(Articolo di Lucio Panozzo su Giovanni De Mio da Vicenza In Centro n. 2-2025, periodico dell’associazione Vicenza in Centro aps).
Gualtieri Giovanni di Bartolomeo o Bortolamio (abbreviato in Mio) di Bernardo, detto De Mio (Demio, del Mio, Denio, Indernio, forse anche Dioneo) detto Fratino (Frattino, Fratini, Frattini, Fratina, Frattina), detto Visentino, detto Zuane Visentin, pittore e mosaicista (nasce quasi certamente a Schio tra il 1502 e il 1505, data presunta ricavata dalla data della prima opera, muore post 1564, data dell’ultima opera conosciuta, presumibilmente a Schio). Suoi lavori si trovano in parecchie zone d’Italia. Ricordo solo gli affreschi nella cappella Sauli (quinta a destra) del santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano, dove Leonardo dipinse la Cena. E questa non casuale vicinanza dei due pittori la dice lunga sulle qualità del Nostro. Non credo sia fuori luogo citare il fratello: Francesco, detto anch’egli de Mio, soprannome principale, è conosciuto anche come Lete e Fratino. Pittore e probabilmente anche scultore (documentato 1542 – 1565 – data del testamento). Anch’egli lascia Schio, ma non con la curiosità dell’artista che anima Giovanni, sebbene per una necessità che rimane oscura. Lascia un cartello sulla porta di casa, la mattina presto del giorno della partenza senza ritorno: “Addio, mia patria, non mi vedrai mai più”. Esistono opere in cui i due fratelli hanno collaborato. Tornando a Giovanni (che in ambito vicentino riceve un buon giudizio dal Palladio, che lo definisce “Huomo di bellissimo ingegno”), il
suo iter di pittore girovago lo porta in senso geografico a percorrere le strade d’Italia; in ambito artistico, ad iniziare la sua carriera seguendo tra i primi la “Maniera”, per passare
poi ad aderire a varie scuole, sempre in riferimento ai suoi viaggi e alle sempre nuove esperienze. Non si capisce se il suo girovagare sia il semplice itinerario per andare dove c’è richiesta della sua arte, o alla ricerca di sempre nuovi stili. A Vicenza questo pittore ha lasciato numerose opere, ma io vorrei parlare di una che non esiste più: gli affreschi nel palazzo dei nobili Pizzioni, detti Roda per la presenza di una ruota sul loro stemma (visibile). Come scrissi tempo fa su queste pagine, il palazzo è stato in parte ricostruito in occasione di un importante rifacimento edilizio che lo coinvolse. Feci un’ipotesi di poter cercare quella parte di affreschi che certamente si salvarono, magari coperti da una mano di calce. Ora torno sul consiglio di effettuare delle ricerche, in quanto nel frattempo sono venuto a conoscenza dell’esistenza di uno scanner specifico; quindi, è possibile trovare affreschi coperti da malta o da calce. Nella fattispecie l’ho visto in azione (in TV) a Istambul, nella grande chiesa moschea di SANTA SOPHIA, con risultati eccellenti.