ROMA (ITALPRESS) – “Se sono soddisfatta del rinvio? Mi soddisfa quando le cose vengono fatte bene. Ipotesi prescrizione? Preferirei l’assoluzione piena, ma questo non dipende certo da me”. Così la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, a margine della conferenza di presentazione dei Mondiali Open di sci nautico ha commentato la decisione dei giudici di Milano di rinviare al prossimo 16 settembre il processo per falso in bilancio a carico suo e di altri per il caso Visibilia.
CATANZARO (ITALPRESS) – Giffoni Film Festival rafforza il proprio ruolo di piattaforma internazionale dedicata all’incontro tra giovani, istituzioni, industria culturale e territori. In questo contesto si inserisce la significativa partecipazione della Regione Calabria e della Calabria Film Commission, che sarà protagonista di un articolato programma di iniziative pensate per valorizzare il patrimonio paesaggistico, culturale e produttivo del proprio territorio in occasione di #Giffoni55, in programma dal 17 al 26 luglio 2025 prossimi.
Nell’ambito della sinergia, Calabria Film Commission sarà cultural partner della cinquantacinquesima edizione del Giffoni Film Festival. Partecipare al Giffoni Film Festival significa per la Calabria promuoversi come destinazione cinematografica e culturale, ma anche costruire connessioni solide con il mondo dell’audiovisivo, con autori, produttori, istituzioni e pubblico, all’interno dell’evento dedicato al cinema per ragazzi più conosciuto ed apprezzato nel mondo.
Nel corso delle intense giornate di festival ci saranno occasioni di promozione territoriale con la diffusione nelle sale del festival di prodotti audiovisivi utili a veicolare le bellezze artistiche, culturali e paesaggistiche della destinazione Calabria, location ideale per produzioni televisive e cinematografiche, territorio straordinario per turisti e visitatori. Ed inoltre la promozione delle attività sarà affidata ad un video di 1 minuto dove scorrono una selezione di immagini con alcune delle recenti produzioni realizzate in Calabria. L’assessore alla Cultura della Regione Calabria Caterina Capponi evidenzia il senso culturale e sociale della presenza a Giffoni con il corto “Alla scoperta del volto di Polsi”.
“Il futuro è nella coralità d’intenti – dichiara Capponi – Ancora una volta, si conferma un principio sacrosanto: se l’intento è comune, si possono ottenere i risultati che la nostra terra merita. È fondamentale riappropriarsi di quel senso di appartenenza che ci permetta di non considerare più la partenza come l’unica soluzione. Corrado Alvaro scriveva ‘àtutti vogliono partire, pensano di partire e lasciare quello che chiamano il loro maledetto paese. E se un giorno hanno detto che partono è finitaà’.
“Alla scoperta del volto di Polsi – conclude Caterina Capponi – è il frutto di una sinergia magica che ha coinvolto famiglie, scuole, il Santuario di Polsi, le forze dell’ordine e diverse associazioni e professionisti del territorio. Tutti insieme hanno realizzato una narrazione semplice, diretta e convincente. È il caso di partire, sì, ma è anche il caso di tornare”.
“Accogliere la Calabria a Giffoni – dichiara Claudio Gubitosi, fondatore e direttore di GIffoni – significa dare spazio a una Regione ed un territorio che sentiamo da tempo parte della nostra identità. Il rapporto, negli anni, non è stato soltanto di carattere professionale, ma è allo stesso tempo umano e culturale, una relazione profonda, costruita negli anni grazie a numerose iniziative che abbiamo promosso, sostenuto e condiviso sul territorio. La collaborazione con la Regione Calabria e con Calabria Film Commission ci onora e rafforza il nostro impegno per raccontare l’Italia più autentica, quella fatta di storie che partono dai giovani e sanno parlare al mondo. Il progetto che presentiamo in questi giorni ne è un esempio straordinario: un racconto di riscatto e consapevolezza, nato nelle scuole e capace di accendere luce su luoghi, persone e valori troppo spesso dimenticati per dare una lettura di un territorio che esca dalle sabbie mobile dello stereotipo e del pregiudizio”.
Anton Giulio Grande, presidente della Calabria Film Commission puntualizza il senso dell’accordo con il Giffoni: “Siamo qui – dichiara – per dare continuità al nostro percorso di promozione del territorio attraverso l’audiovisivo. Due anni fa è stata l’occasione della serie “Summer limited edition”,stavolta torniamo nel programma di un partenariato culturale con il festival, un laboratorio di grande prestigio per l’Italia. Realizziamo diverse azioni di promozione, in collaborazione con il Dipartimento Cultura della Regione Calabria, iniziative che guardano anche al mondo della scuola, al particolare sguardo delle nuove generazioni. Anche di natura artistica. Riteniamo Giffoni, con il suo lungo percorso nel campo dei Festival internazionali, un approdo naturale, dove i ragazzi possono cimentarsi e confrontarsi. Un bel momento di crescita, in ottima compagnia; visto che il road movie Caravan di Zuzana Kirchnerovß, (già presentato a Cannes) sostenuto dalla Fondazione e girato anche nei nostri territori sarà nel concorso ufficiale il 21 luglio”.
(Articolo intervista al dr Lorenzo Trombetta da VicenzaPiù Viva n. 299, , sul web per gli abbonati).
La storia, le esperienze e l’appello del medico di base nella Medicina di Gruppo Integrata Riviera Berica-Arcugnano, punto di riferimento per il territorio: “Le Case di Comunità? Non distruggiamo quello che funziona”.
Il dottor Lorenzo Trombetta ci accoglie con un sorriso cordiale e rassicurante e già ci piace immaginarlo alle prese con i suoi pazienti. È uno dei dottori della Medicina di Gruppo Integrata Riviera Berica – Arcugnano.
La struttura, in via Salvemini a Santa Croce Bigolina, accoglie 7 medici che a turno sono presenti in modo da garantire che tutti i giorni dalle 8 alle 20 sia sempre a disposizione almeno un dottore, un’infermiera e una persona in segreteria. Ogni medico di base ha i suoi pazienti che segue regolarmente, ma in caso di assenza c’è sempre un collega che può sostituirlo, e la vicinanza di ambulatori permette rapporti diretti e di grande collaborazione. Una struttura che funziona bene, che razionalizza le risorse ma sempre con la cura del paziente come prima finalità, senza trasformare la medicina in una pura questione di numeri e conti da far quadrare.
Nato a Catania, classe 66, sposato e con due figlie, il dottor Trombetta si è laureato nel 1993. Specializzato in otorinolaringoiatria, fino al 2019 ha lavorato in ospedale. Dopo esperienze a Verona e a Sirmione, è stato per un anno all’ospedale civile di Merano Franz Tappeiner, poi all’ospedale San Giovanni e Paolo a Venezia e quindi all’ospedale dell’Angelo a Mestre dov’è stato vice primario di ORL. “Esperienze importanti – ricorda il dottore – accanto a grandi medici dai quali ho imparato molto. A Mestre avevo come primario il prof. Roberto Spinato, un luminare nel campo dell’otorinolaringoiatria e un grande maestro. Gli sono grato per tutto quello che mi ha insegnato.”
Benché stimolante e piacevole, il lavoro in ospedale a Mestre non si combinava proprio
al meglio con il fatto che la famiglia invece vivesse nel Vicentino. Alla gestione di turni e reperibilità si aggiungeva infatti la logistica degli spostamenti, che non sempre era facile da gestire. “Da giovane ci facevo meno caso, ma dopo i 50 anni ha cominciato a pesarmi”. Così nel settembre del 2019 il dott. Trombetta ha deciso di diventare medico di base ad Arcugnano.
La famiglia Trombetta: da sx figlie Mila e Marinella, dottor Trombetta e moglie Kety
Dottore, è passato dall’ospedale alla medicina sul territorio proprio giusto in tempo per affrontare il Covid… Che ricordo ha di quei mesi?
“In realtà non ho mai smesso di visitare i pazienti, nonostante – sorride – qualche rimprovero di mia moglie che si preoccupava. Del resto, provenendo dall’esperienza ospedaliera, ero anche abituato a gestire situazioni complesse con pazienti a rischio e ho sempre preferito l’approccio diretto con i malati. Ma devo dire che tutti i colleghi non si sono tirati indietro. La cosa più difficile è che effettivamente all’inizio della malattia non si sapeva nulla, letteralmente non avevamo indicazioni su come gestire la situazione se non linee guida poco specifiche. C’era preoccupazione ma nessuno di noi ha mollato.
E quando è stato il momento, la nostra Medicina di gruppo ha partecipato a tutte le incombenze per la gestione della malattia.
Al piano terra avevamo allestito un punto per i tamponi, poi ogni mercoledì lo dedicavamo ai vaccini. Insomma, la sanità sul territorio in quella occasione ha funzionato bene”.
Che eredità ha lasciato il Covid?
“Ha un po’ cambiato il rapporto tra medico e paziente. Ho constatato che prima del Coivid c’era più fiducia, più pazienza, più voglia di ascoltare il medico, più comprensione dei tempi di attesa. Adesso noto più tensione, oserei dire quasi più aggressività, prima se dicevo a un paziente di aspettare un po’ a fare una certa indagine perché il sintomo non la richiedeva, mi ascoltava. Adesso no, se vogliono la radiografia o la risonanza non c’è verso di far loro cambiare idea…”
Crede sia il Covid o forse sono anche i social che diffondono troppe notizie non ben controllate?
“Non saprei, i social c’erano anche prima del Covid. Certo, soprattutto certe notizie che girano sembrano fatte apposta per far perdere la fiducia nei dottori…”
Tornando un attimo alla sua esperienza precedente, che differenza c’è tra essere medico in ospedale e essere medico di base?
“Cambia molto. In ospedale sei in un reparto ben preciso e
dai il massimo su un settore che conosci, segui il paziente solo per quello che riguarda la tua specializzazione. Come medico di base il lavoro è più empirico e sicuramente più variegato. Devi conoscere il paziente a 360 gradi, devi dedicargli più tempo dal punto di vista umano, devi conoscere la sua storia, devi farti raccontare i sintomi e la casistica è davvero molto varia. Certo, la specializzazione e l’esperienza ospedaliera, per chi le ha, possono essere molto utili. Nel mio caso sono riuscito a diagnosticare alcune patologie serie proprio grazie alla mia preparazione. Ho ancora la lettera di ringraziamento di un paziente cui ho consigliato un esame per un sintomo generico come un fischio all’orecchio. Aveva un aneurisma. È stato operato e ora sta bene. La sua mail di ringraziamento la tengo come promemoria del perché faccio il dottore.”
Trombetta a destra durante un intervento
Le capita di dare consigli anche ai colleghi della medicina di Gruppo?
“Diciamo che c’è molta collaborazione tra noi, siamo un gruppo affiatato. Devo dire che per quel che riguarda la mia esperienza, la Medicina di Gruppo integrata funziona bene”.
Il futuro della medicina territoriale sembrano essere le Case di Comunità. Lei che cosa ne pensa?
“Non so, sono un po’ perplesso. Nel senso che, come le dicevo, proprio il periodo Covid ha mostrato che in Veneto il lavoro sul territorio è efficace e puntuale. Se non ricordo male il Veneto era preso come esempio di efficienza nella gestione della malattia. Non vedo la necessità di cambiare una cosa che già funziona. Oltretutto razionalizzare va bene, ma già la medicina di gruppo integrata è una razionalizzazione. Vicenza è grande, avere un solo presidio, una sola casa di Comunità, per tutta la città più che razionale mi sembra caotico. Però staremo a vedere, in realtà non abbiamo ancora avuto comunicazioni ufficiali e nel frattempo noi continuiamo a funzionare. Spero sinceramente che la nostra Medicina di gruppo rimanga così com’è.”
Cosa pensa della sanità italiana?
“Che è la migliore del mondo. Da quando esiste il Servizio Sanitario nel nostro paese è un sistema perfetto che ci invidia tutto il mondo. Non è solo il discorso della gratuità, è che in nessun altro Paese è così radicata e così capillare sul territorio. Certo, ultimamente c’è qualche problema, devo dire che pur restando di alto livello, ha cominciato a perdere qualche colpo, soprattutto dagli anni Novanta in poi, da quando gli ospedali sono diventati aziende. Ovviamente capisco che mantenere certi livelli di servizio costa e i conti alla fine bisogna sempre farli, ma la medicina non può essere vista come una pura risorsa economica. Semmai si può rivedere qualcosa sulla gratuità, ma non certo andando a gravare sulle tasche delle persone, piuttosto pensando a qualcosa a livello assicurativo… Ma non voglio addentrarmi su cose troppo complicate. Però insisto, la sanità italiana è ottima e qui in Veneto funziona bene. Proprio per questo dico di andarci piano con i cambiamenti e di non smantellare le cose che funzionano…”
Il prof Roberto Spinato con il dott. Trombetta
Ma lei a un giovane che volesse studiare medicina che cosa consiglierebbe?
“Di farlo solo se ha tanta passione e con un’idea ben chiara di che cosa vuole diventare, perché gli studi sono lunghi e il lavoro è lungo e difficile. Però è un lavoro bellissimo. Dà immense soddisfazioni, fa conoscere tanta umanità. Certo, non sarebbe male se i compensi fossero adeguati alla fatica che si fa. Perché so di dire una cosa che suonerà impopolare, ma gli stipendi dei medici in Italia sono decisamente lontani dalla media europea e i compensi che si prospettano per le nuove organizzazioni future non promettono molto bene…”.
E per il futuro della sanità che cosa ci vorrebbe?
“Bisogna tenere presente che la popolazione invecchia. Quindi credo sia verso quella fascia
di popolazione che bisogna concentrare l’attenzione ma non solo sotto l’aspetto sanitario, sotto tutti gli aspetti, quello sociale, quello economico. Ci vogliono più posti nelle case di riposo, più strutture per il decadimento cognitivo, più centri riabilitativi, più sostegno per i familiari. Quanto alla sanità in generale, ci vogliono ovviamente le strutture, ma anche meno burocrazia e lasciare che i medici facciano i medici. Le faccio un esempio. Nel 2000 ero a Merano. Un ospedale stupendo, attrezzature all’avanguardia, compensi mai più avuti. Non eravamo super controllati, non c’era da rendicontare ogni singola prescrizione né da giustificare ogni richiesta. Vi ho lavorato benissimo. Perché si parla sempre del giuramento di Ippocrate e del fatto di dover lavorare con scienza e coscienza. Ma io aggiungo anche con libertà”.
Ma lei sceglierebbe ancora di fare il medico?
“Certo, è ancora un lavoro bellissimo. Però, bisogna essere messi in condizione di dare il meglio.”
ROMA (ITALPRESS) – “È difficile essere ottimisti nel momento in cui in mezzo a un negoziato, che sosteniamo fortemente, per sventare la guerra commerciale arriva una lettera che minaccia dazi al 30% dal 1 agosto. Sarebbero devastanti per la nostra economia, sarebbe un disastro. La strategia troppo arrendevole di Giorgia Meloni si è rivelata fallimentare”. Così la segretaria del Pd, Elly Schlein, a margine di una conferenza stampa. “È tempo che il governo sostenga concretamente il negoziato dell’Unione europea e lo faccia anche mettendo sul tavolo le contromisure proporzionate e necessarie a colpire dove fa più male. È chiaro che Trump sta difendendo gli interessi delle multinazionali del big-tech che fanno molto affari in Europa – prosegue -, lui lamenta uno svantaggio della bilancia commerciale degli USA, ma se andiamo a vedere i servizi digitali e finanziari scopriamo che non è così. Interveniamo lì con delle contromisure e vediamo se si riesce ad aprire uno spiraglio”.
“Chiediamo che la presidente del Consiglio venga a riferire in Parlamento, esca dalla ‘modalità aereo’ in cui si è chiusa e venga a dirci come vuole sostenere il negoziato europeo e come vuole sostenere le imprese e i lavoratori italiani nel caso in cui, speriamo non sia reale, ci sia un’assenza di un accordo dal 1 agosto”, ha concluso Schlein.
BARI (ITALPRESS) – “A Taranto c’è una situazione ambientale molto pesante, che non possiamo ignorare. In entrambi gli scenari oggi in discussione, sia quello con i forni DRI, sia quello senza, è inevitabile un periodo di transizione in cui continueranno a funzionare gli altiforni a ciclo integrale, che producono emissioni elevatissime. Va ricordato che la decarbonizzazione riduce le emissioni fino al 95%, il che significa che per almeno sette o otto anni, continueremo ad avere impianti che emettono quel 95% in più che la decarbonizzazione eliminerebbe. Questo legittimamente scatena la rabbia della popolazione di Taranto, che chiede la chiusura immediata delle fonti inquinanti. Ma chiudere subito le fonti inquinanti significa chiudere lo stabilimento, perché l’idea di fermare solo il reparto a caldo è irrealistica: l’impianto a freddo a Taranto è già fermo da anni. Dunque, chiudere a Taranto l’impianto a caldo equivale a chiudere l’intera fabbrica. Se l’intenzione fosse chiudere l’industria siderurgica di Taranto, sarebbe legittima, ma andrebbe affrontata come un vero piano industriale nazionale, complesso tanto quanto rilanciare lo stabilimento”.
Lo ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sull’incontro a Roma con i ministri Urso e PichettoFratin. “Finora, però, nessuna forza politica nazionale, nemmeno quelle più attive localmente contro l’accordo di programma, ha mai dichiarato che l’obiettivo è chiudere la fabbrica – prosegue – Alla luce di questo, stiamo lavorando per trovare un accordo realistico, che contempla due scenari principali: il primo, più solido industrialmente, con 3 o 4 forni DRI che gradualmente sostituiscano gli altiforni. Il secondo scenario, più debole dal punto di vista industriale, prevede solo forni elettrici. Entrambi gli scenari sono in discussione. È evidente che il sindaco appena eletto ha bisogno di ascoltare la sua comunità e capirne il sentimento. L’assurdo è che una questione così strategica per tutto il Paese, venga lasciata interamente sulle spalle degli enti locali. Il Parlamento tace, i partiti non si esprimono, e ci ritroviamo noi, da soli. La Regione Puglia si è presa le sue responsabilità. Io ci sto mettendo la faccia, anche a quattro mesi dalla fine del mio mandato, come se fossi stato appena eletto. Devo però riconoscere un’eccezione: il Partito Democratico, e in particolare la segretaria Elly Schlein, ci sta sostenendo nel percorso di decarbonizzazione, dandoci chiarezza su quello che dovrebbe essere il futuro industriale di Taranto”.
“Sarà proprio su questo tema che si capirà se le forze d’opposizione al governo saranno in grado di gestire le crisi industriali. Quando si cavalca l’onda, tutti sono capaci di trovare consenso, ma oggi si tratta di dire sì o no in una situazione difficile. E questa è anche una grande partita politica. Purtroppo, l’Italia sta ancora una volta scaricando su Taranto il peso del proprio futuro industriale, lasciando il sindaco da solo a dover spiegare ai suoi cittadini che, per altri 7-8 anni, dovranno convivere con fonti inquinanti. Nessuna scelta renderà Taranto soddisfatta. Qualsiasi scenario comporta anni di prosecuzione dell’attività a ciclo integrale, che produce impatti ambientali inevitabili. Ma la chiusura per implosione non può essere una scelta politica: significherebbe abbandonare un territorio vastissimo al degrado, all’inquinamento e alle malattie e questo non può essere accettato. Resta il tema energetico: per far funzionare la fabbrica servono quantitativi di gas che, ad oggi, non sembrano disponibili tramite strutture a terra (on-shore). Questa non è una condizione permanente: è possibile che, nel tempo, il gas possa arrivare da Tap o da altre infrastrutture” aggiunge Emiliano.
“Nel frattempo, se servisse gas in via transitoria, si è parlato di una nave rigassificatrice. Ma neanche al Ministero sanno con certezza se una nave del genere possa essere posizionata nel porto di Taranto secondo la normativa italiana. E considerata la presenza ravvicinata di due impianti industriali ad alto rischio, l’ex Ilva e la raffineria ENI, bisogna essere estremamente cauti. Le infrastrutture sono interconnesse, e non si può trattare la nave come un totem obbligatorio. Potrebbe essere che della nave si debba fare a meno perché la nave rigassificatrice non è compatibile con le leggi che prevengono incidenti rilevanti. Il punto non è la nave in sé, ma che serve gas per realizzare la decarbonizzazione, in attesa dell’idrogeno. Il gas va garantito, e poi si vedrà come fornirlo. E se la nave non è desiderata o non è legale bisogna farne a meno. Altrimenti l’accordo non si può chiudere. L’orizzonte oggi è difficile, ma questo accade perché questa vicenda è stata lasciata marcire per anni. Se dieci anni fa si fosse dato seguito alla proposta della Regione Puglia, e se i due forni DRI finanziati dal governo Draghi fossero stati realizzati, oggi non saremmo in questo dramma. Invece, si è preferito ignorare, rinviare, rimandare. E ora tutto il peso ricade su Taranto, sul suo sindaco, sulle sue istituzioni, sulle sue comunità. Ed è questa, oggi, la vera ingiustizia” ha concluso Emiliano.
LA VALLETTA (MALTA) (ITALPRESS) – Malta sta ostacolando il nuovo pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia, citando preoccupazioni sul fatto che un tetto proposto al prezzo dell’energia russa possa danneggiare la sua industria marittima. Le sanzioni proposte, che costituirebbero il 18° pacchetto dell’UE dal 2014, includono una misura per limitare le esportazioni di energia russa al 15% sotto il valore di mercato.
Sebbene Malta sia d’accordo con il tetto in linea di principio, fonti diplomatiche hanno riferito al Times of Malta che il Paese sta chiedendo all’UE di semplificare il “meccanismo complesso” e di garantire che non penalizzi in modo sproporzionato hub marittimi europei come Malta. Le fonti affermano che Malta è particolarmente allarmata da quella che considera un’applicazione internazionale disomogenea. Mentre i membri dell’UE sarebbero vincolati dal tetto, altri paesi del G7, come gli Stati Uniti, non avrebbero gli stessi obblighi-sollevando timori di uno svantaggio competitivo per le navi battenti bandiera maltese ed europea.
Preoccupazioni sull’applicazione del tetto e sul suo impatto più ampio sul commercio marittimo sarebbero state sollevate anche da Grecia e Cipro, sebbene nessuno dei due paesi abbia assunto una posizione netta quanto quella di Malta. La Slovacchia, nel frattempo, sta ponendo un veto al pacchetto, a causa di timori sulla sicurezza energetica nazionale e sugli attuali contratti con il fornitore russo Gazprom.
I colloqui durante la riunione di domenica del Comitato dei rappresentanti permanenti dell’UE (COREPER) si sono protratti per ore, mentre i diplomatici cercavano di superare le divergenze. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha promesso di affrontare la questione durante un recente vertice del G7, ma per ora la proposta resta bloccata. L’unanimità degli Stati membri dell’UE è necessaria affinché le sanzioni possano essere approvate.
ROMA (ITALPRESS) – È stato firmato oggi il Protocollo d’intesa tra SVIMEZ – Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno – e Associazione W20 – host organization del gruppo ufficiale del G20 dedicato alla promozione dell’equità di genere e dell’empowerment femminile. Alla firma erano presenti per il Women20, Linda Laura Sabbadini, Elvira Marasco e Katia Petrini ; per la Svimez, il direttore generale Luca Bianchi e Agnese Claroni.
L’accordo segna l’avvio di una collaborazione strutturata tra le due realtà, finalizzata alla creazione di un Osservatorio sulle disparità di genere e sull’empowerment femminile, con l’obiettivo di monitorare e analizzare le politiche di genere a livello territoriale, nazionale e internazionale, valutarne gli impatti sociali ed economici e porre particolare attenzione ai divari, in primis quelli che riguardano il Mezzogiorno.
“Le disuguaglianze di genere – afferma la Svimez – sono oggi uno degli ostacoli principali allo sviluppo sostenibile e inclusivo del Paese. Con questo protocollo vogliamo contribuire, con analisi fondate e strumenti solidi, a costruire politiche pubbliche più eque e orientate ai bisogni reali dei territori e delle persone”.
L’Osservatorio raccoglierà e sistematizzerà dati disaggregati per genere, età, territorio e condizione socio-economica; elaborerà indicatori e studi di impatto sulle politiche pubbliche nei campi del lavoro, del welfare, dell’imprenditorialità femminile, della salute, dell’istruzione. Produrre report, policy brief e raccomandazioni sarà parte integrante delle attività, con l’intento di orientare il dibattito pubblico e il processo decisionale, coerentemente con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e con le priorità del G20.
“Con questo protocollo – hanno affermato le rappresentanti dell’associazione del W20 Italia – mettiamo a sistema competenze e strumenti per affrontare le disparità di genere non solo come questione sociale, ma come sfida strategica per la crescita dell’Italia e per il futuro delle giovani generazioni”.
VENEZIA (ITALPRESS) – “Una grande manifestazione di sensibilizzazione all’insegna dello sport, della solidarietà e della sensibilizzazione nella lotta contro le malattie degenerative, come ad esempio la Malattia di Parkinson”. Così l’assessora alla Sanità e al Sociale, Manuela Lanzarin, ha presentato la terza edizione di “Pedalando”, una pedalata solidale di sette giorni attraverso il Nordest per promuovere la salute e contrastare lo stigma per la malattia di Parkinson, a cui la Regione Veneto ha dato il proprio patrocinio.
La pedalata prevederà sei tappe tra cui Bassano, Levico, Trento, Feltre, Pordenone, Udine per arrivare a Trieste il 22 luglio e concludersi a Grado il 23 luglio. Nei due capoluoghi di regione, verrà organizzato, in collaborazione con le associazioni e le istituzioni locali, un convegno con medici e specialisti per fornire informazioni approfondite sulla malattia alla luce dei nuovi risultati della ricerca.
“Secondo i dati della Relazione Socio-Sanitaria 2024 della Regione del Veneto, i soggetti con MdP che si sono rivolti ai servizi sanitari regionali sono oltre 18.000. La maggior parte di loro è di età superiore ai 65 anni (89,5%) e di genere maschile (54,7%). Per questa ragione, è importante orientare correttamente i pazienti ed i loro familiari rispetto alla diagnosi, ai diversi interventi terapeutici ed assistenziali e alla prognosi”, ha spiegato l’assessora. “Il nostro PTDA analizza tutte le fasi della malattia: prevenzione, intercettazione e diagnosi, assistenza e presa incarico, interventi terapeutici e riabilitativo attraverso strumenti telemedicina (tele monitoraggio)”.
(Articolo di Padre Gino Alberto Faccioli sulle povertà sanitarie da VicenzaPiù Viva n. 299 , sul web per gli abbonati).
Le povertà sanitarie e come superarle alla luce della Costituzione Italiana e del Manifesto di Verona. Sono 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi per ragioni economiche e, in parallelo, per effetto delle liste d’attesa della sanità pubblica.
“Non ho nessuno che mi immerga”. Universalità e diritto di accesso alle cure. È il titolo del XXV Convegno Nazionale della Pastorale della Salute, tenutosi a Verona il 7-15 maggio del 2024. “Non ho nessuno che mi immerga”, è stato declinato dal vangelo di Giovanni, dove un paralitico pur trovandosi vicino alla piscina di Betzatà (luogo dove era possibile guarire), non riesce ad avvicinarsi alla guarigione, perché non c’è nessuno che lo accompagni: il suo problema era avvinarsi alla cura.
Come prendersi cura di qualcuno è un tema che da sempre affascina l’umanità. Siamo passati dalla “Non ho nessuno che mi immerga”: le povertà sanitarie e come superarle alla luce della Costituzione Italiana e del Manifesto di Verona. Sono 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi per ragioni economiche e, in parallelo, per effetto delle liste d’attesa della sanità pubblica semplicità di piccoli gesti di aiuto a forme di cura organizzata sempre più evolute. La sapienza del cristianesimo e il senso di una solidarietà diffusa hanno generato l’istituzione “ospedale” insieme ad altre strutture specializzate. Nel tempo, tutti i paesi nel mondo si sono dotati di un sistema più o meno ampio di assistenza.
In Italia, la cura delle persone affette da problemi di salute ha un carattere universalistico. Chiunque risieda, anche temporaneamente, sul nostro territorio ha diritto ad essere curato.
Tuttavia, oggi, questo più che un diritto sembra essere diventato una sorta di privilegio, legato alla soglia della povertà. Scriveva, papa Francesco, in un messaggio del 13 aprile 2023 all’Associazione religiosa istituto socio-sanitario: «Ci sono persone che per scarsità di
mezzi non riescono a curarsi, per le quali anche il pagamento di un ticket è un problema; e ci sono persone che hanno difficoltà di accesso ai servizi sanitari a causa di lunghissime liste d’attesa, anche per visite urgenti e necessarie! Il bisogno di cure intermedie poi è sempre più elevato, vista la crescente tendenza degli ospedali a dimettere i malati in tempi brevi, privilegiando la cura delle fasi più acute della malattia rispetto a quella delle patologie croniche: di conseguenza queste, soprattutto per gli anziani, stanno diventando un problema serio anche dal punto di vista economico, con il rischio di favorire percorsi poco rispettosi della dignità stessa delle persone».
Le parole pronunciate nel 2023 dall’allora pontefice, hanno trovato conferma nel Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) del 17 aprile del 2024.
In questo rapporto, come anche quello della Fondazione Gimbe, emerge chiaro come i dati del capitolo salute sono allarmanti: aumentano a 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi, sia per ragioni economiche sia, soprattutto, per effetto delle liste d’attesa. A far aumentare gli italiani che rinunciano alle cure – l’anno scorso erano poco più di 4 milioni – sono state proprio le attese troppo lunghe.
Nel 2022 4,2 milioni di famiglie hanno limitato le spese per la salute, in particolare al Sud. Secondo i dati ISTAT sul cambiamento delle abitudini di spesa nel 2022 il 16,7% delle famiglie dichiarano di avere limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici preventivi in quantità e/o qualità.
Risultati sovrapponibili, seppur in percentuali ridotte, vengono restituiti dall’indagine ISTAT sulle condizioni di vita. Il 4,2% delle famiglie dichiara di non disporre di soldi in alcuni periodi dell’anno per far fronte a spese relative alle malattie.
Secondo le statistiche ISTAT sulla povertà, tra il 2021 e il 2022, l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie in Italia – ovvero il rapporto tra le famiglie con spesa sotto la soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti – è salita dal 7,7% al 8,3%, ovvero quasi 2,1 milioni di famiglie.
Questi dati preoccupanti hanno portato le undici Federazioni e Consigli nazionali dei Professionisti della salute, a partecipare al Convegno di Verona sul tema delle povertà sanitarie e si sono impegnate, a firmare il cosiddetto Manifesto per il superamento della
povertà sanitarie.
In questo documento dopo aver ricordato:
• che le professioni sanitarie e sociosanitarie sono garanti della dignità della persona e del diritto alla tutela della salute al di là di ogni logica di profitto;
• che l’universalità, l’equità e la solidarietà assistenziale sono e devono restare le finalità prioritarie del Servizio Sanitario Nazionale;
• che questo, dopo quarantacinque anni, rappresenta uno strumento in grado di garantire a tutti i cittadini elevati livelli di tutela della salute individuale pubblica, tra i migliori al mondo
alla luce di questa allarmante soglia di povertà indicano alcune possibili soluzioni, quali:
• un Piano Nazionale di Azione per il contrasto delle diseguaglianze nell’accesso alle cure;
• come compito delle autonomie locali garantire a tutti i cittadini il diritto alla tutela della salute (art. 3 e 32 Costituzione Italiana);
• promuovere un regionalismo solido;
• rivedere il sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria degli assistiti;
• garanzia diritto salute non come mero calcolo di utilità economica, ma fondandosi su
“dignità e libertà”, i due capisaldi del Servizio Sanitario Nazionale.
Tuttavia, alla luce del rapporto Bes del 3 marzo del 2025, in cui emerge che la soglia della povertà è rimasta costante se non aumentata rispetto al 2024, le possibili soluzioni sono
rimaste solo dei buoni propositi, e tali rimarranno se non si deciderà di mettere al centro l’essere umano, con la sua dignità e libertà come ricorda il SSN, e non l’aspetto meramente economico.
Infatti, quando i medici, vengono convocati per fissare il budget per il nuovo anno, a loro prima di tutto vengono fatte precise richieste in ordine di entrate economiche, ciò vuol dire che devono aumentare le prestazioni sanitarie con tutto quello che ne consegue.
Per uscire da questa situazione la politica, perché fondamentalmente si tratta di questo, deve avere il coraggio di guardare al passato, alla storia degli ordini e delle congregazioni religiose che hanno nel loro carisma l’attenzione ai malati, di come i fondatori e coloro che hanno proseguito la loro opera hanno messo sempre al centro l’essere umano, uomo o donna che sia, che prima di tutto va accolto ed aiutato e non lasciato in disparte perché «Non ha nessuno che lo immerga» (cf. Gv 5.7).