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Letture in corso, al Palladio Museum la rassegna di opere sull’architettura

Riprende la serie di presentazioni di monografie, studi e approfondimenti sui temi dell’architettura e della storia dell’arte “Letture in corso”, promossa dal Palladio Museum – Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, in occasione del decennale del museo. 

Nel corso degli incontri, storici dell’arte, studiosi, critici presentano al pubblico le loro pubblicazioni recenti, libri già disponibili nelle librerie, ma in vendita anche al Palladio Museum durante gli eventi. Il prossimo appuntamento, la presentazione del volume “Mappe Canoviane”, a cura di Fabrizio Magani, Damiana Lucia Paternò, Debora Tosato della Soprintendenza per l’area metropolitana di Venezia e le province di Padova, Treviso e Belluno, è in programma mercoledì 31 maggio alle 18.00, naturalmente a Vicenza nella sede del Palladio Museum a Palazzo Barbaran da Porto. 

A dialogare con gli autori del volume, pubblicato da Antiga edizioni, ci saranno la Presidente della Fondazione Roi, Paola Marini e Antonio Foscari, Vicepresidente del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio dal 2019, a lungo docente di Storia dell’Architettura allo IUAV di Venezia.

La partecipazione all’incontro è aperta al pubblico, fino ad esaurimento posti disponibili; l’Ordine degli Architetti riconosce 2 crediti formativi ai partecipanti iscritti all’albo, previa registrazione all’ingresso.

“Mappe Canoviane” con la prefazione di Vittorio Sgarbi, che è anche presidente della Fondazione Canova di Possagno, raccoglie i contributi di Giovanna Bergantino, Piera Garbellotto, Barbara Guidi, Elisa Longo, Fabrizio Magani, Pasqualina Adele Marzotti, Damiana Lucia Paternò, Lucia Pigozzo, Debora Tosato e Francesca Vendittelli.

A due secoli dalla morte del celebre scultore (1822), la pubblicazione della Soprintendenza per l’area metropolitana di Venezia e le province di Padova, Treviso e Belluno presenta le diverse anime dell’eredità canoviana, fatta di architetture, sviluppo urbanistico, paesaggio e opere d’arte dislocate tra Possagno, Bassano del Grappa, Asolo e altri luoghi. Alla base di tutto, un innovativo decreto di vincolo che estende l’attenzione dai singoli oggetti al sistema di relazioni che queste creano con il territorio e la sua identità culturale. Nessun artista, infatti, ha plasmato un territorio e la sua identità come Canova a Possagno: è Canova a trasformare il piccolo centro del Trevigiano facendo costruire la grande mole del tempio; ed è in memoria di Canova che il fratello Giovanni Battista Sartori fa realizzare la celebre Gipsoteca, costruire ponti e strade e alimentare il mito dell’artista attraverso le sue opere e i suoi oggetti.

Come un agile “quaderno di viaggio”, la pubblicazione delinea una serie di mappe – non solo geografiche, ma anche mentali – che abbracciano opere e istituzioni, gli allestimenti museali, la fotografia, il collezionismo, la memoria e i contesti del passato e del presente.

Al Palladio Museum fino al 9 luglio è possibile visitare la mostra “Raffaello. Nato architetto”, aperta al pubblico dal mercoledì alla domenica, dalle 10:00 alle 18:00; l’ultimo accesso è previsto alle 17:30. Altre informazioni su

www.palladiomuseum.org/it/mostre/raffaello_nato_architetto

Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, i giovani talenti: inaugura Nicolò Cafaro

La XXXII edizione delle Settimane Musicali di Vicenza prosegue con il primo atteso appuntamento dedicato al Progetto Giovani: un festival nel festival dedicato ai talenti più promettenti nel panorama musicale contemporaneo. Il programma prevede sei concerti, cinque dei quali recital pianistici, affidati ad esecutori giovanissimi lanciati dalle affermazioni in competizioni come il Premio Venezia, il concorso pianistico nazionale Lamberto Brunelli, il Bando Guglielmo destinato a giovani Duo violino e pianoforte in memoria di Giovanni Guglielmo, grande concertista e didatta vicentino, ma anche musicisti che si sono distinti in istituzioni come l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e l’Accademia di Pinerolo e Torino.

I sei concerti di “Progetto Giovani”

Ad inaugurare la rassegna sabato 27 maggio alle ore 18.00 all’Odeo del Teatro Olimpico di Vicenza sarà il pianista Nicolò Cafaro, vincitore del Premio Venezia 2022. Il programma inizierà con una selezione di sonate del compositore barocco Domenico Scarlatti, passando poi nel mondo romantico di Fryderyk Chopin con il suo magistrale controllo del colore e dell’emozione al pianoforte, e culminerà con le Sette Fantasie Op. 116 di Johannes Brahms.

Il sabato successivo, 3 giugno ore 18.00, l’Odeo del Teatro Olimpico sarà illuminato da Wakana Marlene Tanaka, vincitrice ex aequo con Alessandro Del Gobbo del prestigioso Premio Brunelli 2022. La pianista eseguirà in particolare la Sonata op. 101 di Beethoven, portale d’ingresso nell’arcano e affascinante mondo del “tardo stile” sulla tastiera, oltre il quale la forma di Sonata perde le sue rassicuranti coordinate formali. 

Domenica 4 giugno alle ore 18.00 all’Odeo del Teatro Olimpico sarà il momento di Irené Fiorito al violino e Riccardo Ronda al pianoforte, il duo vincitore del Bando Guglielmo 2022, con un programma che spazierà dal tardo romanticismo di Johannes Brahms (Sonata n. 1 op. 78) alla musica del Novecento con Ottorino Respighi (Sonata in Si minore P.110) e Guido Alberto Fano (Ansietà).

“Progetto Giovani” prosegue sabato 10 giugno alle ore 18.00 a Palazzo Chiericati con il concerto di Alessandro Del Gobbo, vincitore ex aequo del Premio Brunelli 2022 insieme a Wakana Marlene Tanaka. Nel suo programma spicca il confronto fra due compositori cruciali nel passaggio dal secolo romantico al Novecento come Claude Debussy e Alexander Skrjabin: il primo rappresentato da Images e dalle rarefatte evocazioni arcaiche della Suite Bergamasque, il secondo dai giovanili Preludi op. 16.

La rassegna chiude con il doppio appuntamento di domenica 11 giugno a Palazzo Chiericati. Alle ore 11.00 Daniele Fasani, selezionato per il corso di pianoforte contemporaneo all’Accademia di Musica di Pinerolo e Torino, propone un programma di grande valore e raffinata esecuzione: “The People United Will Never Be Defeated! 36 Variazioni su un tema di Sergio Ortega” di Frederic Rzewski.
L’ultimo appuntamento di “Progetto Giovani” sarà alle ore 18.00 con il concerto dal titolo “Dopo notte…”. Marta Pacifici, mezzosoprano, con la cembalista Costanza Leuzzi, selezionata ai corsi di Alto Perfezionamento all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, eseguiranno un programma dedicato alle composizioni barocche di Georg Friedrich Händel, Gottlieb Muffat e Georg Philipp Telemann, con una selezione di arie, recitativi e suite. 

NICOLÒ CAFARO, biografia

Nicolò Cafaro Settimane musicali
Nicolò Cafaro

Classe 2000, e allievo di Graziella Concas presso il Conservatorio “V. Bellini” di Catania dove si è laureato in pianoforte con il massimo dei voti e la lode. Si afferma in numerosi importanti concorsi pianistici nazionali ed internazionali, tra cui: 19° Concorso Nazionale Giulio Rospigliosi di Lamporecchio, 6° Concorso “Giovani Musicisti Città di Treviso”. A 15 anni è finalista al 1° Concorso Internazionale “Vladimir Krainev” di Mosca. A 19 anni vince il 6° premio al “62° Ferruccio Busoni International Piano Competition”. Ha partecipato alle masterclass tenute da J.Achucarro, A.Lebedev, I.Kaltchev, B. Berezovsky, J.E. Bavouzet, C. Katsaris. Dall’età di 12 anni è seguito anche dal M° Leonid Margarius, e dal 2017 partecipa ai corsi di “Alto Perfezionamento” presso l’Accademia Pianistica Internazionale di Imola. Cafaro vanta già una fitta attività concertistica per importanti istituzioni musicali e teatri, fra i quali: Teatro Massimo Bellini di Catania; Teatro Elettra di Iglesias; Associazione Mozart Italia; Associazione “Amici di Verdi”; 36° Festival “Mario Ghislandi”; “Associazione Dino Ciani”. Si è esibito, inoltre, in concerti pianoforte e orchestra presso prestigiosi palcoscenici quali: il Teatro “U. Giordano” di Foggia, concerto n° 21 K467 di W.A. Mozart; Il Teatro “Goldoni” di Livorno, concerto n° 3 op. 37 di L.V. Beethoven; e il Teatro dell’Opera del Casino di Sanremo, concerto n°1 Op. 23 di P.I. Tchaikovsky. Recentissima è la sua affermazione alla 38° edizione del concorso pianistico “Premio Venezia 2022”, dove si classifica al 1° posto assoluto.

Info

Giacomo Orefice, illustre musicista vicentino

Giacomo Orefice, nato a Vicenza nel 1865 da famiglia ebraica, studiò a Bologna con Busi e Mancinelli; dal 1909 fu docente presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Fu autore di nove opere teatrali, fra cui L’oasi (1885), Chopin (1901), Cecilia (1902); compose pure musica sinfonica e da camera, liriche e musica per pianoforte.

Trascrisse L’Orfeo di Claudio Monteverdi (1607/1902). Fu anche critico e organizzatore musicale. Ebbe, tra i suoi allievi, Lodovico Rocca e Nino Rota. Oltre alle opere liriche, la sua produzione include balletti, musica sinfonica, concerti strumentali, musica da camera, composizioni per pianoforte solo e musica vocale. Nel 1904 fonda l’’Associazione Italiana Amici della Musica e inizia a collaborare con diverse riviste musicali tra cui Popolo e Arte e la Rivista musicale Italiana.

A Vicenza abitava nelle vecchie case affiancate alla Loggia del Capitanio in Piazza dei Signori, abbattute nel 1933 per fare spazio al Caffè Garibaldi. Muore a Milano nel 1922.

Nel decennale della morte il Conservatorio Canneti si prodigò a collocare una targa in sua memoria, oggi perduta, che si intravede in questa vecchia cartolina della Collezione Rossato. Vicenza gli dedica una delle sue vie del centro storico.

Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


In uscita il numero di Maggio 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
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Antonio Coronaro, musicista vicentino compositore della celebre “Seila”

Antonio Coronaro, nato a Vicenza il 29 giugno 1850, da famiglia di valenti musicisti, dopo gli studi ginnasiali in seminario, si dedicò esclusivamente alla musica sotto la guida sapiente di Francesco Canneti.

Conseguito giovanissimo, a Milano, il diploma d’organo, pianoforte, contrappunto e
composizione, egli fu poi apprezzatissimo organista della Cattedrale e del tempio di Santa
Corona a Vicenza. Non ancora ventenne, una sua lodatissima Messa funebre ebbe una
applaudita esecuzione nella Basilica di San Marco a Venezia. Seguirono molte altre
composizioni sia sacre che profane.

Il suo lavoro migliore, che gli assicurerà durevole fama d’ottimo operista, rimane il melodramma tragico “Seila” rappresentato nel 1880, per tredici serate, al Teatro Eretenio di Vicenza e poi ripreso in tante altre città italiane.

Altre sue opere furono: “La Maliarda” ed “Il falco di Calabria”. Il maestro Antonio Coronaro fu amico intimo di Antonio Fogazzaro, che nei capolavori “Piccolo mondo antico” e “Piccolo mondo moderno” ha voluto ricordarlo tratteggiando l’indimenticabile fisionomia della sua delicata anima d’artista.

Il 30 ottobre 1921 Vicenza tutta tributò a Coronaro imponenti manifestazioni di amore e di
omaggio in occasione del cinquantesimo anno del suo insegnamento.

Muore a Vicenza il 24 marzo 1933. “Così onesto, modesto e grande, Antonio Coronaro ha trascorso la lunga vita che seppe fondere con l’arte in una sola bellezza”.

Ai fratelli Coronaro, tutti valenti musicisti, venne intitolata, in zona borgo Casale, una via cittadina nel 1957 e Gaetano Coronaro, fratello di Antonio, figura tra gli illustri al Cimitero Maggiore.

Di Loris Liotto da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


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Ciliegia di Marostica Igp: arriva la 79esima Festa della Regina rossa 

Degustazioni, animazioni, passeggiate, spettacoli, mostra mercato e un nuovo dolce tutto da gustare sono gli elementi principali della 79a edizione della Festa della Ciliegia di Marostica Igp, in programma  domenica 28 maggio tra Piazza Castello, le vie del centro storico e molte località del territorio comunale.  

La Festa del 2023 si svilupperà per l’intera giornata di domenica 28 maggio 2023 con molti appuntamenti ad accesso libero, l’allestimento della mostra mercato, i negozi del centro aperti, spettacoli e visite guidate. Le proposte pensate tra campagna e collina richiederanno la prenotazione per motivi organizzativi. La conclusione delle iniziative marosticensi sarà nel giorno della Festa della Repubblica venerdì 2 giugno con la 5a Camminata delle Ciliegie e dei Piccoli Frutti tra le colline di Crosara e San Luca. 

Ad impreziosire la 79a edizione della Festa della Ciliegia di Marostica Igp ci sarà l’evento di lancio de “La Pèca del Salbaneo”, nuovo dolce del territorio che unisce ed esalta tre eccellenze agricole della pedemontana vicentina: la Ciliegia di Marostica  I.G.P., il vino Torcolato D.O.C. Breganze e l’olio extravergine d’oliva della Cooperativa Pedemontana del  Grappa. 

Sul sito www.visitmarostica.eu è disponibile il programma dettagliato con brochure e mappa completa delle iniziative in programma. In caso di maltempo aggiornamenti e modifiche saranno disponibili sul sito  istituzionale del Comune di Marostica o agli InfoPoint Turistici “La Stazione Experience”  ([email protected] – 371.4240125) e “Associazione Pro Marostica” ([email protected] –  0424.72127)

“Quella che ci attende – spiega il sindaco di Marostica Matteo Mozzo – è la giornata centrale, ma non l’ultima, di un ricco calendario di iniziative partito già ad aprile con la rassegna Aspettando la Regina Rossa tra i ciliegi in fiore”. 

“La ciliegia di Marostica Igp – aggiunge il presidente di Pro Marostica, Simone Bucco – è identitaria quanto lo è la Partita a Scacchi. Ed è il nostro compito principale sostenere ogni iniziativa che valorizzi la città e la sua storia antica e recente. Nulla sarebbe possibile senza i nostri meravigliosi volontari che mettono a disposizione  tempo, energie e competenze per la buona riuscita di ogni manifestazione. Proporremo delle visite guidate al centro storico, all’antico Borgo e al Cammino di Ronda, con aperitivo, ovviamente, a base di ciliegia”. 

Oratorio di Santa Maria del Carmine in località Secula di Longare

L’oratorio di Santa Maria del Carmine sorge in località Secula di Longare, a sinistra del Bacchiglione, che scorre poco lontano. Gaetano Maccà, nella sua Storia del territorio vicentino del 1812, attesta che qui la famiglia Valmarana possedeva una villa, distrutta da un incendio nel 1927. L’annesso oratorio, che nel 1620 risultava già esistente e che era dedicato a San Odorico, si salvò, invece, dalle fiamme. Divenuto fatiscente, i Valmarana ottennero dal vescovo Sebastiano Venier il permesso di abbatterlo e di fabbricarne uno nuovo, che dedicarono alla Beata Vergine del Carmine e ai Santi Gaetano e Teresa d’Avila.

La lapide in facciata indica i promotori di questo intervento (Paolo Antonio arcidiacono, Gaspare canonico, Giovanni Battista conte, figli di Giacomo Valmarana) e l’anno di conclusione dei lavori (1724). L’oratorio di Santa Maria del Carmine passò poi in proprietà della famiglia di Luigi Bassani. Gravemente danneggiato durante la prima Guerra mondiale, tanto da divenire inagibile e non più adatto al culto, come attesta l’arciprete di Costozza e vicario Foraneo Luigi Zanellato, fu restaurato da Girolamo Bassani. Successivamente abbandonato, le sue condizioni divennero di nuovo precarie.

Nel 1990 la famiglia Bassani decise di donarlo alla parrocchia di Longare in memoria del padre prof. Bruno, come riporta una lapide all’interno. Una campagna di recupero, conclusasi nel 1999 sotto la spinta di don Alessandro Campese e sotto l’egida della Soprintendenza, nella persona dell’arch. Rosa Di Stefano, ha riportato il manufatto agli splendori originari. Il 21 ottobre di quell’anno il vescovo di Vicenza Pietro Nonis inaugurò ufficialmente l’edificio, riacquistato anche all’uso liturgico. Due targhe ricordano, all’interno, questo fatto e i nomi dei benefattori che hanno permesso, con il loro contributo, l’intervento: Richard Edwars, Vittor Luigi Braga, Associazione Amici dei Monumenti di Vicenza e Parrocchia e Comune di Longare.

Quanto alla facciata, l’oratorio mostra una articolazione strutturale sobria, leggera ed elegante, ad accentuato sviluppo verticale. Sottolineato dalla coppia di lunghe lesene angolari, che si dipartono da un alto zoccolo e si concludono con capitelli vagamente ionici. Al centro delle volute sono disposte delle decorazioni con motivi approssimativamente vegetali con in mezzo uno scudo, sopra il quale si notano degli elementi ornamentali alternati: una sorta di rosetta e lo stemma dei Valmarana, con le nove palle che ricordano il loro titolo di conti. Inquadrato da una cornice modanata in pietra è il portale di ingresso, sul cui architrave poggia una finestra, racchiusa in altra cornice anch’essa modanata in modi tipicamente settecenteschi.

La larga trabeazione sostiene un robusto frontone, con dentelli negli spioventi del timpano. Sul frontone poggiano dei pinnacoli acroteriali, elementi decorativi che continuano, in forme semplificate, la tradizione avviatasi nel Seicento. Svettano, infatti, delle pigne a fianco di due vasi che si concludono in modo differente: a fiamma il sinistro e con una specie di supporto il destro. Sopra l’elemento centrale si innalza una croce in ferro battuto lanceolata, ovvero appuntita.

A caratterizzare la facciata è l’andamento leggermente concavo, accentuato dai due corpi che le stanno a fianco, quasi a formare una sorta di esedra. Un accorgimento non da poco: se l’architetto non l’avesse adottato, la facciata ci sbatterebbe in faccia, tenuto anche conto dello spazio ristretto, essendovi di fronte, a pochi metri, un altro fabbricato. Ad evitare l’effetto muro concorrono anche gli spigoli dell’edificio, che non sono net- ti, ma si addolciscono, allargandosi verso l’esterno in un gioco di lesene che si rincorrono e che si concludono in una trabeazione laterale accentuatamente ricurva.

Un impianto che si mostra del tutto libero e svincolato dall’esuberante e talora scomposto gusto barocco e che si proietta verso una architettura di razionalismo illuminista. Si tratta, insomma, di una prova di gran- de compostezza e linearità. Del resto, questo piccolo capolavoro ha una paternità illustre.

È, infatti, progetto di Francesco Muttoni, che, nella vicina Costozza, aveva firmato quello per il rifacimento (1719) dell’antica pieve benedettina di San Mauro, risalente all’XII secolo. Un foresto, Muttoni, (era nato nel 1668 a Cima di Porlezza, un paesino sulla sponda italiana del lago di Lugano), giunto a Vicenza con la famiglia nel 1696 e che riuscì ben presto ad emergere, perché interprete della volontà della classe egemone, che reclamava una architettura capace di soddisfare le rinnovate nuove istanze di fasto e di autocelebrazione dopo il controriformista stile severo (copyright Fausto Franco, 1937) di Vincenzo Scamozzi. L’interno rispecchia e replica la sobrietà e la misura che caratterizzano la facciata. L’aula rettangolare si allarga nel presbiterio, permettendo così di ricavare due piccoli vani di servizio ad uso sacrestia e ripostiglio, uniti da un corridoio passante dietro l’altare e nascosto dalle tende rosse della due porte, dagli stipiti ben sagomati e dalla robusta cimasa.

L’interno è inondato dalla luce, che penetra da tre finestre dalle modulate cornici e  che esalta il gioco di stucchi, che scandiscono lo spazio del soffitto, caratterizzato dalle fasce che convergono in un cupolino cieco rettangolare mistilineo, che ospita una decorazione raffigurante la colomba dello Spirito Santo, racchiusa in una cornice ellissoidale. In questo spazio risalta il rincorrersi degli stucchi, dalle ampie volute e dai sinuosi girali, con foglie di vite al centro della composizione, che lasciano intravvedere i simbolici grappoli d’uva. Un apparato giuntoci purtroppo con parecchie lacune, uscito indubbiamente da un atelier di buon livello, del quale, però, non abbiamo notizie. Si può solamente ricordare come altre fabbriche progettate da Muttoni ospitino decorazioni di stucco di elevata fattura. E non è forse fuori luogo ritenere che anche l’apparato decorativo presente in questo oratorio sia stato disegnato da Muttoni ed eseguito da una delle botteghe vicentine costituite da artisti provenienti dalla Lombardia e dal Canton Ticino.

L’oratorio di Santa Maria del Carmine custodisce anche importanti testimonianze scultoree. In posizione angolare, sono collocate, entro nicchie e appoggiate su di una specie di mensola, quattro sculture, ritenute manufatti cinquecenteschi di artisti non identificati. Quella che rivela maggior capacità esecutiva raffigura Sant’Eurosia da Jaca, spagnola vissuta nell’ IX sec. La postura è felicemente impostata sulla gamba destra, leggermente avanzata, che permette il dipanarsi dell’elegantissimo panneggio della veste, al quale fa eco lo svolazzare del drappeggio della manica. La chioma all’indietro mette in risalto i purissimi lineamenti del volto.

A fianco, San Francesco Saverio, missionario gesuita, dal volto ben delineato e incorniciato dalla barba. Il suo sguardo penetrante sembra scrutare le lontane terre di missione, luoghi del suo apostolato. Negli altri due angoli sono invece raffigurati i più noti San Giuseppe, con il barbuto volto severo, che tiene fra le mani un paffuto Bambino e Sant’Antonio di Padova, che regge, come da consolidata iconografia, il Bambino, nonché il libro e il giglio. Il paliotto dell’unico altare è inquadrato da due angeli mutili, che reggono la mensa. Da essi si dipartono due festoni di fiori che convergono al centro, dove un altro angioletto è a cavalcioni di una conchiglia, che posa sulla base della struttura, sulla quale si dispongono delle movimentate volute e delle composizioni che richiamano dei fossili (gasteropodi), molto numerosi nelle vicine cave di Costozza.

Il soprastante gruppo scultoreo raffigura i tre titolari dell’oratorio, la Vergine col Bambino, venerata come Madonna del Carmine, san Gaetano Thiene e santa Teresa d’Avila. La Vergine, ritta su di una nube sorretta da quattro angioletti, si erge in posa regale, ieratica, accentuata dall’ampio gesto della mano destra, perfettamente eretta, nono- stante la spinta eccentrica provocata dal Bambino, che sembra volersi divincolare dalle braccia della Madre. Un Bambino irrequieto come lo sono tutti i bambini, non presago del futuro destino salvifico, che lo vedrà morire crocifisso.

A sinistra è collocata la statua di san Gaetano Thiene, che, inginocchiato, rivolge lo sguardo alla Madonna, alla quale sembra consacrare il suo cuore con il gesto della mano sinistra.

La statua di destra coglie santa Teresa d’Avila inginocchiata, in estasi e in enfasi barocca (chi non ricorda il capolavoro di Gian Lorenzo Bernini?), con l’abito del suo ordine mosso da un articolato panneggio, quasi sconvolto da un vortice che sembra salire dalla sottostante nuvola. Un indubbio manufatto di pregio, il più felice dei tre: il che fa pensare si tratti di lavori non di un’unica mano. Per questo apparato scultoreo è stato fatto il nome di Orazio Marinali, come riporta l’insegna turistica all’esterno dell’oratorio.

Basandosi anche sulla circostanza che dietro alla statua della Vergine sono scolpite le iniziali OMO, acronimo di Opera Marinali Orazio. Personalmente non condivido questa attribuzione. Che vi siano le tre lettere OMO non c’è dubbio. Ma questo non basta ad assegnare la paternità del manufatto ad Orazio Marinali. Anzitutto perché lo scultore, nato nel 1643, è morto nel 1720, quattro anni prima che l’oratorio fosse finito. Sarebbe singolare che a Marinali fossero stati commissiona- ti l’altare e le tre statue con un anticipo di quattro anni rispetto alla conclusione dei lavori.

E allora, come si spiegano quelle tre lettere? Con il fatto che, alla morte di Orazio, l’attività fu continuata da Giacomo Cassetti, genero di Marinali e suo più fedele allievo e l’unico, fra i tanti, rimasto a Vicenza. I lavori di Cassetti erano così fedeli ai modi di Orazio, tanto che sovente li firmava con la sigla del maestro, quando addirittura non si appropriava del suo cognome, così da firmarsi Giacomo Marinali. La sigla OMO era, insomma, divenuta una sorta di marchio, di segno distintivo dell’impresa avviata da Orazio. Un brand, come oggi si suol dire. Il grandioso apparato, dunque, non è opera di Orazio Marinali, ma, verosimilmente, ottimo prodotto di quella gloriosa bottega.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


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La famiglia Revese e l’Oratorio dell’Annunciazione a Brendola

Nel periodo che seguì la “dedizione” della Città di Vicenza alla Repubblica Veneta, avvenuta nel 1404, e nei secoli successivi nel lembo di terra di Brendola i Revese, gli Anguissola, i Pagello, i Ferramosca, i Maffei, i Monza e i Piovene innalzarono le loro magnifiche residenze e cappelle gentilizie, ville per il soggiorno in campagna e funzionali al governo dei loro possedimenti e interessi economici.

L’importante e cospicua famiglia dei Revese ebbe possedimenti nel territorio brendolano fin dall’epoca più remota: il cognome è la volgarizzazione di orefice e il lavorare o commerciare metalli preziosi potrebbe essere stato il mestiere più antico dei loro antenati, ma fra di loro vi furono anche notai e personaggi che ricoprirono incarichi pubblici per il Comune di Vicenza nonché chiamati a svolgere l’ufficio di Vicari a Brendola in ripetute occasoni fino alla fine del 1700.

Il loro stemma era rappresentato da onde dorate su uno sfondo blu mare (d’azzurro a tre fasce ondate d’oro). Brendola era la sede di un vicariato che comprendeva le ville di Lapio, Fimon, Arcugnano, Pilla, Grancona, Meledo, Villabalzana, Longare, Valmarana, Pianezza e Altavilla. Il primo vicario di Brendola risale all’anno 1401 quando Vicenza era ancora soggetta al duca di Milano. Proprio in tale anno le cronache riportano un tale Enrico Nicolò Revese (“domini Nicolai de Aurificibus de Vincentis”) ad amministrare la giustizia quale “Vicario Brendularum”.

E giusto sul colle, vicino alla sede del Vicariato, i Revese edificarono una loro villa poi passata in proprietà ai conti Pagello. Ma sul lembo di pianura sottostante, lungo la via che oggi porta il loro nome, era situato il più importante insediamento. Lo storico Bernardo Morsolin (in Brendola Ricordi storici – Burato 1879) così ne parla: “Tracce manifeste dell’antico splendore si affacciano ancora nella villa dei Revese situata a piede del poggio là dove la strada maestra che mena alla chiesa arcipretale incomincia a salire e non offre certo incanto di prospettive, né certa amenità di luoghi circostanti. A questo difetto supplisce però in qualche modo la magnificenza de’ porticati, delle porte, delle logge e delle scale, decorate ancora di avanzi di stucchi e di freschi, lavoro del celebre architetto Ottavio Bruto Revese”.

Tale personaggio (nato a Brendola nel 1585 e ivi defunto nel 1648) è il più noto esponente della famiglia. Il suo talento artistico è connotabile in una particolare cifra stilistica osservabile in quel poco che resta: la torre e i pilastri d’ingresso alla proprietà sono caratterizzati da grandi conci in pietra che imprimono un senso di possente vigore.

Come possenti erano i bei portali massicci e i maestosi archi bugnati di sua realizzazione come quello del Palazzo del Territorio e quello che faceva da ingresso al Campo Marzio in Vicenza, demolito nel 1938. Purtroppo è una grave perdita che della sontuosa villa dei Révese a Brendola quasi nulla sia rimasto; fortunatamente sopravvive la loro cappella privata: la chiesetta dell’Annunciazione di Maria.

Questa piccola costruzione è considerata dagli studiosi un autentico gioiello dell’architettura sacra del primo Rinascimento nel territorio vicentino. Sulla sua facciata possiamo notare una pietra murata che porta scolpita la data del 1446 e l’iscrizione: “Hoc Sacellum Deiparae dicatum ab Aurificibus conditum a. MCDXLVI”. Ma tale data può essere giustificata ipotizzando che tale lapide fosse appartenuta a una preesistente cappella, sempre adiacente alla villa, e demolita (o rielaborata) prima che si desse avvio all’attuale costruzione che indubbiamente risale, e le sue forme lo confermano, all’ultimo scorcio del 1400.

Lo storico Barbarano indica la data di ultimazione nel 1499 riportata parimenti da Maccà. La chiesetta fu innalzata prospiciente alla loro villa sulle prime pendici del monte boscoso di Brendola, su un piccolo pianoro al lato opposto della strada. Il suo probabile autore viene concordemente indicato in Alvise Lamberti, detto Alvise da Montagnana; l’attribuzione avviene per analogia con opere che hanno caratteristiche estetiche e stilistiche simili a questa costruzione.

Il Lamberti fu condiscepolo di Pietro Lombardo, lavorò a Venezia, a Ferrara e a Vicenza. Come si evince nell’opera del Lombardo anche lui cercò di conciliare negli ultimi anni del 1400 il predominante gusto gotico con il nuovo orientamento classicheggiante. Al Lamberti sono assegnate due opere molto simili per stile alla chiesetta di Brendola: la facciata laterale della chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Lonigo (VI) e la chiesa di S. Michele al Cremlino a Mo- sca, come pure taluno ipotizza che gli si possano attribuire l’altare della Pietà a Monte Berico (sulla prima campata a destra entrando dalla porta occidentale) e l’altare della famiglia Magrè in San Lorenzo, anche se per tali opere qualche studioso propende per il Lombardo.

Il Morsolin dal canto suo arrivò ad affermare che “le sagome di alcune cornici ed alcuni capitelli a Brendola traggono a pensare che l’autore possa essere lo stesso della chiesa di San Rocco in Vicenza”. La facciata, caratterizzata da un accentuato verticalismo, è a due ordini: il primo con quattro pilastri con basamenti e capitelli in pietra intagliata con una elegante lavorazione a fiorami e arabeschi estesa anche ai lati rivolti alle pareti; al centro l’arco di ingresso è circoscritto da una raffinata lavorazione scultorea fino alla sommità. Il secondo ordine è marcato da una fascia lapidea su cui si alzano quattro colonne in continuità con i pilastri sottostanti; negli spazi laterali trovano posto le due finestre oblunghe  con cornici in pietra, in quello centrale: nella parte superiore è incastonato un oculo che riempie tutto l’arco e nella parte sottostante trova posto un’edicola con modanature che anticamente poteva contenere un affresco.

I tre scomparti a loro volta finiscono con tre graziose arcate sommitali nella facciata, sono del tutto simili per altezza e dimensioni a quelle che abbelliscono le due pareti laterali e che poggiano su lesene. La cornice generale della facciata è infine sormontata da una sopraelevazione decorativa a sua volta divisa in tre zone da due alti piedritti a scanalature: ai lati due frontoni a quarto di cerchio lavorati a conchiglia, al centro un frontone minore a intera conchiglia sotto cui è scolpito lo stemma Revese; al culmine della facciata svettano quattro snelle ed eleganti gugliette sormontate da croci: due alle estremità esteriori laterali e due sui piedritti centrali.

L’edificio è a pianta rettangolare affiancato da una minuscola sacrestia; l’abside è rivolta a oriente. Nella parete interna della facciata è murato un bel monogramma di S.Bernardino, con incise le lettere J.H.S. a significare il nome di Gesù, contornate da un cerchio di fiamme a raggiera. La Cappella è dedicata all’Annunciazione di Maria, per questo motivo l’architetto utilizza, e ripropone sia all’interno che all’esterno, un elemento dell’antica simbologia mariana: la conchiglia, che rappresenta la verginità, in quanto la conchiglia produrrebbe la perla, secondo i naturalisti, senza essere fecondata, così è avvenuto il concepimento di Maria. Il motivo della conchiglia o “pecten”, un mollusco bivalve della famiglia Pectinidae, è ripetuto anche nella decorazione dell’interno, nel catino absidale e su tutte le lunette laterali.

Questo è un espediente decorativo significativo: secondo uno storico dell’arte (G. Lorenzini) riportato da Barbieri “quella conchiglia a spicchi larghi e spaziati che si concludono con un elemento curvilineo, il pecten, è il motivo firma del Lamberti” e in effetti è un elemento che ricorre in maniera ripetitiva nelle sue opere. La facciata originariamente e fino ai primi anni del ‘900 era ancor più caratterizzata nel suo verticalismo dalla scalinata di accesso che immetteva direttamente su strada; ora invece è troncata in due rampe laterali a seguito del successivo allargamento del piano stradale.

Si suppone che la chiesetta fosse destinata a contenere le tombe della famiglia Révese anche se nel corso dei restauri non sembra siano state rinvenute altre lastre sepolcrali eccetto quella attualmente murata sul pavimento. Tale lapide è stata il sigillo tombale dell’ultimo discendente: don Gaetano Bruto-Revese, sacerdote, morto nel 1888, con il quale la nobile e illustre famiglia si estinse (“hic iacet” e “postremus familiae suae”, “qui giace” e “l’ultimo della sua famiglia”, riporta inciso il marmo). Purtroppo gli affreschi delle pareti dell’aula sono andati irrimediabilmente perduti a seguito dell’abbandono e dell’incuria in cui giacque per molti anni il monumento. Mentre sopravvivono in condizioni precarie quelli nell’area presbiteriale, nelle vele e nell’arco trionfale.

Bernardo Morsolin sosteneva circa gli affreschi: “A giudicare dai pochi avanzi che ne rimangono dovevano uscire da allievi di ottima scuola”. Gli studiosi sono propensi ad attribuirli a Giovanni Buonconsiglio, detto il Marescalco a causa del mestiere di suo padre, probabile apprendista di Bartolomeo Montagna, nato a Montecchio Maggiore e vissuto all’incirca tra il 1465 e il 1537. Gli affreschi di Brendola furono a lui attribuiti dal Puppi, seguito da altri. Sulle tre lunette dell’abside dipinte a fresco sono visibili, seppure in non buone condizioni di conservazione: a sinistra San Sebastiano, al centro Cristo risorto che emerge da un sepolcro sul cui lato frontale era effigiato lo stemma dei Revese (e ciò sembra sottolineare che la chiesetta aveva la funzione di cappella funeraria di famiglia) e a destra San Rocco. Nelle vele della volta a crociera dell’abside sono appena visibili i quattro evangelisti. Ai lati dell’altare è murata una piccola e graziosa Annunciazione in pietra, che risale all’epoca della costruzione della chiesa.

Alla morte dell’ultimo Revese fu nominato legato testamentario Giovanni Scola ma sotto la proprietà degli Scola l’edificio, esempio di nobile e antica arte, fu destinato a soffrire un lungo periodo di incuria e abbandono. Nel 1989 l’Amministrazione comunale acquistò la chiesetta e provvide ai necessari restauri conservativi.

Numerosi studiosi hanno dedicato i loro contributi a questa pregevole architettura: da Bernardo Morsolin a Franco Barbieri, Renato Cevese, Giuseppe Visonà, Vittoria Rossi; di recente anche Vittorio Sgarbi ha voluto visionare il monumento manifestando interesse sia per l’architettura che per gli affreschi.

Di Luciano Cestonaro da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


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Miss Colà Terme 2023: in finale regionale Claudia Cavaliere di Montebello Vicentino

Si è tenuta nella sera di lunedì 22 maggio 2023 a Verona, la prima selezione valida per la finale regionale Veneta del concorso nazionale Miss Colà Terme.

Le concorrenti in gara, presentate da Laura Zambelli e immortalate dal fotografo ufficiale Riccardo Panizzo sono sfilate davanti a giuria e pubblico in due uscite distinte: la prima in abito elegante e per concludere in costume da bagno.

Le 8 miss selezionate

Prima classificata alla quale è andata la fascia di Miss Colá Terme Amen è Veronica Pozzobon, venticinquenne di Montebelluna (TV), alta 1,63. Veronica è una studentessa in scienze dell educazione primaria, segno del leone e sogna di diventare maestra della scuola dell’infanzia.

Seconda classificata Gabriella Bonizzardi diciannove anni di Prevalle (BS), alta 1,75 studia al liceo artistico e lavora come modella. Il suo sogno è quello di lavorare nel mondo dello spettacolo.

La terza fascia è andata ad Caterina Gaiardelli diciassettenne di Verona, alta 1,80, studentessa del liceo scientifico, il suo sogno nel cassetto è quello di diventare una modella.

La quarta classificata è Aurora Arione ventunenne di Milano. Alta 1,69 Aurora è specializzata in grafic design e web developer e sogna di diventare modella di Victoria Secret.

La quinta fascia è andata a Stefania Carausu, diciott’anni di Padova, studentessa in psicologia con il suo 1,70 sogna di continuare la carriera di modella.

La sesta fascia della serata è andata a Carlotta Callegaro ventenne di Monselice (PD). Alta 1,70 studia estetica e sogna di aprire un centro estetico tutto suo.

miss colà terme 2023
Claudia Cavaliere

La settima fascia è andata a Claudia Cavaliere ventiquattrenne di Montebello Vicentino (VI) alta 1.70. Impiegata amministrativa, il suo sogno è crescere in modo professionale nel campo amministrativo e lavorare come modella.

L’ottava ed ultima fascia è andata ad Annalisa Menozzi sedicenne di Correggio (RE) alta 1.71 studia al liceo classico sogna di diventare un’ attrice professionista. Le prime 8 classificate accederanno alla finale regionale Veneto 2023.

La finale nazionale invece si terrà il 22 ottobre alla Dogana Veneta di Lazise. La vincitrice di Miss Colà Terme 2023 si aggiudicherà un contratto di lavoro del valore di 10.000 euro, ed è per questo il concorso con la ”bellezza più premiata d’Italia”.

La manifestazione è stata organizzata dall’Associazione Oltre il Rock. Coloro che volessero iscriversi per partecipare alle prossime selezioni potranno farlo in tutte le pagine Facebook del concorso.

Mario Brunello e la giusta distanza tra Bach e Weinberg per le Settimane musicali al teatro Olimpico di Vicenza

Mario Brunello, eclettico violoncellista e interprete straordinario, si esibirà venerdì 26 maggio 2023 al Teatro Olimpico di Vicenza: le perfette architetture metafisiche delle Suites di Johann Sebastian Bach incorniciano le due Sonate per violoncello del compositore ebreo polacco Mieczyslaw Weinberg.

Si tratta del prossimo appuntamento delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, la rassegna concertistica in programma fino all’11 giugno con la direzione artistica di Sonig Tchakerian.

Eclettico, capace di spaziare fra musica Barocca, Jazz e Contemporanea, Mario Brunello, sempre attento e aperto a esperienze che travalicano i confini codificati della musica, con il suo violoncello, guiderà gli spettatori in un viaggio affascinante, esplorando le complesse armonie di Johann Sebastian Bach e la profondità delle composizioni di Mieczyslaw Weinberg.

Intitolato Bach-Weinberg, la giusta distanza. Suites e Sonate, il concerto che rientra nel ciclo Adagiosissimo Bach è suddiviso fra Johann Sebastian Bach, con due Soli per violoncello straordinariamente ricchi di invenzioni e di profondità emotiva (la Suite n. 3 in do maggiore BWV 1009 e la Suite n. 1 in sol maggiore BWV 1007) e due Sonate per lo stesso strumento del compositore ebreo polacco del Novecento Mieczyslaw Weinberg, che nel 1939 fuggì ventenne dalla ferocia nazista rifugiandosi in Unione Sovietica, dove svolse la maggior parte della sua carriera e dove fu particolarmente stimato da Šostakovič. La rivalutazione della sua arte, per lungo tempo poco conosciuta, è una tendenza recente. Una sorta di risarcimento postumo per un autore morto nel 1996, che qualche storico, nella seconda metà del secolo scorso, considerava – probabilmente non a torto – all’altezza di Prokof ’ev e dello stesso suo mentore Šostakovič.

Il concerto si offre come un racconto musicale di raffinata intimità che, con un programma insolito, viaggia nel tempo tra classico e moderno; un invito alla ricerca di spunti sempre nuovi con la musica che crea legami e corrispondenze tra i paesi e le culture.

Il secondo appuntamento con il ciclo Adagiosissimo Bach sarà domenica 28 maggio nella raccolta sala dell’Odeo del Teatro Olimpico alle ore 11.00 con altri due grandi nomi della prassi esecutiva: il cembalista Roberto Loreggian e il gambista e violoncellista Francesco Galligioni, impegnati in un programma di squisita eleganza cameristica, insieme brillante (così dev’essere definito il “Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo”) e pensoso. 

Le Settimane Musicali al Teatro Olimpico si avvalgono della collaborazione di enti istituzionali quali l’Assessorato alla Cultura del Comune di Vicenza, la Regione del Veneto e il MIC-Ministero della Cultura.

Anche quest’anno le Settimane Musicali al Teatro Olimpico confermano la plurale vocazione del Festival e le molteplici collaborazioni con realtà istituzionali e associative. Proficue collaborazioni a livello artistico sono in atto con il Conservatorio Arrigo Pedrollo di Vicenza per il Premio Brunelli e il Mu.Vi e con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con un concerto nell’ambito del Progetto Giovani, dedicato a rotazione al miglior allievo dei corsi di perfezionamento di canto barocco, violino, violoncello e pianoforte e con il brano commissionato dal Festival nell’ambito della classe di composizione e in prima esecuzione al Premio Brunelli.

Arte in Arzignano, tutto pronto per la quarta edizione dell’evento di Miti & Mete

Miti & Mete Associazione culturale presenta la quarta edizione di Arte in Arzignano, in programma sabato 27 e domenica 28 maggio 2023, in piazza Marconi.

“Durante il fine settimana – spiegano gli organizzatori – 36 artisti saranno presenti nei gazebo sui due lati della piazza. Diverse le forme d’arte rappresentate: pittura, grafica, scultura, restauro, lavorazione del vetro, fotografia e in alcuni casi sarà possibile vedere non solo opere, ma anche il processo di creazione delle stesse.

Come lo scorso anno lo stand fotografico Io ci metto la faccia, curato da Vincenzo Raimondi, offrirà la possibilità di farsi fare delle foto con Arzignano sullo sfondo.

Al centro della piazza sarà allestita una postazione di flash art lunga circa 10 metri con carta da disegno e altro materiale per intrattenere i più piccoli. L’attività sarà in parte supervisionata dai volontari junior di Miti & Mete.

Fra le due piazze prevediamo negli orari pomeridiani e serali un accompagnamento musicale. Suonerà il pianoforte il maestro Antonio Camponogara accompagnato da cantanti lirici.

Prosegue l’iniziativa di recupero delle panchine di Arzignano che, prima di essere collocate, saranno esposte nelle piazze in occasione dell’evento. Per la realizzazione si ringraziano gli artisti e per la collaborazione la Bottega d’Arte di Stefano Fongaro”.

Infine l’associazione propone l’iniziativa Ad Arzignano l’arte aiuta gli alluvionati. Durante i due giorni al gazebo di Miti & Mete sarà possibile fare un’offerta in cambio di un omaggio artistico.

L’evento serale è in programma: sabato 27 maggio 2023 alle 20 con lo spettacolo Balli e mestieri di un tempo a cura dell’associazione Balli in contrà di Thiene.