giovedì, Aprile 18, 2024
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La Rua, ovvero una tradizione di VIcenza che continua

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Inizialmente il pomposo «macchinario» de La Rua veniva condotto in corteo partendo da piazzetta Palladio di Vicenza, snodandosi poi per contrà Muschieria, piazza del Duomo, contrà Vescovado, piazza del Castello, il Corso, contrà Santa Barbara, per concludersi con il trionfale ingresso in piazza dei Signori.

Dopo l’uscita di domenica 8 settembre 1901, lo strascinamento si limitò alla piazza: i fili della illuminazione elettrica, le rotaie del tram e lo stato del manto stradale avrebbero poi impedito l’originario percorso. Dal 2007 è collocata stabilmente in Piazza dei Signori, mentre un suo modello ridotto, la Ruetta, sfila per il Corso, le contrà e le piazze per poi concludere la processione nel Palazzo del Capitanio.

«L’ha mai vista lei la Rua? Una torre di legno alta più delle case, con una ruota, la ‘rua’, nel mezzo, a metà della torre, come una ruota di molino con dei ragazzi legati dentro. Altri ragazzi alle finestre della torre; uno sulla punta… E tutti i costumi antichi…»: così il nostro concittadino e scrittore Gian Dauli la descrive nel suo omonimo romanzo del 1932.

Ma come è nata la tradizione che ancora continua? La storia è lunga e si vorrebbe affondasse le sue radici nientemeno che nel XIII secolo, al tempo delle frequenti lotte fra vicentini e padovani. Il campanilismo, infatti, aveva alimentato la leggenda – perché di leggenda si tratta, mancando ogni riscontro documentale – secondo la quale i vicentini avrebbero sottratto ai padovani una ruota del loro carroccio in occasione di uno dei tanti conflitti che li vedevano opposti e ne avrebbero fatto un trofeo da ostentare.

La verità storica, invece, assegna la nascita della Rua alla iniziativa del Collegio dei notai. Nei loro libri-registri si legge, infatti, che il 15 marzo 1441 fu proposto di «eleggere quattro notari, i quali debbono immaginare qualche cosa bella e venerabile per celebrare la festa del Corpus Domini», in sostituzione del modesto cero che quel giorno essi portavano in processione per le vie della città unitamente a tutto il clero, alle arti e alle fraglie, che, a loro volta, dovevano recare le loro insegne e ceri accesi. Nacque così la Rua.

Ma perché fu inserita – in una specie di tabernacolo – una ruota che oscilla in senso verticale, con dei sedili nei quali prendevano posto dei bambini? Scartata l’ipotesi dell’esibizione del bottino di guerra, due le probabili motivazioni. Una è legata alla articolazione professionale  dei  notai,  divisi  fra  «Vacantes» e «Modulantes».

I primi, superate le prove di ammissione alla professione, erano in attesa di entrare nel ruolo dei secondi, trecento in tutto, che, ripartiti in cinque gruppi o «module», oltre a redigere documenti a contenuto patrimoniale, esercitavano anche l’ufficio di cancelliere, verbalizzando gli atti giudiziari e amministrativi. Dalla rotazione nella carica alla ruota, emblema della professione, il passo fu breve.

Tanto che l’odierna stradella dei Nodari – dove aveva sede il loro collegio – che collega contrà delle Due Rode a piazza dei Signori, è denominata, nella pianta del peronio del 1481 (ovvero dell’area circostante piazza dei Signori), «via dala Rotta». La seconda motivazione sta nel fatto che essa rappresenterebbe la fortuna – che, si sa, «gira» – ma anche la nascita e la morte, il moto della terra e degli astri: una sorta, insomma, di richiamo alla ciclicità dell’esistenza, dell’universo, della storia.

Dal progetto alla realizzazione della Rua passarono tre anni: i già ricordati libri- registri del Collegio dei notai riportano infatti, sotto la data del 14 gennaio 1444, che «Nicolò Almerico, Cristoforo Muzan, Giovanni da Castelnuovo, Gabriele da Ridolfi e Giacomo Ferretto, eletti per il culto, ornamento ed aumento della festa del Corpo di Cristo, … debbano liquidare i conti con Maestro Giorgio Pittore per la fattura della Ruota e per altri ornamenti dal medesimo Giorgio fatti…». Nel successivo mese di giugno la «macchina» fece finalmente il suo primo trionfale debutto e continuò ad essere presente, con alterne vicende, nella vita della città fino al 1928.

E quasi a presagire che quella sarebbe stata l’ultima sua apparizione, lo Stabilimento tipografico Angelo Brunello celebrò l’avvenimento con la stampa di un opuscolo, riassuntivo della storia di questo simbolo vicentino.

Sopraggiungerà poi la seconda guerra mondiale e la Rua non uscirà più dal deposito di Gogna, dove era stata ricoverata, distrutta dagli incendi seguiti ai bombardamenti. La tirannia dello spazio non consente di rievocare tutte le vicende e le storie legate al manufatto. Basterà ricordare che ben presto l’evento perse la sua originaria valenza religiosa: già il 16 gennaio del 1483 il Collegio dei notai lamentava che la festa «che si fa nel giorno della processione del sacratissimo Corpo di Cristo, piuttosto che accrescere la devozione delle oneste e devote persone che vi intervengono, la diminuisce».

E che il 19 dicembre 1585 il Consiglio dei cento deliberò che la festa si sarebbe svolta, da allora in poi, annualmente – anche se in seguito non sarà sempre così – a cura e a spese della città e non più del Collegio dei notai. «Municipalizzando», così, l’evento, che divenne esibizione del potere costituito.

Tant’è che, oltre allo stemma di Vicenza, furono da allora collocati sulla «macchina» anche i simboli del dominante di turno: il leone marciano, il gallo francese, l’aquila asburgica e, finalmente, il tricolore con lo scudo sabaudo. Nel 1880 l’uscita della Rua cessò di celebrare la ricorrenza del Corpus Domini per diventare un’attrazione del «Settembre vicentino».

E proprio nell’Ottocento numerose riviste italiane e straniere, quali, L’illustrazione italiana del 1890, il Beilage zur Illustrirten Zeitung del 1857, L’univers illustré del 1860, Il mondo illustrato del 1847, dedicarono alla festa della Rua gratificanti articoli, corredati altresì da belle immagini del manufatto. Queste e molte altre testimoniano come la struttura abbia subito nel tempo mutazioni di rilievo. L’odierna ricostruita Rua, grazie al già ricordato intervento dell’AMCPS, che nel 2007 fece ricostruire l’imponente manufatto per festeggiare i cento anni della sua fondazione, riproduce, con fedeltà e in scala 1:1, quella ideata nel Settecento da Francesco Muttoni e rappresentata nell’incisione di Giorgio Fossati del 1760.

A proposito del progetto muttoniano è stato sostenuto che si tratterebbe – in realtà – della rimodulazione di un disegno di Palladio. Va osservato, al riguardo, che, per la parte sommitale dell’apparato – quella dallo stemma di Vicenza in su – e per le statue laterali, è da escludersi ogni suo intervento, essendo chiaramente cosa settecentesca. Il settore, invece, che va dalla base fino allo stemma cittadino è altrettanto chiaramente di gusto cinquecentesco. E qui, allora, potrebbe entrare in gioco il nostro architetto.

Sennonché manca ogni prova documentale che Palladio si sia effettivamente occupato del manufatto: il che, peraltro, non esclude neppure che egli sia in qualche modo intervenuto. Ecco servito un giallo da risolvere per chi volesse approfondire l’argomento.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 4 Settembre-Ottobre 2021


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