Possiamo ben scrivere di Giuseppe Zanetti che come uomo fu un puro, come artista un sommo, come soldato un eroe, come cittadino un raro esempio di rettitudine e di onestà. Nel 1915 allo scoppio della Prima Guerra mondiale, fu chiamato alle armi e partecipò con valore a vari combattimenti per quattro lunghi anni, dall’Altopiano di Asiago all’Albania.
Ritornò dal conflitto con due Croci al Valore, ma anche con la malaria, dopo aver superato la “spagnola” e schivato il colera che aveva falciato l’esercito serbo in ritirata. E fu proprio la malaria a spingerlo, lui cacciatore di palude e di collina, a salire sui monti in cerca di aria più salubre.
Giuseppe Zanetti percorse prima in lungo e in largo l’Altopiano di Asiago e poi le Piccole e le Grandi Dolomiti, rinforzando l’amore per la montagna, tanto da divenire tra il 1937 e il 1939 presidente della sezione del Club Alpino Italiano (CAI) di Vicenza. Fu sua l’iniziativa di svincolare dalla comproprietà con la sezione di Schio il rifugio di Campogrosso che divenne poi la casa degli alpinisti vicentini.
Nel silenzio della sua dimora sul colle Berico, al cospetto delle sue montagne, anche la sua tecnica ottenne elevazione e si perfezionò via via nelle forme sempre più semplici e umane, trovando grande ispirazione, soprattutto nell’arte sacra in cui egli maggiormente si distinse.
Emerse presto come scultore con accentuata personalità e fu invitato ad esporre giovanissimo in più edizioni della Biennale di Venezia, ottenendo ambiti premi e riconoscimenti.
Espose pure alla Quadriennale di Roma, a Ca’ Pesaro a Venezia e in altre città, mentre le sue opere cominciavano ad essere acquistate da musei e gallerie. Tra le realizzazioni del primo periodo, premiate alla Biennale, vanno menzionate: il Cristo flagellato, Il cieco e l’orfano di guerra e la Maternità errante. Un gran numero di sue pregevoli sculture abbelliscono edifici e piazze di varie città. Egli scolpì i monumenti vicentini al Fogazzaro, al Pigafetta, agli Invalidi del Lavoro, ai Battaglioni Alpini, al Battisti, al Ferrarin, ai Caduti della Grande Guerra in Villa Guiccioli e allo Zanella nella chiesa di San Lorenzo. Ma numerosi sono anche i monumenti ai Caduti da lui realizzati nel territorio, tra i quali spicca quello di Noventa Vicentina, giudicato, nel suo soggetto, tra i migliori d’Italia. Si ricordi poi la fontana nella piazza di Asiago e il monumento Finzi ad Arzignano.
Sono pure sue alcune statue che abbelliscono l’Ossario del Pasubio e quelli di Asiago e di Treviso, la chiesetta degli Alpini di Montecchio Maggiore, il santuario di Monte Berico, le chiese di Bertesina e di Cusinati, la Cappella Cardinalizia in Vaticano, il tempio votivo del Lido di Venezia, la Cassa di Risparmio della medesima città e due gallerie di New York.
Infine nel cimitero maggiore di Vicenza scolpì la tomba del tenente Negri de’ Salvi, del notaio Bedin e altre, tra cui quella della sua famiglia. Morì a Vicenza il 28 gennaio 1967. L’amico avv. Giovanni Teso, scomparso pochi mesi dopo di lui, ci lascia questa testimonianza: “Possiamo ben scrivere di lui che come uomo fu un puro, come artista un sommo, come soldato un eroe, come cittadino un raro esempio di rettitudine e di onestà”.
Di Luciano Parolin Da Storie Vicentine n. 6 gennaio-febbraio 2022