(Articolo di Federica Zanini da VicenzaPiù Viva n. 294, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Lui, rosso, fece finanziare dall’altro Gianni, Agnelli, una baita a Bardonecchia, ma a Venezia non gli fecero incontrare Madonna: voleva farle comprare la settecentesca Villa Rubini di San Pietro Intrigogna per finanziare l’Ipab di Vicenza. Dietro il suo garbo di piemontese, arrivato a Vicenza per amore, cova ancora lo stesso fervore di esserci e fare dove più serve: tra la gente.
Quando stringo la mano a Giovanni Rolando, per gli amici semplicemente Gianni – proprio come un noto ed elegante personaggio dell’alta borghesia di Torino, città da cui proviene, e di cui parleremo più avanti- e mi siedo con lui al tavolino di un bar del centro, non è decisamente giornata da caffè per me. Per motivi personali ho bisogno piuttosto di un calmante e mai avrei pensato di trovarlo proprio nell’amabile chiacchierata con Rolando: il suo garbo, la sua calma, la cortesia e la sua subito evidente umanità sono immediatamente un balsamo per me.
Incitato a raccontarmi di sé e della sua lunga carriera non solo politica, questo personaggio noto a Vicenza per il tanto che ha fatto per la città, ma soprattutto per la sua modestia e il suo (apparente?) non-presenzialismo («bisogna esserci, non mettersi in mostra») premette subito che non vuole suonare nostalgico. La nostalgia però prende me, per quella generazione che mi ha cresciuta e mi ha nutrita con valori che vanno scomparendo… Quei signori che ci si nasce, non si diventa.
Giovanni Rolando è un ‘superstite’ di un antico codice morale, che lo ha guidato lungo l’intera, pienissima sua vita. Una vita che comincia in Piemonte, a Torino, e che Rolando fin da giovanissimo farà intensa, concreta. Tra le borse cariche di fogli, appunti, libri e ricordi adagiate sulla poltroncina del bar non scorgo nessun cappello con la penna nera, eppure la sua integrità e la sua concretezza mi richiamano subito alla mente quella che è la definizione più densa e vera dei miei amati Alpini: uomini del fare, non del dire. Adesso, qui con me, per Giovanni è tempo del dire, del raccontare, ma la sua carriera di azione, all’età di 78 anni (è nato a Carignano, in provincia di Torino, il 16 maggio del 1946) portati con naturalezza e soprattutto consapevolezza, non è affatto finita, né accenna a rallentare.
Finiti gli studi, ancora sotto la Mole Antonelliana, e subito dopo aver conquistato un trofeo di basket, il suo sport preferito che oggi continua ad amare da tifoso biancorosso sempre sugli spalti, inizia subito a lavorare, o meglio a incarnare quella che lui chiama l’etica del lavoro, concetto forse troppo profondo per il nostro oggi, che lo accompagnerà per sempre e in cui crederà sempre.
È un lottatore Rolando, gentile ma determinato. Lotta per tutto, per tutti, in nome soprattutto di dignità e giustizia, perché gli ideali non si limitino a esser tali, ma si traducano nel cambiamento. E non si arrende, mai. Mossi i primi passi in politica sotto la bandiera rossa -il colore, ricordiamolo, della passione- del PCI, vive, a 38 anni appena compiuti, come un lutto la tragica fine di Berlinguer (l’11 giugno del 1984 a Padova) e il conseguente, graduale declino del partito, ma per lui il vessillo sventola ancora. Il suo personale, intenso slogan recita proprio “Eppure il vento soffia ancora”. Eppur si muove, diceva Galileo Galilei… eppur li possiamo smuovere sarebbe il giusto adattamento a Rolando.
Intanto, però, era stato l’amore a muovere lui da Torino a Vicenza. Unica conditio sine qua non per seguire in terra berica quella che oggi è sua moglie è, ancora una volta, il lavoro. Trentenne volenteroso, sveglio e competente, lo trova subito. Anzi, appena assunto (parliamo di 3 giorni dopo, solo 3!) trova subito anche di meglio e il promettente tecnico progettista di apparecchiature elettroniche, emigrato da quella piazza torinese che è storicamente meta di grandi migrazioni operaie, diventa pendolare sulla tratta Vicenza – Montecchio Maggiore, «quando ancora c’era il trenino per Valdagno». Alle 8.10 ogni mattina timbra il cartellino su quello che non sapeva ancora sarebbe stato molto più di un posto di lavoro, ovvero il trampolino verso quella vita di dedizione alla causa che ancora lo vede impegnato.
Nell’azienda per cui lavora, in cui non c’è l’ombra di un sindacato, accadono cose non proprio etiche. Con alcuni colleghi Giovanni va in delegazione dal ‘padrone’, che risponde, cito Rolando, ‘NIET’.
La miccia è accesa: Gianni promuove una prima organizzazione sindacale interna, quindi viene eletto nel Consiglio di fabbrica.
Tutto questo senza mai smettere di fare quello che fanno quelli che rappresenta: lavorare. Da lì il passo è breve. Qualcuno gli chiede: perché non entrare attivamente nel partito? Il fidanzamento è brevissimo, il matrimonio con il PCI lunghissimo e all’insegna dell’assoluta fedeltà.
Lei è un politico vecchio stampo, diciamolo all’inglese old style, perché io ci vedo tanto stile. Come giudica la politica di oggi?
«Il mondo è cambiato e non è un modo di dire. Ai miei tempi il partito era legato a doppio nodo alla società, i politici avevano il polso di come andavano le cose, di che cosa c’era bisogno, erano parte di quel bisogno, lo vivevano in prima persona. Sotto elezioni non si facevano le costose, appariscenti campagne elettorali di oggi. Noi avevamo la Festa dell’Unità per finanziarci. Con 107 iscritti, nella mia sezione Antonio Gramsci di Montecchio Maggiore cominciavamo a Natale a organizzare per bene quelle due settimane di condivisione, festa e sostegno e sono orgoglioso del fatto che in soli 4 anni riuscimmo a finanziarci una sede tutta nostra, nella nuova piazza Carli. Ho avuto splendidi compagni, di partito e di viaggio, con cui si condividevano ideali ma anche principi, come il rispetto della pluralità. C’era partecipazione, sentimento. Alla morte di Berlinguer ho visto la gente piangere.
Quel mondo non c’è più. La democrazia liberale, non solo da noi, è in crisi. La destra-destra si è saldata con il capitalismo ipertecnologico, tutto ruota intorno ai soldi, mentre bisogna capire che le condizioni di partenza dovrebbero essere uguali per tutti».
Ma, come premesso, Rolando non è un nostalgico. Dopo tanta acqua, tante lotte e tante cariche politiche prestigiose sotto i ponti, a muoverlo è ancora la stessa passione, a nutrirlo la stessa capacità di emozionarsi, a renderlo a chi simpatico a chi scomodo la stessa determinazione. Lo scorso anno ha fatto notizia la sua decisione di abbandonare le cariche ufficiali (ndr, allora era consigliere comunale, dopo essere stato anche consigliere regionale), ma il suo non è stato affatto un addio.
Il vero politico non va mai davvero in pensione, l’attivismo continua, anzi insiste lontano dai riflettori. Al momento, a vederlo schierato, con l’arma invincibile della consapevolezza e con una cartuccera carica di perseveranza, sono due trincee in particolare: la campagna non solo ambientalista per la conclusione della Bretella dell’Albera e l’impegno per gli anziani.
Si dice che Vicenza non è città per giovani. Polemiche a parte, come stanno i non più giovani?
«Non bene, non come dovrebbero. Il 25% dei vicentini è over 65, dato destinato a salire per quella che io chiamo la glaciazione demografica. Sono stato presidente dell’Ipab e conosco la situazione delle case di riposo a Vicenza e nel Veneto. Ancora mi sto battendo perché si superino gli ostacoli legali e burocratici che hanno fin qui fermato il progetto di una nuova RSA da 120 posti letto in zona Laghetto. Proprio di recente ho portato la mia relazione in Commissione. Quanto ai finanziamenti, personalmente non li colloco alla voce impedimento. Sono sempre stato e resto del parere che i soldi, se si vuole, si trovano».
Dice, e fa, sul serio Rolando.
Ancora ragazzo, ancora in Piemonte frequentava l’oratorio, le Acli ecc. sotto la guida del giovane don Paolo. Questi aveva trovato, per ospitare le vacanze in montagna dei ragazzi, una baita in Alta Val di Susa, dalle parti di Bardonecchia, ma era da ristrutturare e mancavano i fondi. Gianni, quasi fosse una battuta, disse allora «Andiamo da Gianni!». L’altro Gianni, Agnelli. Detto, fatto. Nell’ufficio all’ultimo piano di corso Marconi 10, li accoglie Tota Maria, come era nota la segretaria personale dell’Avvocato.
Non fanno a tempo a perorare la causa, che sulla soglia si affaccia Agnelli in persona. «Cosa iè?», chiede. Quanto serve? I due prodi non lo sanno, non hanno fatto ancora una stima. «Maria, quel che serve, diamo». La Maison des Chamoix è ancora lì e serve ancora allo stesso scopo, per i ragazzi.
La famiglia Rolando ogni estate va a farle un saluto…
Non gli è andata altrettanto bene, ma l’importante è provarci, quando, molto più di recente, ha saputo dai giornali che la rockstar Madonna cercava casa in Veneto, meglio ancora a Vicenza, e pro-RSA si è fiondato all’Hotel Bauer di Venezia, dove alloggiava, per proporle di acquistare la settecentesca Villa Rubini, patrimonio dell’Ipab.
Non l’hanno nemmeno lasciato avvicinare…
Il nobile (d’animo) Rolando invece ha permesso a me di avvicinarlo. Non gli ho venduto nulla, anzi ho portato a casa molto, gratis. Tra cui il privilegio di chiamarlo, ormai, anch’io Gianni.