(Articolo di Federica Zanini con foto di Corrado Marangoni all’interno del Bar Minerva, da L’AltraVicenza allegato a VicenzaPiù Viva n. 296, sul web per gli abbonati, acquistabile in edicola in versione cartacea).
Per quasi trent’anni, insieme a Giuseppe Carta, ha animato il Malvasia. Oggi gestisce un altro tempio dell’ospitalità rinnovando col suo estro sofisticato l’atmosfera dei mitici fratelli Baldinato e mostrando, lei donna forte, come si fa rivivere il centro storico di Vicenza.
Dopo aver dribblato mimose e cioccolati e aver ignorato l’assedio di auguri stereotipati su whatsapp, nel primo pomeriggio dell’8 marzo riesco a intervistare una donna che mi rende immediatamente orgogliosa di esserlo anche io. È Isabella Berdin, orgogliosa e frizzante gestrice del rinato Bar Minerva, storico locale della Vicenza “un po’ nascosta”. Ed è stata proprio questa la sua grande sfida (oggi, a soli 14 mesi dall’apertura, ampiamente vinta): far ritornare la gente, ora che non c’è più il vecchio Tribunale (che dista esattamente 150 passi dalle vetrine) a originare grandi flussi, in contra’ Santa Corona e ai tavolini di quello che in città, seppur ora completamente rinnovato, è stato sempre un tempio dell’ospitalità, dall’eleganza educata e signorile, come si legge nel sito del locale.
Con la sua quasi trentennale esperienza in un altro tempio enogastronomico del centro storico, la rinomata e compianta Antica Casa della Malvasia, anche quello un po’ nascosto in contra’ delle Morette, tra piazza dei Signori e corso Palladio, forse era l’unica a poter raccogliere senza timore un’eredità “ingombrante” come quella dei fratelli Baldinato, conosciutissimi e amatissimi ex gestori e tuttora proprietari del Bar Minerva.
Si, è vero. A partire dal 1968, Gaetano, Alvise e Giorgio Baldinato sono stati il Bar Minerva e hanno lasciato solo per, diciamo così, sopravvenuti limiti di età. Ma sono sempre qui, nell’anima del locale e, soprattutto per quanto riguarda Giorgio, anche fisicamente. Tutti i martedì passa di qui e prende l’aperitivo con Alvise e ritrova anche parte della sua
vecchia clientela. Senza volerlo, è il testimonial della continuità d’intenti che caratterizza il Bar Minerva: essere una famiglia con e per i suoi clienti (ndr: a ogni sospingere della porta, è un corale e sincero Buongiorno! – ma più frequentemente Ciao! – da parte di Isabella e di tutto lo staff).

E poi forse scritto nel destino… Come si sono incrociati i vostri cammini?
Eh si. Dopo che il Malvasia era stato comprato da Grandi del Garibaldi, il mio socio Giuseppe Carta (che poi mi ha affiancata per 6 mesi nella nuova avventura ed è tuttora il mio sostegno e consulente) e io eravamo a caccia di un nuovo locale dove esprimerci. Non sapevo che i Baldinato stessero ristrutturando e ce lo segnalò, tramite un amico comune, l’architetto Serena Busa cui aveva affidato i lavori Massimo Baldinato (ndr: figlio di Giorgio). Venimmo a dare uno sguardo e… fu amore a prima vista. Non scoppiò una scintilla, ma una vera e propria meteora!
Dovemmo accelerare i lavori, tirarci su le maniche e risolvere problemucci vari fino all’ultimo istante, ma 6 mesi dopo – il 5 dicembre 2023 – abbiamo aperto. Senza tante cerimonie, in modo naturale lasciando che tutta la gente che conoscevamo dopo tanti anni nel settore e il passaparola compensassero la pochissima pubblicità fatta. Ed è andata bene
così: un successone e il bar ha preso subito piede. Siamo in continua crescita e per dirlo io che tendo a essere, diciamo così, prudente…
Che tipo di ristrutturazione è stata?
Completa. Del vecchio Bar Minerva, nato nei locali di un ex laboratorio di lavorazione del marmo come rivelano i soffitti altissimi, rimangono, oltre alla “mascotte” Giorgio, soltanto il crocifisso e l’antico orologio appesi all’interno e la iconica insegna vintage, completamente restaurata, con il calice e il punto di domanda, che alludeva al fatto che questo, fin dall’inizio, non ha mai voluto essere solo un bar, ma tanto altro.
Ed è ancora così, perché la sua insaziabile creatività non si limita alla cucina…
Vero. Il “mio” Minerva è innanzitutto un luogo di ritrovo, non solo davanti a una brioche e un cappuccino (ndr: che studia e reinventa in continuazione alla ricerca della formula perfetta, come un alchimista) o un aperitivo, ma anche davanti a un libro o un’opera d’arte. Organizzo eventi fissi, come per esempio Il tè tra le righe: ogni mese scegliamo un titolo da leggere e poi ci incontriamo, magari anche con l’autore o una madrina, e ne discutiamo. Siamo già una quarantina. Poi ospito, anche nella organizzata e, quando serve, riservata sala di sotto, degustazioni di vino, presentazioni di libri e giornali, incontri di esponenti politici senza distinzioni di area (e l’aperitivo al bar vengono a farselo sempre più spesso i giovani, futuri politici) e anche eventi aziendali e mostre.
Come quella in corso ora, a cura di Gianna Sartori, Corrado Marangoni ed Edoardo Gallo ESPRESSO ARTISTICO, svelata il 18 gennaio scorso e occasione per un’affollata inaugurazione ufficiale del locale.
Non di solo pane vive l’uomo… direi però che qui il “pane” è non solo irrinunciabile, ma anche golosissimo. La vostra offerta gastronomica è ampia e varia.
Assolutamente, anche perché è dove la mia creatività si scatena al massimo. Anche all’ultimo secondo. Sperimento, cambio, correggo… un vero e proprio studio, ma poi l’estro può arrivarmi anche un attimo prima di portare al tavolo. Allora chiedo al cliente “Ti spiace se te la condisco io l’insalata? Ti fidi?”.

E la gente per lo più si fida. E fa bene. Qui tutto è speciale, frutto di una vera e propria interpretazione personale di ingredienti, abbinamenti ecc. Dal dolce al salato, dalla mattina alla sera.
Esatto. Siamo aperti dal lunedì al sabato, dalle 7 alle 22 e ne abbiamo davvero per tutti i gusti. Nessuno qui, da vegetariani e vegani a celiaci e intolleranti al lattosio, resterà mai a bocca asciutta. Io mi scateno, mi metto alla prova e… non mi accontento mai. Per la mia famosa torta di mele sono partita da una ricetta classica e, variazione dopo variazione, ne ho fatto il mio capolavoro personale. Così anche per la cheesecake. E persino per le insalate che, contrariamente a quello che si può pensare, permettono di scatenare la fantasia tra ingredienti e dressing. E i clienti sembrano gradire: a pranzo arriviamo anche a 40 coperti.
Abbiamo capito che la sua è una gestione attiva. Non se ne sta nascosta in ufficio o con il capo chino sulle scartoffie. È attiva e protagonista, dietro il banco e in cucina, tra i tavoli, tra i clienti.
Quanto alle scartoffie, lasciamo perdere. Sono una condanna per un imprenditore. Il grande scoglio da superare, insieme a quello della selezione del personale, oggi oggettivamente più complicata di ieri (anche se io mi reputo davvero fortunata). Comunque si, io non so stare ferma, tanto meno il mio cervello. È tutto un inventare, provare. C’è sempre qualcosa che mi frulla dentro. Arrivo qui e mi dico “E se oggi facessimo…”.
OK. Ma come può permetterselo?
Grazie al mio staff. Siamo in 6. Si, perché io sono parte dello staff. I miei ragazzi sono
tutti giovani e motivati. Lo percepisci che non solo lavoriamo bene insieme, ma ognuno di loro arriva la mattina o il pomeriggio felice di mettersi all’opera e non ha fretta di scappare a fine turno. Niente musi lunghi, tanto entusiasmo. Chi lavora qui deve dimostrare, oltre alla professionalità, simpatia, una rispettosa giovialità e una propensione alla cura dei dettagli. Il nostro marchio di fabbrica sono un ambiente e un’atmosfera sofisticati, ma familiari. Tutto, dall’accoglienza al servizio, è personalizzato. Il cliente si deve sentire in famiglia e non solo per il saluto affettuoso. Ai nostri clienti diamo un soprannome, chiediamo riscontro delle nostre nuove creazioni, per ognuno elaboriamo un cappuccino o un piatto personalizzato. Qui chiedere “il solito” non è nemmeno necessario… Li vediamo ì entrare e già sappiamo. Il mio bar è differente, insomma.
E chi sono questi clienti?
Ce ne sono, come era anche per la gestione Baldinato, anche di famosi, di cui ovviamente non svelo i nomi, ma in generale approda qui un po’ di tutto: le signore che si trovano per un caffettino la mattina, avvocati ormai fidelizzati disposti ad allungare la strada per venire da noi, architetti, visitatori del Museo di Santa Corona e di Palazzo Leoni Montanari, turisti, giornalisti, sì giornalisti, vecchi come… esperienza e nuovi, magari per conoscere o per incontrare, anche su appuntamento i “maestri”. E poi cinquantenni che organizzano feste e giovani studenti. Come quelli dei licei, che una volta al mese organizzano qui i loro dj set. Tutti membri della nostra grande famiglia.
C’è qualcosa, oggi come oggi, che non fa e vorrebbe arrivare a fare?
Allora, previsioni non ne posso fare proprio per la mia istintività. Le nuove idee mi fulminano ogni giorno, imprevedibili e incontrollabili. Tra le cose che non faccio, ma nemmeno ho intenzione di fare nonostante le tantissime richieste, è il catering.
Torniamo a un discorso di burocrazia avversa e costi insostenibili. La mia principale sfida, al momento impossibile ma non demordo, è arrivare a tenere aperto anche la domenica. La città e chi la amministra, minacciati dal fenomeno delle serrande chiuse, però dovrebbero aiutare…
Minerva è la divinità romana della lealtà in lotta, delle virtù eroiche, della guerra giusta (guerra per giuste cause o per difesa), della saggezza, delle strategie ed è riconosciuta anche protettrice degli artigiani (cit. Wikipedia). Come non riconoscervi Isabella? Una lottatrice senza armatura, un’alpina nell’animo ma armata solo di genio, estro, entusiasmo e…sorriso. Una vincitrice contro l’omologazione, dal piatto all’accoglienza.
Protettrice di una grazia antica pur nella modernità della forza femminile. Viva le donne come questa a cui Vicenza dovrebbe ispirarsi per interrompere il suo declino e riprendere a scrivere la sua storia. Ora fatta, solo, di ricordi.