(Articolo su Vacamora da VicenzaPiù Viva n. 294, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Durante le sue passeggiate sui Colli Berici a Paolo Giacobbo piace soffermarsi ad ammirare la città dall’alto. Lo faceva anche quando era bambino, negli anni cinquanta, osservando una Vicenza non ancora del tutto guarita dalle ferite della guerra, una città che andava ancora orgogliosa delle fabbriche insediate ai bordi delle sue antiche mura, attraversata dalla ragnatela di binari dei raccordi industriali e delle Ferrovie e Tranvie Vicentine…
Da allora il centro città non più invaso dal traffico si è fatto più bello, le fabbriche sono scomparse dalla zona centrale, il traffico delle Tranvie Vicentine si è riversato sulle strade, mentre un piano regolatore ben congegnato ha permesso a grandi palazzi di invadere quelli che all’epoca erano quartieri residenziali e di prendere il posto delle fabbriche.
Per fortuna dall’alto non è possibile vedere le buche delle strade o notare certi traffici che affliggono i nostri parchi cittadini…
Quando poi il suo sguardo si sposta ad ovest, verso Sant’Agostino, i cambiamenti rendono la zona quasi irriconoscibile.
La costruzione dell’autostrada e gli insediamenti industriali hanno completamente sconvolto la campagna un tempo solcata da fossi, canali e canaletti, modificando profondamente quella valle in cui la pianura vicentina penetra tra le prime propaggini dei Colli Berici.
Abbiamo attraversato un’era in cui ogni nuova striscia d’asfalto era un simbolo di modernità, ogni nuova costruzione un segno di benessere e non interessava a nessuno che Sant’Agostino fosse deturpato rendendolo un’informe landa periferica. L’immagine del paesaggio di un tempo è per lui legata al ricordo del nonno paterno Vittorio che lo portava a pesca con lui su quelle acque allora limpide e piene di pesce.
Egli conosceva ogni canale o canaletto e, con la sua barca a fondo piatto, sapeva dove trovare il pescetto per la frittura, i lucci, le tinche, dove snidare le anguille….
Inoltre Vittorio, mitico macchinista dell’altrettanto mitica “Vacamora”, lo portava sulla passerella dei Ferrovieri per guardare le potenti locomotive a vapore che trainavano pesanti treni merci o veloci treni espressi sulla linea Milano-Venezia non ancora elettrificata.
Nonno Vittorio gli ha trasmesso la passione per il lavoro e per quelle che oggi egli considera le più belle macchine mai costruite dall’uomo, macchine vive, calde, che respirano, ansimano, slittano sulle rotaie…
Tutto questo ha fatto nascere in Paolo l’idea di scrivere la storia di Vittorio, di ricordare la sua grande passione per il lavoro e per la famiglia. Anche Oreste, il nonno materno, un uomo dalla vita movimentata, era una persona di carattere cui era molto affezionato.
Le sue origini asburgiche, le sue avventure belliche, la sua passione per Dante Alighieri e per la letteratura in generale, i suoi studi sui cementi armati, facevano di lui un uomo intellettualmente vivo, dai molteplici interessi, che non esitò ad iniziarlo alla scienza delle costruzioni e gli fece leggere libri e testi che i genitori o il parroco non avrebbero mai messo nelle sue mani.
Da qui è nato il racconto “Oreste e Vittorio“, la storia vera di due uomini di estrazione e origini assai diverse, protagonisti durante la prima guerra mondiale di un episodio che segnerà per sempre la loro vita. Le loro vicende si intrecciano con la storia dell’Europa, ma soprattutto con quella di Vicenza, dagli anni dieci agli anni quaranta del secolo scorso, un’epoca turbolenta in cui l’umile coraggio e i valori umani di due sconosciuti riescono a far fronte all’orrore di due guerre e a un periodo storico in cui tutto sembra calpestato e distrutto.