(Articolo di Virginia Reniero e Aristide Malnati con foto di Gabriele Ardemagni su Barcellona, da L’AltraVicenza allegato a Vicenza PiùViva n. 296, sul web per gli abbonati, acquistabile in edicola in versione cartacea).
Nella metropoli catalana sulle tracce di Gaudì, Picasso e di appassionanti romanzi noir.
Non solo movida! La capacità di affascinare di Barcellona, cosmopolita e modernissimo capoluogo della Catalogna, non è solo legata al passeggio e ai locali notturni del multietnico lungomare della Barceloneta: la sua forza magnetica è ben altro e affonda le proprie radici in un passato di grandeur che le ha dato lustro nei secoli.
Qui sono maturati giganti della letteratura e, soprattutto, dell’arte che si sono poi universalmente affermati. E le calli e i musei, grazie a monumenti partoriti da architetti geniali, riverberano ancora oggi della luce imperitura di simili giganti della parola e della forma. La scoperta della città catalana ci conduce a seguire le tracce dell’attività sublime di Antoni Gaudì (1852-1926), capace con i suoi giochi di luci, colori e forme di unire in costruzioni mozzafiato la sicurezza della tradizione e la forza dirompente dell’innovazione. È un po’ questa la sfida della sua “Sagrada Familia”, cattedrale ancora da ultimare che esalta la profonda religiosità cristiana (Gaudì fu fervente cattolico) con forme slanciate, con giochi di guglie in qualche modo simili a quelle del gotico nordico. Così come è palese riferimento allo stile tardo-medievale privo di fronzoli la monocromia della struttura esterna e l’interno essenziale, a recuperare quel senso maestoso di sacro che le cattedrali poco dopo l’anno mille incutevano e da cui Gaudì rimase palesemente suggestionato. Ma il mistero della “Sagrada Familia” risiede volutamente nel suo stato di incompiutezza senza fine: una sorte che condivide, per fare un esempio illustre, con il Duomo di Milano e con altre costruzioni religiose, che hanno attraversato i secoli mutando e aggiungendo componenti strutturali e dando una sensazione di caducità, di realtà in fieri, estensibile nell’intenzione degli architetti costruttori a una precisa filosofia antropologica.

Dall’aspetto asciutto della sua chiesa principale Gaudì si distacca e illumina la sua città con costruzioni (per lo più abitazioni private, commissionategli da ricche famiglie borghesi) più divertenti e avveniristiche: e si sbizzarrisce con forme e colori di rara potenza e dalla fantasia disneyana, con un risultato comunque sempre di grande armonia ed equilibrio. Visitiamo l’esempio più significativo e al tempo stesso più roboante. Varchiamo la soglia di quella casa Batllò che, al suo sorgere, consacrò definitivamente il genio del proprio costruttore. La storia della costruzione, la sua committenza e la sua successiva realizzazione, sono paradigmatiche di un mondo, che Gaudì, con fantasia ma anche con precisione ingegneristica, ha compreso e portato alla luce nel profondo. Nel 1904 Batlló, altolocato industriale del settore tessile, affidò al nostro l’incarico di rinnovare (lasciandogli libertà di creare a proprio piacimento) un modesto palazzo da poco acquistato sul Passeig de Sheher per pochi soldi (fiducioso nel valore di mercato di Gaudì l’astuto Batlò fiutava l’affare: contenuto investimento per una massima resa).

Già la zona era in forte rivalutazione: l’abitazione rifatta sorgeva nel quartiere modernista dell’Eixample, zona eletta dalla borghesia dell’epoca quale sede di spettacolari sperimentazioni edilizie. La costruzione originale era uno spazio molto stretto e allungato e dalla forma rettangolare, una sfida da vincere ricavando un palazzo da mille e una notte, un trionfo di forme e colori con materiali modernissimi, poco sfruttati in precedenza nell’edilizia, ad iniziare dal ferro (la Torre Eiffel è l’esempio più eclatante di questa tendenza). Il lavoro fu completato nel 1907 e modificò, anzi ribaltò l’aspetto originario (quasi un lifting edilizio, diremmo oggi), rivoluzionando la facciata principale, ampliando il cortile centrale ed elevando due piani inesistenti prima. Al piano terreno sorgevano le scuderie, destinate successivamente a magazzini, e l’androne comune. Il primo piano, il cosiddetto piano nobile, fu destinato ad abitazione e quindi pensato tenendo conto anche di aspetti pratici; gli altri quattro, invece, consentirono maggiormente di esaltare la creatività del realizzatore-demiurgo: furono ricavati otto appartamenti-gioiello, piccole perle anche audaci, con però un immancabile risvolto pratico: furono infatti pensati per essere affittati. Ancora abbacinati da tanta magnificenza, esuberante ma mai stucchevole, siamo desiderosi di accantonare per una mezza giornata l’eleganza dei palazzi del centro e di esplorare i più tranquilli spazi periferici, meta privilegiata di momenti romantici e quasi intimi per barcellonesi e forestieri. Ma lo facciamo senza abbandonare Gaudì.

La presenza, quasi irrinunciabile, del Maestro ci accompagna nell’esplorazione e nella “degustazione” di quella misticanza di prelibatezze raffinate che sono le magnificenze architettoniche dislocate sulle alture circostanti che, come preziosa collana di perle, valorizzano una città unica al mondo. Arriviamo così al Parc Guell, una meraviglia da paese delle favole, capace di calamitare chiunque sia sensibile alle bellezze, diremmo agli azzardi dell’estetica. Anche qui l’estroso (ma anche rigoroso) architetto agì su commissione, e non poteva essere altrimenti. Suo mecenate fu Eusebi Güell, ricco impresario locale di influente famiglia alto-borghese, a cui Barcellona stava stretta e che dunque cercava consacrazione internazionale. Uomo dal grande spessore culturale, versato nella letteratura, nelle arti, nelle lingue e nelle scienze, Guell intrattenne rapporto di amicizia e professionale con Gaudì fin dal 1878, affidandogli la costruzione di palazzi, padiglioni e persino di una cripta: una vera miniera d’oro per il nostro, non solo per ovvi guadagni ma anche per l’assoluta libertà concessa nello sperimentare nuove forme d’arte: Guell lo stimolò a riprodurre forme edilizie di grido che egli stesso aveva ammirato a Parigi e soprattutto a Londra durante un lungo soggiorno nella capitale inglese, aperta a fermenti di ogni tipo e sensibile, anche nell’arredo urbano, alle legittime rivendicazioni di decoro da parte delle classi subalterne (sulla scorta dei moti rivoluzionari socialisti che pian piano pervasero tutto il continente).

Furono colpiti, Guell e Gaudì, dall’idea di città-giardino di Ebenezer Howard, raffinato urbanista impegnato nel sociale. E fu così che i due, committente e progettista, decisero di unire le piacevolezze della vita in campagna con il comfort cittadino, da destinare all’alloggio di tutte le classi, agiate e proletarie. E il magnate mise a disposizione, in prossimità di un nudo pendio dietro Barcellona, la Muntanya Pelada, un suo antico casale, che ovviamente Gaudì plasmò come creta, ottenendo un capolavoro mondialmente riconosciuto. I lavori ebbero inizio nel novembre 1900 e procedettero con grande attenzione al dettaglio. Il risultato fu ingegnoso, anche se va detto che l’intento iniziale – la città giardino destinata a tutti i gruppi sociali – fallì. Delle sessanta case inizialmente previste ne furono costruite solo tre: in una di queste, tra l’altro, abitò per un certo periodo l’architetto stesso, prima del trasloco definitivo nel cantiere della Sagrada Família. Il parco risultò così l’unico elemento del piano iniziale e fu interamente realizzato così come concepito. Fin da subito costituì grande attrattiva: fu (ed è tuttora) palcoscenico di danze, eventi sportivi e culturali, gite domenicali e persino congressi, oggi gestito dal Comune, quale risorsa pubblica e turistica. Una fantasia incompiuta di forme e tinte vivaci, da cui dominiamo l’intera superficie della metropoli con una visuale a perdita d’occhio. Metropoli nel cui cuore ritorniamo, lasciando Gaudì, ma non trascurando arte e cultura. Il Museo Picasso, in pieno centro storico, ci fa conoscere gli inizi, a tratti difficoltosi, di un altro genio figlio (adottivo) di Barcellona, che qui si formò, prima di diventare protagonista assoluto dell’arte di tutti i tempi. L’ampia scelta di dipinti esposti nelle sale austere di un maestoso palazzo storico mostra l’adesione del giovane Pablo alle correnti naturalistiche e impressioniste che stavano segnando la pittura europea, rispettandone sì la sobrietà di forme, che esprimevano una natura equilibrata e distensiva, vista come soluzione alle brutture urbane, ma non accontentandosi di quella che per Picasso era ritenuta una soluzione utopica.

Già emergono, nei quadri del museo barcellonese, la ricerca di soluzioni alternative, di impegno sociale e morale, già è qua e là presente quella voluta disgregazione di forme, che sarà un pugno nello stomaco verso la tradizione perbenista e che porterà alla rivoluzione delle avanguardie, di cui Picasso fu cantore ineguagliabile. Altro simbolo della cultura di protesta lo incontriamo lungo il caleidoscopio delle Ramblas, coacervo di sperimentazioni artistiche e di mondi umani, anche oggi attivi, che sono il respiro di una città che mai si adagia sul successo, ma che sempre si interroga, anche in modo spietato. A metà della Rambla dels Caputxins, non lontano dal mercato di eccellenze alimentari della Boqueria, sorge il Gran Teatre del Liceu, il teatro più antico ancora attivo, oggi sede di continue sperimentazioni teatrali e sempre caposaldo mondiale della migliore tradizione lirica. E infine spazio alla letteratura, con una curiosità di cui pochi sono al corrente: Barcellona è il set principale di molti romanzi noir.

Giallisti, non solo spagnoli, hanno ambientato qui i loro racconti polizieschi, calando una trama spesso intricata nel cuore pulsante della capitale catalana, ad iniziare da Manuel Vàzquez Montalbàn fino a Carlos Zanon e Andreu Martin per citare i più noti: “Questo perché Barcellona è un groviglio di storie e di mondi umani differenti tra loro, che possono entrare in conflitto e che si prestano a dare vita a situazioni, anche di tensione, che sono lo sfondo ideale per noir anche cruenti. La città è anzitutto una città portuale, con un melting pot di etnie che genera spiccata vivacità: è in questo sottobosco che si possono fare agire tipi loschi e biechi su cui poi si innerva la trama del giallo”. Spiega Sergio Nava, giornalista, profondo conoscitore di Barcellona e a sua volta autore di “Doppia morale” (Leone Editore), un giallo mozzafiato ambientato oltre che a Barcellona, anche a Marsiglia e Napoli, altre due città portuali. “Una tradizione, quella del noir, che a Barcellona è celebrata da un appuntamento annuale imperdibile per gli amanti del genere: il Festival BCNegra che è una rassegna completa sulla narrativa poliziesca e che è arrivato alla ventesima edizione”, conclude Nava.