mercoledì, Ottobre 16, 2024
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Pietro Marco Zaguri (vescovo di Vicenza 1738-1810) e la “Vendetta” musicale del suo maestro di cappella Antonio Grotto (1752-1831)

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Don Antonio Grotto nacque a Vicenza nella parrocchia di San Michele il 18 settembre 1752. Compì gli studi classici e teologici dai Gesuiti in contrà Riale, mentre per la musica studiò con Antonio Faccioli, un mansionario cantore della cattedrale vicentina. A 23 anni entra come tenore nella cappella musicale del duomo e nel 1782 fu eletto maestro di cappella, incarico che ricoprì per 52 anni.

Il suo carattere gioviale confliggeva con la musica che copiosamente componeva in rigoroso stile ecclesiastico. Non approvava nella musica sacra le innovazioni di Rossini, nelle quali vedeva la contaminazione con la musica teatrale. I rapporti con il suo vescovo Zaguri erano improntati a rigorosa obbedienza e riverenza…, ma il vescovo, forse oppresso dalle turbolenze politiche e scosso dalle requisizioni di chiese, monasteri e conventi, mal sopportava nei pontificali le lungaggini musicali del suo maestro di cappella.

D’altra parte, i fedeli accorrevano numerosi a queste “rappresentazioni liturgiche” in cattedrale come fossero a teatro ed erano “religiosamente” estasiati per le “arie” dei solisti e per la sontuosa orchestrazione. Nel 1804 l’imperatore propose a Zaguri la promozione a patriarca di Venezia ma, rifiutò l’incarico, adducendo gravi motivi di salute. E il 12 settembre 1810, dopo aver nominato suo erede universale il Comune, Zaguri morì e venne sepolto nel duomo.

Come era prassi, ogni maestro di cappella, teneva in cassetto una sua messa di requiem, nell’eventualità che venisse a mancare il vescovo. E Grotto invece, pur avendo composto una decina di Messe da Requiem nel suo lungo magistero, per questa luttuosa occasione volle “omaggiare” il suo vescovo con una nuova e per una volta senza badare alle occhiate che per il passato aveva ricevuto da Zaguri mentre attendeva con impazienza la “cadenza finale” dell’orchestra.

Questa volta Grotto poteva concedersi la libertà di sforare i tempi ragionevoli della liturgia funebre. A p. 12 della partitura, infatti, appuntò: “Introito e Kyrie. Minuti 10” e a p. 60 “tutto il Dies irae dura 3: quarti e 6: minuti circa”.  È però nell’intestazione della partitura che il Grotto, dopo anni di francescana sopportazione, si lascia andare a una liberatoria dedica: “Requiem a 4: in die obitu del vescovo Zaguri nemico della musica & C. di Antonio Grotto 1810”.  “Almeno da morto…” avrà pensato!

Piazza dei Signori, uno "schizzo"
Piazza dei Signori, uno “schizzo”

Don Antonio Grotto scrisse oltre 500 composizioni, tutta musica sacra, tra messe, inni, salmi, mottetti, che sono conservate nell’Archivio diocesano. Nella sua produzione musicale si contaminò con la musica profana per una sola volta. Era il 7 maggio 1797 quando, giunti i Francesi in città, il Maestro con la sua cappella musicale dovette forzosamente partecipare alla Commedia democratica in Piazza dei Signori.

Per questa “liturgia laica” attorno all’Albero della Libertà il “cittadino” Antonio Grotto fu costretto a comporre due inni “patriottici” a 3 voci e orchestra “Or che innalzato è l’albero” e “Del dispotico potere”. Un’altra veniale contaminazione è del 1814 quando il celeberrimo evirato Giovambattista Velluti, dopo il trionfo all’Eretenio con Ginevra di Scozia di Simon Mayr, era atteso in cattedrale per la messa contata della domenica.

Il Maestro confezionò su misura alcuni versetti del Gloria pregni di impegnativi virtuosismi per dar modo ai vicentini di riascoltare il celebre cantante anche sotto le sacre volte del duomo. Con il passare degli anni non mutò il suo carattere gioviale e di questa sua qualità lasciò traccia con numerosi versi scritti sulle partiture. In un Tantum ergo, composto nel 1821 per la chiesa di S. Gaetano, dopo che un critico gli aveva fatto notare l’assenza dei corni fra gli strumenti, il Maestro, in tono leggero, scrisse alla fine della partitura “o storto o drito/siete servito/cantate polito” e nella parte dei due corni, che aggiunse accondiscendendo all’indelicata critica, scrisse la provocatoria risposta “due corni per servirla”.

L’ultima composizione del Grotto è un mottetto scritto il 10 marzo 1828 e dedicato al suo “braccio destro e copista” Domenico Sbabo. Scrive con sottile ironia “D’anni settantacinque e mesi sei/scriver mottetti!/ Ah: miserere mei!/Sbabo m’intende/ e il ver comprende”. Morì il 20 gennaio 1831 e per le esequie fu ripresa la messa da requiem composta per il vescovo Zaguri e ritenuta dalla critica il suo capolavoro. Ci auguriamo che questo nostro grande e dimenticato Maestro venga riscoperto magari con l’esecuzione di quel monumentale Dies irae, 50 minuti circa di musica: quasi la durata di un intero concerto.

Vittorio Bolcato da Vicenza in Centro, n. 2 febbraio e n. 3 marzo anno 12 

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