mercoledì, Ottobre 16, 2024
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Campo Marzo di Vicenza: la Festa dei Oto e il raduno dei Quatro

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Mai stato da bambino a Campo Marzo proprio l’8 settembre. Perché negli anni Settanta quel dì la ressa era puntualmente esagerata e i giri in giostra duravano la metà che negli altri giorni delle due settimane prima e dopo la festa della Madonna. E pure per il fatto che già allora due minuti sull’autoscontro costavano mica poco.

Al luna park si andava in genere una volta soltanto a stagione, di sera dopo cena, quando papà e mamme sfiniti dall’insistenza dei pargoli venivano presi per stanchezza. I più fortunati beneficiavano anche di un turno supplementare pomeridiano, ma solo se potevano usufruire del privilegio d’annoverare in famiglia un’anziana zia signorina, tipico esemplare di stagionata parentela che nelle case contadine ed affollate d’un tempo non mancava mai, per la gioia di tutta la nipotineria potenzialmente viziabile.

Si arrivava in auto da Viale Risorgimento, per inforcare col fiato sospeso la Pontara di Santa Libera, dalla cui sommità lo sguardo all’improvviso annegava nel vortice di luci calde che da laggiù in fondo Campo Marzo irradiava in un caleidoscopio di colori abbaglianti ed intermittenti. Mano a mano che percorrevi la discesa verso quello che nella fantasia di “bocia” era proprio il paese dei balocchi di collodiana memoria ti veniva incontro un odor di fritto che altrove avresti definito stucchevole ma che lì per magia avvertivi quale meraviglioso profumo.

Frammenti d’immagini, fotogrammi d’un mondo andato: rimane questo se chiudo gli occhi e ripenso all’ottovolante, alla pista con tanto di parabolica e go-kart veri, di quelli a motore, oppure alla ruota panoramica che svettava (neanche poi tanto) tra quei platani allora riccamente chiomati ed oggi vivi solo in fotografia. Indimenticabile anche il pozzo della morte, coi suoi centauri che si esibivano alle nove e alle undici la sera tra il rombare assordante di motociclette truccate e l’aroma di zolfo e benzina, evocativo di paesi lontani, di circo e d’America.

Nel giro di qualche estate ancora saresti diventato ragazzo, quindi costretto a prendere coraggio e salire temerario sul neonato Tagadà, quello per intenderci che le nostre nonne chiamavano “el tamìso”, una specie di pedana rotante che diventava fatale se la affrontavi a stomaco pieno e digestione in corso. Con l’apparire dei primi muscoli ti prendevi magari il rischio di provare a farti bello agli occhi delle ragazze, sfidando la forza di gravità per tentare di trovare il ritmo e compiere qualche rotazione completa sulle famigerate gabbie, dimentico del fatto che appena sceso ti saresti ritrovato in condizioni di sudorazione tali non solo da far allontanare le suddette pulzelle ma addirittura da renderti fastidioso il tuo stesso starti vicino.

I più baldanzosi si pavoneggiavano disputandosi le attenzioni delle fanciulle accorse attorno al pungiball, dove aitanti Rocky dei Berici dispensavano cazzotti ad una grossa palla di cuoio anziché prendersi a pugni tra loro come adesso pare invece andare più di moda a Campo Marzo.

campo marzo
Foto di Luca Rossi

Rivedo tutti questi flash mentre, seduto su una panchina, osservo mio figlio che mi è accanto ed insiste nel picchiettare la tastiera del telefonino anziché accogliere entusiasta la mia proposta di farci un giro assieme sul calcinculo. Neppure lo appassiona l‘idea di infilarci tra gli specchi dello storico labirinto, che tante mie craniate ha patito ai tempi, quando mi incaponivo nel voler trovare ad ogni costo l’uscita ad occhi chiusi per sembrare più figo.

Giusto per farmi contento il pargolo mi concede di accompagnarmi sull’autoscontro, ma solo perché avevo ormai già acquistato i gettoni per un paio di corse prima di lasciargli il tempo di dissentire.

Gli racconto di Boris, che da sempre dev’essere il titolare dell’attrazione, con questo suo nome dell’est e dunque, per la proprietà transitiva, sicuramente da giostraio. Non riesco a suscitare quei piccoli sobbalzi dell’anima in cui confidavo. Ma forse sono io ad aver torto: mi porto appresso i miei ricordi ma non ho modo né titolo per caricarlI sulle spalle o intrufolarli nel cuore di un figlio del terzo millennio, per il quale quel quasi nulla che è sopravvissuto del luna park d’un tempo è roba buona ormai solo per grigi paleontologi.

Anche perché quell’unica manciata di giostrine superstiti e i pochi ambulanti che si ostinano a friggere distrattamente patatine precotte costituiscono purtroppo solo una retroguardia smarrita, un manipolo di reduci ormai inadeguati al confronto con generazioni di giovani (e meno giovani) che nella realtà virtuale si muovono molto più a proprio agio che su un anacronistico bruco mela.

Campo Marzo tra fine agosto e la prima quindicina di settembre da qualche stagione pare refrattario alla folla. Per paradossale che possa apparire, si è trasformato nel deserto delle emozioni. Un luna park semivuoto è l’autunno del desiderio.

Era la Festa dei Oto, è diventato il Raduno dei Quatro. Gati.

Di Davide Sacco da Storie Vicentine n. 4 Settembre-Ottobre 2021


In uscita il prossimo numero di Marzo 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
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