(Articolo di Federica Zanini sul teatro Roi da VicenzaPiù Viva n. 303, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Prima che si accendano i riflettori sul suo centenario, il prossimo anno, siamo
andati a scovare un altro dei piccoli teatri-gioiello del Vicentino, che brillano sì di luce propria (nel vero senso della parola, visto che contano solo sulle proprie forze), ma che meriterebbero maggior fulgore. Siamo a Monticello Conte Otto, frazione Cavazzale, e le porte che andiamo a schiudere sono quelle del Teatro Roi, originariamente intitolato Dopolavoro Roi.
Lo avevamo “incrociato” già il mese scorso, il Marchese Roi, tra i sostenitori economici del Teatro San Marco a Vicenza.

Qui però impariamo a conoscerlo meglio e a cogliere la lungimiranza e genialità del personaggio. Pietro Roi, originario della Carnia, trasferitosi prima a Sandrigo (1823) e poi a Vicenza (1835) lavora e commercia canapa. Ma il primo industriale della stirpe sarà il figlio Giuseppe, che ammoderna e amplia il canapificio, con sedi a Vicenza, Vivaro, Cavazzale e Debba. Alla sua morte, nel 1889, le sue proprietà vengono divise tra i figli (nati dal matrimonio con Teresa Fogazzaro, primogenita del letterato), ma a portare avanti le idee e lo spirito del padre sarà il suo omonimo, detto Gino, titolato Marchese nel 1901, sindaco di Vicenza nel 1906 e padre di Giuseppe Roi, detto Boso, nato nel 1924, pronipote di Fogazzaro e ultimo mecenate di Vicenza, morto nel 2009. Tornando a Gino, da uomo
illuminato segue l’esempio dei Marzotto e dei Rossi e crea la sua città sociale, che prevede tra i servizi agli operai anche attività di svago per il dopolavoro e, tra queste, nientemeno che un teatro.

Un’idea all’avanguardia, che diventa realtà nel 1926. A causa della morte di Gino proprio allora, viene però inaugurato nel 1929, lo stesso anno dei Patti Lateranensi, quando, tanto per capirci, il demonio era il comunismo, in Italia il socialismo, e si faceva sempre più strada il fascismo.

Per “distrarre” i suoi operai e le loro famiglie, Roi fa realizzare un teatro innovativo, che allora conteneva (un po’ stipate) fino a 500-600 persone e che può ancora vantare il palco più grande di tutta la Provincia di Vicenza. Questo per quanto riguarda la struttura in sé, ma il Teatro Roi è molto più di un bell’esempio di architettura: voluto per essere la casa di tutti e centro culturale ad ampio spettro (Roi era tra i dirigenti dell’OND-Opera Nazionale del Dopolavoro), comincia ad aprirsi a diverse attività, con impianti sportivi (e persino un tetto-terrazza per ginnastica all’aria aperta), una prestigiosa scuola di ricamo interna e un salone da ballo. Senza tralasciare di coltivare e specializzare l’offerta artistica, avvalendosi
di collaborazioni qualificate e di prestigio, come quella di Primo Piovesan ed Emanuele Zuccato. Cominciano così ad arrivare diversi premi in seno alle Filodrammatiche del Triveneto. Come sempre, però, su tanta vivacità ecco calare la ghigliottina della Seconda Guerra Mondiale: i giovani attori reclutati e il teatro trasformato in alloggio per i soldati tedeschi che presidiavano la stazione ferroviaria di Cavazzale. Nel dopoguerra un’illusione di ripresa, ma gli attori sono, se non morti, invecchiati e negli anni 50 la crisi si abbatte sul teatro così come sul canapificio, indebolito dall’arrivo dei tessuti sintetici.

Per salvare il gioiellino, il Marchese Roi cede il teatro alla parrocchia. Peccato che all’epoca la Chiesa non vedesse di buon occhio la recitazione, considerata causa di perdizione. Fino agli anni 70, quindi, il Roi diventa solo cinema. Persa la sua vitalità iniziale e acquisiti anni sulle spalle, la struttura viene presto abbandonata perché vetusta.
Ed ecco che nel 2019, dopo un oculato restauro durata vent’anni e a dieci lustri dalla chiusura, il Teatro Roi è tornato a splendere. E a coinvolgere la comunità che lo ha sostenuto, nel pubblico e nel privato.
A gestirlo è la locale, apprezzata Compagnia Teatrale Astichello (www.compagniateatraleastichello.it), che cura una rassegna autunnale (in corso fino ai primi di dicembre) e una invernale, con propri spettacoli, ma anche con quelli di altre produzioni, spesso provenienti dal Festival Maschera D’Oro di Fita. Va svelato, infatti, che il direttore artistico (e regista) della Compagnia -Aldo Zordan- è vicepresidente nazionale della Federazione Italiana Teatro Amatori.
Ma soprattutto presidente della Compagnia è quel poliedrico, intenso Galliano Rosset, storico e artista che da sempre vive (benissimo) della passione per Vicenza, le sue tradizioni e la sua cultura, noto per le sue illustrazioni e incisioni, autore delle enormi scenografie (8×4 metri) e dei manifesti del Roi e maestro che mi ha onorata dei suoi racconti sul Roi (e molto altro).


