mercoledì, Ottobre 9, 2024
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L’oro di Vicenza, dall’età antica ai longobardi

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La tradizione orafa vicentina ha origini antiche. A Vicenza l’oro, prezioso metallo, è stato impiegato sin dai tempi passati, per realizzazioni di grande prestigio. L’artigianato ha vissuto il periodo più fiorente nei secoli del Rinascimento e del Barocco, ma è uno Statuto comunale del 1339, in cui si trova registrata la fraglia degli orefici la quale veniva ammessa all’elezione di un membro del consiglio degli anziani e poteva partecipare attivamente alla vita economica e politica di Vicenza, che testimonia l’inizio della tradizione orafa vicentina, nata da artigiani che lavoravano il metallo all’interno di botteghe prese in affitto dal Comune e collocate nel Peronio, ossia l’attuale piazza dei Signori, le quali hanno fatto diventare l’oreficeria un mestiere e un’arte che hanno reso Vicenza una delle capitali mondiali dell’oro.

In realtà la tradizione orafa vicentina ha appunto origini antichissime, risale addirittura all’epoca paleoveneta quando, intorno al VIII secolo a.C., gli antichi veneti o paleoveneti, una popolazione indoeuropea proveniente dall’Illiria che si era stanziata nella regione dopo aver allontanato gli Euganei, cominciò ad esprimere un artigianato capace di produrre oggetti metallici lavorati di vario genere quali quelli rinvenuti, all’inizio degli anni Sessanta, in uno scavo delle fondazioni fra corso Palladio e piazzetta San Giacomo a Vicenza, che mise in luce quel che rimaneva di una struttura di grosse pietre, probabilmente un santuario, dove vennero ritrovati pezzi di estremo interesse archeologico.

oro
lamine

Tra di essi si annoverano laminette rettangolari, allungate verticalmente o orizzontalmente, cerchietti singoli o collegati a bracciale, rotelline radiate e pochissimi oggettini in ferro. Buona parte del materiale fu raccolto dal personale del Museo civico di Vicenza, e in seguito venne catalogato e conservato ai chiostri di Santa Corona, dove è tuttora visibile al pubblico. Le lamine  sono tutte tirate a martello, decorate a incisione dal diritto e a sbalzo dal rovescio, alcune a stampo.

Recano figure di animali, guerrieri, atleti, donne con una veste corta e uno scialle che copre la testa. Per la presenza di piccoli fori esistenti ai margini, più che come ornamento, si ipotizza che le laminette fossero un insieme di ex – voto dapprima affissi tramite chiodi ad una stipe votiva, poi staccati per essere sepolti all’interno di un santuario. Oltre alle laminette sono stati rinvenuti, nei siti funerari nei pressi di Vicenza, altri oggetti di pregevolissima fattura dell’epoca paleoveneta.

A Lumignano ad esempio è stata rinvenuta una figurina zoomorfa stilizzata in bronzo a fusione piena databile tra il VII e il VI secolo a.C. L’ornamento, a forma di canide, poteva far parte di un corredo funerario o essere la decorazione di un oggetto da toilette. In una tomba, sempre paleoveneta, nei pressi di Montebello Vicentino, sono stati raccolti bracciali, orecchini, fibule dalle linee eleganti, deliziosamente decorate.

fibule di tipo Certosa

Tutti questi oggetti in bronzo erano realizzati con la tecnica di fusione a cera persa che consisteva nel costruire il modello desiderato in cera; questo veniva successivamente avvolto nella terra refrattaria formando una sorta di contenitore chiuso nel quale si praticavano i fori per fare uscire la cera che si liquefaceva quando lo stampo veniva inserito in forno per la cottura del materiale refrattario. Dopo questa operazione si colava nello stampo, attraverso questi fori, il metallo fuso ottenendo l’oggetto voluto il quale veniva rifinito a mano dall’artista. Le fibule ritrovate negli scavi archeologici dell’area vicentina si possono classificare in due tipologie: fibule di tipo Certosa e fibule di schema La Téne.

Perle e pendenti di pasta vitrea

Le prime hanno un arco asimmetrico verso la molla, il cordone che sottolinea lo stacco tra arco e staffa e il bottone peduncolato o appiattito. Appartengono ad un periodo che va tra la fine del VI secolo e l’inoltrato IV secolo a.C.12 Le seconde, invece, suggeriscono contatti tra il mondo celtico d’oltralpe e l’area vicentina, sono in fusione di bronzo del IV secolo a.C., hanno arco a profilo simmetrico a sezione ellissoidale, molla bilaterale a doppia spirale, corda e staffa esterna. Tra i vari prodotti di ornamento i veneti apprezzavano le perle e i pendenti di pasta vitrea, di derivazione greca, sovente alternati a perle di altri materiali quali l’ambra, il corallo, il bronzo, l’osso e l’oro.

I frammenti ritrovati fanno pensare a una produzione in loco, tra il IV e il II secolo a.C., a scopo ornamentale come grani di collane o pendenti, ma anche con funzione di identificazione del ceto sociale o con valore apotropaico di amuleto. Tutti i reperti archeologici in metallo fin qui presi in esame hanno permesso di documentare la presenza paleoveneta a Vicenza la cui attività di lavorazione dei metalli è da considerarsi la vera e propria alba d’un artigianato artistico vicentino ed anche il primo passo verso quella che diventerà più tardi la nostra arte aurificiaria.

L’ipotesi di tutte queste testimonianze starebbe ad indicare che vi fosse una struttura sociale organizzata già in epoca preromana, con artigiani specializzati nella lavorazione del metallo, commercianti e sacerdoti; e quando Roma cominciò a guardare verso il territorio vicentino, questo aveva già messo in atto un processo spontaneo di trasformazione socioeconomica che la romanizzazione riassestò con la diffusione di monete e con la produzione agricola. Roma conquistò la Gallia Cisalpina e l’Illiria con la II guerra punica (218 a.C. – 202 a.C.), le città venete alleate si sottomisero a Roma e fra esse anche Vicenza (177 a.C.).

Era chiamata Vicetia o Vincentia: una città inizialmente piuttosto piccola e modesta, l’urbicula di cui parlano alcune fonti, divenuta via via sempre più ricca e prospera, dopo aver ottenuto, nell’89 a.C., il diritto latino ed essere stata, dal 49 a.C., finalmente eretta in municipium. Non esistono tracce documentate, quali oggetti o iscrizioni, di una attività orafa a Vicenza in età romana e, poiché la normativa romana vietava la sepoltura dei morti all’interno della cerchia abitata, a Vicenza non sono stati rinvenuti corredi funerari; per questi motivi i ritrovamenti dell’età romana sono molto scarsi.

Oro amuleto del IV secolo d.C
Amuleto del IV secolo d.C

Tuttavia un recente scavo nella necropoli della Madonnetta a Sarcedo, un paese della periferia di Vicenza, ha portato alla luce un amuleto del IV secolo d.C. Si tratta di una sottilissima lamina rettangolare, in oro, (alt. 2,5 cm; lungh. 8,5 cm; spess. 0,02 cm) rinvenuta in una sepoltura a inumazione poco sotto il mento dell’inumata. Strettamente arrotolata, era probabilmente un pendente sospeso al collo con un filo di materiale non conservato. L’iscrizione latina, preceduta da una serie di quindici segni magici, disposti su due righe, è stata vergata con uno strumento dalla punta arrotolata.

Nel testo si invocano gli angeli a prestare il loro aiuto affinché nulla di male possa capitare a Letilia Ursa, figlia di Letilius Lupus e di Ovidia Secunda, personaggi non altrimenti noti: “Ne quidquam mali facere possit aut nocere/ Letiliam Ursam, filiam Letili Lupi vel Ovidies Secundes, vos, ancili, estote in aiutorio”, ovvero: “Affinché nulla di male possa capitare o nuocere a Letizia Orsa, figlia di Letilio Lupo e di Ovidia Seconda, voi, o angeli, prestate il vostro aiuto”. In età romana, la figura dell’orefice rivestiva un peso politico ed economico notevole in quanto solo chi possedeva un cospicuo patrimonio, proprio come quello degli aurifices, poteva intraprendere la carriera politica e i gioielli prodotti per i potenti committenti patrizi facevano degli orefici i loro confidenti e parte dei familiares.

Esistevano, inoltre, gli artigiani addetti alle diverse specializzazioni dell’arte orafa: caeselatores (cesellatori), bractearii (battiloro), auratores (decoratori), margaritarii (commercianti di perle). L’oreficeria dell’età romana fu influenzata dallo stile dei gioielli greci, dal quale si differenziò fino ad assumere una fisionomia propria.

Gli anelli, talvolta semplicissimi e in metallo povero, recavano sovente un casto inciso su pietra dura o pasta vitrea. I bracciali erano semplici cerchi a tubo cavo o a elementi emisferici in lamina d’oro saldati tra loro, o erano forgiati a serpente ricordando gioielli di età ellenistica. A partire dal III secolo d.C. agli elementi classici della gioielleria romana si aggiunsero nuove forme espresse da tecniche importate dall’oriente e in particolare dalla cultura bizantina, come ad esempio l’opus interassile, caratterizzato da una lavorazione a trina della superficie del gioiello, resa a traforo per mezzo del bulino; tecnica adatta alle decorazioni astratte, floreali e arabescate.

Dal IV secolo d.C. a questi motivi di origine orientale si sommarono altri di derivazione “barbarica”, si ottennero gioielli arricchiti di pietre e paste vitree policrome, dove la funzione del metallo aureo era limitato alla sola montatura. Nell’autunno del 568 i longobardi, guidati da Alboino, occuparono Vicenza con una rapida azione militare che non trovò grandi resistenze da parte dei bizantini. La città, dopo i momenti duri e turbolenti vissuti nella lunga guerra tra ostrogoti e bizantini (535 – 554), visse un periodo florido.

I longobardi si insediarono nel territorio vicentino ridefinendone i frazionamenti e stabilendo nuove strutture amministrative e legislative. Vicenza divenne il quarto ducato della conquista longobarda, dopo Cividale del Friuli, Ceneda e Treviso. La loro presenza nel vicentino durerà fino al 774, con l’avvento dei franchi di Carlo Magno.

Testimonianze della presenza longobarda sono affiorate soprattutto a Sovizzo e a Dueville e sono ora raccolti al Museo civico di Vicenza. Si tratta, per lo più, di oggetti di corredo funebre, di resti antropologici, come linguette e placche da cintura, fibbie di scarpe e borse, armi, perle in pasta vitrea, pettini, gioielli e altri oggetti.

I corredi funerari forniscono elementi che ci permettono di definire i prodotti della civiltà longobarda nei suoi aspetti culturali, tecnici e sociali. I criteri più attendibili che si possono osservare per riconoscere le tombe longobarde sono principalmente le fibule a staffa e a “S” nelle tombe delle donne, e le armi (come spathe, scramasax, lance, scudi e accessori dell’armatura) nelle sepolture maschili, essendo l’esercizio delle armi l’attività principale del longobardo.

Tra gli oggetti ritrovati nei corredi della necropoli di Sovizzo, di particolare interesse sono: l’umbone di scudo da parata in ferro con decorazione a croce in agemina d’oro, due guarnizioni – una fibbia in bronzo da borsa a forma di grifone fantastico, databile verso la fine del VI secolo, e una placca formata da due uccelli affrontati del VII sec. -, alcune armille in bronzo, le collane di paste vitree variamente colorate, fibule di varia forma, orecchini in fili di bronzo, aghi crinali in argento e un collare in argento massiccio.

L’oggetto più prezioso fu scoperto nel 1912 a Dueville in una necropoli longobarda. Si tratta di una crocetta aurea, del VII secolo d. C., la cui parte centrale lascia intravedere un volto femminile. Le braccia sono di uguale lunghezza, leggermente espanse e ritmicamente dotate di otto fori lungo i bordi perlinati.

I quattro personaggi visibili all’interno sono figure mitizzate in abbigliamento cerimoniale con copricapo decorato da corna ritorte di derivazione asiatica. Essa veniva cucita in un velo posto sul viso del morto e si otteneva battendo una sottilissima lamina d’oro su di un modello di metallo o di avorio o di legno duro con l’ornamentazione in rilievo, oppure era decorato a punzoni. Un altro oggetto prezioso del VI secolo, ritrovato a Dueville, è un anello in oro con gemma ovale in pasta vitrea policroma, con matrice raffigurante due figure, una femminile e una maschile, oggi conservato ai Musei civici di Vicenza.

Come la crocetta aurea, è un oggetto prezioso presente solo in tombe di persone di status sociale particolarmente elevato e tutti questi reperti, congiunti alla probabile esistenza, in questa età, di una Zecca a Vicenza e, quindi, di orafi coniatori, sono una evidente dimostrazione della perizia dell’arte orafa longobarda nel territorio vicentino.

Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022


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