Il viandante è appena entrato nel bosco abbandonando la strada dei Berici dopo Perarolo. Conosce bene la deviazione che lo condurrà alla meta, ma gli piace fermarsi davanti al grande cippo viario in pietra e leggere le indicazioni incise per Sant’Agostino, Vicenza, Perarolo, San Gottardo.
La stradina è sterrata in ripida discesa. Quando spiana, il bosco si apre sulla valle delle Casare. Nel vicino orizzonte a oriente si disegnano contro il cielo la cupola e il campanile della Basilica di Monte Berico, sulla sinistra Valmarana segna la collina col campanile dell’antica chiesa di San Biagio.
La ragazza col berretto rosso, che accompagna il viandante, correndo è già davanti all’oratorio. Al mattino di buon’ora, erano entrati nella cappella del convento di clausura delle Carmelitane a Monte Berico. Di là della grata protetta da una tenda verde si alzò il canto della Salve Regina. Pareva che le suo- re donassero un augurio per il cammino li aspettava. Prima dell’oratorio si scorgono i cipressi e le acacie che incalzano il pendio ai lati della strada. Sull’arco dell’ingresso è scritto SALVE REGINA, nell’inferriata che chiude l’ogiva, sopra la porta di ferro, è ritagliato un cuore. “Sacello della Beata Maria Vergine Addolorata”: così lo chiama Papa Pio X in una sua lettera spedita da Roma il 30 luglio 1904 per la concessione di indulgenze.
E’ la chiesa più vicina al cielo sul territorio di Altavilla, solo il nucleo centrale, quello originario, poi le estensioni successive ricadono anche nel territorio del Comune di Arcugnano. Mi hanno raccontato che il cippo di confine tra i due Comuni sia proprio sotto l’altare. I Papi scrivono in latino. Sacellum: recinto all’aperto con un’area consacrata si legge nel vocabolario. Qui la sacralità la percepisci anche attorno, come se il bosco fosse una cattedrale vivente e prende anche un senso di serenità nell’essere lì, immobile e non parlare, non dire niente a chi ti sta vicino, neanche che sei felice. Luogo di grande riconciliazione spirituale con il cielo. Così pensava il viandante mentre lo sguardo scendeva dalle cime dei cipressi e si calava dall’azzurro del cielo al rosso dei coppi che coprono il tetto dell’ottagono originario. Già ci si accorge di come la chiesetta si inserisca nel paesaggio a somiglianza di chiaro elemento geometrico e diventi oggetto di contemplazione. Non ha nulla o quasi delle apparenze della natura, ma con questa entra in armonia senza quindi insidiarla o contrastarla. Prima che il sacello fosse costruito, un segnale religioso distingueva questo luogo: era un’immagine della Madonna affissa a una quercia. Il bosco diventava tempio senza confini. La prima segnalazione rintracciata della costruzione risale al 1893 in un verbale dell’Amministrazione Catastale per la delimitazione delle proprietà nel comune censuraio di Valmarana dove si legge: “Questo giorno 25 ottobre 1893 … onde determinare in modo certo e stabile i confini del fondo denominato Salve Regina posseduto da Bianchini Giuseppe fu Vincenzo, posto nella frazione suddetta, sono stati invitati oltre al possessore del fondo anche i possessori finitimi. Percorrendo le fronti di detta possidenza si è trovato che: A levante confina con Bianchini Giuseppe e che il confine è costituito da una linea retta individuata da un termine comunale e da un muro compreso dalla chiesetta di Salve Regina. Detta chiesa segna il confine fra il Comune di Arcugnano ed il Comune di Valmarana. A mezzogiorno e ponente confina con la strada vicinale detta di Malpasso e il confine è costituito da una linea curva.
individuata dallo spigolo della chiesetta di Salve Regina e da un picchetto provvisorio. A settentrione confina con Caneva Antonio e il confine è costituito da linea spezzata in tre tratti determinata da due picchetti uno già descritto da una croce in sasso e da un termine comunale pure descritto.” I lavori di costruzione del sacello terminarono nel 1903, dopo essersi protratti per anni sotto la cura di padre Giovanni Maria Bianchini dei Servi di Maria. Chissà cosa pensavano i boscaioli nel veder sorgere quegli archi gotici uniti nella forma dell’ottagono. Nel 1904 il sacello era benedetto e l’otto del mese di maggio vi si celebrava la prima messa. Cinque anni dopo, un altro ottagono, più ampio, coronava il primo completando la costruzione.
E’ inaugurato solennemente solo il 12 settembre del 1910. Costruttore e forse progettista fu nonno Ettore che allora aveva ventinove anni. L’ottagono è simbolo della resurrezione ed evocatore della vita eterna. Le antiche fonti battesimali sono ottagonali o si innalzano su otto pilastri. L’otto è il numero dell’equilibrio cosmico e delle direzioni dei punti cardinali unite alle direzioni intermedie. Sul pinnacolo in pietra, al centro del tetto di coppi rossi, il viandante osserva una croce di ferro a quattro braccia. E` orientata secondo i punti cardinali.
Coincidenze? Continua a pensare che anche i raggi delle antiche ruote di legno erano, di solito, otto e che l’otto è legato alla Ruota e all’Ottuplice Sentiero buddista, ai petali del fiore di loto. Da un fiore ad otto petali escono le piccole croci di ferro, sempre a quattro braccia orientate, che concludono le due torrette sul tetto basso in pietra tenera finemente disegnata e bugnata, sormontate da una cupola vagamente orientale. Sulla cupola un fiore in pietra a otto petali si apre a contenere le croci. Sotto le croci le banderuole segnavento, bloccate dalla ruggine in direzioni di venti antichi. L’ottagono e il numero otto, si rincorrono continuamente, non come qualcosa di disperso, ma come un non numerabile mirato a costruire un’unica identità. Il viandante si rende conto che se continua a pensare entrerà in acque molto agitate.
Allora cerca una spiaggia cui approdare. Gira attorno alla chiesetta per scoprire a nord la facciata del romitaggio di fra Giovanni Maria con le finestre a bifora sovrapposta. Sopra la bifora superiore pende una campanella. Chissà quando suona, chissà come sarà questo suono libero sulla valle aperta e come voleranno via gli uccelli del bosco. Gli uccelli! Negli anni in cui celebrava padre Pietro Maria Contessa dei Servi di Maria, vi fu una domenica di primavera che la santa messa si celebrò con le porte spalancate. C’era nell’aria un profumo mai dimenticato e gli uccelli non smisero di accompagnare la celebrazione con i loro canti. Ad un certo momento il frate chiese a tutti, anche a se stesso, di stare in silenzio, di lasciar entrare nel sacello quel canto perché ci fosse solo quel suono negli ottagoni consacrati. La Beata Vergine sull’altare non pareva più Addolorata. Erano gli “uccelli dell’aria” di suo Figlio. Il romitaggio è impostato su due piani.
La porta d’ingresso verso mattina è ad arco gotico come la finestra che la sovrasta, quattro aperture a ogiva si aprono sulla parete verso il tramonto. Il viandante sorride vedendo ai lati delle porte i ‘feri par netàre le scarpe dal paltàn’. Pensa ai villici che arrivavano traversando i prati o per sentieri e mulattiere, le scarpe già pesanti, più pesanti ancora per il fango. Li vede fermarsi davanti a quel ‘fero’ poi entrare con tutta la loro fede addosso per recitare la Via Matris Dolorosae: Simeone davanti al gran Tempio, l’Angelo che invita Giuseppe a fuggire, Gesù che si smarrisce nel tempio, l’incontro sulla strada del Calvario, Gesù che muore, il Figlio deposto, il Figlio nel sepolcro. E la giovane madre sempre lì con il suo presente affanno e il suo dolore.
Il viandante non crede che la giovane Myriam abbia pianto, perché se le sue lacrime avessero profumato la terra, adesso il mondo sarebbe diverso. La statua della Madonna Addolorata ha conosciuto la strada per Ortisei quando nel 1955 vi fu portata per ricavarne una copia che sarebbe stata collocata nel santuario dei Servi di Maria di San Carlo a Milano. La nuova statua riesce male e così i Padri di Milano si trattengono l’originale che fanno benedire dall’Arcivescovo Giovanni Battista Montini il 7 dicembre 1955. Intanto il Priore di Monte Berico si vede ritornare la copia mal riuscita della Beata Vergine. Recita un paio di giaculatorie non previste dal breviario e rispedisce la statua a Milano. Il religioso trafugamento non dura molto. Il 22 aprile dell’anno dopo una folla acclamante assiste al solenne trasporto dell’originale nella chiesetta della Salve Regina.
Il parroco di Valmarana era allora don Mario Frangipane. Questo cognome dolcissimo insidia da sempre l’anima del viandante. Gli ricorda i viandanti del Vangelo nella casa di campagna di Emmaus, la cena, lo spezzare del pane, il riconoscimento. Adesso la statua è sull’altare, con le mani giunte, col capo rivolto verso il basso, verso di noi, gli occhi chiusi, una corona di stelle sul capo, il Figlio nel tabernacolo ai suoi piedi. Ai lati i sette Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria. Padre Pietro Maria Contessa e don Mario Frangipane non ci sono più. Anche tanti altri sono partiti per quell’altrove che ci aspetta. Di loro due il viandante non ricorda le parole, ricorda solo la figura sacerdotale. Ma un altro Servo di Maria insegue il viandante, in questi tempi, con le sue parole: Padre Ermes Maria Ronchi. Lui racconta che è necessario molto silenzio per ascoltare lo stupefatto silenzio di Dio. Insegna che Dio non lo trovi negli abbagli delle grandi visioni, nello splendore di un grande tempio, ma nella vita che è un’anfora di ombre. Nel buio di un grembo sta la luce
della vita. Racconta ancora di Maria e di tutte le madri che attendono non per una mancanza o per un’assenza da colmare, ma per una pienezza, per una sovrabbondanza di vita, per generare. Poi ci chiede di partire in pellegrinaggio verso il luogo del cuore, per decifrare le radici delle nostre azioni. Ci guarda negli occhi e ci dice che non siamo fragili o poveri, quanto piuttosto creature incompiute in cammino verso forme più alte.
Il muro della chiesa è caldo nel sole di mezzogiorno. Qualcuno ha piantato rami fioriti nei due vasi al lato della porta. Il viandante si siede. La ragazza col berretto rosso che lo accompagna si è allontanata nei prati di sotto. Nel silenzio intatto basta un leggero richiamo. La ragazza si gira, fa un cenno alzando il berretto. Sarà qui subito. Intanto il viandante recita sottovoce una Salve Regina.
Di Giorgio Costantino Rigotto da Storie Vicentine n. 3 Luglio-Agosto 2021