Arrivano a Vicenza le giovani donne del Laboratorio di ricerca Aletheia Ca’ Foscari per riflettere sul presente con i grandi classici antichi. L’appuntamento è per martedì 16 maggio alle 18 nella sede della Biblioteca Bertoliana di Palazzo Cordellina (contra’ Riale 12) sul tema della violenza della guerra. E se ne parla intorno a un nuovo libro, “Il grido di Andromaca. Voci di donne contro la guerra”, a cura di Alberto Camerotto, Katia Barbaresco e Valeria Melis (De Bastiani Editore, 2022), con le parole di Omero e con le voci di Andromaca e delle donne della città sotto l’assedio dei nemici: sono proprio le donne che affrontano i dolori più grandi della guerra per diventare testimonianza e parola critica.
Introducono la discussione Dino Piovan (Accademia Olimpica Vicenza) e gli interventi dedicati al significato della “voce delle donne oggi” di Anna Trevisan (giornalista) e Antonella Carullo (liceo Brocchi di Bassano).
Con le parole del mito e della poesia greca, saranno in azione Katia Barbaresco, Anna Baldo, Chiara Mingotti, Silvia Bigai, Costanza Uncini. Spiegheranno attraverso gli occhi di una donna del racconto epico della guerra di Troia, tra Andromaca, Ecuba, Cassandra, Pentesilea, Tecmessa e Nausicaa, il significato di questo nuovo libro, di cui sono le autrici, per capire e immaginare che cosa si può fare per trovare le vie della pace.
La piccola Abbazia dedicata a Sant’Agostino sorge non lontano da Vicenza, ai piedi della collina di Valmarana, nel Balsego (da Bassicum, toponimo che indica chiaramente la natura del luogo, bassa e ricca di acque). Dal Santo ha preso nome anche la località.
In questa terra attraversata dal Retrone e dal Dioma, corsi d’acqua capricciosi e soggetti ad esondazioni, fino dall’epoca longobardica-carolingia esisteva una chiesetta dedicata allora a San Desiderio. Non sappiamo quale dei santi, che la Chiesa venera con tale nome, ne fosse il titolare: forse San Desiderio vescovo di Langres, martirizzato in Gallia nei primi anni del V secolo. Il Saccello di San Desiderio con annessa abitazione fu affidato dal 1188 al 1236 ad una congregazione laica e rimase poi per motivi ignoti abbandonato.
Qui nasce una grossa discussione storica se la Badia è sorta sopra il Saccello o come sostiene lo storico vicentino Giovanni Mantese “iuxta S. Desiderium” basandosi su documenti che ancora nel 1429 nominano espressamente detto Saccello. Nel 1236 passò ai frati di S. Bartolomeo ma date le ingenti spese necessarie per il mantenimento nel 1288 venne chiesta la facoltà di inviarci alcuni laici penitenti che fronteggiassero la situazione. Nel 1319 Fra’ Giacomo di Ser Cado di Borgo San Felice, facendo professione dinnanzi al Vescovo di Vicenza della regola di S. Agostino si impegnò a restaurare la Chiesa e convento dedicandoli a Sant’Agostino: Agostiniani, Vicentini e Veronesi (tra i quali Cangrande) permisero la totale ricostruzione tra il 1322 e il 1357, in tale anno venne concluso anche il Chiostro, dello stesso anno probabilmente gli affreschi interni.
Abbazia di Sant’Agostino Vicenza
Nel 1399 la Badia fu contesa tra l’ordine di San Giovanni di Gerusalemme e l’Episcopio Vicentino, nel frattempo gli Agostiniani non c’erano più e il vescovo affidò il complesso al riformatore Bartolomeo da Roma; nel 1401 era priore del monastero Gabriele Condulmer (poi noto come Papa Eugenio IV) che cedette poi il beneficio a Lorenzo Giustiniani, altro grande riformatore, che si trasferì con i dodici canonici secolari di San Lorenzo in Alga, qui il Santo compose le sue opere mistiche si dice dinnanzi al Crocifisso, e l’ordine continuò ad operare fino al suo scioglimento nel 1668.
Di nuovo il complesso subisce un grosso abbandono, acquistato dal patrizio veneziano Antonio Pasta nel 1671 per farne un patronato laico, dopo grosse diatribe con l’Abate di san Felice risolta con una convenzione del 1718 che mal venne rispettata fino al 1786 quando fu cessata la proprietà del Pasta. Nel 1899 viene chiusa per ragioni di sicurezza. Tra il 1900 e il 1905 su iniziativa di Valentina Zamboni e del Notaio Giacomo Bedin in ricordo di Tiziana come commemorato da una targa nel chiostro, si provvede ad un restauro generale della Chiesa. Il 13 settembre 1925 è eretta Parrocchia. Il 1 settembre 1935 Sant’Agostino viene affidata al parroco Don Federico Mistrorigo, che compie grandi opere di ripristino, togliendo le sovrastrutture accumulatesi e mettendo alla luce le decorazioni ad affresco, rendendo l’Abbazia la più grande superficie medioevale affrescata di tutta la provincia di Vicenza.
Questo luogo è stato fonte di ispirazione per le opere mistiche di San Lorenzo Giustiniani, l’accademico Padre Meersseman o.p. che tra le varie opere scrive un articolo sui penitenti rurali comunitari della valle di S. Agostino (sec. XI); l’Abbazia è oggetto anche di molti componimenti del poeta Adolfo Giuriato. La Chiesa oggi è inserita nell’Unità Pastorale di Sant’Agostino, Sant’Antonio e San Giorgio in Gogna è sede dell’Ordine Equestre dei Cavalieri del Santo Sepolcro e sede di un Centro Studi Medioevale.
Panoramica del complesso
Abbazia di Sant’Agostino Vicenza interno
La facciata nella parte inferiore della muratura è a conci di pietra dei Colli Berici, probabili avanzi del primitivo saccello di S. Desiderio, sormontati da strati di materiale rozzo e mattoni, le fondamenta di un altro muro perimetrale sono stati trovati all’interno durante i lavori di pavimentazione svolti attorno agli anni ‘50, l’ubicazione di questo muro è ricordata da un segno appositamente tracciato sull’intonaco, tra la seconda e la terza finestra del lato a mezzogiorno. La struttura a capanna si corona di archetti ciechi, ritmati da due lesene che individuano una fascia centrale, in corrispondenza della porta, sopra il rosone con vetri rotondi legati a piombo.
Sull’architrave della porta sta incista in caratteri gotici la storia della costruzione dal 1322 al 1357, nelle tre nicchie superiori dovevano esserci degli affreschi di cui ora rimangono solo sbiaditissime tracce. Dagli angoli si protendevano in avanti due muraglie, a recingere il sagrato della chiesa, usato anticamente come cimitero e pavimentato in trachite nel 1941-42. Avanzi di mura si notano ancora vicino alla parte inferiore della lesena angolare destra, sulla sinistra rimangono delle travi che reggevano un portico, il quale doveva essere simile a quello opposto. L’interno dell’Abbazia si presenta a navata unica rettangolare con soffitto a capriate scoperte, le vaste chiari pareti spezzano solo nel fondo la loro continuità, per aprirsi in tre cappelle quadrangolari non absidate.
Al vano centrale più ampio e quadrato, in funzione di presbiterio, se ne affiancano due minori rettangolari, tutte e tre le cappelle sono ricoperte da volta a crociera ed inquadrate da archi a sesto acuto e finestre gotiche sormontate nelle laterali da un oculo. Partendo dall’ingresso principale, troviamo a destra una fonte battesimale del ‘600 con un Battista opera di Neri Pozza originariamente costruito per un altro battistero che era posto dal lato opposto ma non venne portato a termine da Don Federico Mistrorigo; Accanto alla fonte battesimale due formelle marmoree della seconda metà del ‘500 probabili ex voto che rappresentano Natività ed Annunciazione, in una nicchia immediatamente successiva c’è un iscrizione che narra la storia dell’Abbazia dove è stata collocata una statua della Madonna col bambino che prima era posta nel chiostro, segue una fascia affrescata, probabilmente opera di Tommaso da Modena ed altri a generiche maestranze romagnole del ‘300. La prima porta a destra si apre sul chiostro, accanto alla porta si nota una scultura in sasso del ‘400 con l’Eterno Padre benedicente.
La Sacrestia è un piccolo ambiente, cui si accede dalla porta in fondo al lato destro della chiesa; tra le finestre sta adossato un altare settecentesco, alcune foto del restauro della chiesa e due tele di maniera bassanesca. Infondo alla navata, entrati nella cappella destra troviamo un altare settecentesco che dopo il restauro del 1941\42 conserva solo mensa e tabernacolo. La parete a mezzogiorno è tutta decorata ad affresco; nella fascia in alto, a destra, quattro figure di Santi, sotto la Madonna in trono tra il Battista e San Giacomo del XIV secolo; a sinistra Cristo sulla croce, non in atteggiamento di sofferenza, ma di regalità trionfante, indossa una tunica e sotto ai piedi stanno calice e patena simbolo di ressurrezione, un’iconografia suggerita dalla famosa immagine del “Volto del Santo” di Lucca, voluta nella chiesa di Sant’Agostino con ogni probabilità dai successori di Mastino II della Scala signore di Lucca.
Nel presbiterio domina, sull’altare il Polittico eseguito espressamente per la chiesa da Battista di Vicenza nel 1404 su commissione di Ludovico Chiericati per celebrare l’unione di Vicenza alla Serenissima decisa quell’anno. L’autore che attraverso gli influssi emiliani risente del grande insegnamento giottesco rimane attardato in un prezioso goticismo. Il Polittico è diviso in ventiquattro scomparti con pitture disposte su tre ordini.
Al centro sta la Madonna col Bambino. Da sinistra, sullo stesso piano, entro nicchie gotiche e compiti su fondo oro, si succedono in piedi diversi Santi: Agnese, Girolamo, Paolo, Caterina d’Alessandria. Al centro dell’ordine superiore un trittico con l’Ecce Homo e ai lati Maria e S. Maria Maddalena, sopra il Padre. Ai lati da sinistra sono S. Quirico, gli evangelisti e S. Giorgio. Sul Basamento al centro, S. Giovanni Battista con ai lati S. Fermo, S. Giovanni Crisostomo, S. Gregorio Papa, S. Cipriano, S. Ambrogio, S. Rustico.
Risulta così evidenziata e preminente la fascia centrale verticale incentrata sul Cristo: dalla scritta in basso “Ecco l’Agnello di Dio”. Il Polittico poggia su un basamento in pietra tenera ed ha davanti una semplice mensa donata dalla Cave Dalle Ore e lavorata dallo scultore Zanetti. Il Polittico fu oggetto di traslochi e deperimento, il 25 ottobre 1946 il Consiglio Comunale di Vicenza lo legò perpetuamente alla Chiesa di Sant’Agostino. L’opera fu oggetto di furto e trafugazioni, solo il 31 agosto 1974 fu messo sotto allarme.
La volta del presbiterio è affrescata, e qui si trova il complesso decorativo più importante della Chiesa: nelle vele stanno i quattro evangelisti alternati a quattro dottori della Chiesa (adiacenti all’arco d’ingresso e proseguendo in senso antiorario, osserviamo: il Leone di S. Marco e l’Angelo di S. Matteo. S. Agostino e S. Ambrogio, il bue di S. Luca e l’aquila di S. Giovanni, S. Gregorio Magno e S. Girolamo) secondo l’iconografia emiliana guardano alla Gloria consigliati da angeli e dalle virtù teologali e cardinali, nella chiave di volta l’Eterno Padre in gloria; nelle lunette laterali scene evangeliche: sulla parete nord, Annunciazione, Nascita di Cristo, Adorazione dei Magi; sulla parete Sud, altre quattro scene della vita di Cristo, l’Ultima Cena, Lavanda dei Piatti, Cristo nell’orto degli ulivi e la cattura di Cristo. La lunetta sopra all’altare presenta la Crocifissione sovrapposta all’Ascensione di Cristo.
Dietro l’altare, nella parete tra le finestre a sinistra la Messa, a destra il Sacrificio dell’Antica Legge, sotto una pietà. Nel pilastro di destra è presente un affresco di S. Agostino e a sinistra Madonna con il Bambino e S. Caterina Martire. Completa la sistemazione del presbiterio due panconi seicenteschi. A sinistra del presbiterio, si trova la Cappella della Madonna, adornata di un altare seicentesco, guardando alla parete sinistra si trova un organo acquistato negli anni ‘90 a trasmissione meccanica del 1830.
Sopra la porta che da accesso al campanile, un orologio con quadrante quattrocentesco; la parte centrale della parete reca affreschi votivi entro una squadratura regolare di cornici; le fasce sono interrotte dalla gigantesca figura di San Cristoforo, ora mutila inferiormente ma che doveva arrivare al pavimento. In due riquadri della fascia superiore c’è una piccola figura inginocchiata identificata con Dante. Addossato alla parete un crocifisso ligneo del’ 400 dinnanzi al quale pregava San Lorenzo Giustiniani e scelto tra i vari crocifissi vicentini in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II. A sinistra degli affreschi è presente un sarcofago senza epigrafe.
Il Chiostro ha accesso dalla porta sulla parete destra, sui ruderi dell’antico convento, nel 1905 venne costruito un edificio scolastico, nel 1951 seguendo il colonnato venne ripristinato il portico e posto al centro una vera da pozzo dedicato alla memoria dei caduti di guerra; recentemente è stata posta una statua di Sant’Agostino opera dello scultore Decembrini, sotto al porticato è presente una nicchia con le vecchie campane la maggiore delle campane reca la data 1462 ed un’iscrizione gotica invitante alla preghiera, l’altra è pregevole fonditura di Francesco De Maria sulla sinistra il monumento a don Federico Mistrorigo, opera di Mirko Vucetich collocato nel 1955.
Il Campanile contemporaneo al rifacimento trecentesco con pareti in cotto rosso innervato da due lesene angolari e da un’altra che corre al centro. Una fascia di archetti ciechi spezza in due lo sviluppo in altezza. Agili bifore si aprono su tutti i lati. Tre nuove campane volute dall’allora parroco Don Giuseppe Baggio formano un concerto di do diesis maggiore, una vuole ricordare i defunti della parrocchia, un’altra i caduti e dispersi delle ultime due guerre mondiali, la terza il restauro della Badia e il ritorno del Polittico.
Di Agata Keran da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022
Alessandro Maganza ebbe il primato in campo artistico nella città di Vicenza a partire dalla seconda metà del Cinquecento, in pieno clima controriformista e di pieno rinnovamento della chiesa cattolica.
All’interno della sua fiorente bottega, Alessandro operò per i nuovi cantieri religiosi della città di Vicenza caratterizzati dal pieno fervore edilizio in concomitanza con le nuove prescrizioni dell’arte sacra che doveva apparire chiara e persuasiva affinché il popolo fosse in grado di comprendere sia i profondi misteri della passione di Cristo che le vite dei santi martiri, costituendo fondamentalmente un modello di insegnamento etico per tutti i fedeli.
Una pittura estremamente chiara ed edulcorata in cui prevaleva decisamente una composizione calibrata e serena ma nello stesso tempo priva di tutte le artificiosità e ampollosità tipiche dell’arte manierista fiorentina.
Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento Vicenza divenne un importante cantiere architettonico in cui i nuovi edifici religiosi compresi oratori e confraternite modificarono profondamente il volto della città: per citarne alcuni, vennero fondate le chiese di San Valentino (1584), San Filippo e Giacomo (inizi del 600’) e l’oratorio del Gonfalone (1599).
Alessandro Maganza si distinse in città per la grande mole di pale d’altare e di cicli pittorici di una grande forza espressiva ed innovativa che durò fino alla prima metà del Seicento per lasciare il posto al pittore più aggiornato del momento cioè Francesco Maffei e subito dopo al grande Giulio Carpioni, tra i maggiori protagonisti del Barocco vicentino. Durante la Controriforma l’opera di Alessandro Maganza divenne un punto di riferimento per l’arte sacra in città e si può parlare anche di un rinnovamento dell’iconografia religiosa dopo la fase rinascimentale in cui si guardava alle novità di Giovanni Bellini e di Veronese.
Ma la pittura di Alessandro, altresì, si carica di una certa forza e di un evidente pathos e drammaticità che la pittura vicentina non aveva mai conosciuto prima d’ora: le figure appaiono possenti e monumentali e in modo particolare i gesti diventano evidenti e concitati; non si dovrebbe parlare solamente di un artista minore, il quale ha attinto in modo poco originale da numerose fonti artistiche quali Paolo Veronese, Palma il Giovane e Tintoretto ma a mio avviso il vero Alessandro Maganza, svincolato dai modi ripetitivi e retorici della bottega, è abbastanza riconoscibile per la forza espressiva resa evidente nelle opere di soggetto sacro di notevole impostazione sia nel modellato che nel forte chiaroscuro con la finalità di enfatizzare il pathos nella scena religiosa.
Sicuramente il contributo maggiore di questo artista lo abbiamo nel cantiere del Duomo, nella chiesa di Santa Corona (cappella del Rosario), nell’oratorio del Gonfalone e in San Domenico. Addirittura un suo dipinto lo possiamo ammirare presso la Galleria Palatina a Firenze. Tuttavia, troviamo i suoi numerosi dipinti nelle varie chiese di Vicenza e di Padova e persino a Palazzo Chiericati.
Alessandro nacque a Vicenza nel quartiere di San Pietro nel 1548. La madre era Thia Dal Bianco. Dopo un primo apprendistato presso la bottega paterna, Alessandro riceve l’insegnamento dal pittore locale Giovanni Antonio Fasolo, allievo probabilmente di Paolo Veronese. Nel 1572 si sposò ed ebbe 5 figli : quattro maschi (tutti pittori) e una femmina. Successivamente, Alessandro si trasferì a Venezia, su consiglio dello scultore Alessandro Vittoria, dove si trattenne fino al 1576.
Il suo linguaggio pittorico progredì decisamente dopo il soggiorno presso la città lagunare nella quale i numerosi stimoli artistici e culturali, tra i quali la visione diretta della pittura del Tintoretto e soprattutto della maniera aggiornata di Palma il Giovane, poterono provocare in lui numerose suggestioni e stimoli fino a farlo maturare definitivamente. Una volta tornato a Vicenza, sollecitato dagli esponenti dell’Accademia Olimpica, egli diresse per quasi mezzo secolo una fortunatissima bottega con l’ausilio dei suoi quattro figli maschi dando vita ad una vera azienda familiare che dispensava pale d’altare non soltanto nel territorio vicentino ma anche in centri più lontani del Veneto e della Lombardia.
I biografi di Alessandro Maganza, cioè il Ridolfi e il Boschini, motivarono il particolare successo della bottega maganzesca, che risiedeva innanzitutto nella mancanza di una concorrenza diretta oltre che nell’adozione di un linguaggio chiaro e perfettamente aderente ai dettami della Controriforma.
Opere di Alessandro Maganza
La prima opera nota di Alessandro è la Madonna con il Bambino e i quattro Evangelisti del Santuario di Monte Berico, realizzata nel 1580: la pala, che riprende l’impostazione compositiva di un’opera dello Zelotti a San Rocco, venne commissionata dal Collegio dei Notai di Vicenza; inizialmente ubicata all’interno del santuario mariano, ora si trova nel refettorio-pinacoteca di Monte Berico, all’interno del quale si può ammirare anche il Convito di San Gregorio Magno di Paolo Veronese. Originariamente il Maganza firmava nel 1579 un contratto con il Collegio dei Notai per una pala che raffigurava i quattro evangelisti, lo Spirito Santo e la Madonna con il Cristo morto in braccio e figure angeliche ma Alessandro si discostò leggermente dalla committenza apportando alcune modifiche all’idea iniziale.
L’iscrizione sull’altare ancora presente in loco documenta che l’opera è stata realizzata per ringraziare la Vergine dopo aver liberato Vicenza dalla peste del 1577-1578. I santi Marco e Luca sono i patroni dei notai, il che spiega la loro presenza nella pala. Il fulcro della composizione corrisponde al volto santo di Maria, al centro del dipinto, dove convergono le linee prospettiche che allargano illusionisticamente lo spazio creando una notevole profondità in cui le figure però sono inserite in pose lambiccate e contorte, uno stile figurativo che è debitore del Manierismo pittorico di matrice fiorentina. La luce sovrannaturale fa risaltare le stoffe e i mantelli degli evangelisti trasfigurando l’ambientazione sacra che appare ieratica e senza una consistenza terrena; inoltre, i quattro evangelisti sono abbigliati come dei filosofi dell’antichità non diversamente da quello che si può ammirare entrando nelle chiese paleocristiane di Roma.
Nel 1584 il Maganza progettò la piccola chiesa vicentina di San Valentino, una grande opportunità per Alessandro di dimostrare anche le sue doti di architetto. Secondo lo studioso Franco Barbieri, l’architettura della chiesa, annessa in origine ad un ospedale ora scomparso, venne progettata proprio da Alessandro Maganza, autore anche degli affreschi nella fascia superiore della facciata raffiguranti San Valentino e la Pietà, entrambi del 1584.
Carlo Ridolfi nelle sue Maraviglie dell’Arte del 1648 parla esplicitamente degli affreschi della facciata di non eccelsa fattura e ascritti ad Alessandro Maganza mentre Marco Boschini loda oltre modo sia le pitture ad affresco della facciata che la pala di San Valentino che risana gli infermi,un olio su tela del 1585, attualmente esposta all’interno della Basilica dei SS. Felice e Fortunato. A proposito della pala di San Valentino, così la descrive Marco Boschini: «La tavola dell’altare maggiore contiene la B.V. col Bambino sopra le nubi, e à basso S.Valentino, con una quantità d’Infermi, che lo pregano di salute: huomini, donne e Bambini, opera delle singolari di Alessandro Maganza».
Edoardo Arslan, nel suo volume delle chiese di Vicenza, vi riconosce una delle migliori fatiche di Alessandro visibili a Vicenza, nonché un linguaggio figurativo molto vicino a Jacopo Tintoretto; Franco Barbieri giudica la pala di San Valentino un’opera animata da un soffio di commossa e grandiosa oratoria. Tuttavia , il dipinto pur risentendo dello stile di Tintoretto il Miracolo di Sant’Agostino del 1550, mostra una sua originalità compositiva ravvisabile in modo particolare nelle figure plastiche e vigorose degli infermi nonché nella resa spaziale messa in evidenza dal profondo pronao che taglia trasversalmente la fascia mediana del dipinto unendosi all’imponente figura di San Valentino che porta la mano sinistra sul petto mentre rivolge il braccio destro verso gli infermi.
I colori sono smaglianti e la luminosità diffusa, che mette in risalto le stoffe degli abiti dei personaggi, è memore della lezione di Paolo Veronese a cui guarderà spesso Alessandro Maganza.
In alto, si affaccia la Vergine Maria con in braccio Gesù Bambino, scosso quest’ultimo da un anelito di vitalità.
La diagonale disegnata dal basamento su cui poggiano le colonne (plinti) suddivide lo spazio in due settori, mettendo in evidenza la realtà terrena in primo piano e la trascendenza nelle sfere più alte: si spalancano le porte del Paradiso e domina una visione sovrannaturale che dona speranza e riscatto ai poveri derelitti presenti nel margine inferiore del dipinto.
Di Francesco Caracciolo da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022
Il nono forum internazionale Biodanza sociale e clinica dal titolo “Amo dunque sono”, organizzato da Centro Gaja – Scuola di Biodanza di Vicenza, si svolgerà in città dal 25 al 28 maggio 2023.
L’evento gode del patrocinio del Comune di Vicenza ed è aperto a chiunque abbia interesse alla propria e altrui salute, avrà luogo all’hotel Viest e ospiterà congressisti e relatori provenienti da diversi Paesi, con l’intento di porre il focus sulla prevenzione e sul prendersi cura di se stessi, oltre che su metodologie di cura tramite la Biodanza.
Il forum è stato presentato, a Palazzo Trissino, dall’amministrazione, da Giovanna Benatti, formatrice internazionale direttore del Centro Gaja – Scuola di Biodanza Rolando Toro e da Andrea Spolaor, psicologo – psicoterapeuta familiare, direttore del centro diurno per la salute mentale “Davide e Golia – Cooperativa sociale M25”.
“La città ospita un evento dall’elevato valore che punta a far conoscere le aree di applicazione sociale e clinica della Biodanza – fa sapere l’amministrazione –. Il forum è rivolto a tutti, ma in particolare a quanti svolgono professioni sociali, sanitarie e educative, a familiari di persone con disabilità e caregivers. Un’occasione dunque per approfondire con esperti internazionali i temi della salute, dalla cura di se stessi fino alla prevenzione”.
La Biodanza è una modalità d’azione che da 30 anni è portata avanti dal Centro Gaja – Scuola di Biodanza Rolando Toro di Vicenza, impresa di promozione sociale (Aps) volta a promuovere la Biodanza come pedagogia di inclusione sociale e che 13 anni fa ha dato vita al forum biennale internazionale, la cui prima edizione fu tenuta a battesimo dall’ideatore di Biodanza, il professore Rolando Toro.
“Si tratta di uno spazio interattivo, esperienziale, pratico e formativo – spiega Giovanna Benatti, formatrice internazionale direttore del Centro Gaja – Scuola di Biodanza Rolando Toro – dedicato a chiunque abbia a cuore l’arte di stare meglio. L’intento è quello di spostare l’attenzione dalla malattia o dal disagio alla persona e alle sue risorse, favorendo così una vera e propria “riabilitazione esistenziale”. Il forum ha conquistato un suo spazio a livello internazionale e Vicenza è vista come la capitale mondiale della Biodanza legata ai temi della pedagogia a mediazione corporea, del benessere integrato e dell’inclusione sociale”.
L’evento gode del patrocinio del Comune di Vicenza, dell’Ulss 8 Berica e del movimento ecologista Conscious Planet – Salva il Suolo, sostenuto da nove agenzie delle Nazioni Unite e dal Programma alimentare mondiale (WFP).
L’obiettivo del forum è quello di divulgare le aree di applicazione sociale e clinica del sistema Biodanza, delle quali è promotore e supervisore, fin dalla prima edizione, Andrea Spolaor, psicologo-psicoterapeuta familiare, direttore del centro diurno per la salute mentale “Davide e Golia – Cooperativa sociale M25” che dal 1999 ha seguito i gruppi vicentini di Biodanza clinica Davide e Golia.
I progetti di applicazione del sistema Biodanza sono molteplici:integrazione di anziani della terza e quarta età, immigrati, carcerati (area sociale); azioni per le famiglie volte alla prevenzione e ad interventi contro la violenza domestica e in ambito scolastico nell’educazione primaria e secondaria (area educazione); integrazione di bambini, adolescenti e giovani immigrati per la prevenzione del disagio minorile in quartieri a rischio(area educazione clinica); interventi per persone con disagio psichico medio e grave, disabilità e disturbi alimentari e del comportamento, disturbi neurologici, per la riabilitazione della tossicodipendenza, alcolismo, per la riduzione dello stress negli operatori clinici e sociali (area clinica).
Tra le finalità del forum anche quella di favorire la conoscenza e l’applicabilità della pedagogia sociale della motricità a medici di base, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali e assistenti di comunità e insegnanti di educazione fisica, oltre che a genitori con figli disabili e con disagio psichico.
Anche nel corso dell’Ottocento la moda ed il look creavano un vero e proprio status symbol variegato e multiforme e sempre attento alle nuove e popolari tendenze. Anche Vicenza seguiva la moda dell’epoca.
In particolare erano presenti tre ditte (Panzoni, Carraro e Castellan) che vestivano i vicentini. Gli uomini più facoltosi erano soliti portare pantaloni, gilet, giacca, camicia, cravatta tipo foulard, soprabito, cappotto a falde, pastrani, cappelli di vario tipo, rigidi o di feltro colorati.
I convittori dell’aristocratico collegio San Marcello portavano la feluca (cappello retaggio settecentesco stile Napoleone) sotto il braccio. Nei contadini persistevano le “brache corte, i velluti e le tele grigie o tabari, mantelle”.
Da alto sx: Le basette di Palmerston, Fedele Lampertico, Almericoda Schio, la soprano Giulia Grisi, lo storico Formenton, Mariano Fogazzaro
I preti indossavano “foggie attillate col tabarrino a striscia, col collettino di perline cilestri, e l’ampio tricorno”. Specialmente di moda era il taglio di capelli cosiddetto “alla Fieschi”, le basette “alla Palmerston”, baffi alla tedesca e pizzetto cosiddetto all’italiana. Per quanto riguarda l’universo femminile, foleggiava il “toupè alla Grisi” imitazione dell’acconciatura del soprano italiano Giulia Grisi.
I corsetti si chiamavano “alla Pompadour”, “all’Antonietta” e “alla Giuseppina”. Anche le donne portavano cappelli “all’Ernani” per la fama del bandito omonimo, soprattutto per esprimere ribellione, cosicché gli Austriaci lo dovettero vietare e poi si usavano berretti “alla Calabrese”, “alla Garibaldi” e “alla Bolivar” (patriota che lottò per l’indipendenza del Venezuela). Naturalmente c’erano cappelli femminili con pizzi e velette.
Gli abiti erano sempre di tendenza accompagnati da monili. Le mode allora, come le sete e le stoffe, duravano anni, a differenza delle odierne “che possono dirsi giornaliere”.
Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022
Sabato 13 maggio 2023, alle 21 e 30 al teatro Comunale si esibirà l’Orchestra Popolare “La Notte della Taranta” nell’ambito del festival New Conversations – Vicenza Jazz. Il tradizionale concerto gratuito in piazza torna quest’anno a illuminare il festival per la prima volta dopo la pandemia, grazie allo specifico contributo di AGSM-AIM.
L’evento avrebbe dovuto svolgersi in Piazza dei signori, ma a causa del maltempo previsto per sabato 13 maggio 2023 il concerto gratuito è stato spostato.
Direttamente dal Salento, sbarca a Vicenza la celeberrima Notte della Taranta, con tutto il suo corteo di ballerini posseduti, danzatori indiavolati e il necessario contorno di cantanti e musicisti impegnati a scatenare un’apoteosi della danza coi loro ritmi di pizzica sempre più vorticosi, sino all’esorcismo finale.
Il flusso musicale della Notte della Taranta libera un’energia primordiale, a partire dalla sua chiave essenziale, il ritmo del tamburello, che permette a musicisti, danzatori e ascoltatori di vibrare in perfetta sintonia con la natura circostante. Viene così aggiornata e ricontestualizzata la funzione sociale e terapeutica della pizzica, chiamata a esorcizzare i mali di oggi.
L’Orchestra Popolare “La Notte della Taranta” è l’espressione ufficiale dell’omonimo e celeberrimo festival, inaugurato nel 1998 e diventato col tempo il più grande appuntamento dedicato alla musica popolare in Italia. La vasta risonanza anche internazionale raggiunta dalla Notte della Taranta ha rinnovato le fortune della pizzica, la musica tradizionale salentina, portandola a dialogare con altri linguaggi musicali. Importanti direttori e solisti vengono regolarmente convocati per rinnovare l’esuberante festa della danza salentina: tra i primi si sono succeduti Daniele Sepe, Joe Zawinul, Piero Milesi, Stewart Copeland, Ambrogio Sparagna, Goran Bregović, Carmen Consoli, mentre come guests dell’orchestra si sono ascoltati, tra i tanti, Fiorella Mannoia, Enzo Avitabile, Luciano Ligabue, Roberto Vecchioni, Emma, Max Gazzè, Niccolò Fabi, Simone Cristicchi, Eugenio Finardi, Vinicio Capossela, Caparezza, Massimo Ranieri, Lucio Dalla, Morgan, Richard Galliano e innumerevoli esponenti delle musiche dal mondo, compresi Noa e il Buena Vista Social Club.
Attorno a questo momento particolarmente festivo, si disporranno numerosi altri appuntamenti. Alla Libreria Galla (ore 17) verrà inaugurata la mostra “She, Coltrane. Paintings for Alice” con i dipinti di Giorgia Catapano dedicati ad Alice Coltrane. Sarà presente l’artista, che dialogherà con Riccardo Brazzale e Giovanna Grossato. La mostra rimarrà poi aperta sino al 28 maggio. Gli intrecci tra jazz e altre forme artistiche continuano all’Odeo del Teatro Olimpico (ore 18:30) con “Note sui Sillabari”, su testo di Vitaliano Trevisan dagli scritti di Goffredo Parise, con Patricia Zanco (voce recitante) e il Marcello Tonolo Trio. E poi ancora alle Gallerie d’Italia, Palazzo Leoni Montanari (ore 22:30) con “Mito”, letture poetiche musicate dalla clarinettista Zoe Pia assieme alla pianista Cettina Donato.
Il festival New Conversations – Vicenza Jazz 2023 è promosso dal Comune di Vicenza in collaborazione con la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, in coproduzione con Trivellato Mercedes Benz, con AGSM AIM come sponsor principale e Acqua Recoaro come sponsor tecnico.
Nell’ambito di New Conversation-Vicenza Jazz, domenica 14 maggio 2023 le sorelle Katia e Marielle Labèque debuttano al Teatro Olimpico di Vicenza grazie alla collaborazione con la Società del Quartetto. Metà francesi, metà italiane, le “cattive ragazze” del pianoforte possiedono un repertorio che spazia dal barocco al rock, con frequenti incursioni nel jazz. Programma sognante con gli amatissimi francesi Debussy (Épigraphes Antiques) e Ravel (Ma Mère l’Oye), l’ultimo Schubert e le Songs da West Side Story di Bernstein.
Considerate dal New York Times e da gran parte della critica “il miglior duo pianistico del panorama internazionale”, Katia e Marielle Labèque suonano assieme da quando avevano rispettivamente 5 e 3 anni, grazie agli insegnamenti impartiti da Ada Cecchi, la loro mamma, raffinata pianista originaria di Torre del Lago.
Da piccole bisticciavano tantissimo, accusandosi reciprocamente di rubarsi spazio sulla tastiera. Ma quando, al concerto finale del Conservatoire de Paris, la giuria attribuì a entrambe l’ambitissimo Primo Premio, capirono che suonare assieme sarebbe stata la loro strada.
In 50 anni di attività concertistica il duo si è esibito ovunque esplorando l’intero repertorio a quattro mani e per due pianoforti, da Bach agli autori contemporanei. Il segreto di una simbiosi pressoché unica nel panorama musicale internazionale sta forse nel fatto che le due sorelle sono come il giorno e la notte: Katia, la maggiore, è tutta dinamismo ed esuberanza, mentre la più giovane Marielle è più riflessiva e romantica.
Le “sorelle terribili” hanno inciso 60 dischi, si sono esibite nei più importanti teatri e con le più rinomate orchestre del mondo (dai Berliner alla Gewandhaus, dalla New York Philharmonic alla Concertgebouworkest) dirette da personaggi come Mehta, Dudamel, Ozawa, Pappano, Prêtre e Rattle. Senza contare il rapporto molto stretto con compositori come Berio, Ligeti, Messiaen, Boulez e con artisti tutt’altro che classici come Sting, Chick Corea, Miles Davis, Herbie Hancock e Madonna, solo per citarne alcuni.
Il sognante programma proposto da Katia & Marielle Labèque per il loro debutto in terra vicentina inizia con le atmosfere rarefatte delle Six épigraphes antiques di Claude Debussy, pezzi dalla sonorità “sospesa” datati – nella versione per pianoforte a quattro mani – 1914 e ispirati alle “Chansons de Bilitis” dell’amico poeta Pierre Louÿs. Proseguendo sullo stesso filone sognante, le sorelle italo-francesi propongono poi la Fantasia in Fa minore Op. 103 scritta da Franz Schubert a pochi mesi dalla prematura morte. Autentica poesia sonora dedicata alla contessa Carolina Esterházy, la Fantasia presenta una sequenza di quattro movimenti collegati da un sottile gioco di tonalità: Fa minore per il primo e l’ultimo, Fa diesis minore per i due centrali.
La seconda parte del concerto si apre sulle note di Ma Mére l’Oye di Ravel, una raccolta di cinque pezzi ispirati a libri per l’infanzia di Perrault, di Madame d’Aulnoy e di Madame Leprince de Beaumont. L’infanzia evocata da Ravel è quella delle fiabe, dove momenti avventurosi e fantastici si alternano a passaggi nei quali prendono il sopravvento paura e smarrimento.
Il gran finale è affidato all’arrangiamento per due pianoforti (di Irwin Costal) dei brani che hanno contribuito al successo planetario del musical West Side Story che Leonard Bernstein scrisse alla metà degli anni Cinquanta. Fra le sette “songs” che le sorelle Labèque eseguiranno sui due grancoda Steinway posizionati al centro del palcoscenico olimpico ascolteremo le celeberrime Maria, America e Tonight.
Le prigioni di Mossano sono sicuramente uno dei posti più belli e misteriosi dei Colli Berici. Possiamo solo ipotizzare che alla base della costruzione ci fosse la volontà di creare un edificio molto elegante di rappresentanza, ma allo stesso tempo sicuro.
In realtà ci sono tantissime ipotesi riguardo a cosa potesse servire: la più accreditata rivela la necessità di protezione di chi viveva in questo posto. Molto probabilmente era un posto di guardia, dove risiedevano soldati alla difesa del territorio di Vicenza, ma un’altra ipotesi collega la costruzione al vescovo vicentino: probabilmente era un punto d’appoggio per la riscossione della decima che gli spettava, dato che la valle era una vera e propria industria dotata di dodici mulini ad acqua che macinavano il grano.
Le origini delle attività risalgono al 980 d.C., poi c’è stata una ristrutturazione tra il 1380 e il 1400, e nel 1933 lo Stato italiano lo ha dichiarato patrimonio protetto. Il nome di prigioni probabilmente deriva dal fatto che è stato costruito da prigionieri, ma non sembra aver mai svolto effettivamente la funzione di carcere.
Di Adriana Craciun da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022
Già dall’aprile del 1848, molte donne si erano offerte al ruolo di infermiere per assistere i feriti provenienti dalla Battaglia di Sorio. Altre si erano arruolate come combattenti durante la rivoluzione vicentina del 1848.
Tra le infermiere figurano: Teresa Barrera Fogazzaro, madre del romanziere Antonio Fogazzaro, Loredana Persico, moglie del nobile Nievo, Teresa Mosconi, consorte del nobile Alessandro Capra, senza dimenticare Drusilla Dal Verme, moglie di Luigi Loschi, membro del Comitato Provvisorio per la difesa di Vicenza. Tra le combattenti, invece, ricordiamo in primis Maria Tagliapietra, giovane donna intrisa di amore patrio ma anche, forse, come in altri casi, donna innamorata di un partecipante Crociato e per questo motivo spinta a seguirlo nell’impresa.
Maria Tagliapietra rivestiva il ruolo di vessillifera, portando fiera il tricolore e, intrepida al suo posto di lotta, si distinse nei combattimenti. Un’altra eroina fu la genovese Giacinta Luchinati, che rivestiva il ruolo di caporale nella Legione Universitaria di Roma e si battè valorosamente non solo a Vicenza ma anche a Cornuda (TV).
Si precisa che, da fonti dell’epoca, le donne collaborarono proficuamente pure nello sgombero della polveriera, sita nel Castello scaligero della Rocchetta, presso l’attuale biforcazione tra Viale Mazzini e Via Carlo Cattaneo, la notte tra il 23 e 24 maggio 1848. Così, i 250 barili di polvere da sparo, rotolando in fretta e furia con le munizioni furono trasferiti al riparo alla base della Torre di Piazza dei Signori e nei sotterranei della Basilica Palladiana. Le stesse donne aiutarono alla realizzazione materiale delle barricate nei punti strategici della difesa sia tra le mura cittadine che negli avamposti.
Un quadretto scenico che si evince dalle testimonianze storiche, è quello che “dalle finestre illuminate sporgevansi le donne che coi gesti e colla voce incoraggiavano i cittadini e i soldati a combattere, mentre le campane suonavano a distesa”. In quei frangenti le donne di tutti i ceti sociali preparavano il vitto e alloggiavano i combattenti, istituendo anche dei veri e propri ospedali da campo.
Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022
Le opere dell’artista Christian Manuel Zanon sono protagoniste di PASSO A DUE, mostra a cura di NUMA Contemporary presso l’Atelier L’IDEA di M. Luisa Amatori, in Piazza dei Signori a Vicenza, aperta al pubblico dall’11 maggio al 17 giugno 2023. L’inaugurazione della mostra si terrà giovedì 11 maggio alle ore 18.30, accompagnata dalla performance “Passo a due”.
La mostra racchiude in sé l’idea dell’artista di scardinare il principio di autoreferenzialità in favore di un percorso d’assieme, dove la relazione con l’opera e con il pubblico sono almeno due delle forze in gioco. L’espressione “PASSO A DUE” fa riferimento alla sequenza di un balletto, o una parte di coreografia, in cui il virtuosismo dei due più capaci interpreti si esprime alla sua massima potenza. L’esperienza artistica non è mai esclusivamente una questione personale, ma un dialogo con l’altro, sia esso la propria musa, il pubblico, la critica, il sistema dell’arte.
Determinante è la relazione con il luogo, con la sua storia: nelle stanze dell’Atelier L’IDEA, che accolgono e divulgano la ricerca trentennale di M. Luisa Amatori, Christian Manuel Zanon mette in gioco la propria opera in un contesto “innovativo per tradizione”, in un contrappunto fatto di cenni e richiami, colori e parole nutriti dai necessari silenzi. Nelle sale dell’Atelier che si affacciano su Piazza dei Signori, trovano ospitalità oltre venti lavori che esprimono i concetti cardine della ricerca autoriale dell’artista: la predilezione per la carta, materiale d’elezione nella pratica artistica di Christian Manuel Zanon, presente in lavori di piccolo formato ma di grande eleganza quali i paesaggi astratti di Linea O e i Capricci; l’espressività semantica delle riverberanti Milonghe; la delicatezza del gesto che emerge “tono su tono” nell’evoluzione delle Grammatiche bianche (la serie di tre in “Zanni”).
Nelle opere di più grande formato, come i ready made delle due Discrasie, l’artista gioca con l’alterazione della percezione visiva, dando vita a nuove suggestioni.
La natura è intesa come fonte di incessante ispirazione, e l’opera scultorea “A come Padre (Albero)”, nella sua “precaria stabili tà”, ne è un elevato esempio, specchio del tempo presente. La natura con i suoi incredibili dettagli e le sue leggi strutturali e cicliche è sempre madre dei più dolci insegnamenti poetici.
Papaveri – Christian Manuel Zanon
Anche l’ariosa installazione di “Papaveri” rimanda alla sincerità semplice e disarmante della Natura. Una fioritura di punti rossi, dove la sintesi della forma prova ad esprimere l’estremo desiderio di felicità che, per l’artista, non è altro che un generoso imprevisto tintinnante.
L’artista, CHRISTIAN MANUEL ZANON (Padova, 1985) fonde la pratica artistica all’approccio filosofico. Gregario pensatore contraddittorio, si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia secondo una direttrice estetica, poi ripresa come filosofia teoretica presso Ca’ Foscari di Venezia. Presso l’UdK di Berlino approfondisce questioni inerenti la comunicazione visiva e la poesia sperimentale. Si confronta con l’immagine fotografica alla Fondazione Studio Marangoni di Firenze ed in seguito allo IUAV di Venezia.
Come autore interroga il frammento, non ancora persuaso che questo possa essere l’indicatore di paesaggi e passaggi ulteriori. Dal 2011 al 2015 realizza 3 mostre personali presso la Galleria Upp di Venezia (“In cambio del Silenzio”), la Galleria Artericambi di Verona (“Slow-Motion”) e la Galleria Fuoricampo di Siena (“Lotteria Immanuel”).
Nell’ambito dell’attività della Collezione AGI Verona partecipa ad importanti rassegne museali quali “La Sottile Linea del Tempo” (Museo Miniscalchi Erizzo, Verona, 2015. A cura di Marinella Paderni) e “Che il Vero possa confutare il Falso” (Palazzo Pubblico, Santa Maria della Scala e Accademia dei Fisiocritici, Siena. A cura di Luigi Fassi e Alberto Salvadori). E’ stato ospite con sentite esposizioni personali in spazi indipendenti e di ricerca quali Marselleria, Milano: “Mantra Milano”, 2015. Segue, nel 2020, alla Fondazione Coppola di Vicenza: “Pretesto Perpetuo” nell’ambito della rassegna “Nuove Frontiere del Contemporaneo”. Sempre nel 2020 la Fondazione Coppola manda in stampa SOLO 13, prima monografia dedicata all’autore, con testi di Ilaria Gianni.
Nel 2020 è alla Galleria Massimo Ligreggi con la personale “Curiosa, Gelosa”, e con l’opera “Pavone” ospite alla GAM di Torino in occasione di “Stasi frenetica – Artissima 2020”.
Nell’aprile 2021, Studio La Città (Verona) ospita “Come punti di un rosso sgualcito, ricordi?”, personale dedicata alla radicale povertà del papave
Nel 2022 espone la personale “Abbrivio” presso NUMA art gallery a Vicenza, e nel dicembre dello stesso anno è parte del progetto di musica contemporanea “Musica Aperta” del Trio Transmitter, con l’esposizione dell’opera/partitura “Lembi scabrosi” per la prima assoluta, presso la Kunstraum Niculescu di Berlino.