(Articolo sul Natale e la credenza nella Befana da VicenzaPiù Viva n. 294, sul web per gli abbonati).
«Ma da bambina non ho mai creduto a Babbo Natale che portava i regali. Credevo fermamente nella Befana».
Adoro il Natale. Praticamente sono l’anti Scrooge, il vecchio e avaro banchiere londinese che, prima di ravvedersi, lo odia perché per lui è solo una pausa dal lavoro, in cui non può guadagnare e, anzi, deve persino pagare il suo umile contabile. Del Natale, invece, mi piace tutto. Fare l’albero, costruire il Presepe, comprare i regali, decorare la casa, cantare a squarciagola jingle bells e salutare perfetti sconosciuti, come è consentito fare solo incrociando altre persone sui sentieri di montagna.
Manca qualcosa? Sì, la messa.
In realtà su quella non sono proprio ligia. La messa di mezzanotte della vigilia non l’ho mai seguita, quella della mattina di Natale, dipende. Sulla parte liturgica sono più brava a Pasqua. Del resto, il Natale è una festa mista, un po’ pagana un po’ cristiana. E poi sono i sentimenti quelli che contano.
Adesso sto meno sui social, ma fino a cinque sei anni fa sui miei profili Facebook e Instagram partivo col conto alla rovescia a settembre. Anzi, c’è un negozio ad Asiago che vende oggetti natalizi tutto l’anno, e che ha fuori un Babbo Natale con il conteggio dei giorni che mancano al 25 dicembre.
Ebbene, ogni volta che salgo in Altopiano devo assolutamente fare una foto al negozio per ricordare quanto tempo manca.
Intendiamoci: non vorrei proprio che ci fosse un Natale al mese. Assolutamente no, si perderebbe il gusto dell’attesa. Anche perché come insegna il gioviale Leopardi nel “Sabato del villaggio”, è molto più bella l’attesa della festa stessa. Che poi a casa mia l’attesa si conclude la sera del 24, come nei calendari dell’Avvento. Da che sono in grado di ricordare, nella mia famiglia apertura dei regali, cenone, grande festa… tutto è sempre stato fatto la sera della vigilia. Infatti, da bambina non ho mai creduto a Babbo Natale che portava i regali.
Credevo fermamente nella Befana (scoprire la verità è stato uno dei grandi traumi della mia infanzia), ma Babbo Natale non aveva collocazione logica nella nostra routine natalizia: se i regali li aprivamo tutti la sera della vigilia, e non la mattina del 25, Babbo Natale non serviva.
La mattina di Natale si andava a messa – se ci alzavamo in tempo – e poi a fare un giro di saluti ad alcuni amici dei miei genitori, quindi si tornava a casa per un pranzo a base di lessi col cren e la pevarà.
Poi la cosa che ricordo di più era la soddisfazione di pensare che il bello della festa era già arrivato e io avevo ancora quindici giorni di vacanza per godermi i regali…
Ma torniamo ai primi di dicembre. A casa mia albero e presepe sono sempre stati fatti. Ho ricordi un po’ vaghi di quando ero piccola, ma sono sicura che fosse mio papà a “fare il presepio”. Noi bambine eravamo solo assistenti. Una volta diede a me e mia sorella più grande l’incarico di dipingere di blu un grande foglio di carta per fare il cielo. Credo che in realtà i fogli fossero due e ne avesse dato uno a testa, perché mia sorella ha colorato il suo di blu come richiesto, mentre io ad un certo punto mi sono stancata di tanta monotonia e ho usato il rosso… Anche qui la memoria si confonde, mi sembra che mio padre abbia riso, e che il mio attacco da William Turner sia stato rimediato aspettando che il colore asciugasse e passandoci una mano di blu sopra. O forse l’angolo di cielo rossastro è semplicemente stato nascosto dietro un monte…
Col passare degli anni, i miei hanno lasciato che noi bambine facessimo sempre più da sole. Soprattutto io ho continuato a fare il presepe, aggiungendo ogni tanto casette o personaggi. Intendiamoci, non faccio certo presepi sofisticati col giorno e la notte, il fuoco vero e l’acqua corrente. Anzi, non rispetto nemmeno tanto le proporzioni, dato che spesso sono alle prese con personaggi molto più grandi delle case, con un simpatico effetto Gulliver-Lilliput. Ma la cosa non mi agita, cerco di dare un minimo di prospettiva mettendo le cose più piccole lontane e quelle grandi più vicine, e va bene così. Ho anche una mentalità ecologica: sono anni che riutilizzo lo stesso muschio e addirittura riciclo i fogli di alluminio per fare corsi d’acqua e laghetti.
Quanto alle luci, le metto sempre troppo tardi, quando ho già inserito tutti i personaggi, per cui per non dover smontare tutto finisco col tenerle di contorno, rendendole praticamente inutili. Da almeno vent’anni poi faccio il presepe sugli scaffali della libreria, per difenderlo dagli agguati della mia vecchia gatta, la quale una volta, che avevo provato a farlo su un ripiano basso, ha deciso che il posto d’onore dentro la capanna fosse suo e non di Gesù bambino… E dato che in effetti il presepio in libreria ci sta bene, continuo a farlo lì anche se nel frattempo la gatta demolitrice è passata a miglior vita e adesso ho un gatto nero molto meno distruttivo.
Quanto all’albero, da ormai trent’anni, ma forse sono di più, uso un abete finto. Non è sempre lo stesso, un paio di volte abbiamo dovuto cambiarlo per danneggiamenti vari. In realtà anche quello che ho attualmente ha un ramo sbilenco, ed era dove la mia gatta si acquattava, però francamente non ho voglia di sostituirlo, mi va bene anche così, con aria vissuta e un po’ sofferente.
Naturalmente non ho sempre avuto alberi finti. Quand’ero bambina non esistevano nemmeno, si portava a casa un abete vero. Ricordo che pungeva molto e
che tra le decorazioni (qualcuna sopravvissuta fino ai giorni nostri) mi piaceva una fila di lucine con gli angioletti di plastica, davvero deliziosi anche da spenti. Ed è bene che fosse così perché credo di non averli mai visti accesi, secondo me quella fila di luci è stata acquistata già non funzionante… Proprio perché gli angioletti non davano soddisfazione, quando allestivamo l’albero io avrei voluto illuminarlo con candele vere, come vedevo fare in qualche vecchio film, ma mia mamma, che pure raccontava che quando era piccola a casa sua le mettevano, diceva che era troppo pericoloso. Questo peraltro va a smentire il concetto che l’albero di Natale è un’americanata che non c’entra con la nostra tradizione: mia mamma era del 34 e a casa sua l’ha sempre visto.
Tornando a me, quando faccio l’albero di Natale sono assolutamente contraria a schemi, armonie di colori e studi estetici: nel mio albero ci va di tutto. Dal lavoretto dell’asilo dei nipoti alla slitta comprata da Harrods, dalle palline scolorite di quarant’anni fa alle sfere di cristallo luminescenti comprate da poco. E pure i fili, le luci, i capelli d’angelo… E senza badare troppo ai colori. Anche perché io ci provo ad alternare oro, rosso, argento, verde, azzurro, ma ho troppi ornamenti ed è inevitabile che ad un certo punto due palline o due ghirlande dello stesso colore finiscano vicine. In questo caso, ed è un consiglio che do al lettore, non provo assolutamente a scambiarle di posto con altre due.
Il risultato – garantito – sarebbe che le palline dello stesso colore vicine diventerebbero quattro o addirittura sei. Quando ho completato l’allestimento il mio albero è una specie di tronco di cono irregolare, una piramide a gradoni, un budino in equilibrio precario, che però fa tanta allegria e non tarda a riempirsi di doni.
Ecco, anche quello dei regali è un capitolo importante. Da piccola, come ho già detto, non li ricevevo da Babbo Natale ma dai miei, che me ne hanno sempre fatti in giusta misura, e li ho sempre scartati la sera del 24. La cerimonia dell’apertura dei pacchetti è sempre continuata e continua tutt’ora la sera della vigilia. Unica concessione, finché i figli delle mie sorelle erano piccoli abbiamo richiamato in servizio Babbo Natale, quindi la mattina del 25 ciascun bambino trovava un giocattolo sotto l’albero.
Ma il grosso del malloppo veniva scoperto dopo la cena della vigilia che, da quando sono mancati i nostri genitori, viene organizzata da mia sorella più giovane. Peraltro una cena rigorosamente di magro, nel rispetto della tradizione. Un magro molto abbondante, per essere del tutto sinceri…
Gli acquisti dei regali cominciano già a metà novembre, ma non c’entra il black friday, è che se vediamo una cosa che può piacere o che è nella famosa “lista dei desideri” (che ognuno di noi compila diligentemente), la compriamo e la incartiamo. Ciascun membro della famiglia fa almeno un regalo a tutti gli altri: considerando che solo i familiari diretti sono nove, vuol dire una settantina abbondante di doni.
Se poi si aggiungono altri parenti, che non vorrai mica lasciarli senza un pacchetto, o addirittura giovani fidanzati di nipoti, che magari a casa non festeggiano la vigilia e quindi la passano con noi, il traguardo dei cento pacchetti si supera regolarmente. E c’è da dire che il momento dell’apertura dei pacchi a casa nostra – di solito verso le dieci della sera della vigilia, nell’intervallo tra il secondo e i dessert – è qualcosa di incredibile. Dieci minuti di puro caos, esclamazioni e rumori di carta che viene stracciata. Gli ospiti che partecipano per la prima volta ai nostri cenoni normalmente rimangono basiti. Infatti ogni tanto mi tocca pure rassicurarli: «Noi facciamo così tutti gli anni, so che fa un po’ paura, ma poi vedrai che ti abitui”…