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“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà Gazzolle già chiamata rampa Nievo

Contrà Gazzolle. La voce è probabilmente derivante dal Wald, bosco. A Vicenza, esisteva un bosco fuori Porta Nuova, chiamato Gazzo, in provincia di Padova si conosce sin dal 975 il Comune di Gazzo.

Se il nome gazzo, gazo significa bosco, il toponimo gazzolle potrebbe avere senso (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr).

Secondo altre opinioni ci potrebbe stare la derivazione Gaiole in francese gèole, cioè prigione, nome che a suo tempo veniva dato alla Torre del Tormento dove era la prigione pubblica.

Contrà Gazzolle, veniva anche chiamata rampa Nievo dal Palazzo che la famiglia aveva in questa via e ancora esistente ed attivo come sede della Provincia di Vicenza.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà Garibaldi già Contrada delle Copparie

Contrà Garibaldi già Contrada delle Copparie parola dialettale che deriva da “copare” – ammazzare, perché sulla via si aprivano numerose botteghe di macellai, ndd).

Sino agli anni 60, vi si teneva il mercato delle scarpe, poi trasferito alle Pescherie Vecchie (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr). Il 26 giugno 1867, il Consiglio Comunale intitolò la Contrà a Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza il 4 luglio 1807 e morto a Caprera il 2 giugno 1882.

Uomo di mare, nel 1836 sbarca in Brasile, partecipa alla difesa di Montevideo e diventa benemerito della Repubblica. Il 15 aprile 1848, ritorna in Patria, nel 1849 è alla difesa di Roma, è chiamato dai suoi “Il Generale”. Nel 1860 organizza la spedizione dei Mille, il 7 settembre entra in Napoli. Deputato per la Circoscrizione di Roma, si ritira nell’isola di Caprera.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà Frasche del Gambero già stradella del Gambareto

Contrà Frasche del Gambero. Lunga 100 metri (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr).

Il toponimo è composto da due parti, Frasche e Gambero: due denominazioni distinte che in origine vedevano la presenza in zona di un’osteria con pergolato, le Frasche, e un’altra osteria con insegna del Gambero, saporito crostaceo. La via era anche denominata stradella del Gambareto perché, secondo l’estimo del 1665, vi abitava un rev. Gambareto.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà Francesco Canneti già Contrà Oratorio del Duomo

Contrà Francesco Canneti. Già Contrà Oratorio del Duomo, dietro le Poste  (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr).

Deliberazione comunale 17 ottobre 1888. Il musicista Francesco Canneti nacque a Vicenza 29 agosto 1807, morto il 4 agosto 1884. Compositore assai lodato di musica sacra e profana, scrisse numerose opere tra cui: l’Emilia, La Francesca da Rimini, Il Saul. La casa Ricordi di Milano pubblicò un “Trattato di contrappunto” che ebbe un certo successo.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà Fedele Lampertico, già contrà Calonega

Contrà Fedele Lampertico. Già contrà Calonega, è lunga 80 metri. Laterale al Duomo. Calonega in dialetto significa Canonica, la casa dove vivevano i sacerdoti della cattedrale, iscritti nella matricola o canone, da cui canonica  (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr). Il giorno dopo la sua morte, il consiglio Comunale 7 aprile 1906 intitola a Fedele Lampertico, la strada del centro storico. Nato a Vicenza il 3 giugno 1833, morto a Vicenza, 6 aprile 1906.

Statista ed economista, laureato in giurisprudenza a ventidue anni, si dedica subito alla cosa pubblica. È eletto deputato quando il Veneto entra a far parte del Regno d’Italia, rinuncia nel 1870 per motivi familiari. Viene nominato Senatore del regno il 6 novembre 1873. Fondatore della Società Mutuo Soccorso degli artigiani. Presidente dell’Istituto Veneto delle scienze. Promosse con Alessandro Rossi la costruzione della linea ferroviaria Vicenza Thiene Schio.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà do Rode o Due Rode, già stradella della Roda, dei notai, di Sant’Omobono e contrà dei Muzan

Contrà do Rode o Due Rode. Laterale Corso Palladio. Lunga 115 metri. La denominazione trae origine dal nome di una osteria segnalata nel 1665 in cui si cita “casa dell’Hosta delle due rode di proprietà della signora Lucia Nieva” (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr).

La via ebbe nei secoli diversi nomi, era chiamata anche stradella della roda, dei notai, di Sant’Omobono per un oratorio che sorgeva vicino, contrà dei Muzan, nobili vicentini che vi avevano un Palazzo e numerose botteghe.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà delle Morette già Stradella della Malvasia

Contrà delle Morette. Laterale di Corso Palladio. Era detta anche Stradella della Malvasia per la presenza di un’Osteria che vendeva un vino bianco di qualità proveniente dalla Grecia.

Successivamente, nel XVII secolo, il nome cambiò in Morette dal nome della famiglia Moretto che gestiva l’esercizio (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr)..

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrà delle Grazie

Contrà delle Grazie. La chiesetta, che dà il nome alla via, fu costruita nel 1494. Fu prima dei Gerolimini, dal nome del Patrono S. Girolamo.

Nel 1688 passa agli Eremiti sempre Gerolimini i quali, nel 1772, con i monaci di Maddalene, furono trasferiti a Santa Maria del Monte Summano. Nel 1812 il benemerito cittadino Francesco Nado fonda il collegio convitto per l’educazione religiosa e civile delle femmine (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr).

Arte culi ‘n aria, la quattordicesima ricetta vicentina con spunti di storie di Umberto Riva: el minestron, l’importanza di rimanere in piedi

Un lettore che si "gusta" Arte culi 'n aria
Un lettore che si “gusta” Arte culi ‘n aria

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (l’ultima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 31 dicembre 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon.

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (el minestron) rileggi la Prefazione e il glossario di arte culi ‘n ariauna nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola vedi qualcosa di più.


Vox populi, vox dei.

Tradizione popolare.

“Così disea me pare”.

Parlare dei veneti, parlare dei vicentini e non parlare “de minestron”, é eresia. “Pesto de lardo, un spigeto de ajo, un rameto de rosmarin, fasoi apena scaola, o mesi in moja co ‘na punta de bicarbonato la sera prima, poke patate, ‘n poca de seoa, e, voendo, anca ‘na gamba de sejno”.

“Beo, bon e fiso”. Che “’l cuciaro staga in pie da solo”.

Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

“El pesto de lardo”. La mamma era attrezzata e procedeva come segue. “Nel pignaton”, per i francesi era la “marmite”, andavano le verdure. Patate, fagioli, quel pò di sedano e cipolla. Mentre cominciavano a bollire, tra i coperchio e la pentola, si infilava la “cortea”. Un coltello grosso, alto, con la punta mezza tonda (quello che si usava per mettere sotto la tavola delle tagliatelle, che si usava per raschiare la tavola delle tagliatelle, quello che si usava moltissimo e, forse, mai per l’uso per cui era nato). “’l panaro”, un tagliere alto circa quattro centimetri. Il tagliere nel tempo s’era morfologicamente deformato. A furia di battere il lardo sempre nello stesso punto, s’era formato uno scavo talmente profondo che si poteva, guardando controluce, vedere il sole. La parte mancante faceva ormai parte di noi stessi. Mangiata e digerita! A fronte del vecchio adagio “queo ke no strangoa, ingrasa”.

Il pezzo di lardo trovava locazione sul “panaro”, ovvero nello scavo del tagliere. Poteva così essere battuto con la parte arrotondata della “cortea” , il lardo non si attaccava alla lama poiché il caldo dell’acqua ove bollivano le verdure, aveva riscaldato il coltellaccio. Nel buco del tagliere finivano, lo spicco d’aglio, ed il rosmarino “ben lavà che non se sa mai”. A pesto pronto, la “cortea” serviva per raschiare “’l panaro” ed anche “nel buso, no dovea restare gnente” e veniva riinfilata tra coperchio e pignatta. Tutto si scioglieva e condiva “el minestron” e niente rimaneva sulla lama. Prima di infilare il lardo nella pentola, si toglieva una certa quantità di fagioli, erano buoni usati come secondo, “co ‘na foieta de salvia, ‘n gioso de ojo e na sculierà de aseo”. Si provvedeva, altresì, a passare nello schiacciapate, le patate, la cipolla, il sedano e buona parte dei fagioli. Ricordarsi “la coesa”. La cotica del lardo, di quel pezzo di lardo che si utilizzava per il pesto, veniva raschiata con la solita “cortea”, e buttata nella “pignata”. Il fortunato era quello che se la trovava nel piatto. Il ritrovamento era l’unica gioia perché doveva essere divisa “dagene un toco anca a to sorea”. Non sempre la cotica era privata di tutte le setole. Pazienza! “El spunciava, ma el xera bon, e pò, come se dixe, magna ke xe tuto bon e te deventi grando.

Si cuoceva. Si cuoceva. Si cuoceva.

La consistenza indicava il giusto punto di cottura. “Quando ‘l xe fiso, ‘l xe coto”.

Se si attaccava, un pò, non molto però, andava bene. Così “’l sa da brusin”.

Si poteva arricchire con un pò di lasagne. Era allora “’na goduria”.

Con i fagioli tolti dal minestrone, si potevano preparare i “fasoi in salsa”. “’n paro de aciuge, ‘na sculiera de conserva, quatro cinque foiete de salvia e desfrito de zeoa, tanta zeoa”. Doveva cuocere fin che “i fasoi i scomisiava a dresfarse”.

“El minestron de fasoi” con soli fagioli di cui alcuni passati, era un altro piatto. Bisognava cuocerlo coi “garibaldini”.

Versato in scodelle veniva collocato sullo sporto della nappa del camino (“va ben anca su ‘l armaro in camara, ricordandose de meterge soto ‘na strasa se no se vede ‘l stampo de ‘l culo de ‘e scuee su ‘a vernisa”). Bisognava aspettare, meglio il giorno dopo. Doveva raffreddare, indurire, “fare ‘a grosta”. Servito con “‘na crose de ojo” era “da lecarse i mostaci e da ciuciare la scoea”.

“Minestron e minestron de fasoi”: minestre “da mastegare, se te voi ke ‘e sia bone”.

L’articolo Arte culi ‘n aria, la ricetta n. 14 di Umberto Riva: el minestron, l’importanza di rimanere in piedi proviene da L’altra Vicenza.

“Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”: Contrada delle Chioare e Contrada o Contrà delle Fontanelle

Contrada delle Chioare. In dialetto cioare erano chiamati così quei piccoli uncini fissati nei telai delle fabbriche di lana che servivano a distendere i tessuti appena usciti dai lavaggi (qui la mappa, rubrica “Toponimi vicentini narrati da Luciano Parolin”, qui tutti gli articoli, ndr). L’arte della lana, molto diffusa a Vicenza, aveva il suo centro al Bacchiglione che azionava le ruote idrauliche e le macchine degli opifici. Il grande bacino di Ponte Pusterla fu costruito nel 1854.

Contrada o Contrà delle Fontanelle. Denominazione con delibera podestarile del 16 aprile 1927 (qui la mappa, ndr). Il nome Fontanelle è rimasto nel tempo. Scrive il Barbarano che esiste una Contrada «che ora si chiama delle Fontanelle perché vi furono anticamente i bagni pubblici, detti le Terme, ai quali da Caldogno si conduceva l’acqua per mezzo di alcuni canali, de quali ancora restano in Lobia molti vestigi». In loco l’osteria “Ai Gati Mori”.

Contrada o contrà delle Fontanelle
Contrada o contrà delle Fontanelle (Vicenza-Francesco Dalla Pozza-Colorfoto per ViPiù)