Nel periodo che seguì la “dedizione” della Città di Vicenza alla Repubblica Veneta, avvenuta nel 1404, e nei secoli successivi nel lembo di terra di Brendola i Revese, gli Anguissola, i Pagello, i Ferramosca, i Maffei, i Monza e i Piovene innalzarono le loro magnifiche residenze e cappelle gentilizie, ville per il soggiorno in campagna e funzionali al governo dei loro possedimenti e interessi economici.
L’importante e cospicua famiglia dei Revese ebbe possedimenti nel territorio brendolano fin dall’epoca più remota: il cognome è la volgarizzazione di orefice e il lavorare o commerciare metalli preziosi potrebbe essere stato il mestiere più antico dei loro antenati, ma fra di loro vi furono anche notai e personaggi che ricoprirono incarichi pubblici per il Comune di Vicenza nonché chiamati a svolgere l’ufficio di Vicari a Brendola in ripetute occasoni fino alla fine del 1700.
Il loro stemma era rappresentato da onde dorate su uno sfondo blu mare (d’azzurro a tre fasce ondate d’oro). Brendola era la sede di un vicariato che comprendeva le ville di Lapio, Fimon, Arcugnano, Pilla, Grancona, Meledo, Villabalzana, Longare, Valmarana, Pianezza e Altavilla. Il primo vicario di Brendola risale all’anno 1401 quando Vicenza era ancora soggetta al duca di Milano. Proprio in tale anno le cronache riportano un tale Enrico Nicolò Revese (“domini Nicolai de Aurificibus de Vincentis”) ad amministrare la giustizia quale “Vicario Brendularum”.
E giusto sul colle, vicino alla sede del Vicariato, i Revese edificarono una loro villa poi passata in proprietà ai conti Pagello. Ma sul lembo di pianura sottostante, lungo la via che oggi porta il loro nome, era situato il più importante insediamento. Lo storico Bernardo Morsolin (in Brendola Ricordi storici – Burato 1879) così ne parla: “Tracce manifeste dell’antico splendore si affacciano ancora nella villa dei Revese situata a piede del poggio là dove la strada maestra che mena alla chiesa arcipretale incomincia a salire e non offre certo incanto di prospettive, né certa amenità di luoghi circostanti. A questo difetto supplisce però in qualche modo la magnificenza de’ porticati, delle porte, delle logge e delle scale, decorate ancora di avanzi di stucchi e di freschi, lavoro del celebre architetto Ottavio Bruto Revese”.
Tale personaggio (nato a Brendola nel 1585 e ivi defunto nel 1648) è il più noto esponente della famiglia. Il suo talento artistico è connotabile in una particolare cifra stilistica osservabile in quel poco che resta: la torre e i pilastri d’ingresso alla proprietà sono caratterizzati da grandi conci in pietra che imprimono un senso di possente vigore.
Come possenti erano i bei portali massicci e i maestosi archi bugnati di sua realizzazione come quello del Palazzo del Territorio e quello che faceva da ingresso al Campo Marzio in Vicenza, demolito nel 1938. Purtroppo è una grave perdita che della sontuosa villa dei Révese a Brendola quasi nulla sia rimasto; fortunatamente sopravvive la loro cappella privata: la chiesetta dell’Annunciazione di Maria.
Questa piccola costruzione è considerata dagli studiosi un autentico gioiello dell’architettura sacra del primo Rinascimento nel territorio vicentino. Sulla sua facciata possiamo notare una pietra murata che porta scolpita la data del 1446 e l’iscrizione: “Hoc Sacellum Deiparae dicatum ab Aurificibus conditum a. MCDXLVI”. Ma tale data può essere giustificata ipotizzando che tale lapide fosse appartenuta a una preesistente cappella, sempre adiacente alla villa, e demolita (o rielaborata) prima che si desse avvio all’attuale costruzione che indubbiamente risale, e le sue forme lo confermano, all’ultimo scorcio del 1400.
Lo storico Barbarano indica la data di ultimazione nel 1499 riportata parimenti da Maccà. La chiesetta fu innalzata prospiciente alla loro villa sulle prime pendici del monte boscoso di Brendola, su un piccolo pianoro al lato opposto della strada. Il suo probabile autore viene concordemente indicato in Alvise Lamberti, detto Alvise da Montagnana; l’attribuzione avviene per analogia con opere che hanno caratteristiche estetiche e stilistiche simili a questa costruzione.
Il Lamberti fu condiscepolo di Pietro Lombardo, lavorò a Venezia, a Ferrara e a Vicenza. Come si evince nell’opera del Lombardo anche lui cercò di conciliare negli ultimi anni del 1400 il predominante gusto gotico con il nuovo orientamento classicheggiante. Al Lamberti sono assegnate due opere molto simili per stile alla chiesetta di Brendola: la facciata laterale della chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Lonigo (VI) e la chiesa di S. Michele al Cremlino a Mo- sca, come pure taluno ipotizza che gli si possano attribuire l’altare della Pietà a Monte Berico (sulla prima campata a destra entrando dalla porta occidentale) e l’altare della famiglia Magrè in San Lorenzo, anche se per tali opere qualche studioso propende per il Lombardo.
Il Morsolin dal canto suo arrivò ad affermare che “le sagome di alcune cornici ed alcuni capitelli a Brendola traggono a pensare che l’autore possa essere lo stesso della chiesa di San Rocco in Vicenza”. La facciata, caratterizzata da un accentuato verticalismo, è a due ordini: il primo con quattro pilastri con basamenti e capitelli in pietra intagliata con una elegante lavorazione a fiorami e arabeschi estesa anche ai lati rivolti alle pareti; al centro l’arco di ingresso è circoscritto da una raffinata lavorazione scultorea fino alla sommità. Il secondo ordine è marcato da una fascia lapidea su cui si alzano quattro colonne in continuità con i pilastri sottostanti; negli spazi laterali trovano posto le due finestre oblunghe con cornici in pietra, in quello centrale: nella parte superiore è incastonato un oculo che riempie tutto l’arco e nella parte sottostante trova posto un’edicola con modanature che anticamente poteva contenere un affresco.
I tre scomparti a loro volta finiscono con tre graziose arcate sommitali nella facciata, sono del tutto simili per altezza e dimensioni a quelle che abbelliscono le due pareti laterali e che poggiano su lesene. La cornice generale della facciata è infine sormontata da una sopraelevazione decorativa a sua volta divisa in tre zone da due alti piedritti a scanalature: ai lati due frontoni a quarto di cerchio lavorati a conchiglia, al centro un frontone minore a intera conchiglia sotto cui è scolpito lo stemma Revese; al culmine della facciata svettano quattro snelle ed eleganti gugliette sormontate da croci: due alle estremità esteriori laterali e due sui piedritti centrali.
L’edificio è a pianta rettangolare affiancato da una minuscola sacrestia; l’abside è rivolta a oriente. Nella parete interna della facciata è murato un bel monogramma di S.Bernardino, con incise le lettere J.H.S. a significare il nome di Gesù, contornate da un cerchio di fiamme a raggiera. La Cappella è dedicata all’Annunciazione di Maria, per questo motivo l’architetto utilizza, e ripropone sia all’interno che all’esterno, un elemento dell’antica simbologia mariana: la conchiglia, che rappresenta la verginità, in quanto la conchiglia produrrebbe la perla, secondo i naturalisti, senza essere fecondata, così è avvenuto il concepimento di Maria. Il motivo della conchiglia o “pecten”, un mollusco bivalve della famiglia Pectinidae, è ripetuto anche nella decorazione dell’interno, nel catino absidale e su tutte le lunette laterali.
Questo è un espediente decorativo significativo: secondo uno storico dell’arte (G. Lorenzini) riportato da Barbieri “quella conchiglia a spicchi larghi e spaziati che si concludono con un elemento curvilineo, il pecten, è il motivo firma del Lamberti” e in effetti è un elemento che ricorre in maniera ripetitiva nelle sue opere. La facciata originariamente e fino ai primi anni del ‘900 era ancor più caratterizzata nel suo verticalismo dalla scalinata di accesso che immetteva direttamente su strada; ora invece è troncata in due rampe laterali a seguito del successivo allargamento del piano stradale.
Si suppone che la chiesetta fosse destinata a contenere le tombe della famiglia Révese anche se nel corso dei restauri non sembra siano state rinvenute altre lastre sepolcrali eccetto quella attualmente murata sul pavimento. Tale lapide è stata il sigillo tombale dell’ultimo discendente: don Gaetano Bruto-Revese, sacerdote, morto nel 1888, con il quale la nobile e illustre famiglia si estinse (“hic iacet” e “postremus familiae suae”, “qui giace” e “l’ultimo della sua famiglia”, riporta inciso il marmo). Purtroppo gli affreschi delle pareti dell’aula sono andati irrimediabilmente perduti a seguito dell’abbandono e dell’incuria in cui giacque per molti anni il monumento. Mentre sopravvivono in condizioni precarie quelli nell’area presbiteriale, nelle vele e nell’arco trionfale.
Bernardo Morsolin sosteneva circa gli affreschi: “A giudicare dai pochi avanzi che ne rimangono dovevano uscire da allievi di ottima scuola”. Gli studiosi sono propensi ad attribuirli a Giovanni Buonconsiglio, detto il Marescalco a causa del mestiere di suo padre, probabile apprendista di Bartolomeo Montagna, nato a Montecchio Maggiore e vissuto all’incirca tra il 1465 e il 1537. Gli affreschi di Brendola furono a lui attribuiti dal Puppi, seguito da altri. Sulle tre lunette dell’abside dipinte a fresco sono visibili, seppure in non buone condizioni di conservazione: a sinistra San Sebastiano, al centro Cristo risorto che emerge da un sepolcro sul cui lato frontale era effigiato lo stemma dei Revese (e ciò sembra sottolineare che la chiesetta aveva la funzione di cappella funeraria di famiglia) e a destra San Rocco. Nelle vele della volta a crociera dell’abside sono appena visibili i quattro evangelisti. Ai lati dell’altare è murata una piccola e graziosa Annunciazione in pietra, che risale all’epoca della costruzione della chiesa.
Alla morte dell’ultimo Revese fu nominato legato testamentario Giovanni Scola ma sotto la proprietà degli Scola l’edificio, esempio di nobile e antica arte, fu destinato a soffrire un lungo periodo di incuria e abbandono. Nel 1989 l’Amministrazione comunale acquistò la chiesetta e provvide ai necessari restauri conservativi.
Numerosi studiosi hanno dedicato i loro contributi a questa pregevole architettura: da Bernardo Morsolin a Franco Barbieri, Renato Cevese, Giuseppe Visonà, Vittoria Rossi; di recente anche Vittorio Sgarbi ha voluto visionare il monumento manifestando interesse sia per l’architettura che per gli affreschi.
Di Luciano Cestonaro da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022