Storie Vicentine ci racconta l’anniversario della morte di Bartolomeo Montagna, avvenuta Cinquecento anni fa.
Bartolomeo Montagna, nato attorno al 1450 e mancato 500 anni fa esatti, nel 1523, è riconosciuto come il più celebre fra i pittori vicentini, ma fino alla fine del XIX secolo non gli erano stati riconosciuti tributi in città. Il 23 ottobre 1878 una deliberazione consiliare approvava l’apposizione di una lapide sul fianco di Palazzo Repeta (opera di Francesco Muttoni) per ricordare che in quell’area sorgeva la casa acquistata da Montagna nel 1484 e che abitò fino alla morte. In seguito, con la riforma della nomenclatura stradale del 1911 1914, si propose inizialmente di intitolargli un tratto di corso Fogazzaro, ma l’occasione propizia si presentò nel 1927, dopo la costruzione della nuova arteria.
Montagna, il cui cognome era Cincani, si trasferì a Vicenza con la famiglia da Orzinuovi (BS), e fu educato all’arte alla scuola di Gentile Bellini, filtrando e interpretando la lezione di Alvise Vivarini. Fu anche ispiratore di Cima da Conegliano. Le opere di Bartolomeo oltre a Vicenza, arricchiscono numerose collezioni private e gallerie pubbliche a Milano (Brera), Venezia (Accademia), Verona (Museo Civico), Bergamo (galleria Lochis), Strasburgo, Berlino, Parigi, Londra, New York. Tra le opere conservate ai Musei Civici di Vicenza:
– Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano e tre angeli musici.
– La Madonna con il Bambino sotto un pergolato tra i santi Giovanni Battista ed Onofrio.
Storie Vicentine ci racconta un personaggio del Risorgimento: l’avvocato Sebastiano Tecchio, noto per la sua barba.
Il personaggio più importante del Risorgimento vicentino è certamente l’avvocato Sebastiano Tecchio. Era stato membro del Governo Provvisorio di Vicenza proclamato il 25 marzo 1848. Il 5 giugno di quell’anno, alla vigilia della valorosa battaglia di Monte Berico del 10 giugno, il Tecchio si trovava a Valeggio sul Mincio con i rappresentanti delle province venete per consegnare a Carlo Alberto i risultati dei «liberi voti» plebiscitari che a larga maggioranza ne approvavano l’unione al Regno di Sardegna. Tanto era il suo desiderio che il plebiscito trovasse piena e rapida realizzazione che solennemente promise «che non si sarebbe tagliata la barba finché il Veneto non fosse italiano».
Dopo la caduta di Vicenza Tecchio ripara in Piemonte dove sarà deputato e ministro dei lavori pubblici. Con la costituzione del Regno d’Italia diverrà anche presidente della Camera dei deputati. Alla conclusione della Terza guerra d’indipendenza ritorna nella sua città.
Il 3 agosto il giornale «Progresso» rende noto che la Giunta Municipale di Vicenza si era recata a visitare «l’illustre nostro concittadino deputato avv. Sebastiano Tecchio» rientrato dopo 18 anni «di glorioso esilio» e aveva disposto che «per festeggiare il fausto e desiderato ritorno» la Banda Civica si recasse alla sera presso la sua abitazione.
Il 27 ottobre 1866, in qualità di primo Presidente della Corte d’appello di Venezia, proclamò dal “verone” di Palazzo Ducale i risultati del plebiscito che sanciva l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Nel novembre fu nominato senatore (il primo dei veneti); fu ministro di Grazia e Giustizia e poi Presidente del Senato nella XIII legislatura (1876-1880).
Ora il Veneto apparteneva al Regno d’Italia, la bandiera di Vicenza era già stata decorata di medaglia d’oro al valore militare e quella promessa fatta nel 1848?..qualcuno deve avergliela ricordata perché quella fluente barba, ormai bianca, era diventata la principale caratteristica del Presidente del Senato.
I giornali dell’epoca non riferiscono se l’avvocato avesse mantenuto fede al voto, ma sappiamo che lo stesso Tecchio distribuì agli amici una ciocca della sua barba raccolta in una raffinata teca di tartaruga legata in argento e con una sua foto dove si nota la barba bianca vistosamente accorciata. La teca è impreziosita dall’iniziale del suo nome «S» pure in argento. Fu un «grande» anche in questa piccola scommessa fra amici!
Vittorio Bolcato da Vicenza In Centro (Aprile 2023) – periodico dell’Ass. Vicenza in Centro.
S. Tecchio nacque a Vicenza il 3 gennaio 1807 da Francesco e da Francesca Garbinati. Conseguì la laurea in diritto all’Università di Padova il 15 febbraio 1829. Ebbe cinque figli con la prima moglie Giuseppina Verona: Vincenzo, Sebastiano, Francesco, Giovanni e Bortolo. Sposò in secondo nozze Anna Orsini. Fu il biennio rivoluzionario, cui prese parte fin
dalle prime manifestazioni di protesta nella città berica, a legare indissolubilmente la sua
esistenza all’impegno politico, a partire almeno dal 25 marzo 1848, quando venne chiamato
a far parte del governo provvisorio vicentino, che aderì alla Repubblica veneta proclamata da Daniele Manin.
Fu membro di rilievo del Comitato dipartimentale e venne incaricato di trattare colle altre province venete sottrattesi al dominio asburgico per definire una linea politica comune. Il 29 aprile 1848, dinanzi alla minaccia sempre più incombente di un’offensiva austriaca, Tecchio sottoscrisse a Padova un indirizzo ai lombardi, che asseriva un vincolo indissolubile tra i loro destini e quelli del Veneto, e costituì il suo primo atto di adesione al Regno di Sardegna come punto di riferimento della causa nazionale. Dopo aver ripreso Udine e Treviso, il 23 maggio 1848 le truppe imperiali tentarono il primo assalto a Vicenza, ma dopo ore di combattimento vennero respinte da una resistenza in cui Tecchio svolse un ruolo di rilievo: in particolare il 24 maggio, con altri membri del Comitato di difesa, trasse in salvo sotto il fuoco nemico polveri e munizioni fatte segno dell’artiglieria austriaca.
Quest’impresa gli sarebbe valsa, dopo l’Unità, la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza italiana, una delle decorazioni di cui andò più fiero nella sua vita.
Di Vittorio Bolcato da Storie Vicentine n. 15-2023.
Storie Vicentine ci racconta l’inaugurazione del monumento a Giacomo Zanella avvenuta 130 anni fa di fronte alla chiesa di San Lorenzo.
Il 9 settembre 1893, a cinque anni dalla scomparsa, fu inaugurato il monumento– opera dello scultore veronese Carlo Spazzi – che la città di Vicenza volle dedicare alla memoria di Giacomo Zanella. La ricorrenza dei centotrent’anni è occasione per ricordare, non tanto, come scrisse Il Berico, il «sommo poeta, prosatore felicissimo, educatore valente, erudito profondo nella patria letteratura e nelle straniere1» – aspetti, peraltro, già ampiamente indagati da valenti studiosi – quanto, piuttosto, per mettere in luce la sua forse meno nota figura di patriota e di uomo dalla mente aperta, non sempre allineato alle gerarchie civili e religiose. Vissuto in un periodo storico molto travagliato per l’Italia. Prima impegnata nelle guerre di indipendenza dalla dominazione austriaca e, poi, alle prese con la cosiddetta Questione romana, ovvero lo scontro tra lo Stato italiano e la Chiesa dopo la presa di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870. Creando così in seno alla società uno scontro fra i moderati, desiderosi di comporre, a tutti i costi, il dissidio determinatosi tra lo Stato e la Chiesa e i conservatori, ostili ad ogni forma di compromesso e strenui difensori del potere temporale. Un’Italia, per di più, percorsa dalle istanze dovute ai nuovi
assetti che si stavano delineando in campo filosofico, scientifico, sociale e politico, che vanno sotto il nome di modernismo.
Prendo spunto da due articoli apparsi nella stampa locale.
Il primo, pubblicato nel Corriere Vicentino2 del 9-10 settembre 1893 in occasione della inaugurazione del monumento, reca la firma di Giosuè Carducci. Che inizia il suo intervento
affermando che «i moderati veri, che in fine hanno da essere conservatori se qualche
cosa vogliono moderare, trovano il loro poeta in Giacomo Zanella», che, dunque – realizzata quasi del tutto l’unità territoriale d’Italia – concorse anche al compimento di quella culturale e storica. Ma era pure, prosegue Carducci, l’uomo «per quelli che invocavano e aspettavano l’accordo della libertà con la fede, del progresso col dogma, dell’Italia con la Chiesa». Infatti, «nelle poesie dell’abate Zanella gli accordi e le conciliazioni tra la ricerca scientifica e l’autorità del dogma, tra il pensiero moderno e l’eternità della fede, tra il sentimento nuovo e irrequieto e le regole dell’arte tradizionale, erano ingenuamente, sinceramente, candidamente, perseguiti, voluti, creduti raggiungere». Perché Zanella intendeva il cristianesimo «non come le beghine e i pinzocheri [i bacchettoni, i baciapile], ma come scala della ragione per innalzarsi alla contemplazione delle cose che trascendono i sensi, come il grande purificatore di tutti i sentimenti umani, come visione anticipata della vita immortale3». Egli, conscio della provvisorietà della storia, non dubitava che fosse un disegno divino a governarne il divenire, per ciò stesso destinato a sempre più leopardiane «magnifiche sorti e progressive». Lo testimonia la sua più celebre poesia, Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, composta nel 1864 – su sollecitazione di Fedele Lampertico – in occasione delle nozze a Venezia di Luigi Luzzatti – suo discepolo negli anni 1857-1858 – con Amelia Della Via. Zanella fu dunque un pensatore/poeta capace di trasmettere i suoi messaggi in tutti suoi componimenti e in tutte le occasioni. Sottolinea, infatti, Carducci: «Quando mai la poesia odierna aveva trovato un’ornamentazione di gusto così corretto per le feste di famiglia, per le parate dell’industria e per i trionfi del tecnicismo?». Nell’epoca in cui fioriva il positivismo, il Nostro si preoccupò tuttavia di ammonire che la scienza può sì bastare a se stessa, ma non può bastare all’uomo nato a «contemplar le stelle».
Il secondo articolo è riportato nel Giornale di Vicenza4 del 6 ottobre 1866, che riferisce di una visita effettuata da Zanella il precedente 1° ottobre a Chiampo, suo paese natale, quando l’annessione del Veneto al Piemonte, che sarà sancita ufficialmente col plebiscito dei successivi giorni 21 e 22 ottobre, era oramai scontata. Accolto in Municipio, dopo un discorso di benvenuto da parte del futuro sindaco Marco Righetto, Zanella pronunciò a sua volta una orazione per esprimere le personali speranze in ordine al futuro dell’Italia e dei suoi compaesani. Sottolinea, nell’incipit, come gli ultimi eventi abbiano segnato «il più bel tempo che abbia avuto l’Italia», perché sancivano il riscatto «dal dominio straniero, che stipendiava fino in chiesa i satelliti», ovvero il clero, che, per la maggior parte, era asservito agli Asburgo. Una affermazione pesante, testimonianza della sua libertà di pensiero, che mai temette di urtare la fede austriacante del vescovo Antonio Farina. Ricorda poi l’opprimente controllo asburgico, che, «togliendo ogni iniziativa ai Comuni, tolse anche agl’individui la coscienza dei loro diritti e il coraggio di proporre … miglioramenti o rimedi». Con una esortazione di attuale valenza: «non basta il sentimento dei propri diritti; ma conviene saperli esercitare; ampliarne al bisogno l’azione; disconosciuti o contrastati, proteggerli». Ma per far ciò – anticipando di quasi cent’anni il pensiero di don Lorenzo Milani – Zanella era convinto che solamente la cultura può rendere liberi e aiutare il riscatto del più debole. Parlandone con cognizione di causa, visto il suo ministero di docente presso il Seminario e i Licei di Vicenza e Venezia, nonché quale cattedratico presso l’Università di Padova, di cui divenne anche rettore. E così «l’istruzione deve essere il primo pensiero di un Comune», che deve rigorosamente vigilare sulla frequenza dei fanciulli alla pubblica scuola, sottolineando con rammarico come fino ad allora, invece, «le scuole, abbandonate all’ispezione di parrochi (!) erano la più parte dell’anno deserte», non risparmiando con ciò altra stilettata contro i suoi colleghi sacerdoti.
Il monumento eretto in onore di Giacomo Zanella rende quindi meritato onore ad un concittadino, la cui vita è ancora oggi di esempio e il cui pensiero è ancora di puntuale attualità.
Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 15-2023.
Note
1. N. N., Inaugurandosi in Vicenza il monumento a Giacomo Zanella nel settantesimo
terzo anniversario della sua nascita, Il Berico, n. 205, 9-10 settembre 1893, p. 2.
2. G. CARDUCCI, Giacomo Zanella, Corriere Vicentino, n. 211, 9 settembre 1893, p. 1.
3. M. TABARRINI, La Commemorazione in Teatro Olimpico, in In memoria di Giacomo
Zanella, numero unico, Vicenza 9 settembre 1893, p. 3.
4. N. N., Senza titolo, Giornale di Vicenza, n. 69, 6 ottobre 1866, pp. 2-3.
Negozianti ed esercenti della Sezione 1 Centro Storico di Confcommercio Vicenza e l’assessorato alla cultura,al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza, per le prossime Festività propongono “…aspettando il Natale al museo”, un programma ricco e coinvolgente di storie, laboratori creativi e spettacoli teatrali per tutti i bambini.
L’iniziativa è stata presentata oggi nella sede di Confcommercio da Ilaria Fantin assessore alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza, Cristina Balbi, assessora allo sviluppo economico e al territorio, Claudio Perini vicepresidente della Sez. territoriale n.1 del Centro storico – Confcommercio Vicenza, Valentina Carpanese presidente diScatola Cultura s.c.s. Onlus.
Da sabato 2 dicembre e ogni sabato pomeriggio fino al 23 dicembre, i ragazzi in età da scuola primaria, saranno coinvolti in attività, storie e laboratori a tema, per scoprire l’arte, i personaggi e l’archeologia presenti nei luoghi storici e nei musei civici del centro città.
Ogni evento sarà per i più piccoli l’occasione per trascorrere del tempo di crescita, apprendimento e divertimento, assieme ai loro coetanei, anziché seguire i loro genitori nei giorni clou dello shopping natalizio.
Saranno gli educatori qualificati di Scatola Cultura s.c.s. ONLUS (dal 2019 aggiudicataria del bando per i servizi educativi dei Musei Civici di Vicenza) a curare le attività che porteranno i bambini a contatto con i luoghi e l’arte del grande patrimonio storico-culturale di Vicenza.
Ogni sabato pomeriggio ci sarà un tema diverso, incentrato su uno specifico filone, che andrà a stimolare la creatività e l’esplorazione attiva di ogni bambino, l’apprendimento e il potenziamento delle abilità personali.
I laboratori avranno la durata di due ore, che saranno distribuite tra una prima parte teorico/ludica di esplorazione del sito ospitante e una seconda parte di carattere pratico/esperienziale. Ciascun laboratorio si svolge in due turni durante la giornata: primo turno dalle 15 alle 16.45; secondo turno dalle 17 alle 18.45.
A completare il programma del Natale pensato per i bambini, l’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività del Comune di Vicenza dedica ai piccolini dai 2 ai 5 anni e alle loro famiglie, “Wonderme Museo”, coinvolgenti momenti di teatro ideati da Ketti Grunchi con Francesca Bellini e Delfina Pevere, che porteranno in scena la meraviglia dell’infanzia.
Gli spettacoli prenderanno vita al Museo di Palazzo Chiericati, sabato 2 e sabato 23 dicembre, in due turni per ogni giornata: il primo alle ore 10.00; il secondo turno alle ore 11.15.
Ogni spettacolo comporrà la meraviglia, attraverso poche parole, molte azioni, musica dal vivo e giochi di relazione. L’incanto sarà quello di coinvolgere ed emozionare i più piccini e i loro genitori.
Le iscrizioni alle attività del programma “…aspettando il Natale” sono aperte dal 20 novembre sul sito scatolacultura.it. Per partecipare, i bambini devono obbligatoriamente essere iscritti al singolo evento.
Gli APPUNTAMENTI per i ragazzi delle scuole primarie
1° turno: dalle ore 15.00 alle ore 16.45; 2° turno dalle ore 17.00 alle 18.45
Sabato 2 dicembre –Basilica Palladiana
Una basilica… a strati!
Alla scoperta della Basilica Palladiana e dell’Area Archeologica di Corte dei Bissari con una divertente attività tra copia, incolla e … ridisegna!
Sabato 9 dicembre –Gallerie di Palazzo Thiene
Racconti davanti al caminetto
Ci fu un tempo in cui Giulio Romano… ma poi Palladio… e che caspiterina! Tutta colpa (o merito?) di quei fratelli Thiene e del loro sofisticato gusto per l’architettura alla moda.
Sabato 16 dicembre –Museo Naturalistico Archeologico
Romani & street food
Cibi e gusti dell’antica Roma saranno svelati in questo divertente laboratorio, alla scoperta di antichi sapori e dell’arte ante litteram dello street food!
Sabato 23 dicembre –Chiesa di Santa Corona e Museo di Palazzo Chiericati
Storie senza tempo: in viaggio con i Re Magi
Laboratorio e racconto animato di una delle più belle e conosciute storie al mondo: l’arrivo dei Re Magi. Un percorso dalla Chiesa di Santa Corona al Museo di Palazzo Chiericati.
SPETTACOLI DI TEATRO per i bambini della scuola dell’infanzia
“Wonderme Museo”
Sabato 2 e sabato 23 dicembre 2023
Ore 10.00 e ore 11.15 – Museo di Palazzo Chiericati
Spettacolo sulle meraviglie per l’infanzia a cura di Wonderme di Ketti Grunchi, con Francesca Bellini e Delfina Pevere.
È andata in scena al Ridotto del Teatro Comunale sabato 18 novembre la restituzione della seconda residenza artistica, cioè una bozza di circa 30 minuti, frutto di quello che è stato il lavoro di due settimane della compagnia WCS e anticipazione di quello che potrebbe essere uno spettacolo più ampio. La compresenza nello stesso giorno del laboratorio ha portato in sala molti bambini, che hanno riso dall’inizio alla fine. Ma anche gli adulti, compreso chi scrive, si sono divertiti molto, anche per merito della simpatia dei due giocolieri, che ogni tanto parlavano e infatti hanno anche giocato sul loro rapporto un po’ difficile, ma volenteroso, con la lingua italiana.
È stata per loro anche l’occasione di rendere omaggio a un giocoliere slavo sconosciuto in Occidente a causa delle divisioni della Guerra Fredda. Lo spettacolo sarà portato in giro in diverse lingue tra cui portoghese, francese, spagnolo e inglese. Alla fine c’è stato spazio per le domande del pubblico. La giocoleria per i due artisti nasce con le palle e arriva ad aggiungere diversi oggetti tenuti sopra la testa: una padella su cui cucinare pop corn, un computer o un frullato, operazione volutamente non riuscita, evoluzione di una gag precedente in cui invece il frullato, realizzato con impeccabile aplomb ed abiti eleganti, riusciva perfettamente.
La loro passione, hanno spiegato, è nata da bambini e quasi per caso è diventata un lavoro grazie all’incontro tra di loro e alle scuole frequentate, che hanno loro dimostrato come quello che poi appare al pubblico come un gioco, nasconde invece ore e ore di dura preparazione e può diventare appunto un lavoro.
Riparte la stagione del Teatro Comunale di Vicenza e con essa anche il progetto, arrivato al sesto anno consecutivo, delle residenze artistiche.
Sabato 18 novembre condivisione con il pubblico di circo contemporaneo alle 21 e nel pomeriggio laboratorio per bambini
La seconda residenza We Art 3, dedicata al circo contemporaneo è in corso in questi giorni, protagonista la compagnia WCS, quattro artisti indipendenti provenienti da diversi campi artistici, con un background in performance, circo e musica; con il loro lavoro restituiscono un’immagine poetica del mondo, combinando la complessità del reale con le pratiche e abilità virtuosistiche delle loro discipline. Fondata nel 2014 da Danielle Cohn Levy e Namer Golan, la compagnia si è imposta all’attenzione del pubblico e della critica con il primo spettacolo “23 Thoughts About Conflict”, vincendo 3 premi all’Acco Fringe Festival; dopo una tournée internazionale, è ora a Vicenza per perfezionare il progetto “Perfect Timing”.
Lo spettacolo
Tenendo in equilibrio sulla testa ogni tipo di oggetto, due giocolieri si mettono volontariamente in situazioni difficili, cronometrate con estrema precisione; il tempo diventa l’aspetto pericoloso dei loro giochi di invenzione, trovandosi costantemente di fronte all’improbabilità. Le ossessioni infantili sono trasformate in numeri da circo; grazie alle azioni spettacolari, come il bilanciamento degli oggetti, gli artisti riescono a creare una forte tensione drammatica; l’obiettivo è mettere in discussione gli aspetti filosofici del tempo combattendolo, ingannandolo, allungandolo e persino tentando di fermarlo: l’obiettivo è avvicinare gli spettatori all’incredibile storia della giocoleria, creando un’atmosfera intima, con momenti poetici, surreali, ma anche di divertimento allo stato puro. I tutor degli artisti sono Mario Gumina, musicista, attore, regista e videomaker, direttore artistico di C.L.A.P.Spettacolo dal vivo (Circuito Lombardia Arti Pluridisciplinari) e Alessandro Bevilacqua, curatore dei progetti di residenza e di danza contemporanea per il Tcvi.
Sabato 18 alle 21
Lo sharing, ovvero il momento di condivisione con il pubblico, è in programma sabato 18 novembre alle 21.00 al Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza; al termine è previsto un incontro con gli artisti della compagnia. L’ingresso è libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili; bisogna prenotarsi sul sito del teatro www.tcvi.it – sezione biglietteria online.
Laboratorio per bambini
Durante la residenza, gli artisti di WCS realizzeranno anche un laboratorio di giocoleria per famiglie e bambini dagli 8 anni, “L’arte dell’equilibrio”, sabato 18 novembre dalle 15.00 alle 17.00 al Tcvi in Sala Prove 2. La partecipazione al laboratorio è gratuita, i bambini dovranno essere accompagnati da un genitore. Per iscrizioni scrivere a [email protected]. “Perfect Timing è un progetto selezionato con il circuito multidisciplinare regionale C.L.A.P.Spettacolo dal vivo, con cui il Teatro Comunale collabora da tempo per il circo contemporaneo.
Cosa sono le residenze artistiche
Alcuni artisti si candidano e vengono selezionati, dopodiché entrano in contatto con lo staff del Teatro e, come spiega un comunicato del Teatro, presentano nel dettaglio il loro progetto; verificato il piano operativo, vengono attentamente pianificate le azioni relative alla logistica e ai tempi della creazione, perché l’artista o la compagnia possano entrare in relazione con la squadra operativa e tecnica del Tcvi; le fasi successive della residenza prevedono un percorso di tutoraggio con operatori qualificati e la partecipazione agli incontri con gli spettatori, nelle classi di audience development e negli incontri post-sharing. L’esperienza creativa di progettazione e messa in scena diventa quindi un processo monitorato e monitorabile, sia all’interno del teatro, che all’esterno, grazie alle reti di cui il Teatro Comunale di Vicenza è parte attiva.
Matilde Vigna al TcVi
A fine 2022 i tre soggetti titolari delle residenze per ‘Artisti nei Territori’ del Veneto, ovvero la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, il Comune di Bassano del Grappa – Opera Estate Festival Veneto/CSC e il Teatro del Lemming di Rovigo hanno siglato una convenzione. La rete Vene.Re creata da questi tre soggetti ha diramato nel corso dell’anno un bando per individuare un artista o una compagnia da ospitare, per complessive 45 giornate di lavoro, nei tre teatri. Ed è stata Matilde Vigna, attrice rodigina diplomata alla Scuola del Teatro Stabile di Torino sotto la direzione di Valter Malosti, Premio Ubu 2019 come miglior attrice under 35 e Premio Eleonora Duse come attrice emergente nella stagione 2020-21, la vincitrice del bando Vene.Re con il progetto “Le parole perdute”, diventando anche la protagonista della residenza di prosa We Art 3 edizione 2023.
Ritorno al TcVi il 20 marzo
La residenza di Matilde Vigna al Teatro Comunale di Vicenza si è conclusa nei giorni scorsi con una masterclass dedicata a “Praticare la perdita” e uno sharing pubblico che ha avuto luogo il 2 novembre; il tutoraggio è stato curato da Sergio Meggiolan, direttore artistico del centro di produzione teatrale La Piccionaia e Vanessa Gibin, operatrice specializzata in programmazione e organizzazione di spettacolo dal vivo, mentre l’audience development, ovvero il percorso di analisi, visione e restituzione è stato realizzato in collaborazione con Theama Teatro, per gli allievi dei corsi di formazione teatrale, condotto da Anna Zago, attrice, regista e insegnante. Matilde Vigna sarà inoltre tra le protagoniste, con Eva Robin’s e Beatrice Vecchione, della commedia “Le Serve” di Jean Genet, in programma nella stagione di prosa al Ridotto mercoledì 20 marzo.
Mercoledì 6 dicembre danza contemporanea
Anche il terzo progetto della trilogia We Art 3, la residenza di danza contemporanea che sarà ospitata tra fine novembre ed inizio dicembre al Teatro Civico di Schio e al Teatro Comunale di Vicenza, protagonista il duo EM+ | Emanuele Rosa & Maria Focaraccio con “AMƏN”, un lavoro selezionato nell’ambito di ResiDance – azione del Network Anticorpi XL, che prevede una restituzione finale mercoledì 6 dicembrealle 21.00 al Ridotto del Tcvi.
Giovedì 16 novembre al Caffè Matteotti in piazza Matteotti a Vicenza c’è un nuovo incontro culturale per promuovere gli scrittori e gli autori vicentini tra i quali Marinella Laratro che presenta il suo recentissimo libro Quando avevo i ricciolini (Altro Mondo editore, Vicenza).
Dopo aver scritto a quattro mani con Matilde Fanin La nostra gente, diario popolare sulla Vicenza e sul Veneto del secolo scorso, caratterizzato dalle due guerre mondiali che hanno pesantemente segnato i nostri destini, e dopo Amori misteriosi, raccolta di sette racconti sul sentimento amoroso in cui l’autrice non disdegnava incursioni nel passato remoto, Marinella Laratro ritorna ai suoi lettori con questo scritto, una sorta di memoir nel quale ricorda la propria infanzia descrivendosi in prima persona con il nome di Nellina. L’autrice, che non ha mai nascosto l’amore per la Storia, quella con la S maiuscola che ha creato il mondo in cui oggi viviamo, stavolta racconta la propria. Una storia che inizia un giorno del 1940 – ma forse anche prima – quando a Cavazzale, paesino alle porte di Vicenza, si incontrano i genitori Bianca e Nicola, giovanissima del luogo lei, aviere foggiano lui. Protagonisti, assieme ad una schiera di altri personaggi, di una “archeologia paesana” che permea ognuna delle pagine del libro. Un libro di ricordi dunque? In un certo senso sì, ma non solo. Sono infatti diverse le riflessioni che si possono fare sia prima che dopo averlo letto.
Innanzitutto una: scorrendo le pagine sorge spontanea in noi una domanda. Che valore hanno i ricordi nelle nostre vite? Per rispondere ci viene in aiuto la filosofia, amica fidata di chi ama la conoscenza (il termine stesso filosofia significa proprio amore per la sapienza). Secondo Marcel Proust, “Certi ricordi sono come amici di vecchia data, sanno fare pace”; “Il ricordo è un’ombra che non si può vendere, anche nel caso in cui qualcuno volesse comprarla”, scriveva Søren Kierkegaard; e Khalil Gibran pensava che “Possiamo ancora vedere la luce di stelle che non esistono più da secoli. Così ancora ti riempie e folgora il ricordo di qualcuno che hai amato per poi vederlo andar via”. L’autrice stessa ci rammenta come da grande abbia compreso che “il fuoco sacro dei ricordi non si estingue mai”.
Nel paese tanto caro allo scrittore e poeta vicentino Giacomo Zanella, caro al punto da trascorrervi gli ultimi anni della sua vita, lambito dalle acque dell’Astichel d’argentea vena, si dipanano le vite della madre Bianca – la “bella signorina veneta” – che una sera incontra l’aviere Nicola e da quel momento scatta l’attrazione reciproca, che sfocia poi nella frequentazione e nella presentazione alla di lei famiglia con relativo fidanzamento e progettazione del corredo per il futuro matrimonio, con le immancabili promesse di un amore che fin dall’inizio si preannuncia vivo e presente, “oggi più di ieri e domani più di oggi”. Belle le pagine di Marinella Laratro dedicate alla nuova casa di Cavazzale in cui, dopo lunghe ricerche e una speciale preghiera di devozione alla Madonna di Monte Berico, l’abitazione finalmente si materializza nel paese grazie alla conoscenza con un proprietario che verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso iniziava a costruire una bifamiliare tra quelle che in quel periodo sarebbero sorte lungo la neonata via Concordia: era il “paradiso per tre”, la nuova dimora in cui i genitori con la piccola Nellina si insediavano colmi di speranze e progetti per il futuro.
Al termine per i presenti ci sarà un brindisi in compagnia.
Di Alessandro Scandale, che dialogherà con l’autrice
L’artista valtellinese Francesca Candito, con base operativa a Milano e più recentemente Verona, finalista di diversi premi e protagonista di molte mostre e più recentemente di una monografia, sta esponendo le sue opere vicino a una pinacoteca importante anche se poco sfruttata, cioè quella del Chiericati, ma comunque fuori dai luoghi di solito consoni alle esposizioni, cioè appunto i musei e le gallerie, cioè il bar Matteotti di Vicenza. Un locale che non è certo estraneo all’arte, come può notare qualsiasi avventore entrando e scorgendo i vari libri esposti e le poesie attaccate alle pareti e considerando le molte presentazioni di libri e concerti che ivi avvengono. Abbiamo dunque deciso di fare quattro chiacchiere con Candito per farci spiegare la sua scelta e, per quanto possibile in poche righe, la sua arte.
Perché Vicenza? Il mio primo collezionista che ha comprato il mio quadro quindici anni fa mi ha sempre seguito, io abito a Verona non da tanto tempo perché la mia città di riferimento prima era Milano. Ora lui si trova spesso a lavorare a Vicenza negli ultimi anni e mi ha detto che voleva farmi conoscere ai vicentini e siccome conosceva il gestore di un bar (Loris Azzolin, n.d.r.) che è appassionato dell’arte e della cultura, ho accettato questa forma di esposizione diversa dal solito anche per portare l’arte fuori, il più possibile vicino alle persone, fuori dal contesto tipico dell’arte, facendo trovare l’inaspettato alle persone e con l’artista che va incontro alle persone comunicando con il mondo esterno.
L’idea di esporre in un bar è nuova per lei o lo ha già fatto? Esporre in un bar è una cosa nuova per me, ma è voluta, nasce dalla mia volontà di andare dove c’è la gente, perché le gallerie sono vuote in questo momento; io ho una galleria in centro Duomo a Milano e una in Germania, ma voglio andare incontro alla gente; io dedico tutto il mio tempo all’arte e ho scelto di fare solo questo.
Il tono dei suoi quadri, possiamo definirlo gotico e dark? È una fase o è il suo stile ricorrente? Molto spesso la gente ha paura del nero, ma è un preconcetto; nel mio caso uso il nero per evidenziare la luce, quindi il nero non è definibile dark, ma piuttosto una quinta teatrale per evidenziare l’espressione delle persone, e con espressione intendo non solo il volto, ma tutto quello che c’è; non è una fase, non è un caso, io mantengo sempre elementi di acqua e olio, a scuola ci hanno sempre insegnato che acqua e olio non si mischiano, ma è un altro preconcetto; per cercare di avvicinarmi sempre di più al volto che mi restituisce la storia ho sempre messo insieme elementi di acqua e olio, e in un libro su Leonardo da Vinci ho scoperto che lui faceva lo stesso e mi è venuto da sorridere perché spesso non facciamo una cosa solo perché ci hanno detto di non farlo.
C’è un’ispirazione particolare, nella realtà o in altri artisti, per i suoi quadri? Io non ho mai copiato un volto da un’immagine o da una persona, la mia ispirazione è la vita; io sto anche giorni a dipingere il fondo nero e questo mi serve per entrare in profondità e mi faccio guidare dalla definizione di questo volto e mi faccio portatrice di queste forme; molti artisti mi dicono che si ispirano viaggiando e andando a mostre, io se potessi dipingerei tutto il giorno, ho molta ispirazione, anzi, il problema è il contrario, cioè contenere tutto quello che ho dentro.
Molti dei volti da lei dipinti sembrano tristi. È d’accordo? Io non direi che sono volti tristi, sono volti di persone che si stanno ritrovando, molti si fermano alla tristezza, ma c’è molto di più, è una sorta di processo di risveglio, sia del soggetto dipinto, sia dello spettatore che sta guardando, quindi c’è una forma di stupore, è tutto in movimento, sia lo spettatore sia il volto, che descrive una vita e forse non una sola, ma tanti passati, c’è quello sguardo di inaspettata visione, di risveglio.
L’artista ha poi un messaggio per tutti gli artisti o aspiranti tali, in tutti gli ambiti artistici, siano essi, cinema, musica, poesia, letteratura, scultura, videoarte etc. Vorrei sfatare uno dei tanti luoghi comuni circa il fatto che è difficile campare solo della propria arte; questo è un preconcetto che va tolto. Mio padre mi diceva di non fare l’accademia di Brera, io ho fatto architettura e sono contenta, per l’impostazione che mi ha dato, ma ho deciso di fare solo l’artista e l’arte può essere cibo per i miei figli. L’artista non deve essere distratto, quindi consiglio di scommettere tutto e andare avanti e tutto quello che deve arrivare prima o poi arriva. È importante dare il messaggio che qualsiasi forma di arte va portata avanti e chi vuole fare l’artista non può fare altro e non deve avere il problema di sopravvivere, deve vivere, e non sopravvivere.
Storie Vicentine ci racconta storia e architettura del chiostro di San Lorenzo.
Il chiostro di San Lorenzo, come lo vediamo oggi, è costruzione ultimata nel 1508 in sostituzione di un primitivo chiostro contemporaneo della chiesa iniziata poco dopo il 1280.
Sul lato nord si aprono due bifore della sala del Capitolo, probabile avanzo del chiostro preesistente. La soglia di una delle bifore ha attirato l’attenzione ed è stata oggetto di studio e di ricerca. La lastra di marmo rosato è il residuo di una pietra tombale che conserva un’epigrafe incompleta e le incisioni di uno stemma araldico con cimiero e svolazzi. Risulta ridotta nelle dimensioni per sbrecciatura e con evidenti segni di un uso precedente, poi qui definitivamente riutilizzata come davanzale.
Lo stemma, parzialmente nascosto dalla base di una colonnina, raffigura sei gigli. Il blasone è confermato dal cimiero che riporta per intero la composizione dello stemma. La forma dello scudo è triangolare per cui può essere datato tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. L’elmo sopra lo scudo è semplice bacinetto all’italiana, ascrivibile al XIII secolo. Gli svolazzi riportano la figura del giglio. Il cimiero, disegnato a mezzaluna, ma con punte arrotondate, riporta i sei gigli accompagnati da una stella a sei punte.
Il blasone con la disposizione dei gigli indica un’appartenenza ai territori del Sacro Romano
Impero Germanico, Italia compresa, ma particolarmente alla regione dei Paesi Bassi. D’altronde è noto che il giglio fu usato sia come simbolo di comando, sia come ricordo della partecipazione alle varie battaglie tra francesi, inglesi e sassoni per la corona di Francia e d’Inghilterra. Lo stemma nel suo insieme richiama lo stile del famoso Armoriale Gerle con l’unica differenza che non è inclinato ma posto diritto per evitare perdita di spazio.
LETTERE GOTICHE INCISE NELL’EPIGRAFE
• GISE:
Nome proprio di origine germanica con significato di lancia. Attestato nei Paesi Bassi fin dal VI secolo, in particolare nei nomi composti di grandi personaggi. Tra gli altri: Giselbert. Si trova usato, in varie forme, dal XIII secolo in documenti inglesi.
• D’SERP…:
È la denominazione incompleta della famiglia del defunto. Trova un unico abbinamento con uno stemma a sei gigli, quello dei signori Van Scherpenzeel della Gheldria. La stella a sei punte è da considerare un’aggiunta per indicare un ramo della famiglia o la qualifica di uno dei figli primogenito, cadetto o bastardo.
• DIE ÇNEGER:
Il termine fa pensare a un’imprecisa scrittura di ‘Çenger’, da intendersi forse come soprannome da ‘tzanger’, per dire di persona pungente, acuta, o anche operosa, attiva. Tale voce è riscontrabile nel linguaggio medio-alto tedesco dal XII secolo fin quasi al XVI e ben si adatta al nome del personaggio adombrando un’immagine guerresca: lancia aguzza, perforante.
• XX …:
E’ l’inizio di una datazione? In verità nessuna ipotesi è da preferire particolarmente.
INDIZI PER UNA INDIVIDUAZIONE E UN COLLEGAMENTO STORICO
I riferimenti indicati dalle lettere gotiche sono importanti per dare un’idea dell’etnia del defunto e del compagno di viaggio o di milizia che fornì il blasone e dettò l’epigrafe per la lapide. In ogni caso non è senza significato l’attribuzione del termine ‘tzanger’ a famiglie dei milites che avevano ricoperto la carica di maresciallo. Una ricerca epistolare effettuata negli archivi, ha portato alla scoperta di un nobiluomo in partenza per la Terra Santa nel 1310 quando questi si trovava nel distretto di Hertogenbosch, nel Brabante olandese.
La circostanza e le considerazioni fatte sulla lapide, come il colore, il riuso, le incisioni e la datazione, o sul defunto, come il nome, il soprannome, la nobiltà, la milizia, la provenienza, conducono al collegamento con un personaggio protagonista di un fatto riportato dallo storico Battista Pagliarini nelle sue Cronache, laddove ricorda la morte a Vicenza di un innominato nobile pellegrino germanico diretto a Venezia per imbarcarsi verso la Terra Santa. Era all’incirca la metà del mese d’aprile 1311, all’indomani della vittoriosa cacciata da Vicenza dei Padovani dopo un dominio di cinquant’anni, quando i Padovani attuarono un improvviso, poderoso tentativo per riprenderne il controllo.
Trovandosi in Vicenza il nobile straniero non si sottrasse allo scontro tra Vicentini e Padovani, che avvenne in campo aperto nei pressi di Quartesolo.
La sua gloriosa morte meritò compianto generale e la partecipazione al funerale dello stesso Cangrande della Scala. Fu sepolto con grandi onori in un sepolcro marmoreo rosso che in seguito i frati demolirono e vendettero.
Lo storico Francesco Barbarano, trascrivendo nella sua Storia Ecclesiastica le epigrafi sepolcrali conservate nei chiostri di Santa Corona, non nomina l’esistenza di questa pietra tombale, però conferma l’uso di usurpare le sepolture di chi non aveva eredi in città. Non è certo azzardato pensare che la lapide dell’eroico pellegrino sia finita a San Lorenzo.
Allora, è molto presumibile l’identificazione del pellegrino del Bramante con quello morto a Vicenza. A questa ipotesi non contrasta il divario di mesi nelle date analizzate, considerata la durata dei viaggi di questo tipo. Infatti, nel medioevo i viaggi erano caratterizzati da visite a città e santuari con soste e diversioni notevoli dalla via maestra, e magari da un pellegrinaggio a Roma, come rivelano le relazioni del tempo.
E, infine, a quei tempi non era cosa di tutti gli anni che un signore d’alto lignaggio partisse
in pellegrinaggio da una piccola regione d’Olanda.
(Il saggio completo è stato pubblicato su “Studi e Fonti del Medioevo Vicentino e Veneto”
– Vol. IV – 2002.) Ricostruzione grafica della lapide di Luca Rigotto.
Da un saggio di Vittorio Nado e riscrittura di Giorgio Rigotto, pubblicato su Storie Vicentine n. 14-2023.
Storie Vicentine ci racconta la straordinaria vicenda di don Bortolo Fochesato, un prete semplice e accogliente vissuto sul monte che sovrasta la pianura veneta.
Tutti ne parlano o per conoscenza diretta o per ricordi dei più grandi. Quello che più sorprende che a distanza di quasi un secolo dalla sua morte anche i più giovani hanno qualcosa da raccontare, quasi l’avessero conosciuto di persona.
Il mitico don Bortolo Fochesato, per tutti il curato, ha lasciato un segno profondo a Ignago dove è vissuto per 33 anni fino alla morte avvenuta il 24 marzo 1933. Vi era arrivato all’inizio del ‘900 dopo una vita avventurosa pur essendo poco più che quarantenne. Da giovane cappellano di Posina era emigrato unendosi ai suoi compaesani in cerca di lavoro in Argentina. Là, nella diocesi del Paranà, sulle sponde del fiume omonimo, vi rimarrà per tredici anni impegnandosi a costruire case e chiese e ad offrire occasioni di lavoro per i suoi conterranei. Nel suo ingegno aveva ottenuto le concessioni governative per l’estrazione di carbone, zinco, piombo. Laggiù i posenati di terza e quarta generazione ricordano ancora quel don Bartolomè, così come raccontato dai loro avi, esponendo nelle loro case la foto come di un “santo”.
Ne abbiamo testimonianza da don Adriano Tessarolo che da parroco di Posina, qualche decennio fa, rifarà il viaggio in America latina compiuto da don Fochesato un secolo prima.
Arrivato a Ignago, il curato è infaticabile. Ingrandisce la chiesa, costruisce la casa della dottrina cristiana e insieme apre miniere di lignite per offrire lavoro. Intanto la fama di uomo dei “miracoli” si diffonde anche oltre i confini della provincia. Alla domenica le vie che salgono verso Ignago sono piene di gente che ricorre al venerato curato. Per una guarigione, un ritrovamento, una riconciliazione, una difficoltà da risolvere. La “curazia” non ha più confini e i fedeli sono i pellegrini del curato. Per questo Lui provvederà a costruire l’ospedale del malato, una casa così povera di mezzi rimasta in piedi per miracolo e nei pressi una piccola sorgente d’acqua per le guarigioni di quanti vi si bagnavano.
Il curato attribuiva quegli straordinari accadimenti al patrono della sua chiesa, S.Leonardo abate.
Anche il vescovo Rodolfi ne farà esperienza quando la sua vettura si bloccherà avendo oltrepassato il piccolo centro di Ignago senza sostare per salutare il curato. E solo dopo essere ritornato letteralmente sui suoi passi e abbracciato il curato, la vettura riprenderà la sua corsa verso Vicenza. Per parte sua il curato non ha un attimo di riposo. Impegnato com’è nell’ascoltare, benedire, pregare, aiutare. Povero in canna, per sé non tratteneva
nulla di quanto riceveva in riconoscenza per i suoi interventi, lo distribuiva ai più poveri. Tanto che la sorella Teresa, che lo assisteva, ne ebbe spesso a lamentarsi e lui a rimproverarla ironizzando sulla sua condizione di eterna nubile. Da lassù il curato aveva scosso mezzo mondo e per questo più nessuno lo dimenticherà.
Ne abbiamo fatto esperienza di persona nel marzo scorso alla presentazione della biografia “Il curato di Ignago”. L’ambiente predisposto dal sindaco di Isola Vicentina, di cui Ignago è frazione, non poteva contenere la gente giunta colà da ogni dove. Si sono aperte allora le porte della chiesa per contenere così tanti pervenuti.
Era la vigilia dei 90 anni dalla morte del curato e tutti volevano sentir raccontare la straordinaria vicenda di un prete semplice e accogliente vissuto sul monte che sovrasta la pianura veneta.
Di Giovanni Bertacche da Storie Vicentine n. 14-2023