgativo, che lo fece conoscere negli ambiti accademici di tutta Italia e anche all’estero. Intellettuale tout-court, Lioy coltivò anche la passione e il talento per la scrittura, pubblicando numerosi racconti.

L’impegno patriottico e politico

Il sapere fu per tutta la sua vita il suo obiettivo principale, ma non solo per se stesso: Lioy è ricordato anche per il suo impegno nell’istruzione. Come Segretario dell’Accademia Olimpica di Vicenza lottò per l’alfabetizzazione della classe operaia di Vicenza, e ottenne scuole serali gratutite per i lavoratori.

Lioy fu anche un patriota e fermo sostenitore dell’unità d’Italia, impegno che gli costò un esilio a Milano, dove non interruppe a sua attività intellettuale che ne risultò, al contrario, alimentata da nuovi interessi.

Lago di Fimon
Il lago di Fimon, nei pressi del quale sono ancora in corso scavi archeologici (foto flickr: Marco)

Gli scavi archeologici di Fimon

Nei pressi di Vicenza, nelle valli di Fimon, sono ancora oggi in corso scavi archeologici nel sito di un antico insediamento su palafitte. Ad avere l’intuizione che attorno al lago di Fimon, immerso nei monti Berici, potesse essere nascosto un tesoro di inestimabile valore storico, fu proprio Paolo Lioy. Per saperne di più clicca qui.