LUSSEMBURGO (ITALPRESS) – Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea, il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro proceda alla designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro mediante un atto legislativo, a condizione che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. Detto controllo deve vertere sul rispetto delle condizioni sostanziali di siffatta designazione enunciate all’allegato I a tale direttiva, in particolare quando un ricorso sia presentato avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale in esito alla procedura accelerata applicabile ai cittadini di paesi terzi così designati. La Corte sottolinea altresì che le fonti di informazione su cui si fonda siffatta designazione devono essere sufficientemente accessibili, sia per il richiedente che per il giudice competente.
Tale prescrizione mira a garantire una tutela giurisdizionale effettiva, consentendo al richiedente di difendere efficacemente i suoi diritti e al giudice nazionale di esercitare pienamente il proprio sindacato giurisdizionale. Peraltro, il giudice può, quando verifica se siffatta designazione rispetti le condizioni previste all’allegato I alla direttiva, tener conto delle informazioni da esso stesso raccolte, a condizione di verificarne l’affidabilità e di garantire alle due parti del procedimento la possibilità di presentare le loro osservazioni su tali informazioni supplementari. Infine, la Corte precisa che, fino all’entrata in vigore di un nuovo regolamento destinato a sostituire la direttiva attualmente applicabile, uno Stato membro non può designare come paese di origine “sicuro” un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione.
Sempre secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea, uno Stato membro che si astenga dal fornire ai richiedenti protezione internazionale, privi di mezzi sufficienti, condizioni materiali di accoglienza che garantiscano un tenore di vita adeguato, dando alloggio, sostegno economico, buoni o una combinazione di tali forme, anche solo temporaneamente, eccede manifestamente e gravemente il margine di discrezionalità di cui dispone in relazione all’applicazione della direttiva sul diritto d’asilo. Tale astensione è quindi idonea a costituire una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, che fa sorgere la responsabilità dello Stato membro interessato. Gli Stati membri debbano soddisfare, in ogni caso, le esigenze essenziali delle persone interessate, conformemente all’obbligo di rispettare la dignità umana sancito dalla Carta dei diritti fondamentali.
In tali circostanze, la Corte ritiene che non si possa ammettere che uno Stato membro invochi l’evento che fa scattare il regime derogatorio, vale a dire l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili per i richiedenti protezione internazionale, per sottrarsi al suo obbligo di soddisfare le esigenze essenziali delle persone interessate, e ciò anche se tale esaurimento deriva da un afflusso ingente e improvviso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale. Analogamente, l’invocazione del verificarsi di un evento del genere non consente di accertare che la violazione degli obblighi previsti dalla direttiva non è sufficientemente qualificata da poter dare diritto al risarcimento.
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