venerdì, Aprile 18, 2025

Operetta che passione: grande successo per le due rappresentazioni vicentine di febbraio e marzo

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Operetta a Vicenza, garanzia di successo: il teatro Comunale di Vicenza propone stagioni di spettacoli sempre decisamente interessanti, sia nella prosa, sia nella danza, sia nella musica, e ogni anno mette in calendario almeno un paio di operette che regolarmente riempiono tutti e novecento i posti della Sala Maggiore. Lo posso confermare perché anch’io sono tra quei novecento spettatori che affollano il teatro.

Perché l’operetta a Vicenza (ma credo sia così in tutta Italia) piace così tanto? Bè, c’è da dire che chi la va a vedere normalmente non è proprio giovanissimo, e l’opera lirica è stata la prima forma di intrattenimento popolare. Certo, a teatro nei palchi andavano le famiglie abbienti, quelle con prestigio da ostentare, ma a riempire il resto dei posti c’erano le persone normali. E la passione ha attraversato almeno un paio di generazioni.

E se l’opera lirica era l’equivalente di un film drammatico, l’operetta è a buon diritto la controparte teatrale dei film musicali. Più spensierata della “sorella maggiore”, con più parti recitate e con sequenze danzate di una certa consistenza, richiede comunque ottime voci, brillantezza e una capacità di cambiare registro, passando dal dramma alla commedia e viceversa, non scontata. L’operetta è in un certo senso l’antenata del musical, e forse in Italia faremmo bene a continuare a proporla, perché riempie sempre i teatri e, nel novanta per cento dei casi, i testi o sono nati in italiano o sono adattamenti talmente consolidati da non suonare forzati come capita a volte nelle versioni italiane dei Musical di Broadway.

In più l’Operetta a Vicenza è programmata di domenica pomeriggio. Scelta perfetta. Intanto pensando all’età media del pubblico, dato che una persona non giovanissima fa fatica ad uscire dopo le otto di sera, anche in considerazione del fatto che sono spettacoli che raramente durano meno di due ore e mezza. Poi perché andando a teatro di pomeriggio poi si può finire la serata cenando fuori senza fare troppo tardi. E poi perché si combatte la malinconia da sera del dì di festa.

Quest’anno i titoli proposti dal Comunale sono stati due: Ballo al Savoy e La Principessa della Czarda. Entrambi portati in scena dalla Compagnia Teatro Musica Novecento (come i posti del teatro… forse un segno di buon auspicio?), trentennale Compagnia di Reggio Emilia che in tema di operette è tra le migliori d’Italia.

operetta a vicenza
L’ensemble nel finale di Ballo al Savoy

La prima, in scena a febbraio, è stata Ballo al Savoy, su musica di Paul Abraham e libretto di Alfred Grünwald e Fritz Löhner-Beda. La trama, ambientata nel lussuoso albergo Savoy dove sta per avere luogo un gran ballo, racconta le peripezie di Aristide (interpretato da Antonio Colamorea) un ex rubacuori, che per via di uno strano testamento dovrebbe tradire la moglie Maddalena (Renata Campanella) per non perdere una cospicua eredità e che si trova a interagire con una soubrette di varietà, Daisy Darlington (Silvia Felisetti) che è anche – in incognito – l’autrice delle musiche più in voga del momento. A reggere le fila dei vari sotterfugi ed equivoci – con amici e servitori più o meno premurosi che cercano di risolvere la situazione (interpretati da Fulvio Massa, Marco Falsetti e Alessandro Garuti)  – è il pittoresco Mustafà, ospite del Savoy con tutto il suo seguito di mogli, interpretato dal capo comico e regista dello spettacolo Alessandro Brachetti. La trama non è particolarmente profonda e il lieto fine si vede all’orizzonte sin dalla prima battuta, ma l’operetta è così, e siamo grati agli autori di non aver cambiato il copione per adattarlo alla mentalità odierna. Anche perché non ce n’è bisogno, ci sarà forse qualche battuta che oggi definiamo sessista, ma nel Ballo al Savoy emergono ben due figure femminili all’avanguardia, la moglie dell’ex rubacuori, innamorata e dolce ma anche ben decisa a far valere i suoi diritti di legittima consorte, e la soubrette Daisy Darlington, che sa comporre musica e per far sì che i suoi lavori vengano accettati dai produttori e dal pubblico finge di essere un uomo. Lo spettacolo scivola via veloce, coinvolgente e divertente, tanto che quando cala il sipario, sembra quasi impossibile che siano passate oltre due ore.

operetta
Renata Campanella e Antonio Colamorea nella principessa della Czarda

Anche la principessa della Czarda, musica di Emmerik Kalman e libretto di Leo Stein e Bèla Jenbak, andata in scena a fine marzo, è un titolo celebre per gli appassionati. Anche qui la trama, esile ma articolata quanto basta per catturare l’attenzione del pubblico, è il pretesto per gag divertenti, cori, duetti e assoli trascinanti e piacevoli numeri d’ensemble di danza e canto. La storia parla ancora una volta di sono amori contrastati, e stavolta il problema è la differenza di ceto. Il giovane principe Edvino (ancora il bravo Colamorea) è innamorato di Sylvia Varescu, la principessa del titolo, che però realtà è principessa solo di nome… d’arte, in quanto è una bravissima artista ma senza sangue blu (le dà volto e voce, splendida, ancora Renata Campanella). Un amore impossibile dunque, perché Edvino è di discendenza nobile di un casato dal nome impronunciabile pure per coloro che vi appartengono. Con le intrusioni del conte Boni (Brachetti) e della contessina Stasi (la brillante Felisetti), unica a saper pronunciare correttamente il nome del casato di Edvino, e le trovate del Marchese Feri, del generale Rushdorf e del Principe Leopoldo (Fulvio Massa, Francesco Mei e Marco Falsetti) anche qui l’amore trionferà, non senza sotterfugi, finzioni, anelli inghiottiti per sbaglio e tanto divertimento.

La compagnia Novecento sa il fatto suo, l’orchestra dal vivo Cantieri d’Arte diretta dal maestro Stefano Giaroli è un valore aggiunto (dipendesse da me, renderei obbligatorio suonare dal vivo in tutti gli spettacoli dove c’è accompagnamento musicale) e c’è pure un corpo di ballo stabile che fa da contorno, e anche questo è un segnale di serietà professionale, perché non sono molte le compagnie che si impegnano a tenere attivo anche il corpo di ballo. Il regista e capocomico Alessandro Brachetti è una garanzia, il ritmo è sempre vivace e in entrambe le rappresentazioni, al calare del sipario, il pubblico vicentino è rimasto ad applaudire e a salutare gli attori fino in fondo. Che per un pubblico che normalmente a fine spettacolo si esibisce in scatti verso l’uscita da fare invidia a Bolt, significa davvero che il gradimento è stato tanto.

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