giovedì, Novembre 21, 2024
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Storie di vita a Villa Valmarana Morosini in Altavilla

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Probabilmente con il consenso della madre Annina, che ha quarantasei anni ed è nel pieno del suo fulgore, nel 1910, la giovanissima Morosina Morosini, che ha ereditato Villa Valmarana dal padre Michele, vende le proprietà in Altavilla a Giacomo Roan, Carlo Pellegrini Malfatti e Agostino Muttoni proprietari dei mulini a Ponte Pusterla a Vicenza.

Annina Morosini

Questo avviene in giugno e già in agosto la villa è acquistata da Aristide Emiliani, piemontese, direttore della Banca Popolare di Vicenza. In quegli anni, che adesso paiono beati, Piave e Brenta non erano fiumi, almeno all’interno della villa. Nei racconti del nonno, al tempo della mia prima infanzia, Piave e Brenta erano due pastori tedeschi. Nel 1910 nonno Ettore viveva, come custode- maggiordomo, in villa Valmarana-Morosini nelle stanze al pianterreno e al piano primo sotto l’emiciclo del portico a ovest. Allora aveva ventinove anni, nonna Teresa d’anni ne contava ventisette. Di lì a poco avrebbe cominciato ad attendere la nascita del primo figlio Arrigo. Negli stessi giorni di quell’anno 1911 nasceva nelle stanze nobili della villa, la figlia di Aristide Emiliani, Rina.

Due anni dopo nasceva la sorella di Arrigo, Elvia. Ettore aveva capelli neri, lisci, lunghi, scriminatura a destra. Di solito portava un vestito di grisaglia e camicia bianca a righe col colletto tenuto chiuso da uno spillone, cravatta larga, nera. Teresa teneva corti i capelli castani ricci, orecchini verdi, una corta collanina d’oro con medaglietta, il vestito nero lungo appena aperto sul collo. I primi due figli nascono nelle camere al piano primo che hanno finestre aperte a sud sotto le ariose arcate del portico e verso la collina della Rocca a nord. Aristide Emiliani, nuovo proprietario, aveva riattata la villa e lussuosamente ripristinata per un periodo di felicità che coincide, appunto, con la sua breve presenza.

Questa breve felicità inizia con i primi giorni di agosto del 1910 e durerà solo qualche anno. Voglio pensare che le stanze di servizio fossero ancora arredate con i mobili che sono elencati nell’antico inventario del 1776. In particolare la cucina, con i suoi attrezzi e utensili che adesso paiono romanticherie: stagnola piccola, caldiera grande, secchi di rame, padelle di rame, spiedo di ferro per arrosti, cavedoni e catene da fuoco, gradelle, lumi, mastello dell’acqua, tre careghe de salgaro, cogoma grande, mortaro de bronzo con sua mazza, candelieri de otton e altro ancora.

Teresa, nel poco tempo libero, siede sotto il portico col riflesso del sole sul viso incorniciato dai capelli castani: cuce e ricorda di quando, ragazza, era infermiera all’ospedale di Padova. Di sera,Ettore andava a trovarla, nella casa di contrà Ponticello, in bicicletta, aprendo al massimo il rubinetto del fanale a carburo ch’era la novità del tempo. A lei sembrava arrivasse un sole notturno. Teresa lavora a maglia e attende alla cucina, mentre i figli giocano lungo i vialetti del grande giardino che si apre davanti alla villa, con i cani Piave e Brenta più grandi di loro. Corrono beati attorno ai due pozzi ornamentali tra i rododendri e il rosso spino. La padroncina Rina, chiamata Rinetta, è loro campagna di giochi.

Ettore si divide tra le cure della villa e quelle dell’oratorio Morosini a Tavernelle. A volte aiuta i suoi fratelli a coltivare le poche pertiche di terra alle Boj appena fuori del paese dover inizia la Perara. In fondo al giardino del palazzo l’alto muro di sasso e mattoni si apre con un cancello che dà sul barco immenso che finisce laggiù verso il Cul del Mastelo e il torrente Riello.

Si avverte il riposo inesauribile e apparente della campagna che chiude sull’impennata della collina. L’ oratorio, luogo di preghiera della villa, è situato sul lato ovest dell’emiciclo sotto il portico, estremo spazio per il raccoglimento e la preghiera davanti a dispensatori di consolazione. L’altare è ricco di movimenti di pietra di Vicenza con castoni marmorei e poggia su una lavorata predella di marmo rosso di Verona.

Al sommo della pala figurano due visi d’angelo. In alto, sulle parti curve che si guardano, si adagiano due angeli con le ali aperte. Due teste d’angelo anche ai lati, tutti dal sorriso triste. Su massicci piedistalli poggiano le statue di San Francesco e di Sant’Agnese. Nella pala al centro dell’altare, Gesù è raffigurato seduto su un sedile di pietra, alle sue spalle un albero frondoso esce da un cespuglio fiorito. Più in basso s’intravede il lago di Tiberiade coperto da un cielo di nuvole con poco azzurro. Gesù ha i capelli castani lunghi, divisi nel mezzo, la barba fluente.

E’ vestito con un mantello celeste su una premonitrice tunica rossa.  “Lasciate che i parvoli vengano a Me”, è la scritta esatta riportata in lettere di bronzo sul paliotto di marmo. Arrigo e Rinetta, spiano dalla porta dell’oratorio. Teresa è assorta in preghiera, fra poco, in cucina, accenderà il camino. Giocano ancora nel crepuscolo dorato mentre il sole cala dietro i castelli di Giulietta e Romeo. Rinetta sale di corsa le scale che dall’emiciclo salgono al piano nobile. Arrigo non dovrebbe farlo, è solo il figlio del custode, ma la segue.

villa Valmarana Morosini Altavilla
villa Valmarana Morosini negli Anni ’20

Passano le quattro stanze principali arredate con mobili antichi. Tappeti orientali coprono la veneziana dei pavimenti, quadri alle pareti, statue, argenterie. Nell’ultima stanza si trovano in un salotto studio con una grande scrivania e poltrone di cuoio consunto. Attraversano di corsa il gran salone centrale indifferenti alle figure allegoriche dipinte in giallo sulle alte pareti. Via, via di corsa. Non c’è tempo per ammirare la Pittura, la Giustizia, l’Architettura, la Musica, la Poesia, L’Astronomia.

Corrono davanti alle vetrate che danno sul giardino sfiorando appena nella corsa lo stemma gentilizio disegnato in mosaico sul pavimento. Corrono e s’immergono nel mondo fatato dell’ala a mattina della villa arredata all’orientale con mobili di bambù. Non si sono accorti nemmeno dei putti sorridenti, delle aquile gigantesche, dei trionfi di fiori in gesso al sommo delle porte. Qui passa sola le sue giornate la giovanissima moglie di Aristide. Attraversare il salone delle feste e passare dall’ala a tramontana all’ala a mattina è come attraversare l’oceano o avere percorso per intero la via della seta assieme a Marco Polo.

Qui ogni cosa ricorda l’oriente: gli arredi di bambù e giunco, i mobili laccati, le cineserie, i tappeti colorati, i tendaggi, il profumo d’incenso che satura l’aria. Come un fantasma, la Signora trascorre le stanze vestita con lunghi abiti di seta stampata, isolata nel suo mondo che si ferma lì, contro le pareti, contro i vetri, contro i suoi pensieri mai del tutto liberati in parole che giustifichino il suo modello di vita.

La Signora ritornerà ad Altavilla quarant’anni dopo per rivivere ricordi lasciati sbadatamente qui. Ritorna avvolta in un gran scialle viola, misteriosa ancora. Ettore la accompagna, gli sembra per un poco di avere ancora trent’anni, gli occhi velati appena di lacrime. La carrozza del padrone, che parte per Venezia, è già pronta sotto la barchessa.

Ettore attacca al timone i quattro cavalli migliori, apre il massiccio portone. I cavalli per il cambio sono già a Mestrino, sulla strada per Padova. Li ha avviati che annottava ancora. Piave e Brenta rincorrono abbaiando la carrozza fin dove finisce la mura che cinge il brolo della Rocca, poi tornano lentamente indietro.

Ettore li aspetta tenendo aperta la piccola porta al centro del portone. Davanti alla villa, fino alla strada Postumia per Vicenza, non c’è che campagna coltivata. Le campane della chiesa di Sant’Urbano suonano l’Angelus del mattino. Teresa, sulla soglia della cucina, si fa il segno della croce.

Di Giorgio Rigotto da Storie Vicentine n. 11 novembre-dicembre 2022


In uscita il numero di Maggio 2023
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