Per la prima volta il Parco della Pace ospiterà un grande evento. Per tre giorni, venerdì 13, sabato 14 e domenica 15 ottobre il più grande spazio verde della città sarà aperto in via straordinaria ininterrottamente dalle 7 di mattina alle 4 di notte per l’arrivo di Hangar Palooza,il Festival dei Festival.
Saranno 55 le ore dedicate agli eventi, 30 le ore di musica, 5 i dibattiti e le conferenze programmate. Più di 24 ore di mercati alimentari e artigianali.
Hangar Palooza è organizzato dal Comune di Vicenza e dal Coordinamento Festival di Vicenza che riunisce le sei feste rock che per tradizione animano l’estate in città: Jamrock, Lumen, Riviera Folk, Ferrock, From Disco To Disco e Spiorock.
Musica live e dj set, dibattiti, cineforum, workshop, jam session, concerti all’alba, spettacoli busker, writer, mercatino artigianale e biologico, truck food si svolgeranno nei due hangar all’ingresso del parco e nella vicina area esterna dove verrà allestito un grande palco coperto per continuare la festa anche in caso di pioggia.
L’iniziativa è stata presentata oggi dall’assessore alle politiche giovanili Leonardo Nicolai e dall’assessore all’istruzione Giovanni Selmo, con i rappresentanti del Coordinamento Festival di Vicenza. Erano presenti anche l’assessore alla cultura, al turismo e alle attrattività della città Ilaria Fantin e l’assessore ai grandi eventi Leone Zilio.
«Quanto accaduto negli ultimi due mesi è qualcosa di dirompente – ha annunciato l‘assessore alle politiche giovanili Leonardo Nicolai -. Da anni avevo un sogno: organizzare il Festival dei festival e farlo coinvolgendo le feste rock cittadine. E oggi ce l’abbiamo fatta dimostrando che con il lavoro di squadra possiamo riuscire ad attirare a Vicenza importanti artisti. Il nostro obiettivo è fare in modo che Vicenza diventi “la città dei festival” – non più la “città delle feste rock” – e questa prima edizione di Hangar Palooza sarà l’incipit di una rassegna che vorremmo far durare negli anni. Ci siamo rimboccati le maniche è, nonostante il poco tempo, siamo riusciti ad organizzare un simile evento mettendo in campo professionalità, competenze e capacità considerevoli che vanno ben oltre a quanto è necessario per coordinare un evento giovanile, tipologia a cui spesso le feste rock sono state ricondotte. È un messaggio importante – prosegue Nicolai – per una città spesso inconsapevole delle risorse e del dinamismo che la caratterizza. E lo è soprattutto per il Parco della Pace, a dimostrazione che quando si uniscono le forze si può dar vita a qualcosa di completamente inaspettato e inatteso. Decine di associazioni e realtà hanno organizzato un festival di livello europeo, con una programmazione quasi ininterrotta 24 ore su 24, rivolta ad un pubblico assolutamente eterogeneo. Con Hangar Palooza l’ambizione è di far sognare un futuro diverso alla città, sia per il Parco della Pace, per cui i modi di scoprirlo saranno tantissimi e variegati, sia per i festival estivi, che oggi si arricchiscono di una nuova offerta che speriamo diventi un riferimento anche oltre i confini della nostra provincia.»
«È importante che il Festival inizi coi bambini, perché saranno coloro che vivranno il parco e lo vedranno crescere nel tempo, accompagnando lo sviluppo dei suoi alberi e della sua biodiversità – ha spiegato l’assessore all’istruzione Giovanni Selmo -. Abbiamo invitato a partecipare un gruppo di alunni delle classi quarta e quinta della scuola primaria di ogni istituto comprensivo della città che non hanno mai visto il Parco “com’era prima”, non hanno vissuto il percorso che ha portato alla sua realizzazione e vorremmo che si facessero interrogare dalle sue possibilità. Vivranno una visita alla scoperta della flora e della fauna, conosceranno la storia del luogo e del suo nome, con un momento conviviale e di scambio. L’obiettivo, poi, è che questi ambasciatori possano raccontare e riaccompagnare al parco genitori e amici durante il Festival: consegneremo, infatti, a ciascuno di loro un buono per una corsa nel trenino che percorrerà una parte del parco.»
In concomitanza con Hangar Palooza Festival domenica 15 ottobre è organizzata anche la Domenica ecologica, a cura dell’assessorato all’ambiente che prevede eventi che collegheranno il quartiere Italia con il Parco della Pace.
Il Festival prenderà il via ufficialmente venerdì 13 ottobre a partire dalle 18 dopo l’inaugurazione. La prima ad entrare al Parco della Pace, nella mattinata di venerdì, sarà però una rappresentanza degli alunni delle scuole primarie della città a cui l’amministrazione vuole dare la possibilità di visitare e conoscere il grande spazio verde, di partecipare ad attività di animazione e di assistere alle proiezioni del CineClub a cura del Cinema Odeon.
Saranno tre le aree dedicate alla musica: il palco principale all’esterno dell’hangar 1, il secondo palco sotto l’hangar 2 e il terzo all’interno dell’hangar 1 il”volo stage” dedicato ai dj set.
Alle 2 di notte le porte del parco chiuderanno, ma le iniziative proseguiranno in orario notturno per chi ha prenotato, sia venerdì che sabato, con la possibilità di assistere alla visione di pellicole cinematografiche fino alle 4.
La mattinata di sabato 14 ottobre si aprirà con i concerti all’alba, jam session, lezioni di yoga, e poi dibattiti, visite guidate al parco che nel pomeriggio si potrà percorrere anche con il trenino. Non mancheranno animazione per bambini ed esibizioni di writer.
Anche lo sport sarà un’ingrediente importante della manifestazione: ci si potrà cimentare nel tiro con l’arco, navigare in canoa e partecipare ad attività con la collaborazione della società di atletica e di rugby.
Ci sarà la possibilità di fermarsi a pranzo e cena grazie alla presenza dei truck food con prelibati piatti da assaporare in compagnia. E poi degustazioni di prodotti locali, naturali e biologici.
All’ingresso al Parco della Pace durante i tre giorni, a partire dalle 18, sarà richiesto 1 euro a copertura delle spese. Sarà a disposizione un parcheggio e anche in questo caso verrà richiesto un piccolo contributo, sempre per sostenere le spese di organizzazione. L’intenzione è comunque quella di incentivare l’arrivo al parco a piedi o in bicicletta o con l’autobus (è disponibile la corsa numero 9, orari al link https://www.svt.vi.it/sites/default/files/2023-09/invernale-2023-2024-9.pdf).
I tre giorni di festival vedranno il coinvolgimento di oltre 100 volontari. Decine di associazioni, cooperative e gruppi sono coinvolti per la buona riuscita dell’iniziativa tra cui Cinema Odeon che cura il CineClub, Casa di cultura popolare Vicenza, Coldiretti Vicenza, Cooperativa insieme, Legambiente Vicenza, Lipu Vicenza, WWF Vicenza, Working Title Film Festival- Festival del Cinema del Lavoro , Non dalla guerra e numerose società sportive e realtà commerciali del territorio tra cui Birrone – Birrificio Artigianale Agricolo Vicenza, Blunt Skateshop, Zebra – Multimedia Immersive Solutions, Develon.
Le attività a numero chiuso richiedono la prenotazione (gestita dal Gruppo Develon) che sarà attivata sul sito del Festival http://www.hangarpalooza.it/ dove verrà messo a disposizione il programma completo.
Nei prossimi giorni saranno svelati i nomi dei musicisti che si esibiranno.
Storie Vicentine ci racconta un conte illustre dell’Ottocento: Giovanni Da Schio. Nella foto di apertura: Giovanni da Schio, nato a Vicenza nel 1798 dal conte Lodovico e da Maria Anguissola e morto a Schio nel 1868, fu il rampollo di una famiglia vicentina di antica nobiltà e una figura poliedrica di erudito. In gioventù, dopo aver interrotto gli studi, viaggiò in Italia, Francia e Germania: “scopo di questi suoi viaggi, condotti con l’intendimento di perfezionare la sua educazione, fu la conoscenza dei diversi costumi dei popoli, lo studio degli antichi monumenti e la brama soprattutto di trarre dagli archivi e dalle biblioteche nostrali e straniere quanto potesse concernere la storia di Vicenza”, così lo ritrae Bernardo
Morsolin nella sua necrologia.
Il conte Giovanni Da Schio si dedicò a interessi eterogenei: dalla pedagogia all’archeologia, alla letteratura. L’illustre vicentino fu autore di saggi, di poesie, di novelle, di sermoni e di zibaldoni di viaggio, di scritti di archeologia. Pubblicò numerose opere, la più famosa e importante delle quali è le “Persone Memorabili di Vicenza”, ventidue volumi, che qualcuno definì una vera “enciclopedia vicentina”. Il Morsolin gli attribuisce una “Cronaca di Vicenza dal 900 al 1860”, in sei volumi, corredata di tavole genealogiche, di stemmi, di ritratti, di vedute e di rare notizie intorno ai principî e alle origini”. Ma in maniera particolare egli era appassionato di archeologia, di storia del territorio vicentino, del dialetto e dei costumi vicentini. Non ometteva di pubblicare ciò che giovasse alla storia o alle belle arti in generale in modo particolare se riguardava Vicenza “anche se non ci entrasse che di straforo”, come afferma il figlio Almerico in un ricordo postumo.
Nel 1836 il conte Giovanni si accasò sposando Maria Calvi dalla quale ebbe due figli: Almerigo e Alvise. Si stabilì in territorio vicentino dove, oltre al palazzo in città, chiamato per il suo stile architettonico Ca’ d’Oro, visse nei possedimenti di famiglia tra Schio e Costozza. Nel paese di Costozza “lo Schio godeva tranquilla dimora e frequenti compiacenze”, possedeva le tre splendide ville adagiate a livelli diversi sulle propaggini del monte e comunicanti direttamente con le vicine grotte. Una di queste dimore, il villino che era appartenuto in origine ai conti Garzadori, in parte scavato nella viva roccia, aveva ospitato nel 1600 lo studio di Orazio Marinali, uno degli scultori più celebri del nostro territorio; la sua bottega fu tra le più importanti del secolo.
A Costozza l’attività lapidea rimase molto attiva per tutto l’Ottocento; in paese venivano trasportati i massi provenienti anche dalle cave dislocate nella parte più alta dei colli, fino a Villabalzana, e confluivano nella piazza di Costozza su carri trainati dai buoi con le ruote legate da catene, per percorrere la pericolosissima discesa della Brutta Riva di Lumignano. Il conte Giovanni ebbe senz’altro stretti contatti con le botteghe degli scalpellini e poté ammirare il frutto del loro lavoro manuale. Allo stesso tempo, con la passione dell’archeologo, dedicava il suo interesse alle pietre dell’antichità, a quelle lapidi incise nella notte dei tempi, alcune in lingua paleoveneta, che vennero reperite proprio a Costozza e nei dintorni. Si dedicò allo studio di quei reperti di straordinaria importanza, che rappresentavano, come affermava egli stesso, ciò che è conservato “a dispetto del tempo e dell’ignoranza, che molto distrusse e seppellì, seppellisce e distrugge”. Nel 1825 il da Schio comperò dalla famiglia Leoni di Padova l’Eremo di San Cassiano a Lumignano, altro sito nei Colli Berici impregnato di memorie storiche, la cui antichità era testimoniata dalla presenza di tombe e iscrizioni rupestri che il da Schio ascriveva alla civiltà etrusca. Nel corso dell’Ottocento fu vivo l’interesse degli eruditi per le lapidi antiche. Parecchi studiosi vicentini si erano cimentati prima di allora nello studio e nella catalogazione dei reperti lapidei (tra i quali il Castellini, il Marzari, il Barbarano). Anche Gaetano Maccà nella sua monumentale Storia del territorio vicentino in 14 tomi, riportò la trascrizione di numerose reliquie lapidee, connesse per lo più con i luoghi di culto, ed inoltre pubblicò nel 1811 una “Raccolta delle iscrizioni Sacre gentilesche della città e del Territorio di Vicenza spiegate e con note illustrate”. Altro valente collezionista di testimonianze epigrafiche lapidee e studioso della storia di Vicenza fu il conte Arnaldo Arnaldi Tornieri, letterato e poeta vicentino vissuto nel secondo Settecento. Secondo l’opinione del da Schio, che era tenuta in grande considerazione, il Tornieri sarebbe stato l’autore della “migliore opera di tutti i suoi predecessori concittadini in cotal genere di studi”.
Egli ebbe il merito di aver raccolto un buon numero di lapidi della città e del territorio di Vicenza, formando un lapidarium che fu un importante punto di riferimento per gli storici; compose un trattato corredato da fac-simili e disegni che dovevano confluire in un’opera sull’argomento, rimasta tuttavia incompiuta a causa della sopravvenuta sua cecità. “Il manoscritto autografo portante il titolo: Raccolta di lapidi antiche possedute e spiegate dal Co. Arnaldo I Tornieri negli anni 1796-97-98 pervenne in eredità al nobile Co. Marco Orgian, nella cui casa furono innalzate le lapidi” e successivamente passò nelle raccolte della Biblioteca Bertoliana. Il da Schio, che godeva di ottima reputazione negli ambienti culturali, ebbe modo di confrontarsi con altri eruditi del suo tempo dediti allo studio delle lapidi antiche. In particolare con il professore prussiano Theodor Mommsen, celebre autorità in materia, che stimò opportuno venire ben due volte a Vicenza da Berlino per esaminare le iscrizioni vicentine e consultare i manoscritti in Bertoliana. “Dopo le romane, rarissime sono in Vicenza e nella provincia le iscrizioni conservate sulle lapidi o per iscritto, che contino un’epoca anteriore al secolo XIII” così si esprimeva al riguardo l’Accademia Olimpica nei suoi Atti nel 1872. All’inizio dell’Ottocento le soppressioni napoleoniche coinvolsero tante chiese e monasteri, parecchi dei quali furono poi distrutti o convertiti a uso diverso, e così ebbe luogo la conseguente dispersione di tante lapidi, lastre tombali o monumenti che sarebbero risultati preziosi per la storia. Il conte Giovanni nella prima metà dell’Ottocento andò raccogliendo, studiando e catalogando una parte del patrimonio lapideo che era stato rinvenuto in Vicenza e nel suo circondario e che egli intendeva salvare dall’incuria e dalla dispersione. Mise insieme una collezione archeologica ed epigrafica comprendente, tra l’altro, anfore vinarie e olearie, epigrafi, pietre miliari ed un sarcofago. Questo straordinario esempio di Lapidarium, venne collocato nell’atrio e nel cortile del Palazzo di famiglia in Vicenza. Altre lapidi da lui raccolte furono sistemate nella vicina chiesa di Santa Corona. Nel 1850 il conte dette alle stampe il frutto del suo lavoro: una pubblicazione intitolata Le antiche iscrizioni che furono trovate in Vicenza e che vi sono illustrate per opera di Giovanni da Schio corredato da erudite disquisizione e da disegni particolareggiati. In tale opera, che gli procurò le lodi di insigni archeologi, trascrisse e commentò alcune iscrizioni paleovenete, oltre che latine e cristiane. Il trattato prendeva in esame 93 monumenti, corredati da 21 litografie. Di particolare importanza sono le rare scritte in paleoveneto, che il da Schio definiva “le iscrizioni etrusche fino ad ora comparse in quel lato di territorio che chiamasi della Riviera” (ovvero quelle incise o reperite nell’area berica: negli scogli di San Cassiano, a Lumignano, e presso le grotte di Costozza). Proprio in quegli anni era stato dato alle stampe un corposo trattato relativo all’area patavina ed euganea: “Le antiche lapidi patavine illustrate” di Giuseppe Furlanetto – Padova 1847, i cui rinvenimenti più arcaici denotavano caratteristiche in comune con l’area berica. In tale opera viene menzionata, per la sua importanza, anche un’iscrizione rupestre presso il Covolo della Guerra a Costozza in questi termini: “iscrizione trovata nel 1837 all’ingresso di una cava dei Monti Berici a Costozza, a sinistra di chi entra, incisa nel vivo sasso, che poi segata fu trasferita in Vicenza presso il sig. co. Gio. da Schio proprietario di quella cava”. In effetti il conte aveva fatto segare il masso recante quell’antichissima iscrizione per trasportarlo in città ed esporlo nel suo lapidarium. Al giorno d’oggi quell’atto di snaturamento ambientale può sembrare brutale, ma fu provvidenziale per la salvaguardia del reperto, considerato il successivo e indiscriminato sfruttamento industriale delle cave e le vicissitudini che infierirono sulla grotta in epoca moderna, specialmente durante la seconda guerra mondiale, con lo smantellamento del suo contesto originario.
Questa scritta paleoveneta, un tempo posta a suggellare l’ingresso della più grande grotta di Costozza, è certamente uno degli esemplari più importanti del lapidarium e comprova che l’utilizzo del Covoli risale alla notte dei tempi, con la sicura frequentazione del luogo già in epoca pre-romana. Il conte Giovanni, proprietario della grotta, così la descrive: “Dietro la chiesa di Costozza havvi il tra noi celebre Covalo detto della Guerra, che si interna cinquecento metri entro la collina. Questo ha due bocche di fronte che convergono in un solo speco. Sulla bocca sinistra a chi guarda, e sull’imposta pure sinistra di chi entra, fu trovata la presente iscrizione la quale, segata fuori dallo scoglio, è nelle porte di Casa Schio in Vicenza”. Quindi cercò di interpretare il significato della scritta azzardando ipotesi piuttosto fantasiose, peraltro ammettendo il largo margine di dubbio nel dichiarare: “io non dirò cosa sicura”. L’iscrizione, a suo parere, poteva leggersi “HAPRETUSO” ovvero, con inversione di lettura, “OS APRETU” ossia “OS APERTUM”. Il conte afferma: “mi aiutava in ciò una tradizione popolare che sostiene il Covalo su cui essa leggevasi avere un dì trapassato la collina fuori fuori”. Come a dire che il monte fosse aperto in quel foro e trapassato dalle gallerie che da esso si dipartivano, proseguendo la traiettoria nel ventre dei Colli che contornano il bacino lacustre di Fimon, fino a sbucare nel versante dei Berici a ovest, nel territorio di Brendola. Altra ipotesi formulata dal conte era che nella lingua etrusca il frumento fosse chiamato “Pure” e che l’incisione fosse da intendere “HA PURE TUSO”, ovvero che indicasse che lì si custodivano le granaglie (traendo Costozza il proprio nome da “custodiae”). Egli ammette peraltro che le sue supposizioni sono senza riferimenti certi e, pertanto, non definitive, concludendo: “io abbandono alle indagini future”. Sempre nello stesso volume, per quanto riguarda la città di Vicenza il da Schio ipotizzava che traesse origini dagli etruschi, a loro volta cacciati dai Galli, e che il suo nome derivasse da “Vico”, con il significato di piccolo paese, o da “Vica” dea della Vittoria”. A distanza di oltre centosettanta anni dalla pubblicazione del libro del conte da Schio il mistero dell’iscrizione di Costozza resta irrisolto. Di certo la scritta va letta da destra verso sinistra. Qualche studioso dei giorni nostri ritiene che non tutti i caratteri siano etruschi, ma potrebbe trattarsi di alfabeto retico. La scritta potrebbe essere stata riportata in maniera inesatta nel volume. Assumendo che la lettera poco leggibile sia una A, qualcuno si sbilancia ad azzardare VAPREVUMTH, oppure in venetico VOPRE- TUMO. Ma potrebbe trattarsi anche non di un’unica parola, bensì di un nome abbreviato come si usava in un’epigrafe. Nel suo libro il da Schio pubblica una pianta del celebre Covolo della Guerra, ma l’area che illustra è solo parziale perché, se confrontata con una mappa redatta nel 1759 per il conte Ottavio Trento, che ne fu il precedente proprietario, si evince chiaramente che le gallerie proseguivano dopo un largo bacino d’acqua, che veniva chiamato “lago” o “stagno”.
In effetti, dopo essere stata sfruttata in epoca romana e nei secoli successivi con la continua estrazione della pietra tenera, la grotta si era progressivamente ampliata fino a diventare un labirinto talmente esteso di gallerie, anche su più livelli, da reputarsi fra i più grandiosi in Italia. Parecchi scrittori antichi hanno scritto sul Covolo di Costozza, facendo le ipotesi più variegate sulla sua grandezza (da Marzari a Giangiorgio Trissino, allo Scamozzi e altri) ipotizzando taluni una lunghezza di parecchie miglia, arrivando ad attraversare i Colli Berici fino a Brendola (notizia riportata dallo Scamozzi) come voleva una tradizione popolare. La convinzione che il Covolo si estendesse fino a Brendola, come tramandava un’antica tradizione, era radicata nei Conti da Schio al punto che Almerico, figlio di Giovanni, volle provare a verificarne di persona il percorso. Egli riteneva, come diceva la credenza popolare, che la galleria sbucasse in una grotta comunicante con la cantina di Villa de Cita- Valmarana a San Vito di Brendola (Villa conosciuta anche col nome di Corte Grande Benedettina, in quanto già monastero e antica possessione dei Benedettini di San Felice a Vicenza). Cosicché, proprio da lì, tentò di imboccare il percorso inverso che doveva attraversare le viscere dei colli fino a Costozza. Lo storico Morsolin riporta la singolare impresa nelle sue memorie storiche del 1879: “Antica è senza dubbio la Corte, un tempo de’ Cita, situata a mattina della chiesa di Brendola e propriamente a’ piè del colle di San Vito, e vuolsi ammirare più per l’ampiezza dell’edifizio, che per l’ordine e l’euritmia delle forme. In un sotterraneo, o cantina, si inoltra una grotta, tuttora inesplorata, cui la tradizione vuole in comunicazione col Covolo di Costozza. Corre nel popolo la fama che una scroffa, smarritosi in questo, mettesse capo, dopo qualche tempo, all’imboccatura della grotta. Esplorata nel 1878 da una mano di valorosi alpinisti vicentini, guidati dal Conte Almerico da Schio, non lasciò, umida, scoscesa e angusta, qual è, a breve tratto dall’ingresso, che si potesse argomentare quanto v’abbia di vero in quell’antica tradizione”. In aggiunta alle “Iscrizioni antiche” Giovanni da Schio aveva in animo di pubblicare un libro intitolato “Dei monumenti anepigrafici” i quali, come si esprime il nobile autore non sono nè pochi nè di lieve importanza”; parecchie altre opere rimasero inedite. Giovanni da Schio fu veramente un benemerito cultore delle antichità patrie e cittadine. “Intese sempre a salvare dalla distruzione e dalla dimenticanza ciò che fa onore a Vicen- za”. Oltre che genealogista, fu archeologo, letterato e collezionista (non solo per la raccolta epigrafica museale ma anche per quella di stampe antiche che possedeva). Il Conte Giovanni è una figura di erudito di vecchio stampo, a tutto tondo, i cui suoi numerosi scritti, in parte anche inediti, meriterebbero maggiore approfondimento e divulgazione. Il palazzo da Schio in Corso Palladio fu purtroppo ridotto parzialmente in macerie durante il bombardamento aereo del 1944; tuttavia, fortunatamente, la zona che ospita la preziosa raccolta rimase indenne. Nell’atrio d’ingresso della splendida Cà d’Oro, fedelmente ricostruita nel dopoguerra, sono tuttora presenti i reperti di vario genere raccolti dal conte Giovanni durante la prima metà del XIX secolo. Sono una parte preziosa del patrimonio culturale della città di Vicenza che possiamo tuttora ammirare; reliquie che affondano le loro radici nei millenni passati. A fare bella mostra di sé, imponente per la sua mole massiccia e oscura, è l’iscrizione un tempo incisa all’entrata del Covolo di Costozza, con quella scritta che conserva intatto il suo mistero, come pure resta sepolta nella notte dei tempi gran parte della storia della grotta e la sua planimetria, che forse solo una scrofa aveva conosciuto.
Di Luciano Cestonaro da Storie Vicentine n. 12- 2023.
I Wit Matrix, con il loro spettacolare tributo ai Pink Floyd, curato in ogni dettaglio, dalle musiche alle scenografie, agli effetti laser, saliranno sul palco del Teatro Comunale di Vicenza sabato 30 settembre alle 20.45 dopo il successo al Teatro Romano di Verona dello scorso 26 agosto.
Ad impreziosire la serata ci sarà un’ospite d’eccezione: Machan Taylor direttamente da New York, la coristadeiPink Floydnel tour mondiale di “A Momentary Lapse Of Reason” (1987-1988), una delle voci soliste in The Great Gig in The Sky. Machan Taylor ha presenziato ad oltre 120 concerti in tutto il mondo con i Pink Floyd. Un’artista di grande personalità che vanta ad oggi notevoli collaborazioni con cantanti del calibro di Foreigner, Sting, George Benson, Aretha Franklin e tanti altri, oltre ad un’ottima carriera solista.
Il concerto con finalità benefiche è organizzato dal Lions Club Vicenza La Rotonda con il supporto della Fondazione Lions Distretto 108 TA1 che da tre anni porta avanti con successo il progetto “Pennellate d’Autismo”, a sostegno dei bambini affetti da tale patologia e le loro famiglie.
L’intero incasso sarà devoluto a favore della Fondazione Cuore Blu di Verona che si occupa di bambini e ragazzi affetti da autismo. L’obiettivo è quello di raccogliere fondi da devolvere alle case di accoglienza dedicate a questi ragazzi a Verona, DomusAut, e a Vicenza, Ca’ Trentin.
La serata sarà presentata dalla nota modella, presentatrice e conduttrice televisiva Elisa d’Ospina che sarà affiancata da Stefano Andrea Macchi, attore e doppiatore.
«Prosegue il percorso promosso da Lions Club Vicenza La Rotonda a sostegno dei bambini e dei ragazzi affetti da autismo e delle loro famiglie che quotidianamente si trovano a dover affrontare e gestire una problematica che richiede particolare sensibilità e attenzione – dichiara l’assessore alle politiche sociali Matteo Tosetto -. Le immortali melodie dei Pink Floyd che si potranno ascoltare al Teatro Comunale andranno ad alimentare il progetto solidale avviato da “Pennellate d’autismo”. La somma raccolta con la vendita dei biglietti servirà per la realizzazione di due centri di accoglienza a Verona e Vicenza. Le due strutture avranno un centro di valutazione e formazione specializzata, un centro diurno e un luogo di accoglienza e sollievo per il fine settimana per i bimbi autistici e le loro famiglie. Ringrazio tutti coloro che si sono spesi per questo evento che aiuterà a raggiungere un risultato ambizioso».
Il concerto sarà un viaggio nel mondo dei Pink Floyd con le loro melodie senza tempo che hanno fatto da colonna sonora ad intere generazioni, interpretate dalla nota band veneta dei Wit Matrix formata da 10 elementi con un seguito di tecnici ed ingegneri professionisti tra i migliori in circolazione. I loro show di caratura internazionale, dispongono di allestimenti audio/luci imponenti. Oltre che dalla critica sono molto apprezzati dalle star internazionali e nazionali della musica.
Le loro innumerevoli collaborazioni sono riportate nel sito ufficiale www.witmatrix.com: nomi illustri da Cesareo degli Elio e Le Storie Tese, Dodi Battaglia dei Pooh a Jennifer Batten chitarrista di Michael Jackson alle Coriste Originali dei Pink Floyd e Harry Waters figlio di Roger Waters fondatore dei Pink Floyd, insomma una vera garanzia di qualità che li rendono unici nel panorama Italiano delle Tribute Band.
Ad aprire la serata sarà Corally (opening tour di Elisa) cantante emergente e successo consolidato sia in Italia che all’estero, insieme al talentuoso musicista Giovanni Signorato.
Nel foyer del Teatro Comunale saranno esposte alcune delle opere degli artisti acquerellisti che hanno partecipato al service internazionale “Pennellate d’Autismo” e in diretta durante il concerto, sarà eseguito un ritratto di Richard Wright da parte del Maestro Gianfranco Barco, project leader del progetto.
La quarta edizione della Biennale del Cortometraggio internazionale e video di Vicenza, che si terrà dal 2 al 7 ottobre,al Teatro Astraeancheal Palazzo del Monte di Pietà,è statapresentata all’Odeo del Teatro Olimpico dall’assessore alla cultura, al turismo e all’attrattività della città Ilaria Fantin e dal direttore artistico Luca Dal Molin.
Organizzata da Is Art e diretta da Luca Dal Molin, la mostra propone la conoscenza e la diffusione del cortometraggio internazionale attraverso la visione delle opere e con incontri e focus con registi italiani e stranieri.
«Siamo felici di ospitare nella nostra città la Biennale del Cortometraggio, un’occasione importante per far conoscere sempre di più questa forma espressiva – sottolinea l’assessore alla cultura, al turismo e all’attrattività della città Ilaria Fantin -. Vicenza si conferma una città dei festival con eccellenze in tanti campi della cultura: dalla musica al teatro fino all’illustrazione e al cinema. Giunta alla quarta edizione, la Biennale offreinoltre la possibilità di partecipare ad incontri con registi e attori e ad eventi sulla storia del cinema. Ringrazio quindi gli organizzatori e il direttore artistico per questa importante rassegna».
«In un territorio come quello di Vicenza – continua il direttore artistico Luca Dal Molin – che ha visto passare importanti registi e attori, come Ermanno Olmi, Virgilio Scapin , Vitaliano Trevisan, Matteo Garrone, Ettore Scola, oggi siamo qui per continuare a far scoprire il mondo del cortometraggio. Il paragone più diffuso prende le mosse dalla letteratura: il corto sta al racconto come il lungometraggio sta al romanzo; questa distinzione che definisce la sua misura ci dà conto, però, soltanto della sua accezione più logica di “forma breve” e poco ci dice sulla forma espressiva. La storia del cinema inizia con il cortometraggio. Se la durata delle prime pellicole è necessariamente determinata dai limiti tecnici dell’epoca, è però vero che posseggono le caratteristiche più peculiari del corto: la sperimentazione e la libertà. E allora, nella realtà contemporanea, il corto si configura come esperienza “espansa e illimitata”»
Programma
La Biennale verrà inaugurata il 2 ottobre alle 19 al Teatro Astra, dove si terranno le proiezioni, con una serie di cortometraggi e tanti ospiti, tra i quali il regista Sandro Baldoni e gli attori Flavio Bonacci e Donatella Finocchiaro.
Martedì 3 ottobre alle 9.30 ci sarà una master class per le scuole con l’attrice Donatella Finocchiaro condotta dalla giornalista Barbara Taricone di Sky Cinema. Seguirà la proiezione del film “Le sorelle Macaluso”. Dalle 18 alle 20 cortometraggi internazionali e italiani.
Mercoledì 4 ottobre ci sarà alle 9.30 una master class per le scuole con Mario Sesti, regista e scrittore, che presenterà il film “Altri padri”. Alle 18 spazio alla retrospettiva sul grande regista Jaques Tatì e ai suoi cortometraggi. Sempre alle 18, da “& Art Gallery” in contra’ Frasche del Gambero 17, si terrà l’incontro tra cinema e letteratura condotto e creato da Mario Sesti e Luca Dal Molin.
Giovedì 5 ottobre alle 17 al Teatro Astra focus sul paese straniero scelto per questa edizione, ovvero l’Albania: in scena 13 cortometraggi in collaborazione con il Tirana film office.
Venerdì 6 ottobre alle 17 ci sarà una sezione speciale di 12 cortometraggi prodotti da Rai Cinema – Rai Channel. Sabato 7 ottobre dalle 16 alle 18 cortometraggi internazionali e italiani.
Dal 2 al 7 ottobre, inoltre, a Palazzo del Monte di Pietà ci sarà una mostra dedicata all’artista Mircea Cantor con cinque video.
L’Hangar Palooza è stato presentato come il “Festival dei festival” e si terrà al Parco della Pace di Vicenza. L’area verde ospiterà il primo grande evento dopo anni di lavori e sarà aperto in via straordinaria ininterrottamente dalle 7 alle 4 del mattino, dal 13 al 15 ottobre 2023.
L’Hangar Palooza è organizzato dal Comune di Vicenza e dal Coordinamento Festival di Vicenza che riunisce le sei feste rock della città. Sarà possibile trovare nello stesso luogo musica e dibattiti, per un totale di 55 ore di intrattenimento. Di queste saranno 30 ore di musica, 5 dibattiti e conferenze, con l’aggiunta di 24 ore di mercati alimentari e artigianali.
Tra le iniziative del festival ci sono: musica live, dj set, dibattiti, cineforum, workshop, jam session, concerti all’alba, spettacoli busker, writer, mercatino artigianale e biologico. Il tutto si svolgerà nei due hangar, mentre nell’area esterna verrà allestito un grande palco coperto per non dover interrompere in caso di pioggia. Durante il Festival, ci saranno anche opportunità per praticare sport come il tiro con l’arco, la canoa e partecipare ad attività organizzate in collaborazione con la società atletica e di rugby.
Gli interventi degli assessori
I primi a scoprire il Festival saranno i bambini. Di fatto, sono state invitate tutte le quarte e quinte delle scuole primarie della città. L’assessore all’istruzione Giovanni Selmo spiega: “È importante che il Festival inizi coi bambini, perché saranno coloro che vivranno il parco e lo vedranno crescere nel tempo, accompagnando lo sviluppo dei suoi alberi e della sua biodiversità”. Aggiunge inoltre: “L’obiettivo, poi, è che questi ambasciatori possano raccontare e riaccompagnare al parco genitori e amici durante il Festival: consegneremo, infatti, a ciascuno di loro un buono per una corsa nel trenino che percorrerà una parte del parco”. Gli alunni avranno la possibilità di entrare la mattina, nonostante l’inaugurazione sia fissata alle 17 con l’apertura ufficiale alle 18 con dj set. Inoltre parteciperanno ad attività di animazione e assisteranno alle proiezioni del CineClub a cura del Cinema Odeon.
Leonardo Nicolai, assessore alle politiche giovanili, sottolinea: “Con Hangar Palooza l’ambizione è di far sognare un futuro diverso alla città, sia per il Parco della Pace, per cui i modi di scoprirlo saranno tantissimi e variegati, sia per i festival estivi, che oggi si arricchiscono di una nuova offerta che speriamo diventi un riferimento anche oltre i confini della nostra provincia”.
Quota d’ingresso e parcheggio
Per accedere al Festival si dovrà versare 1 euro a copertura delle spese, oltre al parcheggio se si arriva in macchina. Una prima stima è di 300 posti auto, ma si vuole incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici e delle biciclette, fornendo ad esse un parcheggio gratuito. Alle 2 di notte i cancelli verranno chiusi, ma su prenotazione si potrà assistere alla proiezione di pellicole cinematografiche fino alle 4. Per partecipare alle attività con numero chiuso si potrà prenotare sul sito del Festival dove verrà messo a disposizione il programma completo.
Gli Sponsor
I tre giorni di festival vedranno il coinvolgimento di oltre 100 volontari. Decine di associazioni, cooperative e gruppi sono coinvolti per la buona riuscita dell’iniziativa tra cui Cinema Odeon che cura il CineClub, Casa di cultura popolare Vicenza, Coldiretti Vicenza, Cooperativa insieme, Legambiente Vicenza, Lipu Vicenza, WWF Vicenza, Working Title Film Festival- Festival del Cinema del Lavoro, Non dalla guerra e numerose società sportive e realtà commerciali del territorio tra cui Birrone – Birrificio Artigianale Agricolo Vicenza, Blunt Skateshop, Zebra – Multimedia Immersive Solutions, Develon.
Presso il Santuario di Monte Berico si trova il Museo d’arte sacra, che ha aperto da quest’anno l’ingresso ai visitatori. Ecco la sua storia raccontata da Storie Vicentine.
Fondato negli anni Novanta del secolo scorso e riallestito integralmente nell’ultimo triennio, il Museo d’arte sacra di Monte Berico ha aperto da gennaio le sue porte ai visitatori con un’apertura settimanale fissa. Diretto da padre Roberto Maria Cocco, frate Servo di Maria, con la curatela scientifica di Agata Keran, storica dell’arte ed esperta del patrimonio culturale dello stesso ordine religioso, lo spazio museale può essere visitato ogni sabato dalle ore 10 alle 18 (l’ultimo ingresso alle 17.30), con un accompagnamento degli “Amici del Museo di Monte Berico”, un gruppo di mediatori volontari a disposizione dei visitatori per offrire una panoramica su varie raccolte d’arte e di oggetti devozionali confluiti nei secoli a Monte Berico, provenienti in parte anche da altre comunità legate all’Ordine dei Servi di Maria, in particolare da Venezia e Verona.
La sede museale è situata nella parte antica del convento, sopra la sala del Quadro in cui si conserva la celebre Cena di san Gregorio Magno, restaurata lo scorso anno. Suddiviso in sei sezioni tematiche (la storia del santuario, il corredo liturgico, il culto dell’Addolorata, gli ex voto e altre donazioni, l’iconografia dell’Ordine dei Servi di Maria, il corpus di icone postbizantine), il percorso espositivo valorizza migliaia di testimonianze non solo della pietà popolare vicentina, ma anche dei territori veneti e lombardi, dal Trecento ai giorni nostri.
Tra più di 300 cimeli esposti nel suggestivo spazio museale, spicca in particolare una magnifica Pietà su tavola lignea attribuita all’iconografo cretese Andreas Pavias, datata tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, frutto di una raffinata commistione tra stilemi tardo-bizantini e un’iconografia di matrice occidentale. Particolarmente incisivo è anche un corpus di opere pittoriche e scultoree dell’ambito veneziano, databili tra il XV e il XVIII secolo, provenienti dal monastero di Carpenedo. Di interesse fondamentale per la storia del Santuario è il deposito storico di ex voto, circa 130, prodotti continuamente nel corso dei sei secoli della devozione mariana a Monte Berico. Esempio di rara bellezza è il ritratto votivo del nobile Francesco Tiepolo, capitanio di Vicenza, realizzato attorno al 1597-1599 e attribuito agli “Haeredes Pauli Caliari Veronensis” (foto in apertura). Il dipinto rappresenta il gesto simbolico della devozione di un uomo di governo alla Madonna, con sullo sfondo uno scorcio della città berica immersa nella cornice dei colli.
Sabato 30 settembre, dalle 9 alle 12.30, ai Chiostri di Santa Corona, all’interno del Museo naturalistico archeologico di Vicenza, è in programma il convegno “Verso un ecomuseo per i Colli Berici”.
L’iniziativa è promossa da Equistiamo e Vaghe Stelle, con il patrocinio del Comune di Vicenza e la collaborazione del Museo naturalistico archeologico.
Sarà un’occasione di confronto tra esperti sulle potenzialità di un approccio ecomuseale allo studio e alla promozione del territorio anche grazie alla presentazione diesperienze virtuose, come quelle del Trentino e del museo digitale Dolom.it.
«Il Museo naturalistico archeologico di Vicenza – dichiara l’assessore alla cultura, al turismo e alla attrattività della città Ilaria Fantin – svolge un importante lavoro di ricerca, conservazione e valorizzazione del territorio. In particolare, il settore naturalistico e preistorico ha come focus i Colli Berici. È dunque con grande piacere che abbiamo scelto di collaborare nell’organizzazione di questo convegno, perché, come ci dice l’ICOM (International Council of Museums), i musei non competono, fanno rete».
La prospettiva è infatti quella di riuscire a fare rete e sinergia tra gli enti locali, i gruppi e le associazioni, per coordinare e rilanciare percorsi, attività didattiche e di ricerca che si avvalgano del coinvolgimento delle comunità locali, rendendole protagoniste nel processo di riscoperta, attribuzione di significati, valorizzazione e promozione del patrimonio materiale e immateriale dei Colli Berici.
Interverranno Mauro Varotto (Geografo, DiSSGeA – Università di Padova), Adriana Stefani (Rete Ecomusei del Trentino), Giuseppe Gorfer (Ecomuseo Argentario), Carmela Bresciani (Ecomuseo della Judicaria) e Giacomo Pompanin (Museo digitale Dolom.it).
Il convegno conclude il festival Terre emerse, che dal 7 al 10 settembre ha visto persone con sensibilità e competenze differenti attraversare per quattro giorni i Colli Berici in un percorso di esplorazione territoriale con tantissimi appuntamenti culturali, artistici, performativi e conviviali.
Per proseguire il racconto e il processo legato alle progettualità di Terre Emerse nel corso del convegno è prevista la presentazione di un video a cura di Walter Ronzani e un blog che verrà ospitato sul giornale online VEZ – Veneto Ecologia Z Generation.
L’ingresso è libero fino ad esaurimento dei posti.
Una storia complessa è quella del desiderio di nobiltà della famiglia Montanari, divenuta poi Leoni Montanari, raccontata da Storie Vicentine. La famiglia Montanari ricercò la nobiltà senza mai ottenerla.
Antonio di Giampietro era originario di Villabalzana sui monti (colli) Berici. Per esercitare il suo mestiere di lanaiolo, scese in città e trovò casa in Contrà della Pozza. Il 31 maggio 1566, sposò Filomena Sacromoro da cui ebbe quattro figli: Bortolo, Bernardino, Ascanio e Ottavia. Bortolo, morì presto, Bernardino e Ascanio lavorando sodo, aumentano considerevolmente il capitale di famiglia tanto da affermarsi in città come ricchi mercanti. Ottavia, andò sposa ad Ottavio Cingano ed in seconde nozze a Selaro Giandomenico. Morto Antonio Montanari il capostipite, la moglie Filomena, il 1° settembre 1575, si risposò ricevendo la dote di 250 ducati delle prime nozze, ma senza restituire quanto da lei preso anticipatamente.
I figli di primo letto Bernardino e Ascanio Montanari, promossero causa alla madre perchè “non aveva rispettato la volontà di Antonio loro padre, limitando i diritti dei figli”. Il 27 settembre 1592, la vicenda delle successioni si conclude a favore dei figli. Il 23 maggio 1596, Bernardino Montanari sposò Franceschina Zambianchi che portò una dote di 600 ducati. In quel momento lo stato economico dei Montanari non era molto florido, tanto che il 29 gennaio 1618, Bernardino fa domanda di esonero dalle tasse, perchè aveva numerosa famiglia, tra maschi e femmine erano ben 12 i figli, 2 maschi: Antonio e Fran- cesco; le femmine: Anna, Lavinia, Franceschina, Raimonda, Lucilla, Lavinia seconda, Regina, Ottavia, Angela. In quei tempi, per salvaguardare l’unità del patrimonio di famiglia, era consuetudine, destinare le figlie al convento, così che alcune delle sorelle Montanari presero i voti, nei numerosi conventi cittadini di San Francesco e San Domenico, così che il 19 novembre 1619, con una dote variabile tra 600 e 1200 ducati, le figlie di Bernardino Montanari, entrarono in convento. La famiglia Montanari, con abilità, aveva allargato i rapporti commerciali con i mercanti di Venezia, Udine, Verona, è accertato inoltre che nel 1638, Bernardino sottoscrisse un contratto con tal Cesare Vianesi per “vendere drapi da seda al minuto” in quel di Verona, versando un capitale di 4000 ducati. Nel frattempo, per ingrandire con filatoi la sua industria della lana, acquistava dai vicini, del quartiere di Santa Corona, dove nel 1264 si erano installati i Frati predicatori, numerose abitazioni, in Via Apolloni da Valerio Garzadori due case unite per 1750 ducati.
Così si andava formando il primo insediamento dei Montanari in Centro Storico, in una zona disastrata per un forte dislivello stradale che portava ad un ristagno delle acque (Pozza) con grave disagio delle popolazioni. Il Comune con delibera 11 dicembre 1539, stanziava una notevole somma per “alzare la strada di Santa Corona”. Altre case furono acquistate dai Trissino; Giulio Colzè; Battista Nievo; Groppino e altri. I due figli di Bernardino, si sposarono rispettivamente, Antonio il 13 giugno 1625 con Maddalena Bolis; Francesco, sposava il 6 febbraio 1632 la contessa Elena Arrigoni e in seconde nozze il 17 marzo 1642 Maria Dell’ Oglio di Venezia che portò una dote di 4000 ducati. Le altre femmine Montanari, sposarono rispettivamente: Anna, il 9 dicembre 1616 sposò Giorgio Sala, ebbe otto figli. Lucilla, sposa il 30 maggio 1630 Valentino Guazzo ebbe sei figli.
Lavinia, sposa il 18 febbraio 1645 Francesco Muzio. Bernardina, nata il 14 novembre 1611 era andata sposa a Nicolò Leoni il 2 marzo 1631, ebbe 8 figli tra cui Giovanni che sarà l’iniziatore della discendenza Leoni Montanari. Bernardino Montanari il 28 ottobre 1651 stende testamento, senza eredi diretti, così lascio tutto il suo patrimonio alla figlia Bernardina sposata Leoni e Lavinia maritata Muzio con tutti i nipoti tra cui Giovanni Leoni che era stato prescelto dal nonno Bernardino per continuare il lavoro. Bernardino Montanari, morì il 25 ottobre 1654 e Giovanni Leoni restò l’unico erede delle proprietà, come primo atto aggiunse al suo il cognome della madre come fecero tutti gli eredi che divennero Leoni Montanari, ma senza mai ottenere la nobiltà.
Di Luciano Parolin in Storie Vicentine n.12- 2023
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«Giopi, questo canto è per te!». Note e cuore hanno avvolto in un unico grande abbraccio Arzignano nel vicentino, sabato pomeriggio, per «Cento voci per Giopi», un breve e intenso evento musicale nel giorno in cui avrebbe compiuto 26 anni Giovanni de Marzi, giovane musicista vittima della strada lo scorso aprile mentre tornava a casa dopo l’incontro in parrocchia per organizzare il campeggio estivo per i ragazzi.
In una piazza della Libertà piena di oltre 600 persone arrivate da più zone del Veneto e oltre, a cui se ne sono unite idealmente altre da luoghi lontani, allo scoccare dei cinque rintocchi del campanile comunale il coro di 200 voci, maglietta bianca e spilletta dell’evento sul petto, ha cantato «La calma dopo il temporale», composto proprio da Giovanni, Giopi per gli amici. A guidarlo la voce solista di Luigi, suo fratello, con l’accompagnamento al pianoforte di Giulio Roverso, che con Giovanni ha condiviso l’esperienza musicale dei ToniToni. Un canto quasi a mezza voce che è esploso nel ritornello intonato da tutti i presenti, tra cui la sindaca Alessia Bevilacqua e Bepi De Marzi, il prozio musicista di Giopi, autore di «Signore delle cime».
Un delicato sostare della durata di una canzone a cui ha partecipato un’intera comunità, che in questi 5 mesi dalla morte di Giovanni non ha smesso di fare sentire ai genitori Giovanna e Luca e al fratello Luigi con la propria costante vicinanza sincera e affettuosa. E che, terminata l’esecuzione musicale, ringraziava familiari e amici anche per l’occasione «di stare insieme in modo diverso e all’insegna del bene». «Si sente, quasi si tocca il bene per Giovanni. Si capisce che lui sapeva voler bene», il commento ricorrente tra la gente presente in piazza. «Avete organizzato qualcosa di veramente bello come era lui», sottolinea la sindaca agli organizzatori. Cento voci unite dal bene ricevuto.
L’idea dell’evento è nata dal desiderio di amici e familiari di Giovanni «di stare insieme a Giopi nel giorno in cui avrebbe compiuto 26 anni cantando questa sua canzone», ha spiegato Alessandro Parlato, un suo coetaneo, introducendo il canto mentre il coro si disponeva in semicerchio sulla piazza. «Abbiamo pensato di farlo in tanti, perché in tanti gli vogliamo bene e perché lui era amico di tutti. Perciò abbiamo promosso un coro spontaneo, così che il nostro sentimento possa essere espresso nel modo più schietto e vero». Cento voci, che in soli 2 giorni dal lancio dell’iniziativa sono raddoppiate a oltre 200, tanto da costringere a chiudere le adesioni, chiedendo comunque di essere presenti anche se non tra il coro «ufficiale».
Una piazza di voci e cuori, che hanno sfidato la minaccia di maltempo, che stava portando alla decisione di non installare l’impianto audio. Uno sprazzo di sole tra i nuvoli grigi, invece, ha illuminato Arzignano fino al termine di «Cento voci», quando sullo sfondo di un cielo azzurro, poi giallo e infine viola è spuntato l’arcobaleno sopra Castello. «Giopi è il nostro fuoco che brucia anche col temporale», spiegano i suoi compagni di animazione giovanile e di campeggio parrocchiale. «E’ il morbido abbraccio di un vecchio maglione, Giopi è il sorriso dietro la malga e la chiacchiera che scalda più del falò, Giopi è la colonna sonora del campeggio, Giopi è musica e 100 voci in una sola». Interminabile il lungo e composto applauso che alla fine del canto ha sciolto l’emozione di tutti. Molti i volti rigati dalle lacrime. Tanti gli sguardi al cielo, quasi un saluto a loro Giopi. Ognuno con un ricordo personale, con un grazie. Commovente l’intenso abbraccio, mani che stringono cuori, a mamma Giovanna e papà Luca di altri genitori a cui la morte ha tolto un figlio o una figlia prima di loro. «Persone speciali che si sono fatte subito sorelle e fratelli nostri», sottolinea Luca. «Abbiamo cantato le note di Giovanni anche per i loro figli».
Il sindaco Giacomo Possamai ha inaugurato ieri sera il 76° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza, dal titolo “Stella Meravigliosa”, i cui spettacoli vanno in scena fino al 21 ottobre 2023.
Queste le parole del primo cittadino:
«È un onore per me aprire la stagione degli Spettacoli classici al Teatro Olimpico di Vicenza. Ringrazio tutti coloro i quali si sono impegnati per questa rassegna, che rappresenta uno dei momenti più alti della vita e della cultura della nostra città. In questo mese l’Olimpico, ma anche l’Odeo e il giardino del Teatro e la Basilica palladiana, ospiteranno incontri, convegni, tavole rotonde e approfondimenti sui temi suggeriti dagli spettacoli in scena. Per questo voglio ringraziare il direttore artistico Giancarlo Marinelli e quanti hanno reso possibile il progetto. In particolare, il tavolo olimpico formato da assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Accademia Olimpica, Biblioteca Civica Bertoliana. Ringrazio inoltre l’ex sindaco Francesco Rucco e l’ex assessore alla cultura Simona Siotto, che nello scorso mandato hanno promosso le rassegne dei Classici, compresa quella che quest’anno ereditiamo. Il riscontro da parte del pubblico ci sta già dicendo che la città sta dedicando grande attenzione a questo appuntamento. E non potrebbe essere altrimenti, perché l’Olimpico rappresenta il luogo delle rassegne d’eccellenza. È una culla di arte, musica e teatro e soprattutto un orgoglio internazionale per la nostra città. Può succedere di darlo per scontato, ma ogni volta che accompagniamo qualcuno che non è mai stato in questo luogo e lo vediamo a bocca aperta, ci ricordiamo della fortuna che abbiamo. Viva il Teatro Olimpico e viva il teatro!».