martedì, Aprile 23, 2024
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La Chiesa romanica di San Giorgio a Vicenza: una storia millenaria poco studiata

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La chiesa romanica di San Giorgio costituisce uno dei più importanti luoghi di culto del medioevo vicentino giunti fino a noi. A dispetto della sua storia millenaria, tuttavia, essa non è mai stata oggetto di specifici studi storici, soffre di scarsissime citazioni bibliografiche e di una ancor più difficile reperibilità di documentazione iconografica d’epoca, e ciò probabilmente a causa delle vicende storiche a cui fu soggetta.

L’edificio sorge in una località immediatamente a sud-ovest del centro cittadino di Vicenza, in una strettoia tra il fiume Retrone e il colle di Monte Berico denominata “Gogna”. Il termine venne dagli studiosi variamente interpretato, anche riferendolo a prigioni ivi presenti in passato, ma l’etimologia sembra piuttosto portare al latino cuneus, cioè cuneo, strettoia, in relazione appunto al restringimento del percorso, limitato dal colle a sud, e dal fiume a nord. Per Gogna passava infatti, ad avvalorare l’importanza della località, una strada romana che nell’epoca classica ospitava anche, in questa zona, parte della necropoli cittadina: le murature stesse della chiesa inglobano cippi e lapidi funerarie romane, una delle quali venne acquistata, alla fine del Settecento, dal Conte Arnaldo Tornieri, erudito collezionista di antichità, che ne murò in loco una copia (oggi deturpata a causa dei bombardamenti bellici; l’originale è tuttavia conservato ai chiostri del Museo di S. Corona); un altro cippo, emerso probabilmente durante i lavori di costruzione della Casa Parrocchiale, negli anni ’60, è osservabile nell’area verde all’esterno della chiesa.

Inoltre numerosi, benché microscopici reperti fittili, vitrei e ossei sono rinvenibili, anche superficialmente, lungo il pendio tra la chiesa e la strada e nell’antistante campo sportivo. Secondo gli studi, due percorsi stradali si volgevano a meridione congiungendosi all’attuale Piazzola dei Gualdi in Vicenza. Il primo di questi si dirigeva a Lonigo per le località di Gogna e S. Agostino (il percorso sarebbe comprovato da alcuni ritrovamenti presso il Porton del Luzzo). Il secondo proveniva invece da Costozza e Longare. L’ipotesi che sul luogo di San Giorgio, posto quindi sull’importante asse romano che conduceva da Vicenza a Lonigo, fosse presente nell’antichità un tempio dedicato a Diana, è una notizia tramandata solamente da qualche scrittore vicentino, ma non è da escludersi, in quanto è comunque noto come il primo Cristianesimo impiegasse insediamenti pagani per l’erezione dei propri luoghi di culto.

Chiesa di San Giorgio
Chiesa di San Giorgio, fronte

Le prime testimonianze riferibili ad un edificio religioso cristiano in questo luogo sono costituite da alcuni elementi architettonici (in seguito reimpiegati e in parte ancora presenti nelle murature perimetrali e all’interno), e in particolare da una serie di frammenti decorativi lapidei con intagli a intrecci e matasse, tipicamente riconducibili al VII-VIII secolo, che, insieme alla dedicazione della Chiesa a San Giorgio, lasciano ipotizzare una manodopera longobarda per un primo sacello, poi parzialmente demolito per la costruzione di un edificio di maggiori dimensioni. Anche la forma stessa dell’abside, per la sua parte esterna, ha indotto alcuni studiosi a compararlo con le architetture ravennati (di cui riprenderebbe anche il coronamento laterizio con il doppio fregio a denti di sega), e a datarlo al VII secolo. Va tuttavia ricordato che la figura poligonale dell’abside richiama direttamente anche quella del sacello di S. Maria Mater Domini della vicina Basilica dei SS. Felice e Fortunato, costruzione attribuita al VI secolo, che può quindi avere influenzato i costruttori della Chiesa di San Giorgio anche oltre il secolo successivo.

Il più antico documento conosciuto che si riferisce a questa chiesa è databile invece, secondo gli studi del Mantese (Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa Vicentina, vol. II – Dal Mille al Milletrecento, Istituto S. Gaetano, Vicenza 1954), al 983, ed è costituito da un atto di privilegio con cui il Vescovo vicentino Rodolfo, nel riconoscere ai Benedettini del Monastero dei SS. Felice e Fortunato la proprietà di estesi territori nella Diocesi, restituiva loro il «vantium sancti Georgii cum capella» («… cum ecclesia», secondo altre fonti), ovverosia un terreno paludoso (vantium) con la Cappella dedicata a San Giorgio, distante appena alcune centinaia di metri dal Monastero stesso. A questo atto seguì l’insediamento di una comunità di Benedettini, probabili artefici della definitiva bonifica della zona tra il Retrone e Monte Berico. Secondo gli studi del Barbarano (Francesco Barbarano, Historia ecclesiastica di Vicenza – Libri I, II e III, Rosio, Vicenza 1649/1652), già nel 1259 presso la chiesa sarebbe stato edificato il Lazzaretto per gli appestati, ma si tratta di una datazione che non trova riscontro né nei testamenti dell’epoca, né nella documentazione relativa alle pestilenze, che non riportano il susseguirsi di eventi calamitosi di questo genere nel corso del XIII secolo. Appare più probabile che, tra il Due e il Trecento, il luogo fosse piuttosto destinato ad ospitare campi di raccolta provvisori (forse delle semplici costruzioni in legno) per fare fronte alle epidemie, e che la costruzione di un vero e proprio edificio in muratura con finalità ospedaliere risalga ai decenni intermedi del XV secolo: da un testamento del 1456 si rileva infatti come fosse desiderio del testatore lasciare una parte dei suoi beni per contribuire all’erezione dell’«hospitali Nazareth” (o come si disse in seguito, del Lazzaretto), fuori Borgo Berga, e una nota del De Mori (Giuseppe De Mori, Chiese e chiostri di Vicenza, Galla, Vicenza 1928) fa risalire, pur senza citare alcuna fonte, la costruzione del complesso al 1454.

Si ritiene tuttavia, da parte di chi scrive, che la prima vera importante ristrutturazione dell’edificio, che trasformò il sacello longobardo nel fabbricato delle dimensioni attuali, sia ascrivibile al periodo dell’insediamento (o reinsediamento) benedettino a cavallo del Millennio: ne farebbero fede le tessiture murarie presenti nella parte sinistra del prospetto settentrionale e alla base della controfacciata, dove si leggono superfici miste in pietrame e mattoni posati a spina di pesce, con una tecnica tipicamente riferibile al X-XI secolo, nonché il reimpiego di elementi decorativi longobardi, quali semplici elementi lapidei da costruzione, distribuiti in diversi punti lungo le attuali murature perimetrali: uno di essi (un frammento di ambone finemente decorato con una cornice a motivi vegetali e la porzione di una coda di pavone), casualmente rinvenuto, nel corso dei recenti lavori di restauro della chiesa, nel paramento interno della facciata a circa due metri d’altezza, è attualmente esposto in chiesa.

Risulterebbero invece da  ricondurre alla ristrutturazione Quattrocentesca le porzioni murarie in cui si riscontra un “opus incertum” alternato a tre liste sovrapposte di mattoni a intervalli regolari, secondo uno schema che richiama le murature di tipo difensivo caratteristiche di quell’epoca, tanto da far pensare che intorno alla metà del XV secolo si fosse provveduto non ad un ampliamento, bensì ad una ristrutturazione dell’edificio, forse a causa di cedimenti dovuti alla sua posizione, parzialmente in pendio ai piedi del colle.

Già alla fine del Trecento sembra comunque che la chiesa di San Giorgio fosse stata abbandonata dai Benedettini, forse proprio per lasciare spazio al nascente Lazzaretto gestito dalle autorità cittadine: una funzione che sarebbe stata svolta anche per i secoli successivi, tanto che il luogo viene rappresentato come “Lazzaretto” (costituito da due fabbricati, uno dei quali – probabilmente la chiesa – identificato come “S. Lazaro”, ai lati di una corte cintata) nella Pianta di Vicenza detta “Angelica” del 1580 (la più antica raffigurazione completa della città di Vicenza) e nelle successive mappe cittadine del Seicento e Settecento, nelle quali tuttavia non si riconoscono per nulla gli elementi architettonici della chiesa, limitandosi le incisioni, che spesso si esaurivano nella rielaborazione di edizioni precedenti, a riprodurre due semplici fabbricati accostati a “L”, con porte e finestre vagamente distribuite: chiaramente l’utilizzo del sito non rendeva necessari all’epoca particolari approfondimenti grafici.

Solo nelle mappe catastali che si sviluppano all’inizio dell’Ottocento la struttura del complesso (sempre identificato come “Lazzaretto”) trova una corretta rappresentazione, con la chiesa affiancata dal chiostro nella sua parte meridionale, e accompagnata da un edificio stretto e lungo posto dietro all’abside, perpendicolarmente alla strada (probabilmente le camerate dell’ospedale), di cui rimane oggi, unica preziosa testimonianza, il tratto inferiore della facciata verso Viale Fusinato.

Chiesa di San Giorgio
Chiesa di San Giorgio, interno

Quando non in uso con finalità sanitarie, il Lazzaretto, evidentemente per la sua disponibilità di fabbricati coperti con ampie stanza ad uso dormitorio, poteva secondo le cronache essere impiegato per gestire diverse situazioni di emergenza; ne dà testimonianza il Castellini quando riporta come nella primavera del 1616, in occasione del conflitto che oppose la Repubblica Veneta all’Austria, giunsero a Vicenza, di passaggio verso il Friuli, «700 Grigioni [truppe mercenarie svizzere] guidati dal Capitano Giacomo de Bergai, ai quali dai Vicentini fu provveduto l’alloggiamento a San Giorgio fuori delle mura, dov’è concorsa gran moltitudine di popolo, non tanto per osservare la non più veduta milizia in questi paesi, quanto per ammirare il lor vestito, e le semplici loro maniere. Stettero essi in Vicenza per tutto il mese di giugno» (Silvestro Castellini, Storia della citta di Vicenza […], Libro XVIII, p. 174).

Non è dato sapere con precisione quando il Lazzaretto, secolarizzato nel 1810, cessò questa destinazione d’uso (che nei decenni del dominio austriaco si affiancò a quella di luogo per le esecuzioni capitali), per divenire deposito comunale (ospitando, tra le altre cose, anche la “Rua”) e, infine, assumere una funzione ancora più svilente: negli anni Trenta del ’900 il complesso era infatti indicato come sede del Canile Municipale. Negli anni della seconda guerra mondiale la chiesa fu prossima, in diverse occasioni, alla completa distruzione: con una sua delibera del 19 ottobre 1941 infatti, nell’ambito di un piano di espansione residenziale in atto già da qualche anno, il Comune di Vicenza stabilì l’alienazione di alcuni immobili di proprietà pubblica, tra i quali «il vecchio lazzaretto di Gogna, con annessa chiesetta», destinato alla demolizione per la realizzazione di nuove case d’abitazione.

La vicenda che ne seguì appare quasi paradossale: richiesto dal Comune di un proprio parere e relativo nulla osta all’operazione, il Soprintendente dell’epoca, l’architetto Ferdinando Forlati, dalla sua sede di Venezia chiese a sua volta una nota informativa all’ispettore onorario competente per la città di Vicenza, il quale, consultato un libricino dell’epoca, confermò lo scarso valore del complesso, raccomandando solamente, all’atto dell’abbattimento, la conservazione di «qualche elemento decorativo». La Soprintendenza ai Monumenti dava quindi sollecitamente al Comune, già l’8 novembre, la sua autorizzazione alla demolizione della chiesetta in quanto «cosa di nessun interesse artistico». Si poteva chiudere così, con quelle poche righe, la storia millenaria di San Giorgio; senonché, per buona sorte, nella stessa giornata dell’8 novembre un’altra lettera partiva da Vicenza diretta all’ufficio dell’architetto Forlati: la firmava il sacerdote Giuseppe Lorenzon, appassionato medievalista e, all’epoca, parroco dei SS. Felice e Fortunato (incarico che mantenne per quasi mezzo secolo, dal 1920 al 1968).

Con parole piuttosto dure («Mi giunge ora notizia d’una minaccia di demolizione…»), il sacerdote rimarcava l’importanza del sito elencandone le particolarità, e suggerendone al contempo un possibile futuro impiego pastorale per la comunità di Gogna, allora in rapida espansione demografica. A padre Lorenzon va senz’altro riconosciuta la salvezza di San Giorgio. Nel trascorrere di pochi giorni, infatti, seguì un frenetico scambio di corrispondenza tra la Soprintendenza, il suo soprintendente onorario, la parrocchia di S. Felice e il Comune di Vicenza (che pur avendo ricevuto il nulla osta alla demolizione non aveva ancora, fortunatamente, provveduto alla vendita degli immobili), conclusasi per una volta con un “lieto fine”: «Riconosciamo l’involontario errore incorso a proposito della Chiesetta di San Giorgio – scriveva l’architetto Forlati al Podestà di Vicenza il 5 dicembre – e siamo lieti di quanto ci scrivete in merito alla sua conservazione per la quale la Soprintendenza interverrà a suo tempo anche con opportuni contributi».

Forlati non avrebbe però mai immaginato, nell’avanzare questo proposito, in che circostanza sarebbero stati necessari qualche anno dopo i suoi contributi. La notte del 18 marzo 1945 infatti, durante uno degli ultimi bombardamenti aerei alleati che colpirono duramente la città, il complesso, a causa della sua vicinanza alla Stazione Ferroviaria, fu ripetutamente centrato e subì la distruzione del chiostro, della copertura dell’aula e di ampie porzioni di muratura. Le poche fotografie dell’immediato dopoguerra conservate presso l’archivio della Soprintendenza di Verona sono sconfortanti: ad eccezione dell’area absidale, pressoché integra, la struttura era ridotta ad alcuni precari brandelli di murature, ampiamente lesionati, che si elevavano da un mare di macerie. Un’immensa opera di ricostruzione postbellica attendeva l’intera città, e la chiesa di S. Giorgio, perdipiù in tali condizioni, non poteva rappresentare una priorità.

Eppure già nel marzo 1946 lo stesso architetto Forlati, riprendendo le istanze di cinque anni prima, ne proponeva il completo recupero, mediante la ricostruzione delle murature e della copertura, per una spesa che venne preventivata in 2.500.000 Lire (divenute poi, al termine dei lavori, quasi 4 milioni, interamente a carico del Ministero della Pubblica Istruzione). Nell’opera di recupero, avviata nel 1947/48 e conclusa nell’arco di un biennio, era intenzione della Soprintendenza rifare il tetto con legname «vecchio», reimpiegando in particolare le travature della copertura del Duomo, in via di rifacimento nello stesso periodo; senonché esse erano già state riutilizzate in quel cantiere per la realizzazione di centine e ponteggi, tanto che a S. Giorgio si dovette porre in opera materiale nuovo, nemmeno opportunamente stagionato. Dalla Cattedrale vennero bensì recuperate le lastre in marmo bianco e rosso che attualmente costituiscono la pavimentazione della chiesa di Gogna.

Da una lettera del Forlati al Comune di Vicenza dell’ottobre 1948 si rileva altresì che la chiesa era «attorniata da altri edifici medievali che è bene non abbiano a perdere il loro carattere. Così esiste lungo la strada un muro medievale avente vecchie aperture, muro che deve venire conservato e diligentemente restaurato. Anche la casa vicina ha elementi medievali che bisogna siano pure conservati: abbiamo però constatato che parte di essa è stata ricostruita e anche innalzata. Prima di proseguire in quest’opera è bene che vengano presi accordi precisi, per evitare stonature o perdite di parti importanti della vecchia costruzione».

Tali propositi rimasero però, di fatto, vanificati dalle successive necessità. All’inizio degli anni Cinquanta la chiesa era stata finalmente, dopo centoquaranta anni, riaperta al culto, anche se solamente ad uso dei ragazzi del quartiere, per le attività della dottrina; nel 1961 la chiesa venne messa a disposizione della Parrocchia di S. Caterina, cui il Comune di Vicenza la donò insieme al fabbricato adiacente, e nel 1963 ebbe riconosciuta la dignità di chiesa parrocchiale autonoma.

Entro pochi anni, in luogo dei fabbricati preesistenti intorno alla chiesa, ormai fatiscenti ma, come si è visto, forse ancora degni di conservazione e restauro, venne eretto il nuovo edificio delle opere parrocchiali, in stile moderno. Delle antiche strutture si salvò solamente la breve cortina muraria verso Viale Fusinato, tuttora quanto mai bisognosa di interventi di consolidamento e restauro (non è tuttavia chiaro quando, e per quali ragioni, quell’edificio sia stato demolito, giacché compare, ancora apparentemente integro, nelle fotografie aeree dell’aprile 1945, mentre alla fine del 1948, come si ricava dalla lettera del Forlati, era evidentemente già scomparso). Nel 2011, a sessant’anni dai lavori di ricostruzione postbellica, diverse necessità di carattere statico e conservativo hanno imposto l’esecuzione di un nuovo cantiere di restauro che, nella valorizzazione degli elementi originali del monumento, ha restituito alla comunità un edificio di primaria importanza per la storia del medioevo vicentino.

Di Angela Blandini e Gabriele Zorzetto da Storie Vicentine n. 8 giugno-luglio 2022


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