Alessandro Maganza ebbe il primato in campo artistico nella città di Vicenza a partire dalla seconda metà del Cinquecento, in pieno clima controriformista e di pieno rinnovamento della chiesa cattolica.
All’interno della sua fiorente bottega, Alessandro operò per i nuovi cantieri religiosi della città di Vicenza caratterizzati dal pieno fervore edilizio in concomitanza con le nuove prescrizioni dell’arte sacra che doveva apparire chiara e persuasiva affinché il popolo fosse in grado di comprendere sia i profondi misteri della passione di Cristo che le vite dei santi martiri, costituendo fondamentalmente un modello di insegnamento etico per tutti i fedeli.
Una pittura estremamente chiara ed edulcorata in cui prevaleva decisamente una composizione calibrata e serena ma nello stesso tempo priva di tutte le artificiosità e ampollosità tipiche dell’arte manierista fiorentina.
Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento Vicenza divenne un importante cantiere architettonico in cui i nuovi edifici religiosi compresi oratori e confraternite modificarono profondamente il volto della città: per citarne alcuni, vennero fondate le chiese di San Valentino (1584), San Filippo e Giacomo (inizi del 600’) e l’oratorio del Gonfalone (1599).
Alessandro Maganza si distinse in città per la grande mole di pale d’altare e di cicli pittorici di una grande forza espressiva ed innovativa che durò fino alla prima metà del Seicento per lasciare il posto al pittore più aggiornato del momento cioè Francesco Maffei e subito dopo al grande Giulio Carpioni, tra i maggiori protagonisti del Barocco vicentino. Durante la Controriforma l’opera di Alessandro Maganza divenne un punto di riferimento per l’arte sacra in città e si può parlare anche di un rinnovamento dell’iconografia religiosa dopo la fase rinascimentale in cui si guardava alle novità di Giovanni Bellini e di Veronese.
Ma la pittura di Alessandro, altresì, si carica di una certa forza e di un evidente pathos e drammaticità che la pittura vicentina non aveva mai conosciuto prima d’ora: le figure appaiono possenti e monumentali e in modo particolare i gesti diventano evidenti e concitati; non si dovrebbe parlare solamente di un artista minore, il quale ha attinto in modo poco originale da numerose fonti artistiche quali Paolo Veronese, Palma il Giovane e Tintoretto ma a mio avviso il vero Alessandro Maganza, svincolato dai modi ripetitivi e retorici della bottega, è abbastanza riconoscibile per la forza espressiva resa evidente nelle opere di soggetto sacro di notevole impostazione sia nel modellato che nel forte chiaroscuro con la finalità di enfatizzare il pathos nella scena religiosa.
Sicuramente il contributo maggiore di questo artista lo abbiamo nel cantiere del Duomo, nella chiesa di Santa Corona (cappella del Rosario), nell’oratorio del Gonfalone e in San Domenico. Addirittura un suo dipinto lo possiamo ammirare presso la Galleria Palatina a Firenze. Tuttavia, troviamo i suoi numerosi dipinti nelle varie chiese di Vicenza e di Padova e persino a Palazzo Chiericati.
Alessandro nacque a Vicenza nel quartiere di San Pietro nel 1548. La madre era Thia Dal Bianco. Dopo un primo apprendistato presso la bottega paterna, Alessandro riceve l’insegnamento dal pittore locale Giovanni Antonio Fasolo, allievo probabilmente di Paolo Veronese. Nel 1572 si sposò ed ebbe 5 figli : quattro maschi (tutti pittori) e una femmina. Successivamente, Alessandro si trasferì a Venezia, su consiglio dello scultore Alessandro Vittoria, dove si trattenne fino al 1576.
Il suo linguaggio pittorico progredì decisamente dopo il soggiorno presso la città lagunare nella quale i numerosi stimoli artistici e culturali, tra i quali la visione diretta della pittura del Tintoretto e soprattutto della maniera aggiornata di Palma il Giovane, poterono provocare in lui numerose suggestioni e stimoli fino a farlo maturare definitivamente. Una volta tornato a Vicenza, sollecitato dagli esponenti dell’Accademia Olimpica, egli diresse per quasi mezzo secolo una fortunatissima bottega con l’ausilio dei suoi quattro figli maschi dando vita ad una vera azienda familiare che dispensava pale d’altare non soltanto nel territorio vicentino ma anche in centri più lontani del Veneto e della Lombardia.
I biografi di Alessandro Maganza, cioè il Ridolfi e il Boschini, motivarono il particolare successo della bottega maganzesca, che risiedeva innanzitutto nella mancanza di una concorrenza diretta oltre che nell’adozione di un linguaggio chiaro e perfettamente aderente ai dettami della Controriforma.
La prima opera nota di Alessandro è la Madonna con il Bambino e i quattro Evangelisti del Santuario di Monte Berico, realizzata nel 1580: la pala, che riprende l’impostazione compositiva di un’opera dello Zelotti a San Rocco, venne commissionata dal Collegio dei Notai di Vicenza; inizialmente ubicata all’interno del santuario mariano, ora si trova nel refettorio-pinacoteca di Monte Berico, all’interno del quale si può ammirare anche il Convito di San Gregorio Magno di Paolo Veronese. Originariamente il Maganza firmava nel 1579 un contratto con il Collegio dei Notai per una pala che raffigurava i quattro evangelisti, lo Spirito Santo e la Madonna con il Cristo morto in braccio e figure angeliche ma Alessandro si discostò leggermente dalla committenza apportando alcune modifiche all’idea iniziale.
L’iscrizione sull’altare ancora presente in loco documenta che l’opera è stata realizzata per ringraziare la Vergine dopo aver liberato Vicenza dalla peste del 1577-1578. I santi Marco e Luca sono i patroni dei notai, il che spiega la loro presenza nella pala. Il fulcro della composizione corrisponde al volto santo di Maria, al centro del dipinto, dove convergono le linee prospettiche che allargano illusionisticamente lo spazio creando una notevole profondità in cui le figure però sono inserite in pose lambiccate e contorte, uno stile figurativo che è debitore del Manierismo pittorico di matrice fiorentina. La luce sovrannaturale fa risaltare le stoffe e i mantelli degli evangelisti trasfigurando l’ambientazione sacra che appare ieratica e senza una consistenza terrena; inoltre, i quattro evangelisti sono abbigliati come dei filosofi dell’antichità non diversamente da quello che si può ammirare entrando nelle chiese paleocristiane di Roma.
Nel 1584 il Maganza progettò la piccola chiesa vicentina di San Valentino, una grande opportunità per Alessandro di dimostrare anche le sue doti di architetto. Secondo lo studioso Franco Barbieri, l’architettura della chiesa, annessa in origine ad un ospedale ora scomparso, venne progettata proprio da Alessandro Maganza, autore anche degli affreschi nella fascia superiore della facciata raffiguranti San Valentino e la Pietà, entrambi del 1584.
Carlo Ridolfi nelle sue Maraviglie dell’Arte del 1648 parla esplicitamente degli affreschi della facciata di non eccelsa fattura e ascritti ad Alessandro Maganza mentre Marco Boschini loda oltre modo sia le pitture ad affresco della facciata che la pala di San Valentino che risana gli infermi,un olio su tela del 1585, attualmente esposta all’interno della Basilica dei SS. Felice e Fortunato. A proposito della pala di San Valentino, così la descrive Marco Boschini: «La tavola dell’altare maggiore contiene la B.V. col Bambino sopra le nubi, e à basso S.Valentino, con una quantità d’Infermi, che lo pregano di salute: huomini, donne e Bambini, opera delle singolari di Alessandro Maganza».
Edoardo Arslan, nel suo volume delle chiese di Vicenza, vi riconosce una delle migliori fatiche di Alessandro visibili a Vicenza, nonché un linguaggio figurativo molto vicino a Jacopo Tintoretto; Franco Barbieri giudica la pala di San Valentino un’opera animata da un soffio di commossa e grandiosa oratoria. Tuttavia , il dipinto pur risentendo dello stile di Tintoretto il Miracolo di Sant’Agostino del 1550, mostra una sua originalità compositiva ravvisabile in modo particolare nelle figure plastiche e vigorose degli infermi nonché nella resa spaziale messa in evidenza dal profondo pronao che taglia trasversalmente la fascia mediana del dipinto unendosi all’imponente figura di San Valentino che porta la mano sinistra sul petto mentre rivolge il braccio destro verso gli infermi.
I colori sono smaglianti e la luminosità diffusa, che mette in risalto le stoffe degli abiti dei personaggi, è memore della lezione di Paolo Veronese a cui guarderà spesso Alessandro Maganza.
In alto, si affaccia la Vergine Maria con in braccio Gesù Bambino, scosso quest’ultimo da un anelito di vitalità.
La diagonale disegnata dal basamento su cui poggiano le colonne (plinti) suddivide lo spazio in due settori, mettendo in evidenza la realtà terrena in primo piano e la trascendenza nelle sfere più alte: si spalancano le porte del Paradiso e domina una visione sovrannaturale che dona speranza e riscatto ai poveri derelitti presenti nel margine inferiore del dipinto.
Di Francesco Caracciolo da Storie Vicentine n. 7 marzo-aprile 2022