La Fiera orafa di Vicenza è una tra le prime in Italia per livello di visibilità e fatturato complessivo. La Fiera nacque quando intorno a Vicenza fioriva un mercato economico e finanziario significativo e la città berica era la prima provincia delle Tre Venezie per industria e artigianato.
Questa manifestazione fu soprattutto espressione di una possibile rinascita dopo il disastro della guerra. Il grande successo della prima edizione portò alla realizzazione, nel settembre del 1946, della “Fiera Campionaria Nazionale di Vicenza” dove si tornò a parlare della “Fiera di merci”, basata soprattutto sulla grande tradizione laniera e sulla struttura industriale della meccanica.
Il 15 settembre del 1946 il noto quotidiano locale “Il Giornale di Vicenza” definiva la fiera come la più grande esposizione del lavoro vicentino, visitata da molte migliaia di persone. Nel giro di poco tempo le vere proporzioni della Fiera di Vicenza e la sua più indicata caratterizzazione si delinearono quasi spontaneamente.
Nel 1947 ebbe luogo la “Fiera Campionaria Nazionale di Vicenza”, per favorire la diffusione dei prodotti industriali, artigiani e agricoli vicentini, per trovare nuovi sbocchi e per riallacciare i rapporti di scambio nazionali e internazionali, contribuendo così alla ricostruzione del Paese. Il successo della manifestazione e l’interesse per lo sviluppo dell’economia cittadina portarono il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio a costituire l’Ente Autonomo per la Fiera Campionaria (20 febbraio 1948).
Presidente fu nominato Gaetano Marzotto e Giacomo Rumor fu il vicepresidente. La Fiera si tenne in un apposito edificio del Giardino Salvi; tale sede fu mantenuta fino al 1971. Il progetto espositivo era stato disegnato dall’architetto Sergio Ortolani che creò una struttura studiata appositamente perché ripetesse in successione il motivo dei colonnati della vicina loggia Valmarana e della seicentesca adiacente loggia Longhena, riflessi nell’acqua.
In questa importante rassegna sia i produttori che i consumatori avevano modo di apprezzare i prodotti delle industrie e dell’artigianato locali in nobile gara con quelli delle altre province d’Italia. La Fiera campionaria rispondeva a delle necessità unicamente commerciali e propagandistiche. Nell’immediato dopoguerra viva era infatti, da parte di imprese e commercianti, l’esigenza di rilanciare la propria attività dopo gli anni di stasi economica. Questa realtà fieristica diede notevole impulso ai settori dell’industria vicentina, come la lana, la ceramica e l’oro.
La Fiera mantenne queste caratteristiche fino al 1957, quando il numero degli espositori passò dai 146 iniziali ai 547. Nel corso di quegli anni si poté assistere alla progressiva specializzazione delle manifestazioni, tanto da giungere alla creazioni di saloni specializzati per ogni settore. Questo era dovuto alla particolare espansione in provincia (grazie anche alla stessa Fiera) di due settori, la ceramica e l’oreficeria, il che determinò una più ampia adesione di aziende extra-provinciali appartenenti ai settori specifici.
Il 1958 fu l’anno del rilancio della fiera di specializzazione. Infatti, alla “XII Fiera di Vicenza” il nuovo settore del marmo fu affianco a quello dell’oro e della ceramica e la Fiera era composta da tre settori dalla denominazione diversa e precisamente: “Salone Internazionale della Ceramica”; “Mostra internazionale dell’Oreficeria e Argenteria”; “Mostra Nazionale del Marmo (l’unica del settore in Italia e nel mondo, con cadenza biennale a partire dal 1958)”. Si nota, dunque, una diretta correlazione tra sviluppo della struttura fieristica e specializzazione la quale portò l’Ente fieristico a dimostrare la sua forte vitalità. Alla Fiera di Vicenza del 1960 giunsero commercianti provenienti persino dal Canada, dall’Australia e da Hong Kong. Quindi, già in questo primo periodo si registrò un grande interesse nei confronti delle mostre dove 440 ditte dei vari settori dell’artigianato vicentino trovarono uno spazio privilegiato per poter esporre la propria manifattura.
In questo primo periodo della Fiera ci furono alcune difficoltà di carattere logistico e organizzativo, che aprirono, negli anni successivi, il dibattito riguardante lo spazio a disposizione, che risultava molto limitato, e sulle date di svolgimento che non corrispondevano al momento di mercato più favorevole per i tre settori. Erano lacune che vennero colmate con il passare degli anni e con l’esperienza: a partire dal 1966, infatti, le mostre vennero realizzate in epoche diverse per rendere più rispondenti alle rispettive esigenze di mercato.
Il Comitato dell’Ente Fiera decise di distinguere la manifestazione orafa da quella del marmo, che vennero pianificate in date consecutive, entrambe nel mese di settembre. Lo scopo era di dare maggiore visibilità in Italia e all’estero a entrambi i settori produttivi vicentini. Entrambe le mostre vennero realizzate al Giardino Salvi. Negli anni Sessanta la specializzazione dei settori diventò la meta principale della Fiera di Vicenza; ogni manifestazione doveva essere costantemente aggiornata, con una struttura elastica, agile, dinamica. Aderire alle esigenze dei settori era l’imperativo categorico, facendo i conti con i consumatori e con l’opinione pubblica. Era necessario conoscere le preferenze e i gusti dei compratori.
Fu questo il periodo più felice della Fiera di Vicenza dovuto principalmente al clima favorevole dato dallo sviluppo economico generale, dove vennero introdotti anche i concorsi a premi che valorizzarono maggiormente i vari settori. In quegli anni iniziò la politica della differenziazione fra mostre economiche e mostre per il pubblico. Succedeva quindi che in concomitanza con la “grande” Fiera campionaria organizzata al Giardino Salvi veniva inaugurata una piccola mostra. Le prime mostre, come quella del mobile vicentino e dei fiori e delle piante ornamentali, trovarono spazio all’interno della basilica palladiana. Successivamente le mostre vennero organizzate anche all’interno delle famose ville del territorio.
Questa seconda fase – fino al giugno 1971 – vide da un lato l’abbandono del marmo e del tessile, dall’altro una ulteriore affermazione della ceramica e dell’oreficeria e la nascita della “Mostra del Mobile e del Campeggio”. A Lonigo, invece, su incarico del Comune, si organizzò la “Mostra delle Sementi Certificate”. È in quegli anni, inoltre, che venne messa allo studio la realizzazione di una nuova sede, più ampia e adeguata alle esigenze sempre maggiori di infrastrutture e servizi, espresse dagli espositori. Il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio crearono allora l’Immobiliare Fiera Spa, che aveva lo scopo di costruire la sede, in un’area della zona industriale, a ovest della città, nelle immediate vicinanze dell’uscita dell’autostrada, per facilitare operatori e visitatori.
Il nuovo stabile venne dato in uso all’Ente Fiera mediante un contratto di comodato. L’edizione della Fiera di Vicenza del 1971 fu l’ultimo anno del Giardino Salvi. In questa occasione si registrò un grande interesse per la rassegna della ceramica. Al Salvi vennero esposti mediamente centomila pezzi per circa trecento espositori. Si trattò di modelli d’uso e ornamentali, artistici. Inoltre erano presenti le ultime novità del settore curate dai maggiori designer stranieri, ad esempio la produzione finlandese di Sarpaneva e Wikkala. Si giunse così al terzo periodo della fiera di Vicenza, che iniziò il 3 settembre 1972 con la cerimonia inaugurale della nuova sede fieristica, in occasione della “XXI Mostra nazionale dell’oreficeria, gioielleria e argenteria”, dove furono presenti oltre otto tonnellate di oro lavorato. In quell’anno alla mostra furono esposti anche ventiquattro pezzi di alta gioielleria firmati da Giò Pomodoro e una collana di lavorazione artigianale in platino con brillanti per 80 carati. L’esposizione fu visitata da circa 50.000 visitatori.
In questa nuova fase della Fiera di Vicenza si potenziarono le mostre già acquisite e si aprì a nuovi settori. Gli appuntamenti con la fiera dell’oro si sdoppiarono: le mostre diventarono due, quella invernale di gennaio e l’edizione tradizionale a settembre. Vennero potenziati il Salone Internazionale della Ceramica, quelli del Mobile, del Campeggio e delle Sementi (trasferito da Lonigo a Vicenza); contemporaneamente furono avviate la manifestazione della Concia, dei Vini DOC, dei Formaggi del Veneto.
A Bassano, ad Asiago e a Recoaro, venne fornito un supporto a manifestazioni locali nell’ambito dell’artigianato. Il calendario cominciava a farsi nutrito. E mentre cominciava a registrarsi una certa instabilità e incertezza nel settore orafo, nel 1975 la Fiera inaugura e promuove la “Mostra della gemmologia, mineralogia e paleontologia”, una rassegna specializzata che contribuì a dare continuità a quella orafa. Gli allestimenti delle fiere delle gemme risultarono essere molto spettacolari ed interessanti. Con l’introduzione di questa rassegna e l’esposizione di macchinari e delle attrezzature per i preziosi, si registrò una certa stabilità nelle vendite, malgrado l’elevato costo dell’oro. All’inizio degli anni Ottanta l’assetto espositivo della Fiera era esteso su una superficie di circa 10.000 metri quadri, sviluppati su tre piani, con impianti e servizi raccordati. Malgrado il clima di crisi con cui la mostra dell’oro si aprì, in quegli anni la Fiera si avviò ad essere, oltre che una vetrina, anche e soprattutto un “laboratorio” in grado di offrire agli operatori una vasta gamma di servizi economici e commerciali.
Nel gennaio 1987 l’Immobiliare, accogliendo le richieste dalla Fiera, provvide all’acquisto di un capannone situato ai margini dei terreni dell’Immobiliare stessa. Da quella data in poi, il quartiere fieristico vicentino andò sempre più sviluppandosi, avviando pian piano un ampliamento che lo portò ad essere uno dei più significativi poli fieristici italiani.
Dalla tesi di laurea di Anna Milan “Dalla Fiera al Museo dell’oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza” pubblicata a puntate su Storie Vicentine n. 10 settembre-ottobre 2022