venerdì, Novembre 21, 2025

Trump oltre ogni limite, tra minacce e insulti

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – È stata la settimana in cui Donald Trump ha cercato disperatamente di coprire uno scandalo con un altro, ma questa volta la strategia gli è sfuggita di mano. Nel giro di pochi giorni, il presidente è passato dall’umiliazione sugli Epstein Files agli insulti ai giornalisti, fino alle minacce di morte contro parlamentari eletti. Ed è sempre più chiaro che non è un piano: è panico.

La crisi comincia quando Trump fa un’improvvisa capriola e chiede lui stesso al Congresso di pubblicare gli Epstein Files. Lo fa per evitare l’onta di una sconfitta bipartisan ormai certa. Ma l’umiliazione arriva comunque: la Camera approva a valanga, dopo poche ore il Senato passa la risoluzione per consenso. Trump quindi firma l’Epstein Files Transparency Act, la legge che obbliga il Dipartimento di Giustizia a rendere pubblici entro 30 giorni tutti i materiali non classificati legati al caso Epstein.

Una firma celebrata da Trump su Truth Social senza una parola sulle vittime, ma con nuovi attacchi ai democratici citati nei file. Ma la trasparenza promessa rischia di trasformarsi in un’illusione: la procuratrice generale Pam Bondi potrà oscurare nomi sensibili o trattenere intere sezioni se considerate parte di indagini in corso – comprese le nuove inchieste da lei stessa aperte su Clinton e altri democratici.

È in questo clima che arriva lo scontro nell’Oval Office. Davanti al principe saudita Mohammed bin Salman, Mary Bruce di ABC News osa chiedere del caso Khashoggi e dei rapporti finanziari della famiglia Trump con l’Arabia Saudita. Poi sempre Bruce chiede degli Epstein files. Il presidente esplode, la interrompe, la definisce “una pessima reporter”, e poi spara: “Bisognerebbe togliere la licenza ad ABC”.

Un presidente che minaccia una tv nazionale per una domanda su un omicidio politico: un gesto da repubblica delle banane. Un attacco al Primo Emendamento, in cui si aggiunge un’altra scena: la settimana scorsa, alla giornalista Catherine Lucey di Bloomberg, Trump aveva urlato “Quiet, piggy!” (zitta, porcellina) e giovedì la portavoce Karoline Leavitt prova incredibilmente a giustificare Trump dicendo che il presidente era solo stato “franco” e “onesto”. Ma il punto di rottura arriva quando nella notte di mercoledì il presidente pubblica su Truth Social: “Comportamento sedizioso, punibile con la morte!”. E rilancia un post con scritto: “Impiccateli, George Washington lo farebbe!”.

Il “crimine”? Un video virale postato da politici democratici che ricorda ai militari l’obbligo – previsto dalla legge – di rifiutare ordini illegali. Nessun riferimento a Trump, solo un principio costituzionale base. Ma il presidente lo trasforma in tradimento da parte dei sei parlamentari democratici, tutti con carriera militare o nell’intelligence. Tra loro la senatrice Elissa Slotkin, ex CIA, che gli risponde a tono su X denunciando la gravità delle minacce.

Il capo dei democratici Chuck Schumer prende la parola in Senato: “Il presidente degli Stati Uniti sta chiedendo l’esecuzione di funzionari eletti. È una minaccia mortale”. Poi i sei parlamentari rispondono con una dichiarazione congiunta sottolineando che il presidente ritiene ora “punibile con la morte” la semplice riaffermazione della legge.

La Casa Bianca balbetta: la portavoce Leavitt dice “no” quando le chiedono se Trump intendesse davvero l’esecuzione, ma i messaggi restano lì, firmati “President DJT”. E mentre i repubblicani cercano di minimizzare, arriva un segnale politico pesante: un sondaggio dell’autorevole Marist College rivela che se si votasse oggi per il Congresso, i Democratici avrebbero un vantaggio di oltre 14 punti. Uno scarto da tsunami, a dodici mesi dalle elezioni.

Per molti repubblicani, è la conferma che Trump non è più un asset: è un problema. La deputata Marjorie Taylor Greene – una che finora era stata la sua pasionaria – lo ha capito per prima dove tira il vento. Martedì davanti al Congresso, accanto alle vittime di Epstein che chiedono giustizia, pronuncia la frase che ha fatto tremare la base MAGA: “Vi dico io cos’è un traditore: un americano che serve Paesi stranieri e se stesso. Un patriota serve gli Stati Uniti e gli americani”. C’è bisogno di spiegare a chi fosse riferita?

Intanto venerdì alla Casa Bianca arriva un altro test: l’incontro con Zohran Mamdani, sindaco eletto di New York, che ha personalmente chiesto il faccia a faccia. Sul tavolo ci sono sicurezza pubblica, costo della vita, fondi federali e un rapporto già esplosivo dopo mesi di attacchi. Trump lo ha chiamato “il mio piccolo comunista”. Ora dovrà riceverlo nello Studio Ovale. Farà un gesto istituzionale o come sempre userà l’incontro per distogliere l’attenzione dalla sua settimana più tossica?

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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