(Articolo su Massimo Parolin da VicenzaPiù Viva n. 302, sul web per gli abbonati)
Dopo i suoi primi due libri arriva il terzo a chiudere la trilogia tra Vicenza, Torino e Praga e i loro e suoi demoni.
È sempre un piacere incontrare Massimo Parolin, comandante della Polizia Locale di Vicenza ma, in questo caso, scrittore per passione che ha già dato alle stampe due romanzi brevi, Quella strada per il lago e Demoni a Vicenza, parte di una trilogia che parla di avventura, mistero ma soprattutto di amicizia.
Ma andiamo per ordine. Scrittore appassionato, dallo stile svelto e coinvolgente, abituato per la sua professione a parlare con gli altri, quanto si tratta di raccontare di sé mostra una sorta di divertito imbarazzo che non impedisce una conversazione vivace e ricca di spunti di riflessione.

La prima domanda, d’obbligo, è da dove nasce la passione per la scrittura.
«Scrivere per me è uno sfogo, un rifugio per allontanarmi dalla realtà quotidiana. Un momento solo per me dopo le giornate di lavoro. Non facendo attività sportiva (sorride), cercavo qualcosa che mi facesse evadere dalla quotidianità dandomi nello stesso tempo un impegno continuo e una gratificazione personale, e l’ho trovato nella scrittura. Quando scrivo mi rendo conto che sto già immaginando e vedendo quello che racconto, in un certo senso non devo “pensare”, è già tutto nei polpastrelli…».
Nel senso che scrivi direttamente al computer? Non usi la penna?
«No, uso la penna se mi viene un’idea e voglio appuntarmela, ma per scrivere uso il computer. È decisamente più comodo.»
E c’è sempre stata anche l’idea di pubblicare?
«In realtà ho cominciato a scrivere per regalare qualcosa a me stesso, per regalare qualcosa agli amici di sempre e per rendere omaggio ad un grande amore adolescenziale, un amore vero. Io che sono un romantico, legato più al passato che al futuro, ho voluto fare qualcosa per ricordare a me stesso e per rivivere quel sentimento, per tornare all’effervescenza – perché passione forse è un termine troppo forte – degli anni giovanili.»
Un amore vero, dunque, non frutto della fantasia? Che però nel libro finisce in modo drammatico…
«Sì, un amore vero, che ho anche ritrovato in età matura. Ma per rispondere alla tua domanda, nel libro doveva andare così perché nella storia deve aleggiare l’ideale romantico dell’amore, quello dell’adolescenza, che è totale, non ha mezze misure e che per di più in questo caso viene idealizzato proprio perché assente.»

A proposito di realtà che si sovrappone alla fantasia, anche gli amici di cui parli nei tuoi libri sono persone vere. Come hanno reagito nel vedersi protagonisti del tuo libro, pensando poi che soprattutto in Demoni a Vicenza si tratta di avventure belle toste?
«In realtà sono rimasti piacevolmente colpiti, tanto che ogni volta che c’è una presentazione sono sempre presenti. Si sono riconosciuti nelle connotazioni che ho dato a ciascuno di loro e sono contenti di essere personaggi attivi delle storie. E poi io ribadisco sempre il concetto dell’amicizia nel senso greco della φιλία, che è il sentimento più forte di tutti: l’amore può finire, l’amicizia invece è per sempre.»
Pure l’amico al quale succede di tutto l’ha presa bene?
«In effetti quando ha letto il libro mi ha chiesto “perché proprio a me?”, poi però ha compreso che la storia richiedeva il tipo di personaggio incarnato da lui. E comunque la storia ancora non è finita…»
A proposito, sappiamo che dopo i Demoni a Vicenza arriverà l’ultimo capitolo della trilogia. Dopo Torino e Praga, ci sarà ancora una città magica al centro dell’azione?
«No, stavolta torna ad esserci Vicenza al centro dell’attenzione, come punto di partenza per un ulteriore viaggio all’origine del male. Non voglio anticipare troppo, ma sarà una bella avventura. Del resto, il viaggio con gli amici, che torna in tutti e tre i miei libri, è un tema che mi intriga. Il mio autore di riferimento è sempre Stephen King. Nessun paragone, intendiamoci, lui è immenso, non mi sogno nemmeno di accostarmici. Però in quasi tutte le sue storie il cuore pulsante è l’amicizia e ricorre il tema del viaggio.»
Tornando ai tuoi libri, ho notato che, soprattutto nel secondo, si oltrepassa quasi subito il confine tra realtà e mistero e parli apertamente di viaggi nel tempo e figure maligne. Da dove arriva questa passione per horror e sci-fi?
«Sono sempre stato un amante del genere gotico e horror, sia come lettura sia al cinema. Negli anni Ottanta poi c’era un’ampia scelta letteraria e cinematografica del genere, non so se ricordi i vari Nightmare. Film in un certo senso semplici ma coinvolgenti, dove la storia conta più degli effetti speciali. Non è sempre necessaria la quantità, anche in letteratura. Penso a Poe, che con racconti brevissimi riusciva a creare brivido e suspense incredibili. O a quella serie tv di fine anni Cinquanta, The Twilight zone, in italiano Ai confini della realtà, episodi brevi che mettevano i brividi addosso. Ancora una volta la storia predominava sull’effetto speciale. Nel mio piccolo è quello che cerco di fare io quando scrivo.»

Parliamo di Praga, dov’è ambientata parte del secondo libro. Una città che conosci?
«Certo. Un’altra cosa che mi accomuna a King (ride) è ambientare le storie in luoghi che conosco. Praga ho avuto modo di visitarla più volte. Una città moderna e vivace, che pullula di umanità, ma che sa davvero regalare un’atmosfera particolare, oserei dire angosciante. Se si va a Palazzo Reale e si osserva la città dall’alto, si notano le guglie annerite dal tempo o dall’inquinamento o da entrambi, e una certa inquietudine la trasmette, ancora di più se pioviggina. Se poi si ha modo di documentarsi sulle leggende intorno alla città, al Ponte Carlo e alla Moldava, fiume citato persino da Dante nell’inferno, il senso del mistero si percepisce realmente.»
A proposito di Praga, la città è improvvisamente al centro dell’attenzione generale grazie anche al nuovo libro di Dan Brown “L’ultimo segreto”, la cui trama oltretutto ha anche qualche punto di contatto con i suoi Demoni…
«Non lo sapevo, me l’hanno fatto notare e la cosa mi incuriosisce. Il libro non l’ho ancora letto, perché in Italia è appena uscito, ma sono interessato e sicuramente lo leggerò. Ovviamente è una coincidenza, anzi, è “colpa” di Praga, una città che si presta ad essere teatro di storie in bilico tra scienza e mistero. Come l’ho avvertita io, anche Dan Brown deve aver colto l’atmosfera speciale della città. Ma le somiglianze finiscono qui, non sono certo uno scrittore dello spessore di Dan Brown».
Spessore anche in senso concreto: i libri di Dan Brown viaggiano sempre sulle 7-800 pagine, i tuoi stanno intorno alle 150…
«È una scelta, per raggiungere più facilmente il lettore. Credo sia più facile leggere un libro se hai la prospettiva di riuscire a finirlo in un paio di giorni. In un certo senso la mia trilogia poteva essere un unico libro da 600 pagine. Ma se il lettore dopo venti pagine non era convinto e lo metteva giù? Scomponendolo in tre parti, l’ho reso più leggibile. Almeno spero.»
Il primo libro ha un’appendice di racconti sui cosiddetti boomer, sulla Vicenza che era e che forse per certi versi è ancora ma in modo diverso. In realtà è la stessa Vicenza che fa da sfondo alle vicende dei romanzi, ma in chiave semplicemente amarcord. È un tipo di tematica che potrebbe tornare in opere successive?
«Non lo so, sicuramente non lo escludo. Quei racconti sono omaggi alla memoria, agli amici, alla città. Magari potrebbero essere lo spunto per altre storie ambientate negli anni Ottanta, piccole storie di amicizia. O forse d’amore… Ma intanto devo chiudere la trilogia dei demoni e preferisco concentrarmi su quella.”
Per quando sarà pronto il terzo libro?
“Penso per primavera 2026. E prometto che sarà l’ultimo, intendo chiudere la storia.” Sempre sincero il “comandante-scrittore”. Ma lo sarà anche questa volta visto che la penna o la tastiera è il suo demone.


