(Articolo intervista al dr Lorenzo Trombetta da VicenzaPiù Viva n. 299, , sul web per gli abbonati).
La storia, le esperienze e l’appello del medico di base nella Medicina di Gruppo Integrata Riviera Berica-Arcugnano, punto di riferimento per il territorio: “Le Case di Comunità? Non distruggiamo quello che funziona”.
Il dottor Lorenzo Trombetta ci accoglie con un sorriso cordiale e rassicurante e già ci piace immaginarlo alle prese con i suoi pazienti. È uno dei dottori della Medicina di Gruppo Integrata Riviera Berica – Arcugnano.
La struttura, in via Salvemini a Santa Croce Bigolina, accoglie 7 medici che a turno sono presenti in modo da garantire che tutti i giorni dalle 8 alle 20 sia sempre a disposizione almeno un dottore, un’infermiera e una persona in segreteria. Ogni medico di base ha i suoi pazienti che segue regolarmente, ma in caso di assenza c’è sempre un collega che può sostituirlo, e la vicinanza di ambulatori permette rapporti diretti e di grande collaborazione. Una struttura che funziona bene, che razionalizza le risorse ma sempre con la cura del paziente come prima finalità, senza trasformare la medicina in una pura questione di numeri e conti da far quadrare.
Nato a Catania, classe 66, sposato e con due figlie, il dottor Trombetta si è laureato nel 1993. Specializzato in otorinolaringoiatria, fino al 2019 ha lavorato in ospedale. Dopo esperienze a Verona e a Sirmione, è stato per un anno all’ospedale civile di Merano Franz Tappeiner, poi all’ospedale San Giovanni e Paolo a Venezia e quindi all’ospedale dell’Angelo a Mestre dov’è stato vice primario di ORL. “Esperienze importanti – ricorda il dottore – accanto a grandi medici dai quali ho imparato molto. A Mestre avevo come primario il prof. Roberto Spinato, un luminare nel campo dell’otorinolaringoiatria e un grande maestro. Gli sono grato per tutto quello che mi ha insegnato.”
Benché stimolante e piacevole, il lavoro in ospedale a Mestre non si combinava proprio
al meglio con il fatto che la famiglia invece vivesse nel Vicentino. Alla gestione di turni e reperibilità si aggiungeva infatti la logistica degli spostamenti, che non sempre era facile da gestire. “Da giovane ci facevo meno caso, ma dopo i 50 anni ha cominciato a pesarmi”. Così nel settembre del 2019 il dott. Trombetta ha deciso di diventare medico di base ad Arcugnano.

Dottore, è passato dall’ospedale alla medicina sul territorio proprio giusto in tempo per affrontare il Covid… Che ricordo ha di quei mesi?
“In realtà non ho mai smesso di visitare i pazienti, nonostante – sorride – qualche rimprovero di mia moglie che si preoccupava. Del resto, provenendo dall’esperienza ospedaliera, ero anche abituato a gestire situazioni complesse con pazienti a rischio e ho sempre preferito l’approccio diretto con i malati. Ma devo dire che tutti i colleghi non si sono tirati indietro. La cosa più difficile è che effettivamente all’inizio della malattia non si sapeva nulla, letteralmente non avevamo indicazioni su come gestire la situazione se non linee guida poco specifiche. C’era preoccupazione ma nessuno di noi ha mollato.
E quando è stato il momento, la nostra Medicina di gruppo ha partecipato a tutte le incombenze per la gestione della malattia.
Al piano terra avevamo allestito un punto per i tamponi, poi ogni mercoledì lo dedicavamo ai vaccini. Insomma, la sanità sul territorio in quella occasione ha funzionato bene”.
Che eredità ha lasciato il Covid?
“Ha un po’ cambiato il rapporto tra medico e paziente. Ho constatato che prima del Coivid c’era più fiducia, più pazienza, più voglia di ascoltare il medico, più comprensione dei tempi di attesa. Adesso noto più tensione, oserei dire quasi più aggressività, prima se dicevo a un paziente di aspettare un po’ a fare una certa indagine perché il sintomo non la richiedeva, mi ascoltava. Adesso no, se vogliono la radiografia o la risonanza non c’è verso di far loro cambiare idea…”
Crede sia il Covid o forse sono anche i social che diffondono troppe notizie non ben controllate?
“Non saprei, i social c’erano anche prima del Covid. Certo, soprattutto certe notizie che girano sembrano fatte apposta per far perdere la fiducia nei dottori…”
Tornando un attimo alla sua esperienza precedente, che differenza c’è tra essere medico in ospedale e essere medico di base?
“Cambia molto. In ospedale sei in un reparto ben preciso e
dai il massimo su un settore che conosci, segui il paziente solo per quello che riguarda la tua specializzazione. Come medico di base il lavoro è più empirico e sicuramente più variegato. Devi conoscere il paziente a 360 gradi, devi dedicargli più tempo dal punto di vista umano, devi conoscere la sua storia, devi farti raccontare i sintomi e la casistica è davvero molto varia. Certo, la specializzazione e l’esperienza ospedaliera, per chi le ha, possono essere molto utili. Nel mio caso sono riuscito a diagnosticare alcune patologie serie proprio grazie alla mia preparazione. Ho ancora la lettera di ringraziamento di un paziente cui ho consigliato un esame per un sintomo generico come un fischio all’orecchio. Aveva un aneurisma. È stato operato e ora sta bene. La sua mail di ringraziamento la tengo come promemoria del perché faccio il dottore.”

Le capita di dare consigli anche ai colleghi della medicina di Gruppo?
“Diciamo che c’è molta collaborazione tra noi, siamo un gruppo affiatato. Devo dire che per quel che riguarda la mia esperienza, la Medicina di Gruppo integrata funziona bene”.
Il futuro della medicina territoriale sembrano essere le Case di Comunità. Lei che cosa ne pensa?
“Non so, sono un po’ perplesso. Nel senso che, come le dicevo, proprio il periodo Covid ha mostrato che in Veneto il lavoro sul territorio è efficace e puntuale. Se non ricordo male il Veneto era preso come esempio di efficienza nella gestione della malattia. Non vedo la necessità di cambiare una cosa che già funziona. Oltretutto razionalizzare va bene, ma già la medicina di gruppo integrata è una razionalizzazione. Vicenza è grande, avere un solo presidio, una sola casa di Comunità, per tutta la città più che razionale mi sembra caotico. Però staremo a vedere, in realtà non abbiamo ancora avuto comunicazioni ufficiali e nel frattempo noi continuiamo a funzionare. Spero sinceramente che la nostra Medicina di gruppo rimanga così com’è.”
Cosa pensa della sanità italiana?
“Che è la migliore del mondo. Da quando esiste il Servizio Sanitario nel nostro paese è un sistema perfetto che ci invidia tutto il mondo. Non è solo il discorso della gratuità, è che in nessun altro Paese è così radicata e così capillare sul territorio. Certo, ultimamente c’è qualche problema, devo dire che pur restando di alto livello, ha cominciato a perdere qualche colpo, soprattutto dagli anni Novanta in poi, da quando gli ospedali sono diventati aziende. Ovviamente capisco che mantenere certi livelli di servizio costa e i conti alla fine bisogna sempre farli, ma la medicina non può essere vista come una pura risorsa economica. Semmai si può rivedere qualcosa sulla gratuità, ma non certo andando a gravare sulle tasche delle persone, piuttosto pensando a qualcosa a livello assicurativo… Ma non voglio addentrarmi su cose troppo complicate. Però insisto, la sanità italiana è ottima e qui in Veneto funziona bene. Proprio per questo dico di andarci piano con i cambiamenti e di non smantellare le cose che funzionano…”

Ma lei a un giovane che volesse studiare medicina che cosa consiglierebbe?
“Di farlo solo se ha tanta passione e con un’idea ben chiara di che cosa vuole diventare, perché gli studi sono lunghi e il lavoro è lungo e difficile. Però è un lavoro bellissimo. Dà immense soddisfazioni, fa conoscere tanta umanità. Certo, non sarebbe male se i compensi fossero adeguati alla fatica che si fa. Perché so di dire una cosa che suonerà impopolare, ma gli stipendi dei medici in Italia sono decisamente lontani dalla media europea e i compensi che si prospettano per le nuove organizzazioni future non promettono molto bene…”.
E per il futuro della sanità che cosa ci vorrebbe?
“Bisogna tenere presente che la popolazione invecchia. Quindi credo sia verso quella fascia
di popolazione che bisogna concentrare l’attenzione ma non solo sotto l’aspetto sanitario, sotto tutti gli aspetti, quello sociale, quello economico. Ci vogliono più posti nelle case di riposo, più strutture per il decadimento cognitivo, più centri riabilitativi, più sostegno per i familiari. Quanto alla sanità in generale, ci vogliono ovviamente le strutture, ma anche meno burocrazia e lasciare che i medici facciano i medici. Le faccio un esempio. Nel 2000 ero a Merano. Un ospedale stupendo, attrezzature all’avanguardia, compensi mai più avuti. Non eravamo super controllati, non c’era da rendicontare ogni singola prescrizione né da giustificare ogni richiesta. Vi ho lavorato benissimo. Perché si parla sempre del giuramento di Ippocrate e del fatto di dover lavorare con scienza e coscienza. Ma io aggiungo anche con libertà”.
Ma lei sceglierebbe ancora di fare il medico?
“Certo, è ancora un lavoro bellissimo. Però, bisogna essere messi in condizione di dare il meglio.”