(Articolo di Eleonora Boin su giornata internazionale da VicenzaPiù Viva n. 301, sul web per gli abbonati).
Dalla giornata contro la violenza sulle donne al World Emoji Day: il calendario infinito delle 140 giornate internazionali per non parlare di quelle meno griffate.
Un calendario che non finisce mai
Se ogni giorno vi svegliate pensando che ci sia “qualcosa da celebrare” non state andando troppo lontano dalla realtà: non è solo un’impressione, è statistica. Infatti, solo le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente circa 140 giornate internazionali. A queste si aggiungono quelle istituite da singoli Paesi, organizzazioni non governative, associazioni, brand in cerca di visibilità e community digitali, che fanno salire il conteggio a oltre 200 ricorrenze ogni anno. In pratica, quasi una al giorno.
C’è stato un tempo in cui il calendario civile era punteggiato solo da poche date solenni: la memoria di eventi tragici, i diritti universali, la lotta a malattie che minacciano milioni di persone o la celebrazione di specifiche categorie di persone. Oggi invece la lista è diventata un catalogo infinito, dove alla Festa della Donna si affianca la Giornata mondiale delle emoji, e alla lotta alla fame nel mondo la Giornata internazionale del pirata.

Come nascono queste giornate
In origine, le giornate internazionali avevano degli scopi precisi, come ad esempio fissare particolari eventi nella memoria collettiva o sensibilizzare governi e cittadini su questioni di rilevanza mondiale. Per citarne alcune, il 27 gennaio ricorda la liberazione di Auschwitz, il 5 giugno richiama l’urgenza di proteggere l’ambiente e l’8 marzo rivendica i diritti delle donne. Con il tempo però, il meccanismo si è esteso. Le ONG hanno iniziato a creare le proprie giornate per dare visibilità alle cause, le aziende hanno fiutato l’occasione di marketing (d’altronde se esiste la giornata mondiale della pizza, perché non dovrebbe esistere quella delle ciambelle?) e i social hanno amplificato tutto con hashtag virali.
Dall’Olocausto alle emoji
Il problema non è tanto la singola ricorrenza, quanto la loro convivenza forzata nello stesso calendario. Da una parte ci sono date dal peso simbolico enorme: il 27 gennaio (Giornata della Memoria), la Giornata mondiale della conservazione della natura (28 luglio), il 20 giugno (giornata internazionale del migrante e del rifugiato), il 25 novembre (per l’eliminazione della violenza contro le donne) sono solo alcune delle tante.
Dall’altra parte troviamo giornate che sembrano nate da una serata tra amici in taverna, veri e propri scherzi, per altro anche divertenti. Tra queste troviamo il World Emoji Day (17 luglio), che celebra le faccine delle chat sui social media, il Talk Like a Pirate Day (19 settembre), che invita tutti a parlare come corsari, il World Backup Day (31 marzo), per ricordare che salvare i file non è noioso ma “eroico” e la Giornata mondiale degli UFO (celebrata da alcuni il 24 giugno, da altri il 2 luglio: nemmeno i nerd si mettono d’accordo).

L’inflazione simbolica
La moltiplicazione compulsiva di ricorrenze genera un effetto paradossale: più giornate ci sono, meno valore hanno, in una sorta di inflazione del simbolismo. Ad esempio, nel solo mese di marzo troviamo la giornata mondiale della fauna selvatica (3 marzo), la giornata internazionale della donna (8 marzo), la giornata internazionale di azione per i fiumi (14 marzo), la giornata internazionale dei diritti dei consumatori (15 marzo), la giornata mondiale del passero (20 marzo), la giornata mondiale del legno, quella della semina, quella delle foreste e quella dell’acqua (tutte celebrate il 21 marzo). Tutte nobili cause e grande solidarietà ai passeri, ma quante persone sanno effettivamente della loro esistenza? Forse, se tutto diventa speciale, alla fine nulla lo è più.
Marketing travestito da sensibilizzazione
Molte giornate non sono nate nelle sale dell’ONU, ma negli uffici marketing. Alcune aziende hanno lanciato la propria ricorrenza per promuovere prodotti o settori. In America esistono giornate dedicate al gelato, alle ciambelle o ai toast con burro d’arachidi e marmellata. Per l’Italia abbiamo la giornata della grappa (5 marzo) e quella della pizza (17 gennaio).
Altre giornate internazionali, al di là del marketing e dell’impegno civico, rasentano la parodia. C’è la giornata internazionale del colore (di tutti i colori), la giornata mondiale dello smalto per unghie, il World Pumpkin Day dedicato alle zucche o la giornata internazionale del cane in ufficio (26 giugno). Provate a prendere Google e scrivere “giornata internazionale” seguito dalla cosa più strana che vi viene in mente: scoprirete che se non esiste la giornata internazionale dell’autobus, c’è comunque quella del trasporto sostenibile.
Ma come funziona l’approvazione dell’ONU?
C’è anche un aspetto pratico che spesso sfugge: ogni giornata ONU comporta un impegno formale, poiché sono le stesse Nazioni Unite che sostengono e coordinano la promozione dell’evento con le loro infrastrutture. Dietro le quinte del grande circo delle ricorrenze c’è un processo tutt’altro che improvvisato: è l’Assemblea Generale dell’ONU a stabilire ufficialmente le giornate internazionali. Non basta che qualcuno si svegli una mattina e decida che il 14 marzo è il giorno del Pi greco: serve una proposta di uno Stato membro, una discussione e infine il consenso. Ogni data viene giustificata con una risoluzione
che richiama i grandi pilastri dell’ONU: pace, diritti umani, sviluppo sostenibile e diritto internazionale.
L’ONU si occupa anche di monitorare l’impegno di queste iniziative. In particolare, sul suo sito è riportato come esempio l’importanza della Giornata internazionale per porre fine alla fistola ostetrica, poiché “nonostante circa due milioni di donne nei Paesi in via di sviluppo convivano con questa malattia e ogni anno si verifichino tra i 50.000 e i 100.000 nuovi casi, molte persone probabilmente non ne hanno mai sentito parlare. Questo è un ottimo esempio dell’importantissima funzione del lavoro di sensibilizzazione che svolgono le giornate internazionali”.

È tutto da buttare?
Alla fine, se da un lato è vero che ci sono delle giornate internazionali assurde, è anche vero che queste non sono quelle riconosciute dalle Nazioni Unite, ma solo quelle istituite da gruppi privati. E poi, nel mare magnum di date bizzarre e campagne più o meno creative, resta una verità: le giornate internazionali, quando ben usate, funzionano. Non a caso le pagine più visitate del sito delle Nazioni Unite sono proprio quelle dedicate alle osservanze internazionali.
Non solo: queste giornate diventano anche termometri dell’interesse globale. A seconda di quanto e come vengono celebrate in diverse regioni del mondo, mostrano dove un problema è sentito e dove invece resta invisibile. Sempre secondo il sito dell’ONU, ad esempio, la Giornata dei Diritti Umani del 10 dicembre incide davvero nel mondo: in Sudan del Sud militari e poliziotti scambiano pistole con scarpe da ginnastica, in Russia è stata
organizzata una competizione per studenti mentre in Brasile una mostra.
Forse allora la soluzione non è eliminare le giornate internazionali, ma saperle distinguere. Ridere della Giornata dello smalto per unghie è legittimo, ma dimenticare quella sulla pace
sarebbe imperdonabile. Il calendario, insomma, non va buttato: va riletto con occhio critico, per separare le cause fondamentali dalle trovate di colore.
Perché in fondo, anche in mezzo all’inflazione di ricorrenze, quelle che contano davvero continuano a parlarci con forza. E poi diciamocelo, chi non vorrebbe portare il proprio cane in ufficio?


