giovedì, Maggio 2, 2024
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I lavatoi di Vicenza, una storia collettiva

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Da Storie Vicentine, ecco un’interessante ricerca storica sui lavatoi di Vicenza. Il termine lavatoio deriva dal latino medievale lavatorium, recipiente in cui si immerge il bucato da lavare e si distingue da lavandaro (dal verbo lavare, con il suffisso in -aro) che indica chi per mestiere lava indumenti di altre persone, entrambi in uso già dal XIV secolo.

Nell’età moderna la professione viene declinata al femminile nella nota figura della lavandara, spesso denigrata nello stereotipo della donna volgare e rozza, altre volte contemplata dai poeti come Giovanni Pascoli, nella nota poesia Lavandare, quasi mai osservata nella sua condizione sociale subalterna e disagiata. I lavatoi, nati in area prealpina, originariamente erano in pietra, dotati di due vasche, una detta “labo” che raccoglieva l’acqua dello zampillo, ed una seconda utilizzata per raccogliere quella che traboccava, munita di lastra laterale inclinata, che fungeva da lavatoio. La tecnologia dei lavatoi si è perfezionata nel tempo, in età industriale vengono prodotte vasche prefabbricate di graniglia di cemento.

lavatoi
Un lavatoio di Vicenza nel Novecento

I lavatoi sono prodotti standard per l’edilizia composti da più vasche in cui immergere i panni e di lastre su cui venivano battuti. Durante la prima industrializzazione e la conseguente crescita demografica della prima metà del Novecento, a causa dell’intensa migrazione dalla campagna alla città, la popolazione urbana di Vicenza aumenta notevolmente e , nel primo decennio del secolo scorso, del 21,52 %. Forte è l’industria manifatturiera cittadina, il Lanificio Rossi, con le sue controllate, assorbe 1/6 della filatura cardata italiana e 1/4 dei telai meccanici operanti in Italia, nel pettinato, gli stabilimenti occupano 160.000 mq. alta è l’occupazione che comporta la costruzione di nuovi, insediamenti urbani, con la conseguente espansione a raggiera della città.

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Lavatoio di via X Martiri (1920) spogliato della copertura in eternit-amianto foto 2004

L’Amministrazione Comunale concede premi per incoraggiare i capitalisti a costruire nel territorio e si rifiutano licenze edilizie che non abbiano razionale disposizione; con questo impulso vengono aperte nuove strade nei quartieri di S. Bortolo, S. Felice, Cattane, S. Croce e S. Agostino, dove, tramite accordi diretti con i singoli proprietari, vengono costruiti nuovi nuclei insediativi, si menzionano le case popolari di Via Bartolomeo d’Alviano, esempio urbano della realizzazione dell’idea città-giardino. In seguito all’immigrazione, l’Amministrazione cittadina costruisce nuove strade e nascono nuovi quartieri, dove la densità demografica è alta le cattive condizioni igieniche sono la causa di malattie infettive come il colera e il tifo, i cui batteri sono notoriamente veicolati dall’acqua insalubre. Elevato è il tasso di mortalità infantile. I fanciulli e i neonati muoiono sia per la scarsa alimentazione e sia per l’insufficienza dell’igiene domestica.

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Lavatoio di Via X Martiri (1920) in un’immagine del 1997

Vicenza nel 1911 ha 53.107 abitanti, 9.404 in più del censimento precedente e l’aumento demografico comporta gli adeguamenti delle strutture edilizie, risultate insufficienti e della struttura fognaria. L’Amministrazione cittadina intravvede la necessità di offrire ai nuovi inurbati luoghi pubblici per l’approvvigionamento idrico in funzione dell’igiene collettiva; è per questo che dal 1915 al 1969 sono stati infissati nel Comune di Vicenza 60 lavatoi, come risulta dal censimento del 12 maggio del 1971 (Archivio di Palazzo Trissino, Vicenza). Il primo lavatoio, oggi scomparso, è di via dei Mille ed apre la prima fase delle costruzioni negli anni ‘20 con i lavatoi di Capitello, S. Antonino, Saviabona (strada in curva), Anconetta centro, viale Trieste, via Fossetta, via X Martiri, via E. di Velo e viale Verona.

Lavatoi di Vicenza: quello al Borghetto in via Saviabona (1930), foto 1997
Lavatoi di Vicenza: quello al Borghetto in via Saviabona (1930), foto 1997

Fra le principali cause che giustificano la costruzione dei lavatoi, da parte dell’Amministrazione comunale, sono le cattive condizioni igieniche, che, insieme allo scarso controllo delle acque e all’alimentazione povera, sono la causa di malattie endemiche di questo periodo: il colera, il vaiolo, il tifo, la tubercolosi. L’immigrazione continua nei primi anni ‘30 ed è progressiva, nonostante la forte emigrazione, toccando un saldo attivo nel 1933 (+1.066 abitanti); solo in coincidenza della promulgazione delle leggi razziali si verifica in Vicenza il saldo sociale negativo più rilevante con meno 436 unità.

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Lavatoio a San Bortolo tra via Boffalora e via Lamarmora – part. delle vasche(1940) foto 1994

La crescente industrializzazione, allontana la popolazione dalla campagna e una volta inurbata vive in case dove è assente l’acqua e scarseggiano i servizi igienici. Il maggiore affollamento comporta la necessità di mettere a disposizione dei cittadini i lavatoi per provvedere all’igiene pubblica e alle necessità idriche dei nuovi nuclei in espansione. È in questo periodo che l’Amministrazione si pone il problema di risanare alcuni quartieri della città, SS. Apostoli, Cornoleo, Borghetto di S.Croce. In contrà Santi Apostoli, ad esempio, vivono 148 famiglie numerose, che abitano in 21 case e molte in un solo locale.

Lavatoi di Vicenza: quello a San Bortolo - Via Durando(1949) foto 1997
Lavatoi di Vicenza: quello a San Bortolo – Via Durando(1949) foto 1997

Nel 1933 Vicenza non ha ancora raggiunto i 70.000 mila abitanti e viene incaricato il Comitato degli Ingegneri, per la formulazione dei preliminari del piano regolatore generale, al fine di indicare soluzioni per lo sviluppo radiale della città. Sono segnalati nuovi edifici a Borgo Scrofa, ed episodici interventi lungo viale Trieste e Viale Astichello, con insediamenti esterni al Centro storico e il contestuale decentramento di attività ed attrezzature tra cui i lavatoi; infatti, nello stesso anno vengono costruiti due lavatoi in viale Astichello. Nel 1938, dopo 5 anni viene bandito un concorso per il piano regolatore generale, fra i migliori risulta il “Progetto Pallade”, per l’attenzione posta alla mancanza dei servizi igienici. Infatti, la preoccupazione più importante dell’Amministrazione cittadina è quella di costruire servizi igienici collettivi per prevenire le malattie molto diffuse.

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Lavatoio a San Bortolo – tra via Boffalora e via Lamarmora (1940) foto 1994

Negli anni ’30, inoltre sono stati costruiti i lavatoi di via Moracchino, Saviabona-Borghetto, Cul de Ola, viale Fiume (case ECA), Bertesina, Polegge (case comunali). Dopo la 2^ Guerra mondiale, nella seconda metà degli anni ‘40 vengono costruiti tre lavatoi in Viale Trento, via Saviabona vicino Enal e via Durando, la città si va progressivamente espandendo e la popolazione è in costante aumento, raggiungendo 79.862 abitanti nel 1951. Negli anni ’50 il boom economico porta ad un consistente sviluppo edilizio quindi, si rende necessario un adeguamento dei servizi, compresi quelli igienici e la costruzione capillare di lavatoi che sono infissi a Polegge Centro, Maddalene Chiesa e Piana, Laghetto, Scuole Anconetta, Ospedaletto centro, via Marsala, via Imperiali, via Cattane, Borgo Casale, Stanga, Cà Balbi, Settecà, strada comunale del Paradiso, Gogna, viale Verona, Campedello, Longara, Foro Boario, Scuola elementare Laghetto, viale Ferrarin. Gli ultimi lavatoi sono stati costruiti negli anni ‘60 vengono costruiti in via Grappa; strada della Paglia, strada comunale Balbi, Settecà Chiesa, Olmo, Tormeno, via dei ‘Mille (nuovi), strada Nicolosi, S. Croce Bigolina, S. Benedetto, Bertesina, giardino Salvi, scuola Materna Polegge. A seguito dell’introduzione di bagni individuali negli edifici privati e della diffusione degli elettrodomestici, i servizi igienici pubblici decadono e i lavatoi sarebbero destinati a scomparire se la società civile non ne valorizzasse il ruolo che hanno rappresentato nel momento di intensa espansione edilizia cittadina e in quello odierno come reperti di archeologia industriale. Sono segni evidenti dell’espansione urbana della prima metà del Novecento, diventati parte della memoria collettiva e come aree urbane pubbliche, dotate di acqua corrente, possono rinnovare oggi la loro funzione di bene comune.

Di Anna Maria Ronchin da Storie Vicentine n. 12 del 2023.

 


In uscita il numero 15 di Settembre 2023
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