C’era una volta, tanto tempo fa, in un luogo di fiaba che si chiamava Vicenza, un piccolo e grazioso ristorante, seminascosto tra palazzi antichi di lusso in Contrà Porti. Il Tre Visi – così era conosciuto – aveva un volto curato ed elegante e lo frequentavano tante facce di cittadini più o meno illustri.
E in genere facoltosi. Perché va detto che negli anni migliori il Tre Visi non era alla portata di tutte le tasche. Di sicuro almeno non le mie all’epoca in cui ero ragazzino. Poi, quando nel portafoglio aveva cominciato a germogliare qualche banconota, ecco che intanto se ne era andato lui.
Un vecchio amico di famiglia, bazzicatore seriale del locale, mi raccontava che in più d’una occasione gli era capitato di incontrarvi Mariano Rumor, che nella discrezione di un ambiente raccolto cenava spesso anche da solo, così come da solo poi se ne usciva per attraversare una città vuota di vita ma potenzialmente più pericolosa di adesso.
Erano infatti anni complicati per la Repubblica, e a maggior ragione i rischi avrebbero potuto celarsi in ogni anfratto di quelle notti deserte per un professore che si alternava tra la carica di ministro e l’altra da presidente del consiglio. La scorta non faceva per lui, o almeno così era abitudine quando si trovava nella sua Vicenza, dove si ritagliava acconti di libertà non vigilata lontano dai clamori romani.
Durante le proprie indimenticabili stagioni di biancorosso vestite, pare fosse di casa al Tre Visi anche Paolo Rossi, altro riconosciuto campione di riservatezza. Molto più modestamente, una manciata di volte ero riuscito ad affacciarmi pure io – ormai una ventina di primavere orsono – nella piccola sala della trattoria.
Ma scorrevano già quasi i titoli di coda: il baccalà continuava ad avere il sapore che in tanti mi avevano decantato, però l’aria da fine impero che ormai lì dentro si respirava non prometteva bene. La storia per fortuna o purtroppo ha sempre ragione, per cui anch’io me ne sarei fatto una ragione quella domenica (parecchi anni fa) in cui, transitando in Contrà Porti, avrei trovato l’uscio del locale chiuso per sempre e non soltanto per il rituale turno di riposo.
Evidentemente non porta bene aprire attività su quella strada, come immagino avranno pensato i liquidatori dell’allora confinante Banca Popolare. Anche lì ad occhio si mangiava parecchio, e il conto alla fine per troppi onesti vicentini è stato ingiustamente salato. Ma questa è altra faccenda.
Ho avuto un sussulto nello scoprire come – araba fenice in salsa nostrana – il locale fosse ad un certo punto ricomparso. O, meglio, avesse provato a nascere un nuovo e diverso ristorante, non più nella vecchia sede ma nell’ancor più centrale Corso Palladio. Non nascondo, per me orgoglioso oscurantista, la mezza sorpresa (anzi, i tre quarti di sorpresa) nell’apprendere in quei lontani giorni che all’anagrafe la resuscitata bottega del gusto era registrata quale “Antica trattoria Tre Visi di Lan Ping”.
A scanso di fraintesi, sono sempre stato per la democrazia, compresa quella alimentare, perché credo che ciascuno abbia diritto di gioire o soffrire a tavola come meglio creda. Peraltro avevo pure sentito parlar bene di quel redivivo luogo conviviale, cui prima o poi avrei voluto far visita perché si narrava che le specialità vicentine (sì, proprio vicentine!) fossero preparate e servite con assoluta cura. Oltretutto mi sovveniva, per una curiosa e rivisitata legge del contrappasso, di aver mangiato la mozzarella di bufala più buona della mia vita proprio a Shanghai, per la precisione al ristorante Da Marco, un campano intraprendente tra i primi a capire che la Cina poteva anche diventare un’opportunità.
Dunque perché stupirmi del Tre Visi new style? Non dovevo. Cioè, non avrei dovuto. Il fatto è che mi faceva un effetto strano l’immagine degli abbinamenti che istintivamente mi sfilavano davanti: il Mediterraneo e l’Oceano, l’Oriente e l’Occidente. Ma pure il dragone e il gatto, lo spaghetto di soia e il baccalà. Com’è vicina sulla carta geografica ma lontana dalla nostra cultura la Venezia serenissima che con la terra dei soli levanti aveva dimestichezza ed era riuscita a combinarci affari per secoli. La storia, insisto, ha sempre ragione. E il tempo non passa. Lui è lì, fermo. Dall’eternità. Siamo noi che lo attraversiamo senza esagerata consapevolezza e perciò talora non lo capiamo.
Così succede che ci scopriamo regolarmente in ritardo rispetto ad una realtà che sa essere spesso più avanti. Avrei avuto voglia domani a pranzo di prenotare proprio da Lan Ping. Ma pure lui è da diversi anni passato, gastronomicamente parlando, a miglior (forse) vita. Ha serrato i battenti e ormai buttato via la chiave, visto che al civico 25 del Corso resiste in un cortile interno solo un’insegna consunta su una facciata di costruzione dimessa.
Sento che sarò controvoglia dirottato al McDonald’s, dove alla fine riuscirà a sequestrarmi per un paio d’ore il mio ragazzo più piccolo. Che ho la netta impressione nutra al momento più simpatia per l’America.
Di Davide Sacco da Storie Vicentine n. 2 Aprile maggio 2021