venerdì, Aprile 19, 2024
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Chiesa di Santa Caterina al porto di Vicenza

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La Chiesa di Santa Caterina al porto è una delle chiese meno conosciute di Vicenza ed era situata già dal XVI sec. nei pressi del principale porto cittadino da cui deriva il nome. Oggi, se si devono spostare persone e cose, si utilizzano le strade. Un tempo, invece, ci si serviva dei fiumi. E così, ogni città che ne era attraversata aveva il suo porto.

Vicenza ne aveva due. Un approdo minore si trovava nell’attuale contrà Burci, che si estendeva fino alla riva destra del Retrone, dove attraccavano i burci del pesce, ossia le imbarcazioni che portavano in città i prodotti ittici della laguna di Venezia. Il porto principale, detto dell’Isola, era invece situato nei pressi dell’attuale piazza Matteotti, alla confluenza del Retrone con il Bacchiglione, prima della diversione dei corsi d’acqua, eseguita nel 1876 su progetto dell’ing.

Carlo Beroaldi, che diede vita a viale Giuriolo. Nel 1802 la Dogana dispose il trasferimento di questo porto, per maggior controllo, in Borgo Berga, di fronte alla chiesa oggetto di queste note, che prese così il nome di Santa Caterina al porto, anche per distinguerla dall’altra omonima, sempre in Borgo Berga.

La Dogana, a sua volta, stabilì la sede nel fabbricato – eretto nelle attuali forme nel 1841 su probabile progetto di Bartolomeo Malacarne e oggi sede del Corpo Forestale dello Stato – che si incontra sulla sinistra, giungendo da piazzale Fraccon, dopo l’ex Cotonificio Rossi. Molto antica la chiesa di Santa Caterina al porto. 

Chiesa di Santa Caterina al Porto
Chiesa di Santa Caterina al Porto

Sin dalla metà del XIV sec. si ha notizia di un piccolo oratorio annesso all’ospedale di Campedelo che nel 1423 fu ampliato dai rettori del sito, Giovanni Cerchiari e Giovanni del fu Antonio, come attestava una perduta iscrizione sopra la porta, fortunatamente trascritta dallo storico del Seicento Francesco Barbarano nella sua Historia ecclesiastica della città, territorio e diocese (!) di Vicenza.

Con il trascorrere del tempo l’edificio andò sempre più in rovina, sia per mancanza di manutenzione e sia per le frequenti esondazioni del Bacchiglione. A risollevare la situazione intervenne Giovanni Maria Bertolo, uno dei più grandi avvocati della sua epoca, nato a Vicenza il 31 agosto 1631, figlio di un tornitore con bottega nei pressi del duomo, e morto il 7 novembre 1707 a Venezia, che divenne il centro dei suoi affari e interessi.

Egli, tuttavia, rimase sempre legato alla città natale, tanto che nel 1694 assunse la carica di deputato ad utilia, stabilendo la propria residenza vicentina in quella che oggi è conosciuta come villa Valmarana ai Nani. Nel 1677 Bertolo, con l’intento di rendere la chiesa una sorta di oratorio a servizio della sua dimora di Monte Berico, dispose la ricostruzione dell’edificio, con l’ampliamento dell’area del coro e il rifacimento della facciata, demolendo l’originaria gotica.

Lo attestano due lapidi ivi affisse: TEMPLUM D. CATERINAE SACRUM / VETUSTATE COLLAPSUM/ REFECIT / IN AMPLIOREM FORMAM REDEGIT/ TOTUMQ. ORNAMENTUM ABSOLVIT / IOANNES MARIA BERTOLIUS / IN VENETO FORUM CAUSARUM PATRONUS / ANNO MCD / LXX. VII. [Questo tempio sacro a Santa Caterina, in rovina per la sua vetustà, rifece e ingrandì, adornandolo di ogni ornamento, Giovanni Maria Bertolo, avvocato del Foro veneto, nell’anno del Signore 1677].

Nel 1806 un decreto napoleonico soppresse la confraternita che gestiva il sacro edificio, l’Ordine di Santa Caterina al Porto. Seguirono, di conseguenza, l’abbandono e il progressivo deterioramento di tutto il complesso. Nel 1845 la chiesa passò in proprietà della famiglia Valmarana, che poi la cedette alla parrocchia di Santa Caterina. Tra il 2000 e il 2005 si diede avvio ad una campagna di radicale recupero e restauro, che riportò la chiesa ai seicenteschi splendori.

La facciata, a causa dell’innalzamento di oltre due metri del piano stradale, appare alterata nelle sue proporzioni, poco slanciata e appesantita dal grande frontone, con la porta di accesso palesemente sproporzionata. Per di più, l’edificio risulta soffocato dalle abitazioni che nel tempo gli si sono affiancate. Una situazione ben diversa da quella originaria, abilmente ricostruita in occasione del ricordato restauro dall’arch. Renata Fochesato dello Studio Aeditecne. Il fronte è scandito da quattro lesene di ordine dorico. Fra le due laterali sono collocate, nella parte inferiore, due lunghe finestre incorniciate, mentre nella rimanente superficie campeggiano le due già memorate lapidi, a cornice bombata, che ricordano l’intervento del Bertolo.

Il settore centrale ospita la porta di ingresso, al di sopra della quale si adagia un piccolo frontone, nel cui timpano è collocato uno scudo non decifrabile, proveniente, forse, dalla primitiva chiesa quattrocentesca. Sul prolungamento degli stipiti del portale si innalzano due sottili lesene, che reggono un architrave, sul quale poggia una lunetta, la cui chiave di volta incontra il capitello centrale. Conclude la facciata un robusto frontone, che ospita nel timpano lo stemma del più volte ricordato Giovanni Maria Bertolo, costituito da un leone rampante con due code, allusive ai due rami del diritto – civile e canonico – praticati dal famoso giurista.

Coronano il prospetto tre statue in pietra tenera: al centro, quella raffigurante S. Caterina d’Alessandria, titolare della chiesa, che regge la ruota del martirio, a sinistra – omaggio al Bertolo – quella di san Giovanni Evangelista con l’aquila, suo simbolo, e, a destra, quella di san Giovanni Battista, qui ripreso non in veste di battezzatore, ma di predicatore nel deserto, essendo affiancato da un cane. Quello che caratterizza la facciata è il sottolineato verticalismo, impresso dall’asse che parte dalla statua di santa Caterina, interseca lo stemma del Bertolo, scende fino al capitello della trabeazione, continua nella chiave di volta, incontra il vertice del frontone soprastante la porta – che è ancora quella originale – e si conclude fra i suoi due battenti. Quanto all’architetto, non è stato finora trovato alcun documento che indichi il nome.

Scartata l’attribuzione ad un non meglio precisato Antonio Muttoni per il semplice fatto che questa famiglia di architetti si trasferì a Vicenza da Cima di Porlezza nel 1696 e, quindi, diciannove anni dopo l’esecuzione della facciata (1677), non rimane che ricorrere al criterio della comparazione. Ovvero, non rimane che confrontare edifici simili di paternità certa con questo edificio di paternità ignota, al fine di individuare elementi comuni. Assonanze si riscontrano con le facciate dell’oratorio di San Nicola, attribuito a Carlo Buttiron (1676) e della chiesa di Santa Caterina, progetto di Antonio Pizzocaro (1672). Vi sono, però, dei particolari che non si ritrovano nelle due chiese prese a riferimento e non rientrano nemmeno nella usuale sintassi locale: le colonne di ordine dorico in luogo di quello corinzio – che connota (retaggio palladiano) gli edifici sacri vicentini tra Cinque e Seicento – e l’arco che sovrasta la porta di ingresso, elemento non tipico negli edifici della specie eretti in quell’epoca nel vicentino. L’edificio è quindi da assegnarsi – verosimilmente – al progetto di architetto foresto, da ricercarsi in ambito veneziano, frequentato dal Bertolo.

Due fatti avallano questa ipotesi. Quando Bertolo, nel 1665, decide di ampliare la villa che possedeva a Monte, si affida ad un architetto veneziano, Giuseppe Sardi, così come si rivolge ad uno scultore pure veneziano, operante nell’orbita di Baldassarre Longhena, allorché fece erigere, tra il 1679 e il 1682, il magnifico altare maggiore nell’altra chiesa di Santa Caterina in Borgo Berga. Se poi si accetta l’attribuzione alla cerchia dei Bonazza delle tre statue in facciata, il cerchio si chiude. Giovanni Bonazza (1654-1736), infatti, capostipite di una famiglia di scultori, operò a Venezia fino agli ultimi anni del Seicento, per trasferirsi poi a Padova.

Quanto all’interno, l’unico vano conserva l’impronta originaria del Quattrocento, con copertura a tipiche capriate lignee, rifatte in occasione del restauro del 2000, e tradizionali tavelle sotto coppo. Scomparsi i due altari laterali dedicati alla Beata Vergine e a santa Maria Maddalena, rimane solamente quello maggiore, fiancheggiato da due porte. Si frappone tra l’aula, dove si raccolgono i fedeli, e un piccolo retrostante spazio, che funge da coro e da deposito dei paramenti e degli oggetti liturgici. Una iscrizione sibillina, di difficile interpretazione, riporta l’anno 1680, che è probabilmente quello di esecuzione. In effetti, si tratta di un lavoro di impronta tipicamente barocca, consistente in una struttura lignea dipinta a simulare il marmo e la pietra. È caratterizzato da quattro colonne corinzie scanalate, poggianti su solidi plinti. I capitelli reggono un robusto architrave con dentelli a grana fine e a grana grossa, che accentuano l’imponenza del manufatto. Sopra l’arco centrale sono collocati due angeli in preghiera. Sopra il frontoncino se ne stagliano altri due, con le mani al petto in segno di adorazione, addossati ad una sorta di parete, sormontata da un elemento a volute che si conclude con una croce. Ai lati, due angeli sono adagiati su di una struttura dentellata curvilinea, parte di un arco spezzato. Si tratta di un complesso che richiama schemi ripresi in quegli anni da scultori che si rifanno ai modelli degli Albanese, attivi a Vicenza fino alla metà del Seicento e che avevano lasciato non pochi imitatori e seguaci. Interessante anche il paliotto, che mostra tre figure dall’incerta iconografia. Impreziosito da marmi intarsiati, risale all’epoca dell’intervento del Bertolo e, quindi, agli ultimi decenni del Seicento. È opera di valente ignoto specialista nei cosiddetti commessi in pietre dure. Il lavoro non sfigura – fatte naturalmente le debite proporzioni – al confronto con il magnificente altare che troneggia nella chiesa di Santa Corona, opera dei fiorentini Antonio, Benedetto, Francesco e Domenico Corberelli, che vi lavorarono dal 1669 al 1686: un intervallo di tempo che comprende anche l’intervento di Bertolo del 1677. Proveniente dal precedente oratorio è il gruppo scultoreo che orna l’altare, databile intorno al 1420-1430, lavoro in pietra tenera policroma dei Berici attribuito a Nicolò da Cornedo (Rigoni 1999; contra Menato 1976).

Più precisamente, ai lati, sopra le porte che conducono al coro, si ergono due statue, che rappresentano i santi Silvestro e Caterina d’Alessandria. La presenza di queste figure si riconducono al fatto che anticamente Borgo Berga era sotto la giurisdizione della chiesa di San Silvestro, mentre Santa Caterina è la titolare della chiesa. Il vescovo Silvestro, raffigurato stante, con la mitria e un bastone (mancante) stretto nella sinistra, è ritratto nell’atto di benedire. Santa Caterina, incoronata, indica con la mano destra un libro (il Vangelo?), tenuto nella sinistra. Al centro dell’altare domina la statua raffigurante la Madonna in trono col Bambino, seduto sulla sua gamba destra. È avvolta da una veste rosa e da un manto verde, con un velo bianco sul capo. Nella mano destra stringe una mela, simbolo del peccato originale, riscattato dal figlio di Dio, benedicente e vestito di una tunichetta rossa che prefigura la sua passione.

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022


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