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L’oro di Vicenza. L’Epoca Moderna, l’invenzione delle macchine orafe e la moda del nero

Prosegue il viaggio di L’altravicenza con l’oro grazie alla pubblicazione a puntate della tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate sul numero 10, settembre-ottobre 2022, di Storie Vicentine.

Le trasformazioni politiche avvenute a Vicenza nella prima metà dell’Ottocento influirono su un contesto economico critico, ma nel quale non venne trascurato l’ornamento nemmeno dalla popolazione povera, che si abbelliva con piccoli oggetti in rame, argento, con perle di vetro e smalti miniati dal valore e peso irrisorio ma che inserivano l’accessorio nel corredo popolare.

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Allegoria di Venezia

Il XVIII secolo per Vicenza si chiuse con l’allontanamento del dominio della Serenissima che segnò la fine di un forte legame secolare. Il Veneto diventò un conteso campo di battaglia per le lotte tra i francesi e gli austriaci. Nell’Ottocento, dopo la caduta di Napoleone, Vicenza passò sotto il dominio dell’impero austro-ungarico. Nel 1848, in tutto il nord Italia, iniziarono violenti tumulti per scacciare gli austriaci, ma soltanto nel 1866, finita la terza guerra di indipendenza, le truppe italiane liberarono il Veneto e Vicenza entrò a far parte del Regno d’Italia. Gli avvenimenti rivoluzionari di questi anni sono in vario modo attestati da quadri conservati presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza che ha sede nella villa Guiccioli dal 1935. Tra i numerosi cimeli, stampe, autografi, quadri, ritratti, armi esposte che testimoniano delle vicende fra l’era napoleonica e la guerra di liberazione, un dipinto anonimo dell’Allegoria di Venezia, eseguito nella prima metà del XIX secolo, risulta utile per l’indagine.

La figura è ricca di gioielli e pietre preziose. Interessanti sono l’interpretazione della croce popolare, probabilmente in argento e diamantini, appesa alla collana e il bracciale che si ispira alla polsiera senza miniatura ma con un nodo di pietre incastonate in diversi modi: a cabochon, a losanghe e quadrate. Questa moda dell’impiego di pietre grosse nei gioielli fu la conseguenza dell’entrate in uso nella corte francese del gioiello dalle notevoli dimensioni e appariscente, come simbolo d’autorità.

“Non potendo utilizzare gemme molto preziose, si fece ricorso ad altri materiali gemmologici, di “costo minore o più frequentemente presenti in natura in cristalli grandi, quali avori, acquamarine, conchiglie incise, coralli”. “Le trasformazioni politiche avvenute a Vicenza nella prima metà dell’Ottocento influirono su un contesto economico critico, ma nel quale non venne trascurato l’ornamento nemmeno dalla popolazione povera, che si abbelliva con piccoli oggetti in rame, argento, con perle di vetro e smalti miniati dal valore e peso irrisorio ma che inserivano l’accessorio nel corredo popolare.

Le semplici “vére”, le fedine vicentine o il classico anello a manine, già in auge nel periodo romano e cristiano, erano gli anelli più indossati dalle giovani contadine nel probabile intento di emulare le figlie delle famiglie benestanti dei ceti artigianali. Le ragazzine portavano spesso alle dita anelli d’oro con una sottile lastra centrale decorata con una piccola miniatura.”

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gioielli funerari

Tra le tecniche orafe, quella della lavorazione della filigrana restava sempre una delle più diffuse. In questo periodo, le guerre e la peste accentuarono il senso della morte, provocando una moda di macabri “gioielli funerari”: il materiale più usato a questo scopo era il giaietto (o gagate), una varietà di lignite nera e compatta, che proveniva dallo Yorkshire, un’antica contea dell’Inghilterra. Noto per essere stato usato fin dall’età del bronzo e conosciuto anche dai romani col nome di “ambra nera”, il giaietto venne impiegato su vasta scala in gioielleria perché è un materiale relativamente tenero e può essere inciso abbastanza facilmente.

Il suo utilizzo decadde verso la fine dell’Ottocento, quando vennero introdotti altri materiali meno costosi, come il vetro nero, il guscio” “di tartaruga o lo smalto nero. Anche a Vicenza, sia tra la popolazione ricca sia tra quella povera, la “moda degli ornamenti da lutto si sviluppò tra il 1860 ed il 1880: una “moda del nero” testimoniata dalla produzione di collane da lutto in vetro nero lucido o opaco.”

“Alla collezione privata Zambon – Scarpari a Vicenza appartengono alcuni esempi di questa moda: un pendente appeso al nastrino in velluto che veniva indossato alla base del collo in onice nero e di forma ovale; il ciondolo portafoto, che sulla parte esterna, in superficie, riporta l’immagine di un uccello del paradiso con dei fiori di gusto orientaleggiante in argento eseguito con lastra sottilissima, all’interno delle figure sono incastonate delle piccole perle scaramazze. Sul retro il portafoto contiene la foto di Giuseppe Scarpari. Completano la parure un paio di orecchini in onice,”sostenuti da una base in oro.” La maggior parte delle donne del tempo, poi, avevano i fori alle orecchie per indossare gli orecchini. C’erano orecchini semplici, formati da un anellino dal diametro di un centimetro, ma c’erano anche orecchini dalle forme più complesse, distinti per materiali, difficoltà tecnica di lavorazione e valore economico. Le popolane più povere usavano orecchini in filo pendenti con vaghi (semplici elementi spesso di forma circolare) e leggere lastrine pendule.

I reperti descritti ci consentono di tracciare queste memorie grazie alle donazioni di privati collezionisti vicentini che con cura hanno raccolto non solo gli oggetti preziosi, ma anche una ricca documentazione fotografica che ritrae le famiglie borghesi vicentine, oggi conservata presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza. Una documentazione significativa è stata messa assieme anche dall’antropologa romana Annabella Rossi (1933 – 1984) che sviluppò un’indagine sull’ornamento popolare, visto che gran parte del materiale raccolto appartiene al Veneto ed è oggi conservato nell’archivio del Museo delle arti e delle tra- dizioni popolari di Roma.

Sfogliando un campione della documentazione fotografica in nostro possesso risulta evidente quanto in uso fosse il gioiello nell’ambiente vicentino nel XIX secolo tra donne, uomini e anche bambini. In alcune foto della famiglia Massaria, ad esempio, sono ritratti alcuni uomini che sul panciotto, tra un taschino e un occhiello, fanno pendere la catena dell’orologio con un “moschettone” particolarmente interessante per lo snodo mobile. In genere le catene dell’orologio erano infatti fissate al panciotto con ganci ad anello o a bastoncino.

le tre sorelle Canalini

Le camice avevano l’ultimo bottone in oro oppure in onice nero o con diamante. Gli uomini non portavano quasi mai anelli, ma sfoggiavano gemelli e spille da cravatta. Sempre appartenente alla collezione Massaria è la foto scattata da Antonio Sorgato, ritenuto il maggior fotografo professionista veneto della seconda metà dell’Ottocento. La fotografia mostra le tre sorelle Canalini, di una famiglia di commercianti, che indossano delle sottili catenelle lunghe fino alla vita e agganciate al corpetto della veste larga con la gonna che copre la caviglia. I capelli venivano raccolti in una acconciatura con pettinini e fermagli in oro o similoro, la riga al centro e i boccoli lateralmente; i diademi e le coroncine erano in filigrana, con vaghi, in questo caso disposti a corona, con semplici fiorellini di perle legati alla nuca.

Appesi al collo le donne portavano dei ciondoli, che potevano avere varie forme ed essere anche portaritratti, attaccati a lunghe e leggere catene o fissati su un nastrino di velluto al collo, come le dame del Settecento. Anche le croci venivano appese ad un nastro legato al collo ed erano realizzate in lastra d’oro lavorata in ambo le parti. All’epoca erano molto di moda le miniature, soprattutto di soggetti religiosi, eseguite in pendenti tondi e ovali di piccole dimensioni con fondo in madreperla. Molto indossate erano le pontapètto, una sorta di spille dalla valenza funzionale, che serviva per allacciare il collo delle camicie, il velo oil fazzoletto. Potevano essere in oro, in cammei, in mosaico su pietra nera con fiori al centro. Le giovani donne sfoggiavano orecchini a goccia o a campana oppure pendenti a forma esagonale.

Gli orecchini veneti a forma di cerchio erano completati da vaghi aurei tondi, a navicella a forma piatta traforata o formati da un corpo lunato ottenuto in genere dalla saldatura di due lamine d’oro bombato, oppure a mandorla in un corpo più o meno allungato. È possibile così notare come l’oreficeria popolare ottocentesca di Vicenza, compresa quella più povera, avesse raggiunto una propria identità, dove il rapporto tra nuovi bisogni e ruoli sociali scandiva l’arco della giornata a tal punto che gli accessori venivano per la prima volta scelti a seconda delle occasioni.

Le vicende storiche e sociali del territorio, la disponibilità di alcuni materiali piuttosto che di altri, lo studio da parte delle corporazioni di tecniche di lavorazione particolari, hanno permesso che a Vicenza il gioiello sviluppasse una propria “anima locale”. Un efficace paragone con l’architettura ci porta a notare con una certa evidenza che, per quanto, pur nella loro diversità, le tecniche di lavorazione e i materiali di impiego possano assomigliarsi, tutta l’Italia è caratterizzata da diversi ordini architettonici.

La diversa sensibilità di un periodo storico, alcune necessità culturali o sociali peculiari di una zona, hanno determinato, nell’architettura come nella gioielleria, una significativa variazione di stile, conferendo a quelli vicentini una precisa e riconoscibile connotazione. Mentre tra le popolane continuava l’usanza (che mescolava sacro e profano) di ornarsi con la corona del rosario anche per uso quotidiano, tra le famiglie più agiate di quegli anni si manteneva vivo il gusto per il cammeo, probabilmente nato per imitare il mito di Napoleone che, cosa risaputa, aveva un grande interesse per i gioielli e in particolar modo per questo genere.

Tale moda era molo diffusa nell’Ottocento: dal “Journal des dames” del 1805 apprendiamo che i cammei si indossavano su cinture, collane, bracciali e tiare. Le pietre dure incise erano molto utilizzate, ma in mancanza di esse si usavano le conchiglie, molto più rapide da intagliare e più economiche. Tra le altre alternative più popolari si usavano gli smalti, la ceramica e i vetri policromi. Intanto nuove linee e nuovi atteggiamenti del costume avanzavano in tutta Europa, ispirati da tante correnti stilistiche che si sarebbero presto unite in nuove idee. Si poté così assistere alla rivisitazione dello stile gotico, del rinascimentale, dello stile greco, etrusco, romano, rococò, naturalistico, moresco, indiano.

Queste nuove tendenze giocarono a favore del rinnovamento del gioiello, che andava a soddisfare i diversi gusti nascenti, ispirati dalla letteratura e dall’archeologia. Una massa protesa al consumo e desiderosa di curiosità determinò nuove richieste di metallo prezioso capace di soddisfare il cambiamento produttivo. Nel XIX secolo si registrò un aumento delle disponibilità auree, ma nonostante questo l’oreficeria vicentina visse un periodo di crisi causato dagli avvenimenti rivoluzionari e sarà solo verso la fine del secolo, con il riaffermarsi delle arti applicate, che si assisterà a una inversione di tendenza con la registrazione di un forte aumento della quantità di oro lavorata. I profondi cambiamenti politici, sociali e economici costrinsero a ridefinire i luoghi e i soggetti dello sviluppo orafo, ognuno secondo la propria specificità ma tutti necessari per una nuova cultura dell’oggetto.

Le fraglie erano state soppresse durante il periodo napoleonico, ma dall’impatto con le trasformazioni della moderna società industriale, l’arte orafa vicentina riuscì a mantenere e consolidare la tradizione antica accostando alle preziose creazioni di bottega sistemi di lavorazione sempre più aderenti all’evoluzione tecnologica e ai nuovi orientamenti del mercato. Le botteghe erano ancora collocate nella piazza dei Signori, come risulta dalla litografia di Marco Moro del 1847 in cui si intravede la scritta “orefice” sopra la vetrina di un negozio nel palazzo di fronte a quello del capitanio. Nelle botteghe si rivisitò la produzione classica del Belli, facendo tesoro anche del contributo di altri “orafi meccanici” come Luigi Merlo.

Si svilupparono così due tecniche che in futuro continueranno ad essere largamente utilizzate: la decorazione delle superfici a bulino, soprattutto nell’arte sacra, e la lastra stampata, che vivrà il suo massimo splendore tra il 1960 e il 1980. Al raccordo tra botteghe di concezione rinascimentale e prospettive di sviluppo industriale commerciale puntò la Scuola di disegno e plastica, fondata nel 1858 per iniziativa dell’Accademia Olimpica, col proprio corredo di premi, mostre e un piccolo museo delle arti applicate. L’obiettivo era di migliorare la preparazione tecnico-professionale degli addetti alle arti minori. Inizialmente ne assunse la direzione il professor Pietro Negrisolo, coadiuvato soltanto dall’opera volontaria di alcuni assistenti. La scuola era sostenuta da ministeri ed enti locali, soprattutto dalla Camera di Commercio delle arti e della manifattura, istituita in epoca napoleonica, che raccoglieva tutti i dati della produzione orafa.

Quando nel 1928 fu chiamato a dirigere la scuola il conte architetto professore Fausto Franco, che sviluppò i laboratori di applicazione, la denominazione Scuola di disegno e plastica mutò in Scuola d’arte e mestieri. Dalla scuola uscirono allievi come Ernesto e Giuseppe Scalco che, dopo aver concluso il periodo scolastico, si specializzarono a Roma nell’arte dei cammei, mentre Luciano De Poli, da cesellatore e semplice armaiolo iniziò una brillante carriera nelle scuole della provincia. Scuola primaria all’esordio, poi mista, infine, precisamente dal 1864, serale e festiva Scuola di disegno e plastica per la formazione degli artigiani e degli operai della prima industria: gli artieri. Il termine ottocentesco “artiere” sintetizza felicemente proprio quell’ambiguità fra la componente creativa dell’ “ancora artigiano”, e la componente rigida e alienante del “non ancora operaio”.

Con l’inizio del Novecento la scuola si staccò dall’Accademia Olimpica per acquisire una sua identità. Ancora prima tuttavia, il mondo orafo sentì il bisogno di una maggiore autonomia e nel 1833, con un sollecito provinciale, si richiese alla Camera di Commercio di poter applicare i bolli sugli oggetti d’oro e d’argento direttamente a Vicenza e non più a Padova, dove si trovava l’ufficio garanzia.

Ora nuove prospettive commerciali e culturali avanzarono, grazie soprattutto alle manifestazioni delle fiere che attiravano il grande pubblico che, con lo sviluppo delle reti viarie e ferroviarie, giungeva a Vicenza con maggior facilità e in maggior numero. Verso la fine dell’Ottocento, infatti, cominciarono a primeggiare alcune piccole ma interessanti iniziative e altre mostre nazionali e internazionali dove idea, prodotto e macchinario convivevano nello stesso spazio espositivo.

Ad esempio, a Vicenza, nel 1871, si tenne “l’Esposizione Regionale Veneta”, (articolata in tre sezioni, agricoltura, industria manifatturiera, belle arti e arti industriali) dove uno spazio fu dedicato all’oreficeria e la ditta Navarotto di Vicenza espose alcuni oggetto d’oro “di un merito singolare”. L’importanza di queste piccole rassegne locali andò via via crescendo, ispirandosi a quelle più imponenti e famose di Parigi e Londra che volevano celebrare le meraviglie della tecnologia applicata alla lavorazione dei metalli preziosi.

Grazie alle innovazioni tecnologiche, verso la fine del XIX secolo la maggioranza della popolazione ormai ricercava accessori decorativi da indossare. Per soddisfare questa elevata richiesta grande impiego trovò il similoro, una lega metallica composta da rame, stagno e zinco utilizzata per determinati articoli nei quali si incastonavano una quantità di pietre semipreziose, come l’acquamarina e il crisolito. Conseguentemente aumentarono le fabbriche di bigiotteria già esistenti a Vicenza.

Per tutto il secolo e oltre continuò la produzione di spille, di anelli, di pendenti e di ornamenti per capelli. Gli elementi decorativi che primeggiavano nel gioiello di fine secolo avevano un gusto romantico: cuori, fiori in pietre dure o smalto. Un esempio è la spilla in oro, argento e diamanti, venduta nel Novecento dalla Gioielleria Marangoni, la cui bottega aveva sede sotto le logge della Basilica palladiana, oggi conservata a Vicenza in una collezione privata.

Spilla in oro, argento e diamanti, venduta nel Novecento dalla Gioielleria Marangoni

Il gioiello ha la forma di ramo fiorito con sette piccole foglie tempestate di rose di diamanti, presenta un grande fiore centrale a cinque petali e uno dalle dimensioni leggermente più piccole, sempre a cinque petali. Un modello largamente diffuso all’epoca in tutta Europa. I braccialetti erano un accessorio di gran moda: quello più comune aveva un pannello ovale o circolare contornato dal bracciale a forma di polsiera. Comparvero i bracciali rigidi da polso di cui un esempio interessante è fornito dalla collezione Zambon – Scarpari: un bracciale d’oro decorato con smalti turchesi che rivela le capacità tecniche necessarie per l’avvolgimento dello smalto attorno al filo che decora il centro. La polsiera è rigida e composta da due lastre, una rotondeggiante posata su fondo costituito dall’altra piastra piatta e saldata; una lancia centrale decorata con gli stessi smalti è fissata all’interno del bracciale con una cerniera e al centro si trova uno zircone contornato da incisioni a bulino rigato e mezzotondo.

Il bracciale si chiude a scatto. Intorno alla metà del secolo si diffuse un tipo di gioielleria commemorativa piuttosto tetra che simboleggiava l’amore eterno, conosciuta come hair work: i capelli del defunto venivano intrecciati in cordoncini provvisti di terminazioni in oro ed erano spesso usati spesso come braccialetti, collane o catene da orologi. Un altro bracciale della famiglia Zambon – Scarpari, con chiusura a scatto e placchetta incisa a bulino, ha proprio il nastro tessuto con capelli castani. L’oreficeria vicentina, alla fine del XIX secolo, raggiunse un alto livello qualitativo; la diversificazione degli oggetti e il loro elevato grado di manifattura erano una prova di come l’industria orafa fosse diventata per la città berica l’attività economica trainante e un punto di riferimento nazionale e internazionale. Non è un caso che negli ultimi decenni dell’800 si intensificarono i contatti con le città europee.

Un’esemplare prova di questi scambi di tecnologia è offerto dalla ditta di Luigi Balestra, produttrice di catene sorta nel 1882 a Bassano del Grappa; egli instaurò stretti legami con gli orefici di Pforzheim, città tedesca oggi gemellata con Vicenza, dai quali apprese nuove tecniche giungendo ad adattare le macchine per cucire Singer alla produzione della catena in serie, passando così dalla lavorazione manuale a quella a macchina. Un altro elemento di potenziamento del commercio internazionale fu il fenomeno delle emigrazioni: nella seconda metà dell’Ottocento molti vicentini espatriarono, soprattutto nelle Americhe, tra questi ci furono anche molti orefici che continuarono il loro lavoro nelle nuove nazioni, contribuendo, così, a far conoscere all’estero la produzione orafa della loro città natale. Nell’ultimo decennio dell’800 l’arte orafa, secondo le fonti della Camera di Commercio, si esercitava a Vicenza in otto laboratori.

Tra questi si ricordano quello di Cesare Navarotto, quello di Bortolo Martinelli, di Angelo Marangoni, dei fratelli Trevisan e di Pilade Zanella. La produzione dell’oreficeria sacra dell’Ottocento lascia come esempi più interessanti tra le sue produzioni due opere: la corona e il pettorale della statua della Madonna di Monte Berico, recentemente restaurati da Stefano Soprana, erede della ditta Marangoni.

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Corona della statua della Madonna di Monte Berico

La corona, voluta nel 1899 dai Padri Servi di Maria in occasione del Giubileo, fu opera magistrale dell’orafo Angelo Marangoni, che teneva bottega sotto le logge della Basilica palladiana, in collaborazione con il cesellatore Attilio Tosetti e i gioiellieri Michelon. La sua foggia inusuale sembra trarre ispirazione, nella forma a calotta chiusa scompartita a spicchi impostata su di un diadema arricchito da elementi pendenti a forma di frangia continua, dal Kamelau- kion, un copricapo regale bizantino utilizzato soprattutto dagli uomini.

Alla singolarità della struttura, che offre campo propizio alla profusione di materiali preziosi – 3 chili d’oro, quasi mille pietre preziose, tutte offerte dalla generosità dei fedeli – l’opera abbina la raffinatezza dei partiti decorativi, fedelmente ripresi, secondo uno scoperto richiamo all’identità culturale oltre che religiosa della città, dai massimi capolavori dell’officina sacra vicentina quattro – cinquecentesca, dal reliquiario della Santa Spina al calice di Santa Corona alla splendida croce processionale della Cattedrale.

Analogamente alla corona il ricchissimo pettorale eseguito dallo stesso Marangoni con raro rispetto filologico dei materiali impiegati, attesta ad un tempo la generosità dei vicentini e la storica maestria degli orafi locali. Un recente studio ha consentito di verificare che entrambi gli oggetti sacri sono stati realizzati utilizzando, o meglio inglobando, anche gioielli più antichi tra i molti donati nel tempo alla venerata immagine della Vergine. Alcuni di questi sono di grande pregio e rilevanza storico-artistica, quali l’anello in oro con ametista e diamanti di papa Leone XIII e la croce pettorale in oro, argento diamanti e ametiste del vescovo di Vicenza Zaguri.

Altri invece sono gioielli più poveri e di uso profano, come spille, bottoni e orecchini, ma ugualmente di notevole interesse in quanto offrono un piccolo, inedito repertorio della produzione orafa veneta sette – ottocentesca. Tra gli orefici conosciuti che si occuparono di lavori di oreficeria liturgica spiccò a Vicenza, verso la metà del secolo, Luigi Merlo (1772 – 1850), un personaggio geniale, primo esempio di orafo meccanico, allievo dell’orafo e incisore Giuseppe Dainese. Entrato nelle corporazioni degli orefici vicentini nel 1802, egli seppe unire abilità manuale e ricerca di nuove tecnologie. Merlo associò argento, oro e pietre preziose in una vasta gamma di fini lavori di oreficeria sacra, ma anche in quelli di uso quotidiano. Nei confronti della sua arte orafa gli intellettuali del tempo non si mostrarono molto benevoli.

Per il Rumor come per il Da Schio la sua bigiotteria era pesante. Parlavano di cattivo gusto e di pezzi troppo carichi: non erano che copie di stili e maniere del passato. Ignoravano probabilmente che l’epoca era propizia al ritorno all’antico e che la vera abilità del Merlo stava proprio nell’essere riuscito a unire il moderno con la tradizione. Egli era di fatto al passo con le nuove tendenze dell’arte a livello internazionale: quella più rappresentativa dell’epoca era la riproduzione esatta degli oggetti dell’oreficeria antica, effettuata secondo processi tecnici desunti dall’archeologia. I suoi pezzi di oreficeria richiamano il neogotico, il neorinascimento e il neoclassico.

Sono tabernacoli, candelabri, tabacchiere, zuccheriere, calici in argento dorato, che facevano bella mostra accanto agli oggetti più “mondani”. Sarà però la sua abilità meccanica ad attirare maggiormente l’attenzione: è il primo in tutte le Venezie a comprare, adattare, costruire e utilizzare macchine per l’oreficeria. Ed è grazie a questo merito che nel giugno del 1825 venne sollecitato dalla Camera di Commercio a partecipare al concorso organizzato a Vicenza al fine di premiare gli inventori: vincerà nel 1831 la medaglia d’argento grazie al suo otturatore per bottiglie. La sua genialità meccanica e le sue applicazioni pratiche nel settore orafo fecero di lui uno dei più importanti orafi meccanici del suo periodo, i cui lavori girarono in tutta Europa. Il passaggio tra Ottocento e Novecento è caratterizzato da uno sviluppo industriale che produsse profondi mutamenti nel panorama orafo vicentino. Iniziò in città un processo che, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, fece segnare notevoli avanzamenti sia di carattere tecnico che commerciale.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


In uscita il numero di Giugno 2023
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Prezzo di copertina euro 5
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Vedere la Strada Regionale 11: presentazione del video realizzato dagli studenti IUAV

I risultati di un laboratorio realizzato per la “lettura” di un tratto della Strada Regionale 11 saranno presentati giovedì 8 giugno 2023, alle 18 presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza a Palazzo Cordellina.

Saranno presenti gli studenti del corso “Innovazione, cultura materiale e società” della sede di Vicenza dell’Università Iuav di Venezia, tenuto dal professore Guido Borelli.

Il tratto della Strada Regionale 11 che andava “letto” è compreso tra la rotonda di San Lazzaro e quella di Montecchio Maggiore. Obiettivo: provare a vedere “con occhi nuovi” un luogo che molti di noi conoscono o credono di conoscere.

Il progetto ha preso avvio con l’inizio del corso, a febbraio scorso. Il 9 maggio gli studenti hanno coinvolto alcuni testimoni di Vicenza (Claudio Bertorelli, Matteo Cibic, Matteo Cremon, Pino Dato, Giovanni Battista Gleria, Cleto Munari, Nicola Negrin, Maria Grazia Pegoraro, Maria Pia Veladiano, Alessia Zorzan, Chiara Visentin e Mattea Gazzola) e con loro hanno lavorato a gruppi per raccontare le impressioni e le emozioni che il paesaggio in movimento evoca.

Ne è nato un video, realizzato dal regista Pietro Carra, che mira a far comprendere alcune delle conseguenze socio-spaziali dello sviluppo economico che, in anni recenti, ha caratterizzato il nostro territorio.

Il progetto – realizzato dal docente di sociologia urbana dell’Università Iuav di Venezia, Guido Borelli, con la collaborazione di Adriano Cancellieri, Pietro Carra, Mersida Ndrevataj, Andrea Pertoldeo e Olga Tzatzadaki – ha incentivato gli studenti a considerare la SR 11 come una sterminata collezione di oggetti – piccoli e grandi, animati e inanimati –, in cui il processo di produzione e di circolazione delle merci ha realizzato pienamente la propria logica esistenziale e formale.

Il 9 maggio i ragazzi hanno lavorato su cinque direzioni: un primo gruppo racconta due camminate (“urban trekking”), che sono state effettuate dagli studenti all’inizio del corso per avvicinarsi allo spazio oggetto di studio; un secondo gruppo presenta i fotolibri che sono stati creati dagli studenti che raccontano gli oggetti e gli spazi della SR 11; un terzo gruppo ha utilizzato la tecnica della foto elicitazione, chiedendo ad alcuni testimoni di spiegare e raccontare – come farebbero con un extraterrestre – il contenuto di alcune fotografie della SR 11 che venivano loro proposte; il quarto gruppo ha lavorato con la tecnica dell’intervista go-along, raccogliendo le impressioni suscitate da quel paesaggio mentre lo percorrevano a piedi o in auto; il quinto gruppo ha registrato i suoni che danno vita all’ambiente e ha prodotto delle cartoline sonore della SR 11.

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Fonte: Comune di Vicenza

Notturni dell’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza: si riparte con sei concerti

Sarà il direttore principale dell’Orchestra del Teatro Olimpico, Alexander Lonquich, ad inaugurare venerdì 9 giugno 2023 al Chiostro di San Lorenzo una nuova edizione dei Notturni, la musica sotto le stelle della OTO realizzata in collaborazione con il Comune di Vicenza.

Nata qualche anno fa, la rassegna estiva all’interno della quale i musicisti dell’orchestra si esibiscono in varie formazioni da camera ha conquistato i favori del pubblico proprio per la varietà degli ensemble schierati di volta in volta, ma anche per le interessanti proposte musicali in cartellone che spaziano dal Settecento ai nostri giorni.

La fortunata formula viene confermata anche in questa edizione 2023 – sei i concerti in programma fino al 28 luglio – che prende il via venerdì 9 giugno con un quintetto di fiati formato da Alessandro Lo Giudice al flauto, Paolo Vivaldelli all’oboe, Davide Simionato al clarinetto, Augusto Palumbo al fagotto, Dante Magli al corno e la partecipazione straordinaria di Alexander Lonquich al pianoforte.

La soirée a San Lorenzo inizia con un omaggio a Beethoven tratto dai 10 Temi variati Op. 107, una raccolta poco conosciuta per pianoforte con l’accompagnamento del flauto (o del violino, ad libitum) pubblicata nel 1819. Lonquich e il flautista Alessandro Lo Giudice eseguono le variazioni dal tema numero 7 della raccolta, ovvero l’aria popolare di origine russa “Schöne Minka”.

A seguire un effervescente Divertissement per quintetto a fiati e pianoforte di Albert Roussel, noto didatta (ebbe fra i suoi allievi anche Satie e Martinů) e considerato uno dei più significativi autori francesi del Primo Novecento.

L’altro compositore d’oltralpe in programma è Francis Poulenc, del quale sarà proposto il Sestetto per fiati e pianoforte del 1932, rimaneggiato nel 1939. Composto all’apice della popolarità, questo pezzo si distingue per l’abilità di Poulenc nell’esaltare le caratteristiche timbriche dei singoli strumenti.

Al centro della serata c’è il Quintetto per pianoforte e fiati in Mi bemolle maggiore di Mozart. Venuto alla luce in un frangente particolarmente felice del percorso artistico del suo autore, il Quintetto debuttò con enorme successo al Burgtheater di Vienna nell’aprile del 1784 e lo stesso Mozart lo considerò sempre uno dei suoi brani più riusciti: “è la cosa migliore che abbia mai scritto finora in vita mia”, scrisse al padre Leopold. Stupisce, in effetti, la maestria con la quale il compositore salisburghese riesce a creare un sublime equilibrio fra gli strumenti a fiato coinvolti, che a loro volta dialogano amabilmente con il pianoforte.

Il concerto inizia alle 21.

Nel rap italiano Vicenza lascia il segno con Nitro e MamboLosco

Influenzata anche dalla presenza della Caserma Ederle, ospitante le truppe statunitensi, la città del Palladio ha contribuito significativamente anche al mondo del rap italiano.

Nicola Albera, in arte Nitro, è un rapper classe 1993 che, già dai tempi della prima stagione di MTV Spit, si è fatto notare per il suo talento negli incastri e nel freestyle, entrando a far parte della Machete Crew nel 2012. Sempre nello stesso anno arriva anche la sua prima collaborazione nel “Casus Belli EP” di Fabri Fibra. Tutto ciò gli serve come gavetta per la partecipazione al “Machete Mixtape vol. II”, fino al suo primo album “Danger” nel 2013 distribuito dalla Sony music.

Ad oggi su Spotify, la piattaforma di streaming musicale più utilizzata al mondo, conta oltre 48 milioni di ascolti, venendo riconosciuto “Disco d’oro” dalla FIMI nel 2020. Fino ad oggi Nitro ha ricevuto molti riconoscimenti dalla FIMI, soprattutto per i due singoli “Pleasantville” e “Marylean” che hanno raggiunto rispettivamente 60 milioni e 73 milioni di visualizzazioni streaming sulla piattaforma, senza contare le copie fisiche.

Un altro riconoscimento per Nitro è quello di essere l’unico italiano invitato a una video performance rap sul canale YouTube “Colors”, presentando a tutti gli ascoltatori il singolo inedito “Lucifero”. Probabilmente anche questo influì sulla scelta dello stesso Nicola da parte di 24kGoldn, artista statunitense, per il remix di “City of angels”, singolo certificato platino entrato nella top 50 di 15 paesi diversi, tra cui il Regno Unito.

Un altro artista rap di Vicenza, più precisamente di San Pio X, è William Miller Hickman III in arte MamboLosco. Classe 1990 con padre militare statunitense e madre pugliese, inizia a riscuotere successo insieme a Nashley nel 2017, anche lui artista vicentino, quando pubblicano il singolo “Come se fosse normale” seguito da altre collaborazioni che portano alla fondazione della “Sugo gang”, collettivo che comprenderà Edo Fendy, Kerim e il produttore Nardi.

Sempre nello stesso anno, grazie alla popolarità acquisita entra in affari con la “Triplosette Entertainment”, etichetta della Dark Polo Gang, per poi successivamente firmare con la Virgin Records. Nel 2019 viene pubblicato il suo primo album intitolato “Arte”, con il quale attira l’attenzione anche di altri colleghi, tra i quali Boro Boro, soprattutto per le sonorità tipiche delle canzoni americane, ma anche per l’influenza del reggaeton.

Nel 2020 viene certificato “Disco d’oro” dalla FIMI e nello stesso anno anticipa il suo album congiunto con Boro Boro, “Caldo”, con il singolo “Il passo”. Dopo un paio di anni senza un nuovo disco, ma con tanti singoli e collaborazioni, pubblica il 26 maggio “Facendo faccende”: 15 tracce inedite e altre 5 già pubblicate nel corso degli ultimi due anni. Ad oggi ha raggiunto le 4,4 milioni di visualizzazioni streaming su Spotify, soltanto contando le tracce inedite. Invece delle canzoni pubblicate in precedenza due sono state certificate “singoli d’oro” dalla FIMI.

Cultura veneta nel mondo, associazione istituisce il premio Ambra Beggiato

L’Associazione Veneti nel Mondo Aps nell’ambito della sua attività di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, culturale e linguistico del popolo veneto e delle comunità venete all’estero, ha istituito con la famiglia Beggiato, il “Premio Ambra Beggiato per la cultura veneta nel mondo” in ricordo della giovane prematuramente scomparsa, figlia del presidente onorario Ettore.

Il premio è riservato a testi, racconti, ricerche storiche e tesi di laurea dedicate alla storia, alla cultura, all’identità, all’emigrazione e alla lingua del popolo veneto e delle aree linguisticamente venete o appartenute alla Repubblica Veneta, elaborati in lingua italiana o in lingua veneta (o in lingua straniera con traduzione allegata) che dovranno essere spediti all’Associazione Veneti nel Mondo Aps entro il 30 settembre 2023. Al vincitore verranno consegnati mille euro come previsto nel bando.

Il Presidente della Veneti nel Mondo aps Aldo Rozzi Marin ha sottolineato la valenza dell’iniziativa che si inserisce nel solco di molte altre realizzate nei venticinque anni di attività nell’ambito dell’emigrazione e della cultura veneta. Sono oltre 400 le iniziative ideate e promosse tra corsi formativi, scambi giovanili, missioni imprenditoriali, progetti editoriali e multimediali, che hanno coinvolto i circoli dell’Associazione all’estero e in Italia, che hanno beneficiato di contributo e patrocinio di enti quali Ministero degli Affari Esteri, Istituti italiani di Cultura nel mondo, Ministero della Cultura, Ministero del Lavoro, Regione del Veneto (Assessorato ai Flussi Migratori, Direzione Relazioni Internazionali e Cooperazione internazionale, Direzione beni e Attività Culturali e Sport). Obiettivo centrale di queste attività – e del Premio Ambra Beggiato – è quello di rinsaldare i legami tra il territorio e le comunità venete in Veneto e all’estero, valorizzando il patrimonio storico e culturale veneto.

Ambra Beggiato

Ettore Beggiato, presidente onorario dell’Associazione e già assessore regionale ai rapporti con i Veneti nel mondo, ha ricordato la passione della figlia Ambra per la ricerca genealogica, auspicando una significativa partecipazione dei giovani veneti, dei figli dei tanti emigranti veneti nei cinque continenti, dei giovani di quei popoli che hanno condiviso l’esperienza della Repubblica Veneta e che possono riscoprire il loro passato anche attraverso questo premio, dall’Istria alla Dalmazia, da Creta a Cipro alle Isole Ionie.
Altre iniziative dalla famiglia Beggiato per onorare la memoria della figlia Ambra sono state realizzate nello stato africano del Benin e hanno portato alla realizzazione di cinque pozzi per dotare le rispettive comunità di acqua potabile.

Tutte le informazioni relative al bando sono pubblicate sui siti internet www.venetinelmondo.org e www.globalven.org, sui canali social dell’Associazione Veneti nel Mondo aps. Eventuali informazioni aggiuntive possono essere richieste a [email protected].

Il Premio Ambra Beggiato per la cultura veneta nel mondo è dedicato a Ambra Beggiato, nata a Padova il 31/10/1991. Si diploma all’istituto “B. Montagna” di Vicenza come operatrice socio-sanitaria. Vive con la famiglia a Bastia di Rovolon (Pd) lavorando nella farmacia della madre Maria Teresa; appassionata di musica, di lettura e di ricerca genealogica. Ci lascia dopo un improvviso malore il 30/4/2019 donando tutti i suoi organi.

“Una smodata passione per i coleotteri: storie di insetti e di entomologi vicentini”

Il Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza propone una nuova mostra temporanea.“Una smodata passione per i coleotteri: storie di insetti e di entomologi vicentini sarà aperta dal 16 giugno 2023 16 giugno 2024 per raccontare al pubblico l’importanza e il fascino di un ordine d’insetti – quello dei Coleoptera – con la maggior biodiversità sul pianeta. Dalle coccinelle agli scarabei, passando per la dorifora e le lucciole, i coleotteri impressionano per le loro forme, i loro colori e le loro capacità sorprendenti.

Organizzata con la collaborazione del Gruppo Naturalistico Archeologico degli Amici dei Musei, con il patrocinio di Regione del Veneto, Provincia di Vicenza, Accademia Olimpica, Fondazione Giuseppe Roi, andrà a sostituire la mostra “Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon” che si chiuderà il 31 maggio.

La mostra parlerà di studiosi e delle loro collezioni e soprattutto di coleotteri, da quelli dei Colli Berici a quelli tropicali, della loro biodiversità e importanza, del loro rapporto con l’uomo, della loro presenza nelle opere d’arte.

Saranno esposti anche coleotteri interpretati da giovani studenti-artisti del liceo artistico Boscardin.

Il Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza conserva preziose collezioni di insetti, fra le quali la collezione entomologica Faustino Cussigh di più di 26.000 esemplari principalmente di coleotteri del vicentino. Inoltre, dal 2021 è in corso il progetto Coleotteri dei Colli Berici che ha come obiettivo la pubblicazione di un libro con i dati aggiornati sulla biodiversità locale di questo gruppo di insetti. A questo è associato anche il progetto di scienza partecipata “citizen science” sulla piattaforma Inaturalist “Coleotteri dei Colli Berici”.

Per fornire un adeguato livello di garanzia scientifico-museologica nella programmazione e gestione dell’iniziativa è stato nominato un Comitato scientifico composto da autorevoli studiosi ed esperti della materia: Roberto Battiston (Museo di Archeologia e Scienze Naturali “G. Zannato”, Montecchio Maggiore, Vicenza), entomologo, consulente scientifico

Armando Bernardelli (Museo Naturalistico Archeologico Vicenza, amministrazione) Silvano Biondi (Gruppo Naturalistico Archeologico degli Amici dei Musei di Vicenza), entomologo, curatore della mostra, Elena Canadelli (Università di Padova), consulente scientifica e museologica, Marialuisa Dal Cortivo (World Biodiversity Association), entomologa, consulente scientifica, Paolo Fontana (Fondazione Edmund Mach), entomologo, consulente scientifico, Viviana Frisone (Museo Naturalistico Archeologico Vicenza, conservatrice museale), organizzazione, Francesco Mezzalira (Gruppo Naturalistico Archeologico degli Amici dei Musei di Vicenza), naturalista, consulente scientifico, coordinamento.

In occasione dell’inaugurazione, venerdì 16 giugno alle 18 nella sala dei chiostri di Santa Corona si terrà la conferenza “Entomologia Gabonica. Cinque spedizioni nelle foreste dell’Africa centrale”, a cura di Silvano Biondi, entomologo e curatore della mostra. Successivamente si potrà visitare l’esposizione.

Allestimento a cura di Biosphaera scs. L’attività didattica alle scuole sarà curata dalla cooperativa Scatola Cultura scs.

La mostra si potrà visitare durante l’orario di apertura del museo ed è compresa nel biglietto di ingresso.

Informazioni: [email protected], tel 0444222815

www.museicivicivicenza.it

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Fonte: Comune di Vicenza

L’oro di Vicenza. Il XVII secolo, l’epoca delle riforme e la passione per lo sfarzo

Prosegue il viaggio di L’altravicenza con l’oro grazie alla pubblicazione a puntate della tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate sul numero 10, settembre-ottobre 2022, di Storie Vicentine.

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Nozze di Caana dipinto nel 1663 da Luca Giordano (1634 – 1705)

Dopo un florido periodo di benessere, Vicenza, nei primi decenni del XVII secolo, dovette affrontare una situazione aggravata dall’esplosione della peste e dal regresso economico della Serenissima, la cui potenza mercantile si indebolì fino a perdere il suo monopolio. Nonostante la situazione non fosse positiva, tra i patrizi veneziani e i nobili vicentini esplose lo sfarzo. L’aristocrazia veneta visse staccata dalla realtà, quasi in un clima di continuo sfoggio, malgrado i continui decreti suntuari. Questi documenti, i lasciti degli iscritti alle confraternite e i testamenti privati, oggi diventano un utile strumento di indagine per conoscere l’accessorio ornamentale. Da essi apprendiamo che nel Seicento erano in uso le borchie che trattenevano i drappeggi dei tessuti ricamati con oro, argento e impreziositi da pietre, perle e corallo; i bottoni e i bracciali cominciavano ad aumentare a causa del cambiamento delle maniche dell’abito; erano in auge varie fogge di orecchini e collane a catena lunghe o corte, con o senza perle. Gli anelli erano indossati dalle autorità religiose, anche in tutte le dita. Gli uomini indossavano sui cappelli dei fermagli d’oro. I cavalieri esibivano l’oro nelle catene, nelle spade, nei pugnali e nelle cinture. Inoltre, nel gioiello del XVII secolo, continuava ad imperare il soggetto floreale: fiori smaltati o impreziositi dalle pietre preziose, altri ornati da perline infilate su perni d’oro, alcuni aperti e altri in boccio. Per poter individuare con maggiore precisione gli accessori inseriti nel costume del XVII secolo, occorre, ancora una volta, rivolgere l’analisi alla pittura e alle opere a fresco nelle ville dove i pittori, nel ritrarre gli uomini e nel riprodurre le immagini del proprio tempo, ci trasmettono tutta la ridondanza e la ricchezza del Barocco, uno stile che era un tutt’uno con quello sfarzo tanto condannato dalle leggi suntuarie.

Se guardiamo alle testimonianze conservate presso la Pinacoteca di palazzo Chiericati possiamo vedere ad esempio come nelle Nozze di Cana, dipinto nel 1663 da Luca Giordano (1634 – 1705)63, vengano riprodotte delle fogge di gioielli in stile tardo rinascimentale e orecchini di perle a goccia. I fermagli femminili con cornice a volute e perla pendente, hanno al centro pietre rosso vivo. Il nobile al centro del dipinto indossa un fermaglio rotondeggiante con perla pendente e altre infilate a lato. Il cambiamento che più incise nello stile del gioiello seicentesco venne però dal contributo delle pietre e dalla scoperta di nuovi tagli, una moda questa che imperversava in tutta Europa. In Dama col guanto, eseguito intorno al 1645, Giulio Carpioni (1613 – 1678) ci propone la moderna interpretazione del fermaglio che trattiene il mantello. L’accessorio ha una linea semplificata, con la lastra a base quadrata contenente al centro una mezza sfera che dal colore descritto potrebbe risultare in cristallo di rocca, anticipando il gusto neoclassico ottocentesco. I gioielli riprodotti in queste opere sono propri degli ambienti nobili. Per quanto riguarda il gioiello popolare non abbiamo a disposizione immagini significative, ma possiamo recuperarne informazioni dai documenti dei lasciti. Nonostante le condizioni di vita precarie la popolazione, sia pur su abiti di cotone e lana grezza e a volte a piedi scalzi, non trascurava di ornarsi con nastri e oggetti, di scarso valore materiale, ad imitazione delle forme di quelli ricchi.

oroLa semplice corona del rosario, ornamento dalla duplice funzione di espressione di un atteggiamento religioso e di abbellimento, già diffuso tra i nobili, diventa per le popolane un gioiello ricorrente. Spesso tra i grani vi erano inserite delle medagliette in metallo vile, realizzate in alpacca o piombo e in argento per chi poteva permetterselo. La storia racconta di avvicendamenti che riguardarono le botteghe degli orefici che, tra il Seicento e il Settecento, subirono delle modifiche. Da un documento del 1666 sappiamo che due botteghe, situate sotto il palazzo della Ragione a Vicenza, furono divise in quattro e terminavano al “Canton del Volto di Mezzo”. Circa un secolo dopo, sotto la gastaldia di Antonio Marinali e Francesco Marchioretto, tra il 1746 e 1752, quattro botteghe erano poste sotto la Basilica e risultavano affittate ai signori Simeoni Antonio, Lucillo Pilatti che sarà poi sostituito da Giacinto Vieri, Vincenzo Marangoni, Giacomo Vigorio e Lorenzo Montagnana. Per il periodo che va dal 1746 al 1800 l’attività della fraglia vicentina, i regolamenti emanati per l’attività orafa e, il numero degli iscritti furono sintetizzati nella Relazione delli Pubblici Rappresentanti di Vicenza al Magistero dei Provveditori in Zecca in materia di orefici. Nel 1785 al provveditore in zecca risulteranno 27 iscritti e fra questi non erano rari gli orefici non vicentini.

Il magistero rinnovò e adattò ai tempi i regolamenti fissati nei secoli precedenti, inerenti non solo l’iscrizione alla fraglia ma anche la manifattura degli oggetti in metallo prezioso, riconfermando la proibizione della vendita di oggetti preziosi da parte dei non iscritti alla fraglia e testimoniando un continuo rispetto della materia di vendita dei preziosi. Tuttavia tutte le confraternite, compresa quella degli orefici, furono soppresse nel 1807 da Napoleone; tale decisione non implicò la fine dell’attività orafa che, infatti, venne gestita dal nuovo organismo voluto dall’impero francese: l’Istituto della Camera di Commercio delle arti e manifatture. Per quanto riguarda le fiere, nel XVIII secolo, la municipalità vicentina si preoccupò che fossero spostate da piazza dei Signori a Campo Marzo, allo scopo di sottrarle al pericolo di incendi. Malgrado la soppressione della confraternita, l’oro continuò ad essere lavorato come elemento decorativo ed investimento economico. Le richieste del metallo prezioso nel Seicento erano infatti in continuo aumento e le poche quantità che venivano estratte nel nord Italia, come a Recoaro o a Trissino nel vicentino, erano ormai esaurite ed era impossibile soddisfare la domanda.

Per questo motivo alcune riserve furono create, ancora in età rinascimentale con gli ori conquistati o scambiati durante i viaggi in Oriente, ma il grande contributo aurifero giungeva dall’Europa e dagli stati d’America, soprattutto dal Brasile, facendo anche il giro per il Baltico. Dopo il 1700 l’oro cominciò a diventare ancora più raro ma, malgrado questo, su di esso si basava il commercio internazionale e la Zecca di Venezia, che nel Veneto si occupava di gestire l’oro, diventò un istituto autorevole, un punto di riferimento per quasi tutti gli altri organismi operanti nel territorio. L’interesse al metallo non era più riservato a pochi: i grandi stati sentirono il bisogno di possedere una riserva aurea, i singoli cittadini, da parte loro, iniziarono a considerare l’oro un investimento oppure un elemento di distinzione e di piacere tutto personale. Nel XVIII secolo, a livello ornamentale, il gioiello si alleggerì. Le montature dei gioielli con pietre diventarono più delicate in modo da esaltare al massimo lo splendore delle pietre incastonate una vicina all’altra.

Comparvero i motivi floreali e gli orecchini pendenti a girandola, impreziositi dalle pietre tagliate oppure incise con figure classicheggianti. Il lavoro di sbalzo e fusione con pesanti volute si ridusse. Primeggiava l’eleganza della lavorazione a traforo che alleggeriva l’oggetto e gli forniva nuove trasparenze: i riccioli in filo sembravano dei pizzi sottili che trattenevano zaffiri, rubini e diamanti. Le perle non scomparvero mai dall’accessorio ornamentale, si diffusero quelle scaramazze e il loro coinvolgimento in eleganti abbinamenti raggiunse una notevole sintesi. I grandi cambiamenti riguardavano soprattutto il gioiello profano, il cui lo stile doveva essere adattato alle mutate esigenze del costume. Per l’analisi delle mode di questo periodo storico anche gli affreschi delle ville vicentine diventano lo strumento di ricerca essenziale.

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Affreschi di G.Tiepolo a Villa Valmarana ai Nani

Nel Settecento le famiglie Loschi, Valmarana e Cordellina decisero di affrescare le ampie pareti delle loro ville. A svolgere tale compito vennero chiamati due tra i pittori più validi dell’epoca quali Giambattista Tiepolo (1696 – 1770) e il figlio Giandomenico (1727 – 1804). Tra i due Tiepolo esiste una sostanziale differenza: il padre dedicherà la sua vita ad interpretare il mito di corte e a ritrarne i protagonisti, mentre Giandomenico lentamente si allontanò da questa linea espressiva influenzato dal nuovo e intenso fermento popolare. Proprio per queste due diverse posizioni, ci troviamo di fronte a due diverse raffigurazioni del gioiello: quello nobiliare, quasi “mitico” realizzato dal Tiepolo padre e quello maggiormente realistico ritratto dal Tiepolo figlio.

Il ciclo di affreschi di Giambattista Tiepolo a villa Loschi Zileri Motterle, a Monteviale di Vicenza, costituisce una delle più ricche fonti documentarie sul gioiello in voga nel Settecento. Giambattista Tiepolo portò a termine la decorazione dello scalo- ne e della sala principale della villa nell’autunno del 1734. Tra i numerosi dipinti l’affresco raffigurante la Liberalità dispensatrice di doni, costituisce la più esaustiva raccolta di oreficeria del Settecento riprodotta con la tecnica pittorica. In questa opera si può osservare una cintura a fascia con un ritratto a cammeo che sorregge parte del costume della Liberalità che raccoglie e dispensa perle e pietre preziose. Nell’Umiltà scaccia la Superbia, altro affresco eseguito da Giambattista nel 1734, nella sala principale della villa LoschiZileri, la figura della Superbia è vestita in rosso con file di perle rade che attraversano il corpo. L’Umiltà, con lo sguardo abbassato, si priva dei gioielli allontanandoli con il piede. In questo affresco il Tiepolo utilizza i gioielli non come oggetto d’ornamento, ma come metafora di comportamenti superbi e altezzosi.

La decorazione ad affresco di Giambattista Tiepolo presso la villa Cordellina, a Montecchio Maggiore, si estende sulle pareti e sul soffitto del salone. La data di esecuzione degli affreschi, commissionati dal celebre giureconsulto Carlo Cordellina, si desume da una lettera dello stesso Giambattista Tiepolo, indirizzata a Francesco Algarotti da Montecchio il 26 ottobre 1743, nella quale il pittore informa il suo corrispondente di aver già terminato otto chiaroscuri e la metà del soffitto, tanto che spera di completarlo per il 10 o il 12 novembre: nessun accenno agli affreschi parietali che si deve quindi presumere siano stati eseguiti nella primavera dell’anno seguente. Sulla parete est è raffigurata la Continenza di Alessandro dove la dama dal volto supplichevole indossa degli ori sul capo che fungono da fermaglio per trattenere il mantello.

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Contadini a mensa di Giandomenico

Quest’ultimo è esaltato al centro da un cammeo con cornice decorata a figure. La bianca figura nella pietra dura si intona con le tre perle pendenti alla base (stile a girandola). Il mantello è trattenuto da due borchie laterali ovali, tra di loro unite da una fascia arricchita da perle e pietre incastonate. I gioielli realizzati sugli affreschi di villa Cordellina si fanno visibilmente più ricchi e abbondanti, alcuni particolari sono frutto dell’immaginazione del pittore stesso, tuttavia lo stile ricorda quello del tempo. In villa Valmarana ai Nani operarono, nel 1757, entrambi i Tiepolo ed è possibile notare le differenze prima descritte. Il committente volle per la decorazione della palazzina scene tratte dai poemi classici e cinquecenteschi, più consone all’aulico pennello di Giambattista, e per la foresteria per lo più episodi di vita quotidiana, dove il trentenne Giandomenico avrebbe potuto dare sfoggio della sua collaudata vena pittorica estremamente realistica. In Contadini a mensa di Giandomenico la contadina indossa un abito popolare veneto e porta al collo sottili fili di stoffa o catena leggera che cadono a coprire il petto e una collana in corallo che stringe il collo.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


In uscita il numero di Giugno 2023
distribuito nelle edicole del centro e prima periferia e agli Abbonati
Prezzo di copertina euro 5
Abbonamento 5 numeri euro 20
Over 65 euro 20 (due abbonamenti)

“Il sogno di diventare una ginnasta”… ritmica: il tema del saggio di fine anno di Vicenza Ginnastica

Si è quasi concluso un altro anno sportivo della Vicenza Ginnastica, Associazione Sportiva presieduta da Santa De Rosso, il “Ventitreesimo”, un anno ricco di soddisfazioni e di impegno, incominciato a settembre con la partecipazione alla manifestazione “Camminando tra gli sport”, proseguito poi con le diverse esibizioni natalizie delle 440 atlete dell’associazione organizzate nelle otto zone della Vicenza Ginnastica ed infine con la partecipazione allo stage di ginnastica ritmica delle ginnaste frequentanti i gruppi agonistici, appuntamento di alto livello tenuto dalla campionessa olimpica Laura Vernizzi.

A marzo vi è stata la gara sociale dedicata alle ragazze frequentanti i terzi corsi e la partecipazione alle gare federali e alle gare del circuito A.i.c.s. dove le ginnaste del settore promozionale ed agonistico sono riuscite a raggiungere numerosi podi e ad ottenere numerosi riconoscimenti.  Per finire sabato 27 maggio è stato un successo corale il saggio pomeridiano dedicato alle allieve più piccole e al saggio serale riservato alle allieve più grandi.

Ci eravamo fermati al saggio del 2019, un saggio spettacolare, in grande, sui Queen (qui il saggio sull’Europa Unita, minuto per minuto, del 2015, ndr), ma quest’anno la direttrice tecnica Marta Magrin, figlia del mai abbastanza rimpianto Maurizio, e le numerose istruttrici della Vicenza Ginnastica hanno saputo migliorarsi. Un vero e proprio spettacolo è quello che si è potuto vedere al palazzetto dello Sport di Vicenza.

L’emozione, la paura, l’agitazione era tanta soprattutto perché con l’assenza di esibizioni dovuta al Covid, si era persa la continuità. Un saggio dal titolo “Il sogno di diventare una ginnasta” (una clip è pubblicata in copertina così come nel nostro canale YouTube LaPiù Tv e sull’omonima app scaricabile gratuitamente dagli store Android e iOs).

Una storia interpretata dalle tantissime allieve che, con i loro esercizi, musiche, coreografie e costumi, hanno saputo emozionare il numerosissimo pubblico che ha visto come protagonista “Stella” una bambina che aveva un sogno: il sogno di diventare una ginnasta e che, con tanta dedizione, impegno e forza è riuscita ad esaudire il suo desiderio. “Stella” sabato è stata interpretata da Ginevra Pozzato, un’allieva che molti anni fa aveva indossato il primo costumino verde nella sede di Laghetto e, grazie alle sue capacità e doti fisiche e dopo un percorso di impegno e di sacrificio, è riuscita ad entrare nella squadra nazionale Junior.

«Quello appena trascorso è stato un saggio magico ed emozionante» commenta la direttrice tecnica Marta Magrin mentre ancora l’energia della musica, i boati delle allieve, gli scroscianti applausi del pubblico, il gioco di luci accompagnano la parte finale delle esibizioni.

Come dimenticare – aggiunge Marta nella bolgia del palasport – quegli occhi emozionati di centinaia e centinaia di ginnaste pronte a dare il massimo e che non vedevano l’ora di esibirsi in un palazzetto dello Sport gremito di spettatori, tra mamme, papà nonni, nonne e appassionati di questa disciplina. I battiti del cuore, l’emozione, i brillantini sui capelli, i chili di trucco, il profumo del gel per lo chignon. Ricordi indelebili che sicuramente ci accompagneranno per tutta la vita. È un team di insegnanti quello della Vicenza Ginnastica con tanta voglia di condividere un’unica passione “la ginnastica ritmica”, un bel gruppo di insegnanti e credo proprio che la strada, sia pure costruita sull’impegno di tutti noi, possa essere solamente lastricata di gioie”.

Al termine della serata, come ormai di consuetudine, è stato consegnato il premio in ricordo del fondatore e presidente Maurizio Magrin per il grande impegno, la forza e la passione sportiva. Quest’anno a ricevere il premio è stata Lisa Gerolimon ginnasta frequentante il gruppo promozionale di Altavilla Vicentina.

Ma l’anno sportivo 2022/2023 della Vicenza Ginnastica non è ancora concluso.

Sono, infatti, in programma, le Finali Nazionali di Ginnastica Ritmica organizzate dall’A.I.C.S. di Biella in programma dal 15 al 19 giugno e le finali Nazionali della Federazione Ginnastica d’Italia a Rimini programmate sempre per fine giugno.

Museo Diocesano e Museo del Gioiello di Vicenza: alla scoperta della corona e del pettorale della Madonna di Monte Berico

Una visita guidata originale tra Museo Diocesano e Museo del Gioiello alla scoperta  della corona e del pettorale della Madonna di Monte Berico.  

Sabato 10 giugno l’occasione unica per conoscere da vicino la storia e le particolarità dei due gioielli che dal 1900 sono pregiato emblema della devozione della città di Vicenza per la sua santa protettrice, assieme ai tre capolavori di arte sacra che li hanno ispirati. Un tesoro molto amato dai vicentini, esempio magistrale  delle abilità degli artigiani orafi cittadini.  

“La corona e il pettorale della Madonna di Monte Berico: una storia vicentina” è un percorso cross museale  che da Piazza del Duomo a Piazza dei Signori accompagna i visitatori nel racconto delle origini del culto della  Santa Patrona, indissolubilmente intrecciato alla storia della gioielleria vicentina. I due gioielli devozionali che  la celebrano – corona e pettorale – furono magistralmente composti dal celebre artigiano orafo Angelo  Marangoni, nella bottega sotto le logge della Basilica Palladiana (attuale sede della Gioielleria Soprana), a  partire da opere di oreficeria, ex voto e doni preziosi delle famiglie più importanti della città.  

“Siamo di fronte a un tesoro cittadino dal valore inestimabile che è parte integrante dell’identità culturale  dei vicentini – sottolinea Michela Amenduni, direttore gestionale del Museo del Gioiello e responsabile  marketing della divisione Jewellery & Fashion di Italian Exhibition Group. – Un capolavoro di alta oreficeria  tanto originale quanto ricco di significati che siamo onorati di ospitare al Museo del Gioiello grazie alla gentile  concessione della comunità dei frati di Monte Berico dell’ordine dei Servi di Maria, e lieti di far conoscere  meglio a cittadini e turisti con una collaborazione col Museo Diocesano che vuole essere un contributo  all’offerta turistica e culturale del nostro territorio”.  

IL TOUR GUIDATO  

Alle ore 10 e alle ore 15 la partenza da Piazza del Duomo, sede del Museo Diocesano (è richiesta la  prenotazione). Qui i partecipanti potranno ammirare tre straordinari manufatti: il Reliquiario della Sacra  Spina (XIII-XIX secolo), con la sua forma unica ad albero della vita frutto di lavorazioni attraverso quattro 

secoli, il Calice della chiesa di Santa Corona (XVII secolo), e la Croce astile della Cattedrale (XV secolo). Sono  i pregiati pezzi di arte sacra che furono presi a ispirazione dalla commissione scelta nel 1899 per la  realizzazione della corona apposta sul capo della statua della Beata Vergine – oggi collocata sull’altare  maggiore del Santuario di Monte Berico – dal patriarca di Venezia, mons. Giuseppe Sarto, il 25 agosto del  1900. Un evento che associò all’iconografia della Mater Misericordiae, che protegge i fedeli sotto il suo  manto, quella imperiale della Vergine Regina Coeli.  

“Il Museo Diocesano – spiega il suo direttore, mons. Francesco Gasparini – ha pensato di proporre questo  tour partendo da piazza del Duomo, perché in esso sono conservati questi tre pezzi straordinari che sono tra  i pochi che si sono salvati dalla distruzione napoleonica, che ha fatto fondere tutti gli oggetti d’oro e d’argento  di proprietà ecclesiastica. C’è un collegamento unico, quindi, tra il Diocesano e il Museo del Gioiello. Ho  chiesto ai Servizi Educativi del nostro Museo di progettare e condurre il percorso, perché proprio al Museo  Diocesano – con la preziosa collaborazione della gioielleria di Stefano Soprana – i due capolavori dell’arte  orafa vicentina furono esposti nella mostra Il gioiello di Vicenza. Arte orafa nel Museo Diocesano dall’8  settembre al 1 ottobre 2006”.  

Arrivati al Museo del Gioiello, i visitatori potranno ammirare la corona e il pettorale, i due capolavori dell’arte  orafa vicentina realizzati a partire da gioielli preesistenti di grande valore e di pregiata fattura. Tra questi  l’anello donato da Papa Leone XIII, incastonato nella sua interezza sul fronte della corona a sancire la  solennità dell’evento, o la croce donata al santuario dal vescovo Marco Zaguri che risplende al centro del  pettorale, in un’armoniosa combinazione di raffinate creazioni, scelte tra le migliaia di offerte giunte per  l’incoronazione e poi incastonate e fuse tra loro. L’unicità della composizione realizzata a partire da orecchini,  anelli, spille, croci in oro giallo, diamanti, peridoto, ametista, rubini, zaffiri, perle e pietre colorate, svela  tecniche e innovazioni orafe di grande fascino che saranno illustrate dal gioielliere Stefano Soprana, che ha  curato il restauro delle due opere realizzato, poco prima del Giubileo del 2000, dall’orafo Giovenzio Posenato.  

“È stato un dono per me potermi occupare del restauro, – commenta Soprana – un progetto di grande  impatto emotivo e formativo: ho potuto ricostruire parte della storia di fede e della tecnica orafa dietro ai  gioielli. Dalle maestranze impiegate all’epoca, come incastonatori e cesellatori, alle lavorazioni innovative  che già suggerivano l’inclinazione alla produzione industrializzata che è il dna del nostro distretto”.  

Tra le curiosità tecniche attorno alla realizzazione dei gioielli, l’arabesco che decora a contrasto la calotta aurea  della corona: ottenuto utilizzando per metà oro e per metà argento, è un primo tentativo di creare l’oro bianco  che troverà piena applicazione a partire dagli anni Venti. Un’innovazione che attesta l’abilità raggiunta dagli  artigiani orafi della città.  

LA DEVOZIONE ALLA MADONNA DI MONTE BERICO  

L’origine dell’affezione alla Madonna di Monte Berico, protettrice della città di Vicenza, risale al 1428 quando  – si narra – sul colle adiacente al centro abitato apparve a una donna per annunciarle la fine della peste. Allo  stesso anno risale la costruzione della chiesa a lei consacrata, divenuta poi il Santuario che tradizionalmente  l’8 settembre accoglie i pellegrini devoti. La dedizione alla Santa si radicò profondamente nella tradizione e  nella cultura dei vicentini, al punto che nel 1978 papa Paolo VI la proclamò patrona della città.  

INFO E PRENOTAZIONI: [email protected]; tel. 0444226400 (fino ad esaurimento posti). Costo della  visita guidata: €12,00, comprensivi dell’ingresso ai due musei. Il tour dura circa 1 ora, due le partenze: alle  ore 10.00 e alle ore 15.00 dal Museo Diocesano. È richiesta la prenotazione. 

IL MUSEO DEL GIOIELLO  

Inaugurato a fine 2014 al piano nobile della Basilica Palladiana, nel cuore del distretto orafo vicentino, il Museo del  Gioiello è riferimento culturale dell’intero settore orafo-gioielliero. Le nove sale tematiche dell’allestimento dello studio  di Patricia Urquiola permettono di scoprire le meraviglie della gioielleria Made in Italy grazie alla mostra permanente 

“Gioielli Italiani”, che celebra le migliori storie orafe nazionali con pezzi iconici firmati da artisti, artigiani, designer e  maison da tutti i poli manifatturieri della penisola. Laboratori per famiglie, attività formative, workshop ed eventi  contribuiscono ad arricchire l’offerta artistica e culturale della città con l’obiettivo di valorizzare un patrimonio unico,  coinvolgendo e avvicinando le giovani generazioni alla tradizione orafa. Il Museo del Gioiello è un progetto di Italian  Exhibition Group, gestito con il Comune di Vicenza.  

Orari di visita dal martedì al venerdì dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00, sabato e domenica dalle 10:00 alle  18:00. Ingresso intero €10, ridotto €8. Per conoscere i vantaggi della “Vicenza Card” e tutte le convenzioni  www.museodelgioiello.it. Info sul calendario attività e prenotazioni: +39 0444 320799, [email protected]

IL MUSEO DIOCESANO “Pietro G. Nonis” di Vicenza 

Il Museo Diocesano di Vicenza – inaugurato nel 2005 – è situato nel “cuore sacro” della città, la piazza del Duomo, allestito all’interno del Palazzo Vescovile.  

Il grande spazio espositivo, che abbina un’architettura antica ad un allestimento contemporaneo, raccoglie oltre  duemila anni di testimonianze di arte sacra vicentina. Il Museo è allestito con eleganti forme di comunicazione  contemporanea, in un sistema espositivo concepito sia come spazio di conservazione che luogo di conoscenza.  Il percorso presenta una preziosissima sezione di archeologia cristiana con provenienze dalle più antiche chiese del  territorio vicentino: la Cattedrale di Vicenza e la basilica dei Santi Felice e Fortunato. La collezione di dipinti è  testimonianza dell’arte vicentina tra il ‘400 e l’800 come pure la raffinata raccolta di oreficerie sacre presente nello  scrigno della Loggetta Zeno (1494).  

Nella selezione di paramenti liturgici emerge il raro Piviale dei Pappagalli (XIII sec.). Notevole il materiale scrittorio  proveniente dagli archivi del Capitolo e il corredo liturgico della cappella di Villa Fogazzaro a Montegalda.  Di grande interesse le collezioni di mons. Nonis tra cui spiccano le ricchissime raccolte etnografiche, provenienti da Asia,  Africa, Oceania e Sud America, le coloratissime sfere di minerali e le croci etiopi collocate nei sotterranei del Palazzo  Vescovile dove troviamo resti di strutture medioevali e reperti di epoca romana.

“Cattive immagini”, a Vicenza la presentazione del libro di Valeria Bucchetti

Martedì 6 giugno alle 17.30, nella sede della Biblioteca civica Bertoliana di Palazzo Cordellina in contra’ Riale 12, verrà presentato il libro “Cattive immagini. Design della comunicazione, grammatiche e parità di genere” di Valeria Bucchetti.

L’evento che vedrà la partecipazione dell’autrice affiancata da Laura Badalucco e Barbara Pasa, docenti dell’Università Iuav di Venezia, rientra nel calendario di iniziative legate al 150° anniversario della nascita di Elisa Salerno.

L’iniziativa è promossa dall’associazione Presenza Donna e dalla Congregazione delle suore Orsoline del Sacro cuore di Maria, con il patrocinio del Comune e della Diocesi di Vicenza, e in collaborazione con la civica vicentina.

Il volume Cattive immagini di Bucchetti si interroga sui modi in cui il design della comunicazione sostiene il potere dell’androcentrismo, sulle relazioni tra cultura della parità e sul mondo della rappresentazione che andiamo a costruire. Attraverso la lettura di alcuni artefatti comunicativi, di cui ci si avvale per far circolare informazioni, dati, merci e servizi, viene analizzato il mondo delle immagini e fatti emergere gli elementi costitutivi di una memoria visiva di cui si nutrono tanto la nostra cultura quanto la nostra quotidianità.

Valeria Bucchetti è professoressa ordinaria al dipartimento di Design del Politecnico di Milano. Insegna Design della comunicazione nel corso di laurea in Design della comunicazione, del quale è coordinatrice, e Design della comunicazione e culture di genere nei corsi di laurea magistrale della Scuola del design. Visual designer, laureata in Dams a Bologna, dottore di ricerca in disegno industriale, è autrice di numerosi saggi e membro del collegio di dottorato in design e del consiglio scientifico del centro di ricerca interuniversitario Culture di genere. La sua attività di ricerca è orientata in particolare negli ambiti dell’identità visiva e dell’identità di prodotto, dell’identità di genere e degli stereotipi comunicativi e, più in generale, dei sistemi di comunicazione visuali.

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Fonte: Comune di Vicenza