ROMA (ITALPRESS) – La cefalea, nota comunemente come mal di testa, è uno dei disturbi più diffusi al mondo e colpisce milioni di persone in Italia. Circa il 50% degli abitanti del nostro Paese soffre almeno occasionalmente di mal di testa. Il 12% è vittima di emicrania, cioè di dolore pulsante, solitamente localizzato su un solo lato della testa. Infine, la cefalea si definisce cronica quando si manifesta per almeno 15 giorni al mese. In Italia colpisce circa il 2% della popolazione, con un impatto significativo sulla qualità. È importante non sottovalutare la cefalea, soprattutto se frequente o invalidante. Le cause possono essere molteplici e combinate, ma le terapie sono sempre più precise ed efficaci.
“Quasi tutti noi abbiamo provato un mal di testa, il problema che invece ci troviamo ad affrontare è quando le cefalee diventano una malattia. È una cosa diversa perché in quel caso ci sono questi attacchi che sono costituiti da dolore, che si ripetono nel tempo anche con una frequenza piuttosto elevata. Pensiamo all’emicrania, che è una malattia neurologica cronica con attacchi con dolore al capo, ma non solo: nausea, vomito, fastidio per la luce, per il rumore, i pazienti devono mettersi a letto al buio, sono disabilitati”, ha detto Cristina Tassorelli, professore ordinario di Neurologia dell’Università di Pavia e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, intervistata da Marco Klinger per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“A volte cominciano a diventare più frequenti e allora parliamo anche di ‘disabilità intercritica’: tra un attacco e l’altro la persona non è al 100%. Fino ad arrivare alla disabilità grave, quando tra un attacco e l’altro la persona non ha respiro e quindi è una disabilità veramente importante – spiega -. C’è un identikit: si dice che l’emicrania sia donna perché colpisce le donne tre volte di più di quanto non colpisca gli uomini, però anche gli uomini ne soffrono, comincia nell’età infantile e poi tende a peggiorare col passare degli anni, fortunatamente nella quinta decade di vita comincia a diminuire”. L’emicrania “è una malattia complessa che interessa diverse parti del nostro cervello: tra le strutture anatomiche più interessate ci sono dei ‘foglietti’ che rivestono e proteggono il cervello, le meningi. Il cervello non ha recettori per il dolore, le meningi ne hanno tantissimi proprio perché devono proteggerlo”. Inoltre “sono irrorate anche dai vasi: nei soggetti che soffrono di emicrania tutto questo sistema è iperattivo e libera delle sostanze che danno vasodilatazione, che stimolano i recettori e che danno una sorta di infiammazione neurogena”.
Tra i sintomi più comuni ci sono “il dolore – che può essere localizzato a un solo lato della testa, ma può anche essere bilaterale – di solito pulsante, molto intenso, poi nausea, vomito, fastidio per la luce e per il rumore, impossibilità a fare qualsiasi cosa perché qualsiasi cosa peggiora la situazione”. La cefalea “per fortuna è molto più rara: è quella che chiamiamo la cefalea da suicidio, perché il dolore è così forte che tanti pazienti dicono che pur di non sopportarlo più pensano di compiere qualche atto insano”. In quel caso “il dolore è quasi sempre unilaterale, ci sono dei sintomi locali per cui l’occhio che si chiude e lacrima, diventa rosso, il naso cola”. L’emicrania con aura è quella che porta “nausea o dolore pulsante, è preceduta da disturbi neurologici che, nella forma più tipica, sono dei disturbi visivi. A volte, dopo l’aura visiva sopraggiungono disturbi della sensibilità che partono magari dalla punta delle dita e arrivano al volto e, al termine di questi disturbi, arriva l’attacco”.
Gli stili di vita influiscono tantissimo nell’evitare il peggioramento e, a volte, possono aiutare a mettere in atto un miglioramento in persone che hanno attacchi molto frequenti: fare attività fisica, non andare troppo sovrappeso, avere un ritmo di sonno regolare, non esagerare con gli alcolici perché sono vasodilatatori. Da soli però non bastano, “perché non è colpa del paziente se vengono tanti attacchi”, ha sottolineato. Le notizie che riguardano le cure “sono incoraggianti: per decenni abbiamo utilizzato delle terapie per l’emicrania che non erano specifiche” ma “a partire dal 2018 sono arrivati farmaci specifici, sviluppati per il trattamento sintomatico, per il trattamento acuto e per il trattamento preventivo dell’emicrania”. Fino ad ora “ci siamo accontentati di dire che un soggetto emicranico risponde alla terapia quando ha una riduzione dei giorni di cefalea al mese pari almeno al 50%. Di recente abbiamo pubblicato un lavoro, scritto in collaborazione con esperti internazionali, dicendo che vorremmo arrivare al traguardo di rendere i pazienti liberi da emicrania. Non lo potremo fare per tutti, però è un target che abbiamo messo nel mirino: la risposta ottimale per noi in questo momento sarebbe portare la persona ad avere meno di 4 giorni di emicrania al mese”, ha sottolineato.
Il primo suggerimento per i pazienti “è non automedicatevi: succede spesso che il paziente, invece di utilizzare terapie di prevenzione che servono a prevenire gli attacchi, ridurre la frequenza e l’intensità, si curano soltanto con i farmaci sintomatici” che, “quando li prendiamo con troppa frequenza, perdono efficacia. Quindi diventa un circolo vizioso in cui la persona rischia di rimanere intrappolata”.
– foto tratta da Medicina Top –
(ITALPRESS).