Le prime testimonianze iconografiche a colori di Vicenza “città bellissima” compaiono come dettagli in alcune opere di Giovanni Bellini.
Sembra che il grande maestro veneziano si mantenga in contatto con diverse famiglie del territorio, tra cui certamente i Trissino, i Graziani Garzadori e i Fioccardo. Le opere che attestano questa frequentazione sono la Madonna col Bambino “Contarini” e la Pietà “Donà dalle Rose”, custodite ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, alle quali si aggiunge Cristo crocifisso in un cimitero ebraico, attualmente presso la Galleria di Palazzo degli Alberti a Prato. Le loro composizioni racchiudono uno o più riferimenti ai monumenti urbani ritenuti particolarmente significativi per la storia e l’identità del luogo: la facciata della cattedrale, la Torre Bissara, il Palazzo della Ragione.
Attraverso un sottile gioco di libere associazioni, al contempo estetiche e allegoriche, le opere di Bellini coinvolgono gli edifici simbolo di varie città per combinarli assieme a mo’ di capriccio, all’interno di un paesaggio immaginario affine alla geografia dell’Italia settentrionale, senza una caratterizzazione più specifica, ma rimanendo sempre a un livello puramente evocativo.
L’attenzione del maestro veneziano nei confronti della resa atmosferica e dei particolari naturalistici entra concettualmente in profonda sintonia con il sentimento religioso dell’epoca, in cui torna in auge l’idea della sacra solitudine nell’abbraccio del creato, dove ricercare un dialogo profondo e indisturbato con il Creatore dell’universo.
Nel Quattrocento, uno dei principali riferimenti per tale sensibilità “ambientale” rimane la parabola quattrocentesca di san Bernardino da Siena, frate francescano, nella doppia veste di asceta e di predicatore, seguito con grande partecipazione a Vicenza, dove si sofferma in ben due occasioni, lasciando un indelebile segno nella storia della diocesi.
Il pittore Marcello Fogolino interpreta con grande efficacia questa tensione spirituale nella composizione della tavola raffigurante San Francesco d’Assisi riceve le stigmate (1515 ca), ora presso il Museo civico di Palazzo Chiericati. Il soggetto principale dell’opera diventa pretesto per convocare un convivio ideale di ben cinque santi: oltre a Francesco, troviamo anche Pietro, Paolo, Chiara e Bernardino da Siena, assieme alla sommessa ma simbolicamente incisiva presenza di un asceta francescano immerso in preghiera, identificabile probabilmente come il beato Bernardino da Feltre, resosi celebre come continuatore del messaggio spirituale inaugurato dal confratello Bernardino da Siena, proclamato santo già nel 1450, solo sei anni dopo la morte.
Il quadro di Fogolino, collocato in origine nella chiesa di San Francesco Nuovo in Borgo Pusterla, mette in particolare risalto un emblema devozionale ideato da san Bernardino: il trigramma del nome di Gesù. Questo si configura come un sole raggiante con al centro l’iscrizione IHS, che riprende le tre lettere iniziali del santissimo nome in greco (ΙΗΣΟΥΣ). Osservando la collocazione del trigramma nella composizione pittorica di Fogolino, si comprende con chiarezza il suo messaggio allegorico.
Il simbolo si pone come astro lucente nel cielo sopra la Torre Bissara, intesa come uno dei massimi monumenti della storia civica. L’opera va collegata probabilmente con l’attività devozionale delle confraternite del Nome di Gesù, legate all’ordine francescano e affermatesi sulla scia della predicazione del santo senese e, soprattutto, grazie all’impegno divulgativo del beato Bernardino da Feltre.
La collocazione di san Francesco all’interno di una grotta evoca un episodio radicato nell’antica storiografia locale, ma di dubbia storicità, il quale rammenta un viaggio del “patriarca serafico” a Vicenza nel 1216, con una sosta prolungata a Longare, nel paesaggio ameno dei Colli Berici, dove avrebbe dato il via alla fondazione della comunità religiosa delle clarisse damianite. Nell’economia globale della composizione, il panorama urbano occupa la metà a destra del dipinto e inquadra l’intero profilo della città, dall’abbazia dei Santi Felice e Fortunato fino a un ultimo campanile che coincide idealmente con l’ubicazione della chiesa di Ognissanti nei pressi di Porta Monte, occultata quest’ultima da uno sperone di roccia alle spalle di san Bernardino. Sul piano paesaggistico, i protagonisti della veduta sono il fiume Retrone e il Monte Summano circondato da altri colli, che precedono la cintura azzurrina delle Prealpi.
A destra della grotta in cui san Francesco riceve le stigmate, si apre invece una visuale meno corretta dal punto di vista topografico. Dopo un edificio romano in rovina, che ricorda probabilmente il perduto Teatro Berga, si intravede in lontananza un tempio in cima a un alto colle, con una serie di cappelle devozionali, non rapportabili al territorio vicentino. Più a destra, domina invece il profilo di Monte Berico, con la chiesa nella sua veste quattrocentesca e con il convento dei frati affacciato verso la Valle del Silenzio.
A Santa Corona, lo stesso Fogolino propone attorno al 1519- 1520 un’altra immagine panoramica di Vicenza, concepita come un’aggiunta iconografica alla pala Madonna delle stelle, la cui composizione originaria risale attorno al 1360 ed è attribuita a Lorenzo Veneziano. L’inquadratura ambientale è affine ma non identica al precedente esempio fogoliano. Il punto di osservazione è stabilito ora più a destra, sulla salita davanti a Porta Lupia, il cui varco conduce lo sguardo verso un tessuto urbano prospetticamente più ampio, che termina a sinistra con l’abbazia dei Santi Felice e Fortunato e mette in risalto simbolico il rilievo del Summano, motivato probabilmente dalla presenza dell’importante santuario mariano, ritenuto il più antico della diocesi. Il committente dell’opera – documentato nell’iscrizione sul dipinto (SODALICIUM DIVÆ MARIÆ MATRIS) – è la confraternita “della Beata Vergine della Misericordia”, legata ai domenicani di Santa Corona. Infatti, la veduta integra alla base un soggetto mariano che intreccia varie tipologie iconografiche: la “Madonna del latte” con il Bambino poppante è assisa sul trono di nubi, mentre viene incoronata dagli angeli come Regina caeli. Il suo manto notturno, con un risvolto dorato, scende per avvolgere idealmente tutta la città berica, ricordando sul piano compositivo le icone “della Protezione” di memoria bizantina.
Di Agata Keran da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021