mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Arnaldo Tornieri. Nulla di nuovo sotto il …cielo

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Che negli ultimi anni si stia assistendo a ripetuti fenomeni atmosferici estremi è fuor di discussione: è sufficiente leggere i resoconti nei giornali o ascoltare le notizie su recenti episodi che hanno devastato numerose località. A leggere le cronache dei secoli passati, ci accorgiamo, però, che a simili eventi erano soggetti anche i nostri progenitori. Il 21 luglio 1787, infatti, fu per la nostra città un «giorno tragico, e memorando per un funestissimo avvenimento», che il diarista Arnaldo I° Tornieri Arnaldi (1739-1829) riporta nel suo mano- scritto dal titolo Memorie di Vicenza, cronistoria di fatti accaduti dal 18 giugno 1767 al 7 dicembre 1822. Ecco il racconto.

arnaldo tornieri
.Arnaldo I° Tornieri circondato dai quattro figli (da L’Eneide di Virgilio tra- dotta in ottava Rima dal Nob. Sig. Co. A. Arnaldi I Tornieri, Vicenza 1779)

Era quella la stagione nella quale si davano spettacoli al Teatro Eretenio, anche con gran concorso di «molti foresti». Per rendere ancor più massiccio l’afflusso di pubblico, si propose pure, per il 23 e il 30 di quel luglio del 1787, una manifestazione equestre. Si trattava, più precisamente, di una corsa di cavalli, da svolgersi nel «centro del Campo Marzo in quello spazio dove girano le carrozze» ovvero nel famoso O, riportato in numerose piante della città, ad iniziare da quella del Crivellari del 1821.

Allo scopo, «otto marangoni [ovvero falegnami] fino da un mese in qua [cominciarono ad allestire un] anfiteatro… tutto di legno con quattro ordini di scalini e sovra essi piantate 190 logge all’incirca per le persone nobili e per le dame; e all’intorno di esso dovevano [correre] i cavalli cinque o sei volte». Fu fornito anche il «disegno di un anfiteatro rotondo del diametro per questo primo anno di piedi 381 [ovvero di 136 metri all’incirca]». In sole quattro settimane il manufatto era pronto per ospitare le manifestazioni. Ma Giove Pluvio ci mise lo zampino. Nel tardo pomeriggio del 21 luglio, quando tutto era pronto e alcune carrozze stavano sfilando all’interno del recinto, si levò «un turbine procelloso [che] in un momento diroccò la massima parte di questa fabbrica, e sconquassò quel poco che restò in piedi; ma quel che è più, perirono sotto le rovine due marangoni ed altri non pochi rimasero feriti; e portati poi all’ospitale».

Il racconto di Tornieri così continua: «Non si può esprimere quale è stato in quel momento lo spavento e l’orrore. Alcuni furono portati con i palchi su cui trovavansi fino alla non vicina Seriola; altri credean fuggire; ma un pezzo di palco gli volò dietro e gli ruppe un braccio. I parapetti dello steccato furono trasportati fino al Retrone; e alcuni vasi di legno che contornavano il cimiero dell’edificio volarono sul Monte. Insomma in un momento tutto fu fracassato e desolato.

La città se ne accorse subito spaventata dal nimbo vorticoso e oscurissimo che dominava su tutte le contrade; e si scaricò poi in grandine, e quindi in pioggia. Passato questo e resa certa del funesto eccesso, corse tosto immenso popolo in Campo Marzo…». E così si videro «donne piangenti cercare dei loro mariti e figli desolati dei loro padri, temendo ognuno di aver fatto qualche perdita in mezzo quella rovina immensa di legni. Vi accorse sua eccellenza Capitanio e fatto qua e là scoprire il terreno sgombrandolo da quella catasta confusa si ritrovarono i due morti suddetti e un altro semivivo e fu portato ai Padri Riformati [erano i frati minori dell’Osservanza di san Francesco, che officiavano la chiesa e il convento – ora scomparsi – posti a ovest di piazzale De Gasperi, a fianco del giardino Salvi], oltre ad altri feriti che furono portati all’ospitale. Così finì questa gran giornata di lutto che era l’antivigilia di uno spettacolo in Vicenza non mai veduto».

Questo scampolo di storia vicentina consente di ricordare che la tradizione delle corse dei cavalli prese avvio nel 1576, allorché il principe dell’Accademia Olimpica Girolamo Schio, per allietare il soggiorno di alcuni padovani rifugiatisi a Vicenza in fuga dalla peste, «organizzò la rinnovazione dei Giochi Olimpici e la costruzione di un circo nel Campo Marzio… per la corsa delle carrette, (cioè delle bighe, in omaggio della tradizione romana) in ricordo dell’impresa [ovvero del “logo”] dell’Accademia, quale riprodotta nei disegni dell’epoca» (Zorzi, 1968), e quale si può ancor oggi ammirare nel proscenio del Teatro Olimpico.

A progettare tale “circo” – una struttura lignea smontabile, custodita nei magazzini del Comune e ricomposta all’occorrenza – fu chiamato Andrea Palladio, che ideò «un anfiteatro circolare in legno con una pista, intorno alla quale correvano i cavalli mentre gli spettatori si accalcavano in alcune logge aperte tutto all’intorno della pista e sopra alcune gradinate, come nei teatri classici» (Zorzi, 1968): una descrizione che corrisponde, sostanzialmente, a quella fornita da Tornieri per le corse del 1787 – non più delle bighe, ma dei berberi, ossia dei cavalli scossi, senza fantino – e a quanto riprodotto in una incisione settecentesca di Giacomo Leoni. Sempre Tornieri ci informa che il 16 settembre 1788 si tenne l’ultima manifestazione, che aveva visto «un concorso tremendo di forestieri e una piena immensa dell’anfiteatro medesimo». Giunse infatti «una Ducale del Consiglio dei Dieci questa mattina la quale impone fine a questi smoderati spettacoli, e comanda, subito dopo quello di oggi, la demolizione dell’anfiteatro».

Di Giorgio Ceraso da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


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